Danno temuto e immissioni: canna fumaria non utilizzata, soffitte non abitabili ed eternit

14 Giugno 2024

La Cassazione si pronuncia su un’azione di danno temuto e per immissioni per una canna fumaria, dichiarata non utilizzata. Assunto un impegno ritenuto vincolante a non utilizzare la canna fumaria, resta da chiedersi se persista o possa persistere lo stato di pericolo legittimante l’azione di danno temuto. Sotto il profilo delle immissioni, si pone il caso di immissioni odorose di colonne di scarico in soffitte non abitabili.

Il caso

Si tratta di un'azione di danno tenuto e per immissioni per fumi e odori da una canna fumaria, nonché per sfiati in eternit non a norma. In primo e secondo grado venivano escluse le immissioni e il pericolo.

La questione

La questione attiene la presenza di un pericolo e di immissioni relativamente ad una canna fumaria, per la quale i proprietari avevano dichiarato, in modo vincolante in assemblea condominiale, di non utilizzarla.

Pertanto, occorre interrogarsi:

  1. se sussista il diritto a ottenere l'intervento di manutenzione necessario a fronte dell'obbligo assunto di inutilizzazione;
  2. se si può escludere il pericolo attuale delle canne fumarie crepate e interessate da trafilamento di fumo, in quanto “dichiarate inutilizzate”;
  3. se le immissioni odorose delle colonne di scarico dei bagni nelle soffitte integrino un pericolo per la salute delle persone, ove le soffitte siano non abitabili;
  4. se vada individuata la norma di riferimento per la tutela per la presenza di eternit.

Le soluzioni

  • Sulla sussistenza del diritto all'intervento di manutenzione

L'impegno a non utilizzare le canne fumarie, reso in assemblea condominiale, era giuridicamente vincolante e soltanto nel momento in cui i soggetti non l'avessero rispettato vi sarebbe stato un inadempimento.

In punto di fatto, poi, era rimasto accertato che il consulente d'ufficio aveva escluso pericolo attuale e che i difetti erano lievi e di natura costruttiva.

Sotto altro aspetto, anche ipotizzando che l'impegno assunto di non utilizzare le canne fumarie non escludesse il pericolo, spettava al giudice adito con la denunzia di danno temuto individuare le misure per ovviare al pericolo e il suo apprezzamento di merito, in quanto tale, non può essere oggetto di diversa valutazione in sede di legittimità. La domanda, dunque, era infondata.

  • Esclusione del pericolo e inutilizzazione

La Cassazione ha osservato che il CTU, nel momento in cui non ha preso in esame le canne fumarie perché non oggetto di utilizzazione, lo ha fatto sulla base del presupposto che non fosse la presenza delle canne fumarie in quanto tale a determinare pericolo, cosa bene diversa dal dire di non averle considerate perché inutilizzate. Tale apprezzamento in fatto rimane estraneo al perimetro del sindacato di legittimità.

  • Immissioni e soffitte non abitabili

La terza quesitone riguarda le immissioni in locali non abitabili: integrano immissioni vietate per il pericolo alla salute, se appunto si tratta di soffitte non abitabili?

Nel merito, la sentenza impugnata evidenziava che:

  1. la presenza dei buchi sul pavimento individuava difetti costruttivi e non mancanza di manutenzione, ma la domanda non aveva a oggetto difetti costruttivi dell'edificio;
  2. la soffitta non era abitata, non era abitabile ed eventuali immissioni odorose non arrecavano alcun pregiudizio;
  3. neppure prova delle esalazioni, non rilevate in sede di CTU, in quanto in quella sede era risultata la chiusura dei tubi, mentre l'onere della prova era incombente sull'attrice.

In sede di legittimità, il ricorrente si era limitato a censurare solo la parte di motivazione relativa al pregiudizio per la salute e non anche le alte parti autonome, con la conseguenza di risultare il motivo di cassazione inammissibile. Astrattamente e in linea generale, però, l'art. 844 c.c. non richiede né il pericolo per la salute delle persone, né che il bene destinatario delle immissioni sia abitabile (si veda A. Benni de Sena, Danno da immissioni risarcimento e azioni, Giuffrè, 2020).

  • Eternit e normativa a tutela

La Corte d'Appello si era dichiarata non in grado di individuare l'eventuale norma di cui l'appellante invocherebbe la violazione.

Per la Suprema Corte, la pronuncia è corretta perché, se l'attrice avesse inteso lamentare il mancato accoglimento della sua domanda volta a ottenere la condanna dei proprietari degli sfiati in eternit a eseguire la bonifica, avrebbe dovuto censurare in modo specifico la pronuncia di primo grado che quella domanda aveva rigettato. Non è sufficiente il richiamo al principio iura novit curia, in quanto l'obbligo del giudice di appello di individuare la disposizione applicabile alla fattispecie sussiste se e in quanto sia stato formulato sul punto un motivo di appello ammissibile.

Non rileva neppure la deduzione circa il fatto che, ai sensi della l. n. 257/1992, la valutazione del rischio spettava al proprietario, perché in questo modo la ricorrente confonde il rischio dell'esposizione all'amianto al pericolo che giustifica la proposizione dell'azione di danno temuto. La sentenza impugnata ha evidenziato che era l'attrice a dovere dimostrare il pericolo, dopo avere dato atto che i tubi erano in buono stato di manutenzione e lo stesso consulente di parte attorea riconosceva che la normativa non imponeva alcuna bonifica per il fatto che fosse stato utilizzato quel materiale.

Quindi, chi ha proposto l'azione di danno temuto, ha l'onere di dimostrare la situazione di pericolo.

La sentenza in esame è dunque molto interessante, in quanto richiama l'attenzione sull'importanza dell'onere probatorio degli elementi delle azioni fatte valere (immissioni e danno temuto).

(fonte: dirittoegiustizia.it)

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.