Rigetto di patteggiamento proposto da un concorrente nel medesimo reato e incompatibilità del giudice

11 Giugno 2024

La Cassazione opta per la soluzione negativa.

Massima

Non sussiste la causa di incompatibilità di cui all'art. 34 c.p.p., nell'ipotesi in cui il giudice abbia in precedenza respinto la richiesta di patteggiamento proposta da concorrenti nel medesimo reato per il quale l'imputato è tratto a giudizio.

Il caso

Il difensore dell'imputato proponeva ricorso in Cassazione avverso il provvedimento con il quale la Corte d'appello aveva rigettato la istanza di ricusazione avanzata nei confronti del G.u.p. che l'aveva ammesso al giudizio abbreviato sebbene avesse rigettato la richiesta di applicazione della pena nei confronti di altro coimputato nel medesimo reato.

La Corte di cassazione ha rigettato il ricorso sul rilievo che non ricorreva alcuna situazione di incompatibilità ex art. 34, comma 2, c.p.p., a seguito del provvedimento di rigetto della richiesta di applicazione pena presentata nell'interesse di altro coimputato.

La questione

La questione in esame è la seguente: il giudice che rigetta la richiesta di patteggiamento proposto da un concorrente nel medesimo reato è incompatibile nei confronti del coimputato?

Le soluzioni giuridiche

La pronuncia in commento si conforma al prevalente orientamento, a mente del quale nell'ipotesi di concorso di persone nel reato, non necessariamente la pronuncia sulla responsabilità di alcuni concorrenti determina la incompatibilità del giudice in un successivo giudizio nei confronti di altri concorrenti; e ciò, perché alla comunanza di imputazione non necessariamente fa riscontro una identità di condotta sottoposta alla sua valutazione (Cass. pen., n. 9622/1997).

Il richiamo delle sentenze della Corte costituzionale (sent. 186/1992, 439/1993) deve coordinarsi con quello del principio di terzietà e imparzialità del giudice, in forza del quale si delinea la incompatibilità del medesimo ogni qual volta abbia compiuto valutazioni aventi incidenza sul giudizio di responsabilità penale dell'imputato, tali da pregiudicare la sua posizione di neutralità.

Con la ben nota pronuncia n. 371/1996 la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 34, comma 2 c.p.p., nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio nei confronti di un imputato il giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare una precedente sentenza nei confronti di altri soggetti, nella quale la posizione di quello stesso imputato in ordine alla sua responsabilità penale sia già stata comunque valutata.

È stato statuito, di conseguenza, che l'avere concluso con sentenza di patteggiamento il procedimento relativo alla posizione di alcuni coindagati non determina incompatibilità alla partecipazione al giudizio nei confronti dei concorrenti nel medesimo reato.

L'incompatibilità non è configurabile neppure con riferimento ai reati a concorso necessario, ove il giudice non abbia valutato il merito e la posizione del terzo (Cass. pen., n. 8472/2005).

In particolare la giurisprudenza di legittimità ha, con chiarezza, enunciato il principio secondo cui non sussiste alcuna valida causa di ricusazione del giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare sentenza in precedente procedimento nei confronti di alcuni coimputati e che successivamente concorra a pronunciare in separato processo altra sentenza nei confronti di altro concorrente nel medesimo reato, qualora la posizione di quest'ultimo, e, dunque, la sua responsabilità penale, non sia stata oggetto di valutazione di merito nel precedente processo (Cass. pen., n. 6797/2015).

Osservazioni

La disciplina dell'incompatibilità del giudice è funzionale alla salvaguardia dei princìpi di terzietà e imparzialità della giurisdizione, al fine di evitare che la decisione sul merito della causa possa essere – o apparire – condizionata dalla “forza della prevenzione”, ossia dalla naturale tendenza a confermare una decisione o a mantenere un atteggiamento già assunto, derivante da valutazioni che sia stato precedentemente chiamato a svolgere in ordine alla medesima res iudicanda.

Occupandosi della c.d. incompatibilità “orizzontale”, di cui al censurato comma 2 dell'art. 34 c.p.p. – ossia dell'incompatibilità attinente alla relazione tra la fase del giudizio e quella che la precede –, la Consulta ha precisato che «l'incompatibilità presuppone una relazione tra due termini: una “fonte di pregiudizio” (ossia un'attività giurisdizionale atta a generare la forza della prevenzione) e una “sede pregiudicata” (vale a dire un compito decisorio, al quale il giudice, che abbia posto in essere l'attività pregiudicante, non risulta più idoneo)» (C. cost. n. 16/2022).

Lo stesso giudice delle leggi ha compiutamente individuato le condizioni che devono contestualmente sussistere affinché venga in rilievo la necessità costituzionale di prevedere un'ipotesi di incompatibilità endoprocessuale: --a) le preesistenti valutazioni devono cadere sulla medesima res iudicanda; --b) il giudice deve essere stato chiamato a effettuare una valutazione di atti anteriormente compiuti, in maniera strumentale all'assunzione di una decisione (e non semplicemente aver avuto conoscenza di essi); --c) tale valutazione deve attenere al merito dell'ipotesi accusatoria (e non già al mero svolgimento del processo); --d) infine, le precedenti valutazioni devono collocarsi in una diversa fase del procedimento.

La Consulta ha osservato che nessuna menomazione dell'imparzialità del giudice può essere configurata in relazione a valutazioni, anche di merito, compiute all'interno della medesima fase del procedimento (ordinanza n. 76/2007; ordinanze n. 123 e n. 90 del 2004, n. 232/1999), giacché, diversamente opinando, sarebbe rimessa all'imputato la potestà di determinare l'incompatibilità del giudice correttamente investito del giudizio, in contrasto con il principio del giudice naturale precostituito per legge, dando contestualmente luogo ad una irragionevole frammentazione della serie procedimentale.

Infatti, il processo è per sua natura costituito da una sequenza di atti, ciascuno dei quali può astrattamente implicare apprezzamenti su quanto risulti incidere sui suoi esiti, così che, se si dovesse isolare ogni atto che contenga una decisione idonea a manifestare un apprezzamento all'interno della medesima fase procedimentale, si pregiudicherebbe irrimediabilmente l'unitarietà del giudizio.

La pronuncia in commento ha ritenuto che in caso di rigetto della richiesta di patteggiamento formulata da un coimputato si è in presenza di una attività processuale mancante di qualsivoglia connotazione decisoria implicante una valutazione delibativa sulla fondatezza dell'accusa.

Al riguardo la Corte di cassazione ha in molteplici occasioni ritenuto infondate questioni di legittimità costituzionale sollevate in riferimento alla incompatibilità, invocando l'assenza di valutazioni sulla responsabilità nella decisione “fonte di pregiudizio” (Cass. pen., n. 2180/2022 ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 34 e 599-bis c.p.p., per violazione degli artt. 24,25 e 76 Cost., nella parte in cui non prevedono l'incompatibilità a partecipare al giudizio del collegio che abbia disatteso la richiesta di concordato sulla pena in appello, trattandosi di pronuncia incidentale adottata nella medesima fase processuale, non anticipatoria della decisione conclusiva e ragionevolmente affidata al medesimo giudice per esigenze di continuità e globalità; Cass. pen., n. 28276/2022 ha precisato che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, c.p.p. per contrasto con l'art. 111 Cost., nella parte in cui non prevede l'incompatibilità a comporre il tribunale per il riesame del giudice che, in un procedimento separato, abbia giudicato il coimputato di reato connesso, allorché la decisione assunta in tale procedimento non abbia comportato una valutazione di responsabilità relativa al fatto oggetto del giudizio cautelare, nei confronti del soggetto che di quest'ultimo sia parte; Cass. pen.,  n. 38358/2021, ad avviso della quale non versa in situazione di incompatibilità il giudice dell'udienza preliminare che, in funzione di giudice per le indagini preliminari, abbia autorizzato la riapertura delle indagini, non trattandosi di provvedimento che comporta un esame nel merito dell'imputazione, giacché, ai fini della sua emissione, non è necessaria l'emersione di nuove fonti di prova, essendo invece sufficiente l'esigenza di nuove investigazioni).

Peraltro, nel caso di concorso di persone nel reato alla comunanza della imputazione fa riscontro una pluralità di condotte distintamente ascrivibili a ciascuno dei concorrenti, tali da formare oggetto di autonome valutazioni.

In sostanza, l'oggetto della valutazione pregiudicante è dato non dal reato associativo, ma dalla condotta differenziata di ciascun imputato.

Sicché, ove la posizione del terzo non sia stata oggetto di valutazione, non sussiste l'incompatibilità.

Occorre, insomma, la concreta e non astratta o presunta implicazione del vaglio del soggetto terzo che non sia parte nel procedimento, affinché l'incompatibilità si configuri.

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