Contratti di prossimità: validità ed efficacia come riferimento di retribuzione adeguata secondo i canoni costituzionali di un salario minimo legale

19 Giugno 2024

I contratti collettivi di prossimità, regolati dalla legge n. 148/2011, di conversione del d.l. n. 138/2011, in presenza di determinati requisiti, acquistano efficacia erga omnes, anche in relazione ad eventuali pattuizioni retributive derogatorie del CCNL. L'individuazione della retribuzione proporzionata e sufficiente secondo il canone costituzionale resta comunque prerogativa della valutazione giudiziale che può condurre a disapplicare anche un contratto collettivo di prossimità valido ed efficace ai sensi di legge.

Massima

Il contratto collettivo di prossimità stipulato con associazioni sindacali carenti del requisito della rappresentatività è privo dei requisiti previsti dall'art. 8 d.l. n. 138/2011, conv., con modif., in l. n. 148/2011, non ha efficacia erga omnes e non può validamente derogare ai trattamenti retributivi previsti dal CCNL.

Il caso

Il contratto di prossimità in deroga retributiva rispetto al CCNL

Un lavoratore agiva per il pagamento di differenze retributive (connesse all'inquadramento e all'orario di lavoro) conseguenti ad una diffida accertativa notificata dall'ispettorato territoriale del lavoro. L'azienda datrice di lavoro applicava ai propri lavoratori il CCNL Commercio Confsal integrato da un accordo collettivo aziendale di prossimità siglato dalle stesse associazioni firmatarie del contratto nazionale. Tale contratto di prossimità prevedeva alcune deroghe ai trattamenti retributivi del CCNL nell'ambito della finalità espressa di “garantire una maggiore occupazione, una fase di avviamento aziendale più agevole e la qualità del Ccnl”.

La questione

Il contratto di prossimità come fonte di retribuzione adeguata

Si tratta di capire se il contratto collettivo aziendale di prossimità possa essere fonte o riferimento per l'individuazione della retribuzione adeguata e a quali condizioni.

La soluzione giuridica

I requisiti del contratto di prossimità ai fini della sua efficacia erga omnes con riferimento ai trattamenti retributivi

Il Tribunale ha confermato la legittimità della pretesa creditoria del lavoratore attraverso un duplice percorso argomentativo che muove dall'analisi della validità del contratto collettivo di prossimità e arriva all'identificazione del salario adeguato nel solco dell'orientamento interpretativo ribadito anche recentemente dalla giurisprudenza di legittimità.

Sotto il primo profilo, il Tribunale analizza il contratto collettivo di lavoro di prossimità oggetto della fattispecie trovandolo carente del requisito della rappresentatività delle organizzazioni sindacali firmatarie (peraltro le medesime del CCNL Commercio Confsal applicato dalla società). Per la propria valutazione il Giudice napoletano utilizza i criteri di misurazione indicati dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 3341/1998) e adottati dalla prassi amministrativa (Ministero del Lavoro, circ. 10310/2012) e cioè:

  • numero complessivo delle imprese associate;
  • numero complessivo dei lavoratori occupati;
  • diffusione territoriale (numero di sedi presenti sul territorio e ambiti settoriali);
  • numero di contratti collettivi nazionali stipulati e vigenti;
  • numero dei verbali di revisioni.

Premessa questa valutazione, il Tribunale ha confrontato la retribuzione applicata con quella prevista da un contratto collettivo c.d. “leader” (nello specifico il CCNL Gas Acqua identificato dall'Ispettorato) - escludendo le voci retributive legate all'autonomia contrattuale secondo il concetto di “retribuzione costituzionale” (come ad esempio i compensi aggiuntivi, gli scatti di anzianità e la quattordicesima mensilità, v. da ultimo Cass. del 20 gennaio 2021, n. 944) e dunque considerando solo la retribuzione base, la contingenza e la tredicesima mensilità (minimi) – rilevando che nella fattispecie emergevano “tra un CCNL e l'altro, valutati secondo parametri omogenei, scostamenti di retribuzione rilevanti, che risultano tali da poter superare la presunzione di corrispondenza degli importi previsti della contrattazione collettiva applicata al rapporto di lavoro al valore del lavoro nello specifico momento storico, così da consentire di applicare un diverso contratto, in quanto risulta in concreto leso il principio di proporzionalità alla quantità e qualità di lavoro espletata”.

Sotto tale ultimo profilo, nel richiamare l'art. 36 Cost., il Tribunale fa proprie le argomentazioni di Cass. 27711-3713/2023 - uno dei 6 interventi di consolidamento sul c.d. “salario minimo” della Suprema Corte di ottobre 2023 - precisando che “anche allorquando un livello salariale è concordato ed è sottoscritto dalle Associazioni datoriali e dalle Organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, non è detto che – per ciò solo – esso risponda ai canoni costituzionali di un salario giusto”.

Osservazioni

Il contratto di prossimità e la sua validità ed efficacia come fonte di retribuzione adeguata

I contratti di prossimità sono contratti collettivi di secondo livello regolati dalla l. n. 148/2011 che, in presenza di determinati requisiti, acquistano efficacia erga omnes, vincolando quindi anche i lavoratori e le associazioni sindacali che, in occasione della stipulazione degli accordi stessi, abbiano manifestato il proprio dissenso (sul tema si rimanda a Corte Costituzionale, sentenza n. 52 del 28 marzo 2023 e al commento di T. Zappia Contratto collettivo aziendale “ordinario” e “di prossimità”: la rappresentatività delle OO.SS. stipulanti è presupposto imprescindibile, in questa rivista).

In particolare, secondo quanto previsto dalla predetta norma (considerando l'interpretazione della Corte Costituzionale), perché acquisti efficacia generale, l'accordo in questione deve:

  • essere sottoscritto dalle associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda;
  • essere sottoscritto sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali;
  • nel perseguire un interesse collettivo dei lavoratori, risultare alternativamente finalizzato alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all'adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all'avvio di nuove attività;
  • avere ad oggetto la regolamentazione delle seguenti materie inerenti all'organizzazione del lavoro e della produzione: gli impianti audiovisivi e la introduzione di nuove tecnologie; le mansioni del lavoratore, la classificazione e l'inquadramento del personale; i contratti a termine, i contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, il regime della solidarietà negli appalti e i casi di ricorso alla somministrazione di lavoro; la disciplina dell'orario di lavoro e le modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro (art. 8, c. 2).

L'ambito di applicazione del contratto di prossimità risulta ampio e, considerata la tassatività dei temi e dei requisiti, il giudice di lavoro, ha ampia discrezionalità nella valutazione della sua conformità ai requisiti normativi. Così, in materia di istituti retributivi, il Tribunale di Firenze ha ritenuto non valido

il contratto di prossimità “nel quale non siano state specificamente indicate le ragioni di fatto che sorreggono la finalità derogatoria enunciata nell'accordo collettivo aziendale” (Trib. Firenze 4 giugno 2019, n. 528). Sul punto, anche il Ministero del Lavoro ha avuto occasione di precisare che un'indicazione generica o non rispondente all'effettiva realtà aziendale potrebbe compromettere la validità del contratto di prossimità (Ministero del lavoro Risposta a Interpello n. 30 del 2 dicembre 2014).

D'altro canto, anche recentemente, la Corte di Cassazione ha ritenuto valido il contratto di prossimità che prevedeva (al termine di un periodo di pace sociale negoziata col contratto medesimo) un indennizzo risarcitorio inferiore a quello previsto dall'art. 18 Stat. Lav. in caso di licenziamento illegittimo (Cass. 10213/2024) e già in precedenza sempre la Suprema Corte aveva considerato legittimo e valido l'accordo di prossimità che derogava alle previsioni del CCNL sull'indennità sostitutiva del preavviso in presenza di una comprovata situazione di crisi aziendale (Cass. 19660/2019).

Nel caso in esame il Tribunale di Napoli ha ritenuto che non sussistessero i requisiti previsti dalla legge – e in particolare il requisito della maggiore rappresentatività delle oo.ss. stipulanti - perché il contratto collettivo in esame fosse considerato quale contratto di prossimità e, conseguentemente che le sue previsioni sulla parte retributiva derogatorie rispetto al CCNL non potessero essere applicabili nei confronti di tutti i dipendenti della società (e al lavoratore richiedente).

La decisione in commento, inoltre, precisa che anche laddove l'accordo di prossimità fosse valido perché corrispondente ai requisiti normativi specificamente previsti dalla legge 148/2011, lo stesso non sarebbe comunque sfuggito a valutazione giudiziale di congruità quanto alla valutazione della retribuzione adeguata secondo il canone costituzionale (art. 36 Cost.), per cui il giudice del merito avrebbe comunque potuto disapplicarlo.

Tale ultimo passaggio si inserisce nel solco ben disegnato dalla Corte di Cassazione con le sei sentenze pubblicate nel mese di ottobre 2023 (Cass., 2 ottobre 2023, n. 27711 citata dal Tribunale di Napoli; Cass.,2 ottobre 2023, n. 27713; Cass., 2 ottobre 2023, n. 27769; Cass., 10 ottobre 2023, n. 28320; Cass., 10 ottobre 2023, n. 28321; Cass., 10 ottobre 2023, n. 28323). Con tale orientamento la Corte ha ribadito che la questione interpretativa circa l'individuazione della retribuzione proporzionata e sufficiente del lavoratore subordinato resta del giudice del merito e che quest'ultimo, nel verificare se la retribuzione riconosciuta in un caso concreto risponda ai criteri costituzionali di cui all'art. 36 Cost, può disapplicare il contratto collettivo (di qualsiasi livello) e può:

a) discostarsi dai parametri retributivi previsti dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria qualora non ritenuti congrui, anche se il rinvio a detta contrattazione collettiva sia contemplato in una legge [1];

b) servirsi a fini parametrici del trattamento retributivo stabilito in altri contratti collettivi di settori affini o per mansioni analoghe [2]; e

c) fare altresì riferimento, all'occorrenza, ad indicatori economici e statistici, anche secondo quanto suggerito dalla Direttiva UE 2022/2041 del 19 ottobre 2022[3].

In riferimento alla lett. a), la conclusione integrale sul punto di Cass., 2 ottobre 2023, n. 27711; Cass., 2 ottobre 2023, n. 27713; Cass., 2 ottobre 2023, n. 27769; Cass., 10 ottobre 2023,  n. 28320; Cass., 10 ottobre 2023, n. 28321; Cass., 10 ottobre 2023, n. 28323 è: “Nell'attuazione dell'art. 36 Cost., il giudice, in via preliminare, deve fare riferimento, quali parametri di commisurazione, alla retribuzione stabilita dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria, dalla quale può motivatamente discostarsi, anche ex officio, quando la stessa entri in contrasto con i criteri normativi di proporzionalità e sufficienza della retribuzione dettati dall'art. 36 Cost., anche se il rinvio alla contrattazione collettiva applicabile al caso concreto sia contemplato in una legge, di cui il giudice è tenuto a dare una interpretazione costituzionalmente orientata”.

In relazione alla lett. b), la conclusione integrale sul punto è: “Ai fini della determinazione del giusto salario minimo costituzionale il giudice può servirsi a fini parametrici del trattamento retributivo stabilito in altri contratti collettivi di settori affini o per mansioni analoghe”.

Da ultimo, riguardo alla lett. c), si veda Cass., 2 ottobre 2023, n. 27711; Cass., 2 ottobre 2023, n. 27713; Cass.,2 ottobre 2023, n. 27769; Cass., 10 ottobre 2023, n. 28320; Cass., 10 ottobre 2023 n. 28321; Cass., 10 ottobre 2023 n. 28323: “Nella opera di verifica della retribuzione minima adeguata ex art. 36 Cost., il giudice, nell'ambito dei propri poteri ex art. 2099 c.c., comma 2, può fare altresì riferimento, all'occorrenza, ad indicatori economici e statistici, anche secondo quanto suggerito dalla Direttiva UE 2022/2041 del 19 ottobre 2022”.

In definitiva, per quanto la produzione normativa e la contrattazione collettiva predispongano strumenti e modalità che consentano di definire i parametri della “giusta retribuzione”, l'ultima parola sul questo tema resta dei giudici in base alla loro valutazione discrezionale (cfr. in questa rivista il Focus di F. Pedroni: Salario minimo legale: la giusta retribuzione in rapporto a canoni costituzionali, obblighi di compliance e metriche di sostenibilità organizzativa e sociale).

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