Cessione di partecipazioni societarie in assenza di specifica garanzia contrattuale

Alessandra Leoni
28 Giugno 2024

La Cassazione torna sul tema della cessione di partecipazioni di società di capitali, in assenza di specifica garanzia contrattuale, dando conto degli orientamenti giurisprudenziali sul punto.

Massima

La cessione delle azioni di una società di capitali ha come oggetto immediato la partecipazione sociale e solo quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che tale partecipazione rappresenta. Pertanto, le carenze o i vizi relativi alle caratteristiche e al valore dei beni ricompresi nel patrimonio sociale e, di conseguenza, alla consistenza economica della partecipazione possono giustificare la sua risoluzione o la riduzione del prezzo pattuito solo se il cedente abbia fornito, a tale riguardo, specifiche garanzie contrattuali.

Il caso

Una società, acquirente del 100% delle quote sociali di una S.r.l. al fine di ottenere la proprietà di un terreno adibito a parcheggio pertinenziale di un hotel, ha agito nei confronti della cedente società immobiliare in liquidazione lamentando il difetto di qualità del terreno oggetto del patrimonio societario e chiedendo, in via principale, la riduzione del prezzo corrisposto per l'acquisto delle quote sociali e, in via subordinata, la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni e alla ripetizione dell'indebito.

In primo e in secondo grado di giudizio, le domande della società attrice sono state rigettate sul presupposto che condiviso che “oggetto immediato della vendita di azioni (e di quote) è la partecipazione sociale e si estende alla consistenza o al valore del patrimonio soltanto per effetto di specifiche pattuizioni, frutto di autonomia contrattuale”. Pertanto, essendo il contratto di cessione della partecipazione sprovvisto di specifiche clausole di garanzia, secondo i giudici di merito le domande dell'attrice sarebbero precluse poiché si fondano sulla qualità di un bene (il terreno) compreso nel patrimonio sociale che, come tale, non è oggetto immediato della vendita ma soltanto una sua componente autonoma.

Avverso la decisione della Corte d'Appello che ha confermato la decisione del Tribunale di primo grado, la società cessionaria ha adito la Suprema Corte, deducendo un unico motivo di ricorso relativo alla scorretta applicazione dell'art. 1497 c.c. e della disciplina della vendita di aliud pro alio al contratto di cessione di quote sociali in assenza di specifica garanzia. A tal proposito, la ricorrente osserva che i beni compresi nel patrimonio della società non possono essere considerati del tutto estranei all'oggetto del contratto di cessione di azioni o di quote di una società di capitali e ciò, non solo nell'ipotesi in cui le parti ne abbiano fatto specifico riferimento mediante la previsione di specifiche garanzie contrattuali, ma anche quando l'affidamento del cessionario circa la ricorrenza di tali requisiti debba ritenersi giustificato alla stregua del principio di buona fede.

La questione

Le ragioni della società ricorrente sono state disattese dalla Cassazione che, pur riconoscendo l'esistenza di un orientamento minoritario sul punto che valorizza il principio di buona fede, ha condiviso le conclusioni raggiunte dai giudici di merito.

La questione sottoposta al vaglio della Suprema Corte riguarda dunque il trasferimento di partecipazioni societarie e, in particolare, la possibilità di tutela del cessionario in ipotesi di difformità eventualmente riscontrate nella situazione patrimoniale della società successivamente alla conclusione ed esecuzione del contratto, in assenza di specifiche clausole negoziali a tutela dell'acquirente. In altre parole, ci si chiede se qualora non siano state predisposte specifiche clausole di garanzia da parte dei contraenti, il cessionario possa trovare soddisfazione attraverso i mezzi di tutela offerti dal diritto comune e, in particolare, come si vedrà, il riferimento corre alla possibilità di annullamento del contratto per errore ex art. 1427 c.c. e alla risoluzione per difetto di qualità ex art. 1497 c.c.

Le soluzioni giuridiche

Sul punto, è consolidata la convinzione della Corte di Cassazione, fatta propria anche dal provvedimento in commento, secondo cui la consistenza patrimoniale della società nell'ambito della cessione di quote o azioni di quest'ultima rileva soltanto in presenza di una specifica garanzia assunta dal cedente (cfr. Cass. 7183/2019; Cass. 16963/2014; Cass. n. 17948/2012; Cass. n. 16031/2007 e Cass. 26690/2006. Nella giurisprudenza di merito, tra le più recenti cfr. Trib. Milano 16 giugno 2023 e Trib. Firenze 13 febbraio 2023 in giurisprudenzadelleimprese.it).

Tale opinione tra origine dall'assunto per cui “la cessione delle azioni o delle quote di una società di capitali o di persone ha come oggetto "immediato" la partecipazione sociale e solo quale oggetto "mediato" la quota parte del patrimonio sociale che tale partecipazione rappresenta” (cfr., per tutte, Cass. 26690/2006). Oggetto “immediato” del contratto di cessione di partecipazioni sono gli obblighi e i diritti che la partecipazione sociale è idonea ad attribuire al titolare nella struttura della società (lo status di socio) e non anche la consistenza o il valore dei beni costituenti il patrimonio sociale. Ebbene, secondo la suddetta giurisprudenza maggioritaria, soltanto le qualità che attengo all'oggetto “immediato” del contratto di cessione di partecipazioni sono rilevanti ai fini dell'applicazione della disciplina codicistica di cui agli artt. 1427 e 1497 c.c.

Sul punto, la sentenza della Cassazione in esame precisa che la partecipazione sociale “non si limita ad attribuire al socio diritti patrimoniali parametrati al valore del patrimonio della società, ma […] attribuisce anche diritti amministrativi, che consentono al socio di partecipare alla vita della società, esercitando tutte le facoltà concesse dalla legge e dallo statuto rispetto alle quali l'aspettativa di redditività connessa all'esercizio dei diritti patrimoniali costituisce non più che un aspetto del complessivo status di socio”. Rilevato quindi che l'assetto patrimoniale del valore della partecipazione, in quanto corrispondente all'esercizio dei diritti patrimoniali spettanti al socio, è solo una parte dell'utilità che l'acquirente della partecipazione riceve per effetto del suo acquisto, continua la Suprema Corte, non può dirsi sussistente “un interesse ad attribuire sempre e comunque rilevanza all'effettivo valore dei beni che costituiscono il patrimonio della società, in dipendenza di vizi che ne diminuiscano il valore”, con conseguente inammissibilità delle azioni contrattuali a difesa dell'effettivo valore del “bene mediato”, in assenza di specifiche garanzie.

Sulla base di tali presupposti, è stato escluso l'annullamento del contratto di cessione di partecipazioni per vizi del consenso, non ravvisando nell'errore sulla consistenza economica della partecipazione un errore essenziale rilevante ex art. 1429 c.c. (Cass. n. 7183/2019, Cass. 16031/2007 e Cass. 26690/2006)

In tal senso, con specifico riferimento alla cessione di azioni, la Cassazione ricorda invero che devono ritenersi determinanti del consenso dei contraenti soltanto le qualità che attengono alla funzione tipica delle azioni, e cioè all'insieme delle facoltà e dei diritti che esse conferiscono al loro titolare, senza alcun riguardo al valore di mercato di esse (cfr. Cass. 16031/2007); un eventuale errore relativo al valore della partecipazione non è altro che un errore di valutazione dell'acquirente attinente alla sfera motivazionale delle parti (cfr. Cass. 26690/2006) e ciò anche quando il bilancio della società pubblicato prima della cessione sia falso e nasconda una fattispecie ex art. 2446 cod. civ. (Cass. n. 7183/2019).

Per le medesime ragioni – non essendo la consistenza economica della partecipazione oggetto immediato del contratto – è stata esclusa anche la possibilità di risoluzione del contratto per difetto di qualità essenziali ex art. 1497 c.c., (cfr., per tutte, Cass. 16031/2007). Tale conclusione, peraltro, è stata condivisa dalla giurisprudenza di legittimità anche in relazione a una differente questione giuridica attinente a contratti di cessione di azioni contenenti garanzie contrattuali per le sopravvenienze passive della società; a tali fattispecie la Suprema Corte non ha ritenuto applicabile la disciplina codicistica in quanto le prestazioni accessorie contenute nel contratto volte a garantire l'esito economico dell'operazione “hanno un oggetto diverso da quello previsto dagli artt. 1490 e 1497 cod. civ.” (cfr. Cass. n. 16963/2014; conforme cfr. Cass. 7183/2019. Nella giurisprudenza di merito, cfr. Trib. Firenze 13 febbraio 2023, cit.).

Fermo quanto sopra, si precisa che non potrebbe essere negata una tutela nel caso di dolo di un contraente che rende annullabile il contratto (cfr., per tutte, Cass. 26690/2006). Al riguardo, la giurisprudenza non manca di precisare, in senso rigoroso, che si potrà ottenere l'annullamento del contratto di cessione di partecipazioni soltanto “quando il mendacio o le omissioni sulla situazione patrimoniale della società siano accompagnate da malizie ed astuzie volte a realizzare l'inganno e idonee, in concreto, a sorprendere una persona di normale diligenza(cfr. Cass. n. 7183/2019 e Cass. n. 16031/2007).

Osservazioni

Quello di cui si è sinteticamente appena dato conto è l'indirizzo dominante in giurisprudenza, tuttavia, come ricordato dalla pronuncia in commento, esiste un diverso e minoritario orientamento fondato sul convincimento che le azioni (e le quote) delle società di capitali sono beni di "secondo grado", non distinti e separati dai beni compresi nel patrimonio sociale, con la conseguenza che questi ultimi “non possono essere considerati del tutto estranei all'oggetto del contratto di cessione delle azioni o delle quote di una società di capitali” (cfr. Cass, 22790/2019 e Cass. 1818/2004). Facendo propria tale visione dell'oggetto del contratto di cessione di partecipazioni, la possibilità di esercitare le azioni esperibili a tutela dell'effettivo valore della stessa partecipazione discenderebbe da un'applicazione del generale canone della buona fede a tutela dell'affidamento del cessionario.

Pertanto, limitatamente ai casi in cui la differenza tra l'effettiva consistenza quantitativa del patrimonio sociale rispetto a quella indicata nel contratto incida sulla solidità economica e sulla produttività della società e quindi sul valore della partecipazione (cfr. Cass. 5053/2024 in esame), sarebbe ammissibile la risoluzione del contratto ex art. 1497 c.c. per mancanza delle qualità essenziali. Sempre secondo tale indirizzo giurisprudenziale, nelle ipotesi più gravi in cui i beni siano assolutamente privi della capacità funzionale a soddisfare i bisogni dell'acquirente, e quindi radicalmente diversi da quelli pattuiti (integrando la cc.dd. fattispecie dell'aliud pro alio), troverebbero applicazione le regole generali in materia di adempimento del contratto e sarebbe quindi consentito esperire un'ordinaria azione di risoluzioneex art. 1453 c.c.

In generale, tale indirizzo, soprattutto in relazione alla risoluzione per aliud pro alio, pur quando astrattamente ammesso dalla giurisprudenza, fatica a essere riconosciuto nelle fattispecie concrete (cfr. per esempio Cass. n. 3370/2004). Nel provvedimento in commento, esso non trova seguito in quanto ne viene esclusa l'applicabilità potenziale per assenza di specifiche deduzioni della ricorrente sul punto.

Conclusioni

Da ultimo, fermo l'orientamento dominante sopra ricordato, si segnala ad ogni modo un'apertura della Suprema Corte alla tutela del cessionario tramite il riconoscimento dell'ammissibilità di garanzie implicite. In questo senso, invero, si veda per esempio la citata pronuncia n. 26690/2006 della Cassazione che, pur sostenendo la necessità nel contratto di compravendita di partecipazioni di specifiche garanzie contrattuali per far valere eventuali vizi relativi alla consistenza del patrimonio sociale, ritiene sufficiente che “il rilascio della garanzia si evinca inequivocamente dal contratto”.

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