Le verifiche preliminari nel prisma della decisione della Corte costituzionale

21 Giugno 2024

Con la sentenza n. 96 del 3 giugno 2024 la Corte Costituzionale si è espressa sul nuovo art. 171-bis c.p.c. ammettendo un'interpretazione adeguatrice della norma in esame che sia rispettosa del principio del giusto processo e che sia idonea a garantire il pieno rispetto del diritto di difesa e del contraddittorio. Sennonché, il pur condivisibile intervento interpretativo effettuato dalla Consulta incide non poco sull'impianto legislativo per come costruito dalla recente riforma, determinando il sorgere di nuove questioni di non agile di risoluzione.

Le verifiche preliminari di cui all'art. 171-bis c.p.c. e la recente decisione della Corte costituzionale 

Lo scorso 3 giugno la Corte costituzionale, con la sentenza n. 96, è intervenuta sulla questione di legittimità dell'art. 171-bis c.p.c. (relativo alle c.d. verifiche preliminari ad opera del giudice nella fase introduttiva del nuovo processo civile di cognizione) sollevata dal Tribunale di Verona con l'ordinanza 23 settembre 2023, n. 150 (in Judicium.it, con nota di Simoncini) pronunciando sentenza interpretativa di rigetto.

La Consulta, in sintesi, esclusa sia la violazione della legge di delega sia la sussistenza di una ingiustificata disciplina differenziata (art. 3 Cost.) tra le questioni che il giudice può decidere già con il decreto di fissazione dell'udienza e quelle che il giudice segnala alle parti affinché vengano trattate nelle memorie ex art. 171-ter c.p.c., ha altresì ritenuto non sussistente la lesione dell'art. 24 Cost. a condizione che si dia un'interpretazione adeguatrice dell'art. 171-bis c.p.c. alla luce del principio del contraddittorio che caratterizza in via immanente il processo civile, costituendone «primaria e fondamentale garanzia del giusto processo».

Giacché il contraddittorio riguarda non solo le parti, ma anche «la partecipazione attiva del giudice», la Corte ha affermato che in tanto la disposizione contenuta nell'art. 171-bis c.p.c. può ritenersi conforme a tale fondamentale principio se ed in quanto il magistrato, una volta effettuate le verifiche preliminari, fissi un'udienza ad hoc per permettere alle parti di confrontarsi sulle eventuali questioni emerse all'esito di tali verifiche. Tale potere, invero, gli è riconosciuto dal legislatore, il quale all'art. 175 c.p.c. gli affida il potere di direzione del procedimento, così permettendogli, nel caso in cui ritenga sussistente una questione pregiudiziale o preliminare, di poter fissare un'udienza apposita, anche nelle forme più agili di cui all'art. 127 c.p.c., onde poterne discutere con i legali delle parti in contraddittorio. 

La Consulta, inoltre, ha precisato che laddove il giudice scelga di ordinare le «provvidenze sananti» solo sulla base di un confronto solitario con il fascicolo della fase introduttiva e, dunque, tramite decreto, è in facoltà della parte che intenda opporsi a tale scelta chiedere la fissazione di un'udienza per discuterne in contraddittorio, prima di quella di comparizione e trattazione della causa.

In ogni caso, l'adozione del decreto di cui all'art. 171-bis c.p.c. “in solitaria” potrà essere oggetto di discussione all'udienza di trattazione alla presenza delle parti, in modo che all'esito della stessa, il giudice possa, una volta ascoltate le ragioni delle parti, confermare, modificare o revocare il provvedimento reso in precedenza.

La Corte, inoltre, ha preso anche in considerazione l'eventualità che il giudice provveda autonomamente con decreto nonostante una delle parti abbia chiesto la fissazione di una udienza ad hoc per discutere di una delle questioni decise dal giudice con il decreto di cui all'art. 171-bis c.p.c.

In tal caso, osserva il giudice delle leggi che l'eventuale mancata esecuzione dell'ordine contenuto nel decreto non comporta alcuna conseguenza processuale pregiudizievole per la parte “disobbediente”, qualora il giudice confermi la decisione già presa con il decreto anche nella successiva udienza di trattazione, in quanto la «conferma comporta soltanto che la parte è onerata ad adempiere, nel termine perentorio indicato dal giudice alla stessa udienza ex art. 183 c.p.c., a detto ordine giudiziale, incorrendo solo allora, in difetto, nelle ordinarie “sanzioni” processuali per la propria inattività».

La Corte è consapevole che in questo caso si ha un allungamento dei tempi del processo, ma «l'esigenza della rapidità del processo insita nel canone della sua «ragionevole durata» non può pregiudicare la completezza del sistema delle garanzie della difesa e comprimere oltre misura il «contraddittorio tra le parti» (art. 111, comma 2, Cost.). Osserva infatti che un processo non «”giusto”, perché carente sotto il profilo delle garanzie, non è conforme al modello costituzionale, quale che sia la sua durata».

I nuovi problemi che l'art. 171-bis c.p.c. determina a seguito dell'interpretazione "correttiva" della Consulta

Da quanto appena riportato, è evidente che la Corte costituzionale ha propugnato un'interpretazione flessibile della disposizione introdotta dalla riforma Cartabia, avallando le prassi "creative" dei tribunali della penisola (si v. ex ceteris Trib. Bologna, sez. II, 28 dicembre 2023, n. 2865, in questa Rivista).

In attesa del correttivo, il quale dovrebbe recepire la decisione della Consulta modificando il dettato dell'art. 171-bis c.p.c., siano consentite alcune riflessioni.

La decisione appena riportata si lascia apprezzare in quanto, come è stato autorevolmente notato, è di palmare evidenza che «il confronto solitario col fascicolo non aiuta, nemmeno se si crede all'ausilio degli addetti all'ufficio del processo» (Pagni, Tra oralità e scrittura: il rischio delle decisioni a sorpresa, in corso di pubblicazione sulla Rivista trimestrale di diritto e procedura civile). La soluzione offerta dalla Corte costituzionale permette invece di evitare che il contraddittorio possa essere compresso, consentendo al giudice di istruire la causa alla luce dei rilievi delle parti e dei loro legali, così sventando il rischio che il giudice ponga in essere provvedimenti sbagliati e superflui tali da costringerlo a ritornare sui propri passi.

Quanto appena affermato vale non solo con riguardo all'ipotesi in cui il giudice abbia rilevato la sussistenza di una questione pregiudiziale o preliminare impediente, ma anche con riguardo alle mere verifiche preliminari. Molte delle c.d. provvidenze sananti, infatti, dipendono da apprezzamenti puntuali sulle domande delle parti e sul thema decidendum: si pensi all'integrazione del contraddittorio nei confronti di un litisconsorte pretermesso o alla chiamata in causa di un terzo o, più in generale, alla verifica dei vizi attinenti alla domanda o alla sua notificazione, che di norma esigono i chiarimenti dei difensori. 

Sennonché, l'intervento interpretativo effettuato dalla Consulta incide non poco sull'impianto legislativo per come costruito dalla recente riforma, determinando il sorgere di nuove questioni: un primo problema si pone laddove il giudice, allo scopo di permettere l'instaurazione del contraddittorio sulle questioni preliminari, fissi l'udienza in via anticipata. In questo caso, vi è da chiedersi quale termine abbia il giudice per decidere la questione ed inoltre da che momento decorrano i termini per il deposito ad opera delle parti delle memorie ex art. 171-ter c.p.c.

Il caso in cui il giudice si pronunci sulle c.d. verifiche preliminari senza il previo contradditorio con le parti 

Dunque, nuovi dubbi si aggiungono ai precedenti (con il rischio del sorgere di ulteriore contenzioso di natura meramente processuale).

In attesa dell'intervento correttivo (in grado – si spera – di risolvere i problemi appena accennati), vi è altresì da chiedersi cosa accada nella deprecabile eventualità che il giudice non tenga conto della possibilità di avvalersi del potere, a lui riconosciuto, di fissare un'udienza “intermedia”, utile per la discussione in contraddittorio con le parti delle questioni rilevate dal giudice in sede di verifiche preliminari.

Si pensi all'eventualità, verificatasi frequentemente nella pratica, in cui, proposta un'opposizione a decreto ingiuntivo, il convenuto opposto chieda che venga accertata l'improcedibilità dell'azione ed in subordine, per il caso di rigetto dell'eccezione, formuli istanza di concessione della provvisoria esecuzione. È chiaro che la fissazione di una udienza anticipata rispetto a quella individuata ai sensi dell'art. 183 c.p.c. permetterebbe al giudice di provocare il contraddittorio sulle eccezioni sollevate dalle parti e su quelle da lui individuate in via ufficiosa (si pensi tra tutte a quella relativa alla verifica circa il mancato esperimento del tentativo di mediazione obbligatoria).

Quid iuris qualora non solo il giudice ometta di prevedere la fissazione di una udienza apposita, ma nemmeno lasci alle parti la possibilità di interloquire sul punto nel corso della successiva udienza di trattazione e proceda spedito verso la decisione della causa, senza dunque adottare nel corso del giudizio un ulteriore provvedimento di conferma, modifica o revoca della decisione assunta con il decreto ex art. 171-bis c.p.c.?

Qui si crede che la patente violazione del principio del contraddittorio debba indurre a configurare un evidente vizio nella decisione emessa dal giudice all'esito del processo.

A tal fine, possono invocarsi non solo e non tanto l'art. 101, comma 2, c.p.c., quanto e soprattutto l'art. 111 Cost. che al suo secondo comma recepisce e ribadisce con forza la necessità che il processo civile debba essere caratterizzato dal rispetto costante del principio del contraddittorio. Molto si è discusso sulla valenza di tale principio e sulla sua portata all'interno del processo. Non è certamente questa la sede per approfondire un tema così delicato e complesso; basti qui osservare come la consacrazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa in virtù degli artt. 24 e 111 Cost. impongono che queste garanzie vengano rispettate non solo dalle parti, tramite l'attribuzione ad esse della possibilità di partecipare al procedimento di formazione dell'atto giurisdizionale su un di un piano di parità, ma anche e soprattutto dal giudice, giacché il principio in esame persegue l'interesse pubblico all'accertamento della verità e alla realizzazione della giustizia (Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2014, 193).

Tali riflessioni trovano peraltro conferma nella generalizzazione del principio del contraddittorio operata dal legislatore del 2009. Con l'introduzione di un ulteriore comma nell'art. 101 c.p.c., infatti, si afferma un principio di carattere generale e inderogabile, stante la copertura costituzionale della norma, secondo il quale ogniqualvolta il giudice intenda porre a fondamento della propria decisione una questione rilevata d'ufficio deve prima stimolare il contraddittorio delle parti sulla questione stessa.

La violazione di siffatta regola, dunque, non può che essere causa di nullità rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio capace, pertanto, di determinare in via derivata l'invalidità degli atti successivi e dipendenti e per tale via della sentenza conclusiva del giudizio.

Tale principio è di recente stato fatto proprio anche dalla Cassazione che, con la recente decisione resa a Sezione unite il 25 novembre 2021, n. 36596, ha, con riguardo all'ipotesi in cui il giudice decida la controversia senza attendere la scadenza dei termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, testualmente affermato la nullità ex se della sentenza «per impedimento frapposto alla possibilità dei difensori delle parti di svolgere con completezza il diritto di difesa, in quanto la violazione del principio del contraddittorio, al quale il diritto di difesa si associa, non è riferibile solo all'atto introduttivo del giudizio, ma implica che il contraddittorio e la difesa si realizzano in piena effettività durante tutto lo svolgimento del processo».

Ora chi scrive non ignora che il legislatore della recente riforma è intervenuto anche sul secondo comma dell'art. 101 c.p.c., stabilendo che «Il giudice assicura il rispetto del contraddittorio e, quando accerta che dalla sua violazione è derivata una lesione del diritto di difesa, adotta i provvedimenti opportuni».

Sulla scia di autorevole dottrina, sembra tuttavia a chi scrive che il nuovo inciso dell'art. 101 c.p.c. non possa «essere utilizzato al fine di legittimare le violazioni del principio del contraddittorio che il giudice ritenga, con giudizio prognostico, non lesive del diritto di difesa; e ciò in quanto il rispetto del contraddittorio è il modo con il quale si garantisce l'inviolabile diritto di difesa delle parti nel processo» (Ruffini, Diritto processuale civile, 2023, 37; analogamente, Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, II, 2023, 229; Mandrioli-Carratta, Corso di diritto processuale civile, I, Torino 2023, 66).

Insomma, se non par dubbio che la norma affida al giudice il ruolo di garante del contraddittorio nel procedere, del pari appare incontestabile che laddove questi ometta di esercitare tale fondamentale compito si verifichi una inaccettabile lesione del diritto di difesa tale da determinare un vizio insanabile destinato a ripercuotersi su tutti gli atti successivi e dipendenti e, pertanto, anche sulla sentenza, con la conseguente possibilità per la parte di far valere siffatto vizio mediante i mezzi di impugnazione, in quanto imprescindibile tutela del principio costituzionale del contraddittorio. Tale infatti è l'unica interpretazione possibile anche alla luce della recentissima decisione del giudice delle leggi appena citata.

Ad avviso di chi scrive deve pertanto ammettersi la possibilità per le parti di esperire i normali mezzi di impugnazione avverso la sentenza affetta da siffatta nullità; del pari, qualora il provvedimento conclusivo sia rappresentato da un titolo esecutivo diverso dalla sentenza, sarà in facoltà delle parti che abbiano interesse a far valere siffatto vizio avvalersi degli altri strumenti impugnatori in senso lato, quale ad esempio le opposizioni esecutive esperibili all'interno dell'ambiente esecutivo.

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