Al credito da recesso non si applica la postergazione ex art. 2467

21 Giugno 2024

La Corte di cassazione accoglie il ricorso di un ex socio di una s.r.l. fallita, affermando che la regola della postergazione ex art. 2467 c.c. non è applicabile al credito derivante dalla liquidazione della quota per recesso del socio.

Massima

L'art. 2467 c.c. in tema di postergazione del rimborso del finanziamento soci non è applicabile in via analogica al credito relativo alla restituzione della quota di partecipazione a seguito di recesso da una società a responsabilità limitata.

Il caso

Un ex socio di una s.r.l. poi dichiarata fallita avanti al tribunale di Milano presentava domanda d'ammissione al passivo.

Duplice l'oggetto dell'insinuazione: da un lato, un credito sorto dal recesso esercitato sette anni prima del fallimento, dall'altro, un credito relativo alla richiesta di restituzione di precedente finanziamento soci.

Prima dell'apertura del concorso, il ricorrente aveva promosso giudizio arbitrale avanti al tribunale di Milano: il lodo aveva riconosciuto la legittimità sia del recesso dalla società, sia del rimborso del finanziamento soci.

La società impugnava il lodo arbitrale avanti alla corte d'appello di Milano: il giudizio veniva sospeso a seguito di una sollevata questione di legittimità costituzionale, in via incidentale.

Nelle more, interveniva, prima, lo scioglimento della società, poi, il fallimento della stessa avanti al tribunale di Milano.

In sede di formazione del passivo, il giudice delegato ammetteva il credito dell'ex socio per entrambi i titoli (valore di liquidazione della quota, restituzione del finanziamento soci), in chirografo, con collocazione postergata rispetto agli altri creditori concorrenti.

L'ex socio proponeva opposizione.

Il tribunale, in parziale accoglimento della domanda, riformava il decreto del GD nella sola parte in cui aveva ritenuto postergato il credito relativo al rimborso del finanziamento soci.

Ciò perché il precedente lodo aveva considerato esigibile tale credito, non avendo la società fornito la prova circa la sussistenza dei presupposti per la sua postergazione.

Il tribunale confermava invece la decisione del GD in ordine alla natura postergata del credito derivante dal recesso dalla società, rilevando come, su tale circostanza, il lodo non contenesse alcuna espressa statuizione.

Il giudice milanese ha ritenuto applicabile al credito da liquidazione della quota l'art. 2467 c.c. in tema di postergazione del finanziamento soci, con la seguente precisazione: intervenuta la crisi d'impresa, il capitale può essere rimborsato agli aventi diritto solo dopo il ritorno in bonis della società fallita, dunque a seguito del soddisfacimento integrale dei creditori concorsuali.

L'ex socio proponeva ricorso per cassazione, rilevando, da un lato, come la società, al momento del recesso, non fosse insolvente siccome ancora meritevole di credito bancario, dall'altro, come non fosse applicabile al credito da liquidazione l'art. 2467 c.c., esso presupponendo la permanenza del vincolo sociale in capo a chi richieda la restituzione del finanziamento.

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, ritenendo che ove il socio eserciti il recesso, egli – da tale momento – diviene “terzo” rispetto alla società, acquisendo, così, un diritto di credito equiparabile, sotto ogni profilo (fra cui il requisito d'esigibilità), a quello di qualsiasi altro creditore.

L'art. 2467 c.c. non è applicabile al credito derivante dalla liquidazione della quota: la postergazione di cui alla predetta norma presuppone, infatti, la permanenza in capo a chi richieda la restituzione del finanziamento dello status di socio, vincolo che invece viene meno ove sia esercitato il recesso dalla società.

Le questioni giuridiche

I giudici di merito, in entrambi i gradi dell'opposizione a stato passivo, avevano considerato postergato il credito nascente dal recesso dalla s.r.l. sul presupposto che la correlata quota di patrimonio – al pari dell'intero capitale sociale – rappresenti una garanzia a favore di tutti i creditori. 

Il credito conseguente alla liquidazione della quota avrebbe la stessa funzione di ogni altro credito del socio di natura restitutoria, determinandosi, così, una sorta di “segregazione” del patrimonio d'impresa rispetto alle ragioni di ogni terzo creditore.

La Corte di cassazione, nel censurare la ricostruzione operata dal foro meneghino, ha preliminarmente ricordato come l'art. 2467 comma 1, c.c., nel disporre la postergazione del credito, si riferisca al solo finanziamento soci.

Il vincolo di postergazione, inoltre, opera durante tutta la vita del rapporto societario, non solo a partire dal momento nel quale si apra un concorso formale con gli altri creditori.

L'art. 2467 comma 2, c.c. fissa una condizione d'inesigibilità del credito, individuandolo nella situazione di squilibrio patrimoniale-finanziario in base alla quale sarebbe necessario (non un finanziamento soci, bensì) un apporto a titolo di capitale.

La società deve quindi rifiutare la restituzione del finanziamento non solo quando il disequilibrio aziendale si verifichi al momento dell'erogazione del “finanziamento”, ma anche quando tale situazione sussista al momento della richiesta di restituzione. 

Così, ove il socio introduca un'azione ai fini della restituzione “coattiva” del finanziamento, il giudice è tenuto a verificare se la situazione di crisi ex art. 2467 comma 2, c.c. sussista, oltreché al momento della concessione del “finanziamento”, anche al momento dell'introduzione del procedimento.

L'eccessivo squilibrio rappresenta dunque un fatto impeditivo del diritto al rimborso, rilevabile, dal giudice del merito, anche d'ufficio, quale eccezione in senso lato, sempreché la situazione di crisi risulti dai documenti prodotti (Cass. civ., sez. I, 15 maggio 2019, n. 12994).

Sul versante del credito nascente dall'esercizio del recesso, la Cassazione ricorda come lo stesso rappresenti un atto unilaterale recettizio: la liquidazione della quota di partecipazione al capitale è dunque un mero effetto legato all'esercizio del recesso, stabilito dalla legge. 

Una volta che il socio comunichi alla società l'intendimento di recedere, egli viene a perdere, da tale momento, lo “status socii”; il credito derivante dalla liquidazione della quota è dunque, sin dall'origine, un credito liquido ed esigibile (Cass. civ., sez I, 19 marzo 2004, n. 5548).

Divenendo – il recedente –, ab origine, un soggetto terzo rispetto alla società, così come ogni altro creditore aziendale, non si rende applicabile al credito relativo alla conseguente liquidazione della quota la norma prevista dall'art. 2467 c.c.

La stessa, infatti, nel fissare la postergazione del credito relativo al rimborso del finanziamento soci, presuppone, in capo al richiedente, la permanenza del vincolo societario.

Secondo la Cassazione non v'è dunque alcuna colleganza “ontologica”, né funzionale fra il credito derivante dal recesso ed il credito relativo al finanziamento soci, presupponendo, l'uno, l'assenza dello status di socio, l'altro, la sussistenza di tale requisito.

Osservazioni ed approfondimenti

Il diritto al recesso, in ambito di società a responsabilità limitata, è regolato dall'art. 2473 c.c..

In primo luogo, è l'atto costitutivo a determinare quando i soci possano recedere dalla società, fissandone le relative modalità; in ogni caso, il diritto di recere spetta ai soci che non abbiano condiviso le scelte relative ad una serie di decisioni assunte dalla compagine sociale (cambiamento oggetto sociale e/o tipo di società, fusione/scissione, revoca liquidazione, trasferimento sede all'estero, eliminazione cause statutarie di recesso, modificazione oggetto sociale e/o diritti dei soci).

Il terzo comma del citato art. 2473 c.c. dispone che i soci recedenti hanno diritto di ottenere il rimborso della propria quota di partecipazione, in proporzione al patrimonio sociale, fissandone i relativi criteri di determinazione.

Il rimborso dev'essere eseguito nei centottanta giorni dalla comunicazione di recesso; lo stesso può avvenire tramite acquisto della quota del recedente da parte degli altri soci, in proporzione fra loro, ovvero (anche) da parte di un soggetto terzo dagli stessi individuato.

Ove ciò non avvenga, sono utilizzate ai fini del rimborso le riserve disponibili aziendali ovvero, qualora le stesse non siano esistenti e/o sufficienti, il capitale sociale.

Qualora in base alle consistenze del capitale sociale non sia possibile il rimborso, la società è posta in liquidazione, ciò che renderebbe giuridicamente inefficace il recesso del socio, ex art. 2473 commi 4-5, c.c.

Dal quadro sopra delineato, si rileva come la società, in ultima istanza, sia tenuta a rimborsare al socio recedente la quota di partecipazione al capitale sociale solo qualora le consistenze del patrimonio d'impresa lo consentano.

In altre parole, occorre – ai fini del buon esito del recesso (id est, nella prospettiva del recedente: regolare incasso della quota di partecipazione) – che la società si trovi in una situazione di equilibrio patrimoniale-finanziario.

Ove, infatti, le consistenze delle riserve patrimoniali non permettessero il rimborso della quota di partecipazione a favore del recedente, la società si troverebbe in un'evidente, conclamata situazione di crisi aziendale.

Vi sarebbe dunque, in capo alla società, l'impossibilità – tanto giuridica, quanto materiale – di soddisfare il credito del recedente, con correlato tassativo divieto, in capo all'organo d'amministrazione, di eseguire il relativo pagamento a proprio favore.

Se è vero, dunque, che venendo meno lo status di socio il diritto al rimborso è astrattamente, sin da subito, esigibile (con inapplicabilità dell'art. 2467 c.c.), è pur vero che tale esigibilità è subordinata al fatto che la società possa far fronte al pagamento in oggetto senza violare il precetto di conservazione del patrimonio nell'interesse di tutti i creditori.

Ne consegue – per concludere – che se al momento del recesso la società si trova in una situazione di equilibrio patrimoniale-finanziario, la stessa può (recte, deve) rimborsare al recedente la propria quota di partecipazione secondo i termini stabiliti dall'art. 2473 c.c.

Qualora, diversamente, al momento del recesso la società si trovasse in una situazione di crisi – chiaramente sussistente laddove il patrimonio d'impresa non consenta il rimborso –, l'organo di amministrazione non solo dovrebbe astenersi dall'eseguirlo (dunque con una postergazione de facto del diritto del recedente), ma dovrebbe - senz'ulteriori ritardi - far ricorso ad uno degli strumenti di legge finalizzati alla regolazione dell'esistente crisi d'impresa.

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