La riforma Cartabia ha davvero rafforzato la tutela del contraddittorio?
26 Giugno 2024
Inquadramento Il principio del contraddittorio di cui all'art. 101 c.p.c. rappresenta uno dei cardini dell'ordinamento processuale e si correla, sul piano costituzionale, sia con la regola dell'uguaglianza ex art. 3 Cost., sia con il diritto di difesa ex art. 24, comma 2, Cost., che involge gli aspetti tecnici della difesa e garantisce a ciascuno dei destinatari del provvedimento del giudice di poter influire sul contenuto del medesimo, così realizzando il “giusto processo regolato dalla legge”, in consonanza con il comma 2 dell'art. 111 Cost., secondo cui “ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti”. Il principio in esame ha carattere inderogabile, perché attiene all'ordine pubblico (Cass. civ., 29 maggio 1997, n. 8177), e non investe solo l'atto introduttivo del giudizio, dovendo realizzarsi nella sua piena effettività durante tutto lo svolgimento del processo (ex multis, Cass. civ., sez. un., 25 novembre 2021, n. 36596). Le questioni concernenti la regolare costituzione del rapporto processuale hanno carattere pregiudiziale rispetto ad ogni altra questione di rito o di merito, sicchè, quando si accerti il difetto di costituzione di un valido rapporto processuale, al giudice è precluso l'esame delle altre questioni, senza distinzione tra quelle attinenti al rito adottato e quelle relative al merito (Cass. civ., 5 luglio 1984, n. 3921). La nullità conseguente alla violazione del principio del contraddittorio, inoltre, è rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio (Cass. civ., 21 maggio 1998, n. 5067), salve le preclusioni derivanti dal giudicato, esplicito o implicito, formatosi sulla questione (Cass. civ., 2 aprile 1996, n. 3061). La riforma Cartabia Il d.lgs. n. 149/2022 ha riformulato il comma 2 dell'art. 101 c.p.c., inserendovi una disposizione che prevede che “il giudice assicura il rispetto del contraddittorio e, quando accerta che dalla sua violazione è derivata una lesione del diritto di difesa, adotta i provvedimenti opportuni”. Apparentemente potrebbe sembrare una disposizione pleonastica, non dubitandosi, anche nell'ambito del precedente ordinamento processuale, che il giudice avesse l'obbligo di assicurare il rispetto del contraddittorio e di adottare i provvedimenti necessari laddove riscontrasse la violazione dello stesso, ad es. disponendo la rinnovazione della notifica nei confronti della parte non citata correttamente (Cass., 14 maggio 2005, n. 10130, secondo cui il giudice è titolare del potere-dovere di controllare d'ufficio il rispetto del principio del contraddittorio, con l'evocazione in causa di tutti i destinatari della domanda come formulata dalla parte attrice). In realtà, come si legge nella Relazione Illustrativa al predetto d.lgs., l'introduzione di tale precetto generale si è resa necessaria per rafforzare le garanzie processuali delle parti nel nuovo “modulo” del rito ordinario, caratterizzato dalla trattazione scritta anticipata rispetto alla prima udienza di comparizione delle parti davanti al giudice ex artt. 171-bis e 171-ter c.p.c., nonché, laddove occorra ripristinare “la parità delle armi”, nel nuovo rito semplificato di cognizione ex artt. 281decies e ss. c.p.c. Evidentemente il legislatore della riforma Cartabia, consapevole che i nuovi schemi processuali appena introdotti avrebbero potuto generare problematiche applicative ed interpretative foriere di prassi non uniformi nei vari uffici giudiziari, potenzialmente pregiudizievoli del diritto delle parti al contraddittorio, ha voluto richiamare il dovere del giudice di intervenire, in qualunque fase processuale, per rimediare alla lesione del contraddittorio ed adottare, nel singolo caso concreto, i provvedimenti a tal fine opportuni (non è questa la sede per soffermarsi sulle numerose criticità poste dalla recente riforma). La nuova disposizione costituisce, in sostanza, una “clausola di salvezza” dell'ordinamento processuale, applicabile in tutti i procedimenti giudiziali (anche in quelli di volontaria giurisdizione, qualora sia identificabile un controinteressato: Cass., 20 agosto 2002, n. 12286), che – conformemente al criterio della legge delega n. 206/2021 che prescriveva “il rispetto della garanzia del contraddittorio” (art. 1, comma 1) – estende la portata applicativa della tutela del contraddittorio ad ogni fase processuale, andando quindi ben oltre la previsione del co. 1 del medesimo art. 101 c.p.c., che sembra riferirsi alla sola fase iniziale di instaurazione della lite (“il giudice, salvo che la legge disponga altrimenti, non può statuire sopra alcuna domanda, se la parte contro la quale è proposta non è stata regolarmente citata e non è comparsa”). Lo scopo della norma de qua dovrebbe, dunque, essere quello di “rafforzare” la posizione processuale delle parti, andando a completare il disposto dell'art. 101 c.p.c., ora rivolto a garantire il contraddittorio in tutte le sue possibili manifestazioni, ovvero al momento della sua instaurazione (co. 1), nel corso del procedimento (prima parte del co. 2), nonchè nei casi in cui il giudice ritenga di porre a base della decisione una questione rilevata d'ufficio (seconda ed ultima parte del co. 2). L'utilità pratica della nuova disposizione si apprezza, tuttavia, al di fuori delle ipotesi in cui già sussista una specifica norma che preveda il rimedio applicabile per sanare l'avvenuta violazione del contraddittorio. Si pensi alla disciplina dettata dall'art. 164 c.p.c. in materia di nullità della citazione per vizio della vocatio in ius o della editio actionis (con potere del giudice di disporre la rinnovazione o integrazione della citazione), oppure all'art. 291 c.p.c. in relazione alla nullità della notificazione (con potere del giudice di disporre la rinnovazione della notifica), ovvero ancora alla seconda parte del medesimo comma 2 dell'art. 101 c.p.c., laddove, per evitare la cosiddetta “sentenza a sorpresa” o “della terza via”, si prevede l'obbligo del giudice, qualora ritenga di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d'ufficio, di riservare la decisione, assegnando alle parti, a pena di nullità, un termine, non inferiore a venti e non superiore a quaranta giorni, per il deposito di memorie contenenti osservazioni sulla medesima questione. In queste ipotesi, nonchè in quelle previste da altre disposizioni processuali (ad es., artt. 354, co. 1 e 3,153 e 294 c.p.c.), non vi è neppure necessità di scomodare il nuovo periodo inserito dalla riforma Cartabia nel co. 2 dell'art. 101 c.p.c., in quanto sussiste già una norma speciale che indica il provvedimento giudiziale da adottare per ovviare alla violazione del contraddittorio, sicchè l'effettiva funzione della disposizione in esame è quella di coprire le fattispecie lesive del contraddittorio che non siano state già tipizzate dal legislatore, rispetto alle quali il novellato co. 2 dell'art. 101 c.p.c., nella sua prima parte, si pone come norma generale disciplinante il potere-dovere del giudice di intervenire per salvaguardare non tanto (e non solo) il contraddittorio, bensì essenzialmente il diritto di difesa delle parti. Ma è proprio la potenziale scissione tra violazione del contraddittorio e lesione del diritto di difesa a costituire il profilo probabilmente più interessante, anche in chiave interpretativa, della nuova disposizione. Contradditorio forte e contradditorio debole Il novellato comma 2 dell'art. 101 c.p.c., a ben vedere, non prevede il dovere del giudice di adottare i provvedimenti opportuni ogniqualvolta si sia verificata una violazione del contraddittorio, bensì solo qualora ne sia “derivata una lesione del diritto di difesa”. Non può prescindersi dal tenore letterale di tale disposizione, dalla quale si desume chiaramente la configurabilità di violazioni del contraddittorio che non recano pregiudizio al diritto di difesa e che non comportano, quindi, la nullità degli atti processuali compiuti. La possibile scissione tra violazione del contraddittorio e lesione del diritto di difesa è un concetto già recepito dagli orientamenti giurisprudenziali, laddove, in diversi ambiti processuali, si è sostenuto, a titolo meramente esemplificativo, che:
In tutte le predette ipotesi, e nelle altre evincibili dalla casistica giurisprudenziale, suole discorrersi da una parte della dottrina di “contraddittorio debole”, nel senso che l'eventuale violazione del contraddittorio comporta la nullità degli atti compiuti solo qualora la stessa si sia concretizzata in una effettiva lesione del diritto di difesa, ribadendo, in proposito, la giurisprudenza il principio per cui il diritto al rispetto delle regole del processo non è fine a se stesso, ma richiede che dalla violazione di tali regole sia scaturita una concreta lesione del diritto di difesa della parte, che, essendo onerata di allegare e dimostrare tale lesione, vede inevitabilmente aggravata la propria posizione processuale pur essendo incolpevolmente colpita dal vizio. A tali fattispecie si contrappongono quelle, di cd. “contraddittorio forte”, in cui la violazione del contraddittorio determina di per sé la lesione del diritto di difesa, senza che la parte danneggiata sia tenuta a provare sotto quale profilo il proprio diritto alla dialettica processuale abbia subito un concreto pregiudizio. Anche in tal caso è possibile richiamare le pronunce con cui la giurisprudenza di legittimità, a volte intervenuta a Sezioni Unite per risolvere le discrasie sottoposte al suo vaglio, ha statuito che la lesione del diritto di difesa è insita nella violazione del contraddittorio, come ad esempio:
In tali fattispecie si registra una coincidenza tra violazione del contraddittorio e lesione del diritto di difesa, che alleggerisce notevolmente il carico probatorio della parte, risultando spesso assai arduo operare un giudizio contro-fattuale sulla rilevanza del vizio, ossia comprendere come sarebbe stata la decisione laddove la parte avesse esercitato le facoltà processuali colpite dal vizio medesimo. Conclusioni La modifica apportata dalla recente riforma al comma 2 dell'art. 101 c.p.c. ha positivizzato il principio, fino a quel momento prettamente giurisprudenziale, della possibile non coincidenza tra violazione del contraddittorio e lesione del diritto di difesa, prevedendo che, solo nei casi di cd. “contraddittorio forte” (ossia, violazione del contraddittorio = lesione del diritto di difesa), sorga l'obbligo del giudice di adottare provvedimenti di ripristino del dibattito processuale. Il recepimento codicistico di tale principio, oltre a comportare l'inevitabile rischio di valutazioni rimesse caso per caso al singolo magistrato in ordine alla declaratoria di nullità degli atti processuali compiuti, fa imboccare al contraddittorio ed al diritto di difesa strade separate, che solo eventualmente, in caso cioè di prova dell'offensività, tornerebbero ad incontrarsi. Si pone, altresì, il problema di valutare se, alla luce di tale nuovo principio, alcune delle fattispecie in precedenza ricondotte dalla giurisprudenza alle ipotesi di “contraddittorio forte” possano ancora ritenersi tali, oppure se le stesse vadano reinterpretate, alla luce del novellato art. 101 c.p.c., nel senso di far gravare comunque sulla parte asseritamente pregiudicata l'onere di dimostrare che dalla violazione della norma processuale sia scaturita la lesione effettiva del diritto di difesa. In ogni caso, se l'intento del legislatore era quello di rafforzare la tutela del contraddittorio, l'espressa limitazione di tale tutela ai soli casi in cui la violazione abbia raggiunto un concreto livello di offensività, con il conseguente (a volte diabolico) onere probatorio posto a carico della parte interessata, rischia di realizzare una “eterogenesi dei fini”, risuonando allora condivisibile il pensiero di chi ha sostenuto che la generalizzazione del contraddittorio debole avrebbe il sapore di una beffa, in quanto sarebbe frutto di una “torsione in senso restrittivo ed autoritario” (Delle Donne, Principio del contraddittorio, in La riforma Cartabia del processo civile, a cura di Tiscini, Pisa, 2023, 71). |