Falso in attestazioni e relazioni: il c.c.i.i. ha comportato un'abrogazione parziale?

Ciro Santoriello
02 Luglio 2024

All'entrata in vigore dell'art. 342 c.c.i.i. – che ha sostituito, abrogandolo, l'art. 236-bis l. fall. – non è seguita alcuna abrogazione parziale del reato di falso in attestazioni e relazioni. Così la Suprema corte, con una pronuncia richiamata anche nel recente documento di ricerca del CNDCEC.

Massima

Pur nella sua diversa formulazione rispetto alla previsione di cui all'art. 236-bis l. fall., l'entrata in vigore dell'art. 342 c.c.i.i. non ha determinato effetti abrogativi parziali per il reato di falso in attestazione e relazione, nel cui ambito continuano ad avere penale rilevanza le attività del professionista relative alla correttezza e alla compiutezza della base informativa nonché alla correttezza dei metodi e dei criteri valutativi impiegati per effettuare la valutazione prognostica circa la "fattibilità economica" del piano.

Il caso

In sede di merito, l'attestatore di una relazione ex art. 161 l. fall. allegata al ricorso per l'ammissione al concordato preventivo era condannato per il delitto di cui all'art. 236-bis l. fall., in concorso con l'amministratore unico della società coinvolta, per aver esposto informazioni false o comunque per avere omesso di riferire informazioni rilevanti, avendo indicato un rilevante apporto di nuova finanza asseritamente proveniente dalla madre dell'amministratore societario – coimputato nel medesimo procedimento – senza alcuna previa verifica dell'attendibilità e fattibilità dell'apporto, anche in ordine alle tempistiche e alle modalità di assolvimento dell'obbligo, tenuto conto anche che si trattava di prossimo congiunto dell'amministratore (apporto finanziario infatti mai avvenuto).

In sede di ricorso per cassazione, la difesa lamentava la violazione degli artt. 342 d.lgs. n. 14/2019 e 2 c.p.

Si rammentava, infatti, come il reato di falsità in relazioni o attestazioni commesso dal professionista, prima descritto dall'art. 236-bis l. fall., sia stato oggetto di modifica, essendo stato espunto dall'area di rilevanza penale il profilo inerente alla fattibilità del piano di concordato, dovendo l'attestatore limitarsi a verificare se i dati riportati nel piano e dei documenti ad esso allegati siano esposti in modo veritiero; in particolare, secondo il ricorrente, avendo aggiunto la nuova disposizione, dopo l'aggettivo "rilevanti", le parole «in ordine alla veridicità dei dati contenuti nel piano o nei documenti ad esso allegati», avrebbe determinato il suddetto effetto parzialmente abrogativo. Nel caso di specie, invece, la condotta contestata all'imputato faceva riferimento non a tale aspetto del piano, ma ad un giudizio valutativo sulla fattibilità dello stesso, come detto non più rientrante nell'area della rilevanza penale della fattispecie.

La questione

Nell'ambito degli strumenti privatistici per superare la crisi d'impresa un ruolo fondamentale è stato riconosciuto fin da subito alla figura ed alla relazione dell'attestatore, il quale deve fornire ai creditori full disclosure sul progetto di risanamento che gli stessi negoziano con l'azienda, oltre a dare protezione giuridica agli atti che vengono posti in essere per la realizzazione del programma (Lo Cascio, Il professionista attestatore, in Fall., 2013, 1325; Bertolini Clerici – Bottai – Pagliughi, Il professionista attestatore: relazioni e responsabilità, Milano 2014; Giacosa – Mazzoleni, Il progetto di risanamento dell'impresa in crisi, Torino 2012; Tetto, La (ritrovata) indipendenza del professionista attestatore nelle soluzioni concordate della crisi d'impresa, in Fall., 2013, 678; Trentini, Proposta di concordato, soddisfazione dei creditori e verifica della fattibilità del piano, in Crisi dell'impresa, procedure concorsuali e diritto penale dell'insolvenza. Aspetti problematici, a cura di Borsari, Padova, 2015, 57).

Per lungo tempo, tuttavia, nonostante il rilievo delle funzioni attribuite all'attestatore, la materia non è stata presidiata in sede penalistica, nel senso che non era prevista alcuna fattispecie incriminatrice atta a punire eventuali condotte fraudolente assunte da tale soggetto e, in particolare, non era in alcun modo sanzionata la predisposizione di attestazioni inveritiere dirette ad ingannare il ceto creditorio in ordine alla convenienza e sostenibilità dell'operazione di risanamento dell'ente commerciale proposta dall'imprenditore.

A tale lacuna pose rimedio l'introduzione dell'art. 236-bis r.d. n. 267/1942, che previde per l'appunto la fattispecie di “falso in attestazioni e relazioni” (su cui Borsari, Il nuovo reato di falso in attestazioni e relazioni del professionista nell'ambito delle soluzioni concordate della crisi d'impresa. Una primissima lettura, in penalecontemporaneo.it.; Sandrelli, Le esenzioni dai reati di bancarotta e il reato di falso in attestazioni e relazioni, in Fall., 2013, 789; Insolera, Riflessi penalistici della nuova disciplina del concordato preventivo, in Giur. comm., 2006, 462; Alessandri, Profili penali delle procedure concorsuali. Uno sguardo d'insieme, Milano, 2016, 121; D'Alessandro, Il delitto di falso in attestazioni e relazioni (art. 236 bis l. fall.), tra incerte formulazioni legislative e difficili soluzioni esegetiche, in Crisi dell'impresa, cit., 537; Troyer, Le responsabilità penali relative alle soluzioni concordate delle crisi d'impresa, in Riv. Dott. Comm., 2008, 111), successivamente modificato con l'entrata in vigore del codice della crisi e dell'insolvenza e del relativo art. 342.

La questione oggetto della decisione in commento concerne i rapporti tra l'art. 236-bis l. fall. e l'art. 342 c.c.i.i.

La previsione previgente puniva “il professionista che nelle relazioni o attestazioni di cui agli articoli 67, terzo comma, lettera d), 161, comma 3, 182-bis, 182-quinquies, 182-septies e 186-bis espone informazioni false ovvero omette di riferire informazioni rilevanti”.

L'articolo presente nel codice della crisi e dell'insolvenza punisce “il professionista che nelle relazioni o attestazioni ... espone informazioni false ovvero omette di riferire informazioni rilevanti in ordine alla veridicità dei dati contenuti nel piano o nei documenti ad esso allegati”.

Secondo la dottrina prevalente, con l'art. 342 c.c.i.i. si sarebbe dato luogo ad una abrogazione di una parte della fattispecie di cui all'art. 236-bis con riferimento al giudizio sulla fattibilità del piano (Bricchetti, Codice della crisi d'impresa: rassegna delle disposizioni penali e raffronto con quelle della legge fallimentare, in Dir. Pen. Cont., 7-8/2019, 75; Alessandri, Novità penalistiche nel codice, cit., 1815; Gambardella, Il codice della crisi di impresa: nei delitti di bancarotta la liquidazione giudiziale prende il posto del fallimento, in Cass. pen., 2019, 488; Mucciarelli, L'informazione penalmente presidiata nella rinnovata disciplina della crisi e dell'insolvenza dell'impresa, in Dir. Pen. Proc., 2020, 539. In senso critico verso questa modifica, Ponteprino, Falso in attestazioni e relazioni: i labili confini della responsabilità penale del professionista attestatore, in Penalecontemporaneo.it, secondo cui “una opzione del genere non pare affatto condivisibile in quanto, anche nel mutato quadro normativo, l'attestatore è tenuto a valutare le possibilità di successo del piano predisposto dall'impresa in crisi. Al tempo stesso è innegabile che, con l'entrata in vigore del nuovo codice, il suo ruolo sia destinato a contrarsi, specialmente nella procedura di concordato preventivo: l'art. 47 CCII, in ottemperanza alle direttive contenute nella legge delega, incarica infatti il tribunale di svolgere un ulteriore controllo sulla “fattibilità economica della proposta”, rendendo così meno decisivo il giudizio dell'esperto attestatore”).

La decisione della Cassazione

Il ricorso è stato dichiarato infondato, non essendo state ritenute corrette le conclusioni avanzate dalla difesa in ordine agli effetti conseguenti alla modifica del delitto di falso in attestazione, conseguente all'entrata in vigore dell'art. 342 d.lgs. n. 14/2019, che ha sostituito, abrogandolo, l'art. 236-bis l. fall.

La Corte di legittimità giunge a questa decisione mediante la ricostruzione del significato del termine "informazioni", presente nella previsione incriminatrice di cui alla legge fallimentare. In proposito, la decisione in commento ricorda come la giurisprudenza di merito e la dottrina maggioritaria abbiano posto tale espressione in correlazione con la descrizione contenutistica delle diverse attestazioni e relazioni richiamate dalla norma, giungendo alla conclusione che – trattando tali attestazioni e relazioni sia la veridicità dei dati sia la fattibilità o idoneità giuridica o economica del piano o di altre proposte – l'informazione falsa od omessa dovesse essere riferita a entrambi gli oggetti dell'attività del professionista: veridicità e fattibilità.

La Cassazione non contesta la correttezza di questa conclusione – riferita, lo si ripete, alla precedente versione del delitto –, ma ne precisa il contenuto evidenziando che il falso relativamente alla "fattibilità economica" del piano doveva concernere il solo il profilo metodologico della struttura della valutazione di fattibilità e non invece la prognosi come tale e, tanto meno, il suo avverarsi. Doveva, infatti, escludersi che la falsità potesse riguardare il giudizio prognostico di fattibilità, atteso che in ordine a un giudizio, che si risolve in una valutazione futura, non può formularsi un apprezzamento in termini di difformità dal vero. L'attenzione, dunque, doveva essere necessariamente spostata dal giudizio prognostico inteso in senso stretto alla base informativa che ne costituiva il fondamento, nonché ai criteri e ai metodi impiegati per giungere all'enunciato a contenuto predittivo. Tali elementi, infatti, rappresentano una base oggettiva rispetto alla quale è possibile formulare una valutazione in termini di vero/falso, secondo canoni epistemologici ormai consolidati, che autorizzano giudizi del genere anche con riferimento a enunciati valutativi, posto che il punto di vista della valutazione metodologica, rigidamente limitata al controllo della correttezza e della compiutezza della base informativa nonché della correttezza dei metodi e dei criteri valutativi impiegati – da effettuare in relazione ai principi della tecnica professionale comunemente riconosciuti e accettati secondo le regole dell'arte –, appare compatibile con un giudizio di verità/falsità della prognosi ,come ammesso con riferimento al reato di false comunicazioni sociali (Cass., sez. un., 31 marzo 2016, n. 22474).

La conclusione dei giudici di legittimità è quindi nel senso che l'art. 236-bis citato riconosceva sì penale rilevanza anche alle valutazioni che il professionista attestatore prestava con riferimento alla "fattibilità economica" del piano, ma limitatamente alla correttezza e alla compiutezza della base informativa nonché alla correttezza dei metodi e dei criteri valutativi impiegati.

Una tale conclusione deve ritenersi valida anche in relazione alla previsione di cui all'art. 342 d.lgs. n. 14/2019, che quindi non ha in alcun modo abrogato, o meglio ristretto, in relazione a tale profilo, l'area di penale rilevanza in attestazioni e valutazioni.

Secondo la difesa, militerebbe in senso contrario l'inserimento delle parole “in ordine alla veridicità dei dati contenuti nel piano o nei documenti ad esso allegati”, laddove l'utilizzo del termine "dati" sarebbe incompatibile con il concetto di valutazione e quindi ne dovrebbe derivare una riduzione dell'area di penale rilevanza, limitata ora alla sola veridicità dei dati aziendali, con implicita esclusione, dall'ambito di applicazione della fattispecie criminosa, delle attività del professionista relative alla valutazione di "fattibilità economica" del piano presentato dal debitore.

Una tale conclusione, però, secondo la Cassazione, da un lato, si basa su una nozione eccessivamente restrittiva del termine dati, e, dall'altro, non tiene conto della corretta interpretazione dell'art. 236-bisl. fall. e, in particolare, del ristretto spazio applicativo che, nell'ambito di tale norma, avevano le falsità e le omissioni riguardati le attività che il professionista svolgeva in relazione alla "fattibilità economica" del piano.

Sotto il primo profilo, va evidenziato che il termine “dati” non ha quel significato univoco che il ricorrente e la dottrina vorrebbero attribuirgli, soprattutto ove si osservi che anche i dati aziendali, in senso stretto intesi, sono essi stessi il risultato di attività intellettuali che, spesso, consistono nella indicazione di grandezze economiche chiamate a esprimere il valore di negozi giuridici, rapporti contrattuali, beni immateriali, situazioni giuridiche, grandezze nelle quali la componente valutativa è sicuramente presente.

Con riferimento al secondo profilo, va ricordato che l'art. 236-bis l. fall., come detto, andava inteso nel senso che desse rilevanza non alla valutazione prognostica del professionista relativa alla "fattibilità economica" del piano, ma solo alla correttezza e alla compiutezza della base informativa nonché alla correttezza dei metodi e dei criteri valutativi impiegati per tale valutazione.

Proprio facendo riferimento a questi soli profili dell'attività svolta dal professionista in relazione alla "fattibilità economica" del piano si può ritenere che la novella non abbia determinato alcun effetto abrogativo, essendosi il legislatore delegato limitato a riformulare la norma con l'inserimento di un inciso che non lasci dubbi circa la non applicabilità di essa alla valutazione prognostica del professionista, in senso stretto intesa, valutazione, che, tuttavia, non era riconducibile alla fattispecie criminosa neppure in precedenza. La nuova norma, dunque, non ha determinato effetti abrogativi parziali e, in particolare, non ha reso penalmente irrilevanti le attività del professionista relative alla correttezza e alla compiutezza della base informativa nonché alla correttezza dei metodi e dei criteri valutativi impiegati per effettuare la valutazione prognostica circa la "fattibilità economica" del piano.

Accanto a queste considerazioni, la sentenza in esame dimostra come, quand'anche si volesse ritenere che la novella avesse determinato una parziale abrogazione della precedente fattispecie criminosa, limitando l'ambito applicativo di essa alla sola veridicità dei dati aziendali, la condotta contestata all'imputato, nondimeno, continuerebbe a risultare penalmente rilevante. Nel caso di specie, infatti, l'omessa informazione riguardava proprio un dato aziendale, relativo a un consistente apporto di finanza (200.000,00 euro, pari a un quarto dell'ammontare complessivo dell'attivo) e quindi non si poteva parlare di omissione di un dato non rilevante in ordine al giudizio che i terzi, in specie i creditori, avessero voluto  formulare circa la solidità economica del piano.

Osservazioni

La Cassazione, con la decisione in commento, in sostanza afferma una sostanziale continuità normativa fra le due previsioni incriminatrici di cui ai citati artt. 236-bis e 342 presenti rispettivamente nel r.d. n. 267 del 1942 e nel d.lgs. n. 14/2019.

In proposito, a supporto di tale conclusione, viene evidenziato come una tale interpretazione risulti perfettamente conforme alle intenzioni del legislatore delegato, palesate nella Relazione illustrativa al codice della crisi di impresa e dell'insolvenza, nella parte in cui si afferma che: “l'art. 342 riproduce sostanzialmente sul punto il contenuto del vigente art. 236-bis legge fall.”; la norma non ha “quindi contenuto di novità in relazione alle condotte punite, proprio perché deriva [...] da disposizioni analoghe già vigenti” - ed in effetti nello stesso senso si era espresso il Parlamento nella legge delega, il cui art. 2, comma 1, lett. a), prevedeva che il Governo, nel riformare in modo organico la disciplina delle procedure concorsuali, in relazione alle disposizioni penali, si limitasse a “sostituire ii termine fallimento e i suoi derivati con l'espressione liquidazione giudiziale, adeguando dal punto di vista lessicale anche le relative disposizioni penali, ferma restando la continuità delle fattispecie criminose”.

A nostro parere, se è pienamente condivisibile la conclusione cui perviene la Cassazione in ordine alla rilevanza penale delle condotte contestate all'imputato nel caso di specie, non completamente convincente è il percorso argomentativo utilizzato in proposito. Infatti, piuttosto che insistere sulla continuità normativa della disciplina nel passaggio dalla legge fallimentare al nuovo codice della crisi, i giudici di legittimità avrebbero potuto raggiungere il medesimo risultato di confermare il giudizio di penale responsabilità dell'attestatore evidenziando come un giudizio di falsità ben possa essere formulato in termini oggettivi e con riferimento a dati materiali quand'anche lo stesso sia formulato con riferimento alle considerazioni che il professionista svolge in relazione alla fattibilità del piano.

In proposito bastava limitarsi ad osservare come – se è vero che una valutazione prognostica attinente avvenimenti futuri di là dal verificarsi non può essere ritenuta oggetto di un giudizio di veridicità, potendo la stessa essere al più errata o irragionevole –, diversa conclusione va formulata nel caso in cui i relativi presupposti fattuali siano mendaci, posto che in tal caso la falsità della attestazione sarà determinata da tale circostanza senza bisogno di prendere in considerazione la fondatezza del giudizio finale circa la fattibilità del piano.

Trattasi di tesi pacificamente affermata in dottrina (Consulich, Nolo cognoscere. Il diritto penale dell'economia tra nuovi responsabili e antiche forme di responsabilità «paracolpevole»: spunti a partire dal nuovo art. 236 bis l. fall., in Riv. Trim. Dir. Pen. Ec., 2012, 613; Mucciarelli, Il delitto di falso in attestazioni e relazioni: il professionista attestatore e le valutazioni, in Ind. Pen. 2014, 129, che evidenziava come qualora il rispetto delle leges artis (riconosciute e accreditate nella prassi) è assicurato, “qualunque [fosse] l'esito concreto del piano, il giudizio di fattibilità (prognostico) [andava] necessariamente esente dal rimprovero penalistico dell'art. 236-bis l. fall.: all'osservanza delle regole metodologiche (tecniche: delle scienze di settore, quand'anche siano molteplici, ma comunque riconosciute) fa da contrappunto la non configurabilità della categoria della falsità in attestazione”; D'Alessandro, Il delitto di falso, cit., 549, secondo cui “se il dato economico-aziendale di partenza è (stato valutato dal professionista come) corretto, sembra che ben pochi spazi residuino – a fronte di una fattispecie incriminatrice, quale quella dell'art. 236 bis l. fall., che rimane pur sempre dolosa – per un'attribuzione di responsabilità penale nei suoi confronti, qualora risulti che l'attestatore, in assenza di specifici parametri normativi, abbia seguito (seppur maldestramente) quei criteri metodologici elaborati dalla prassi per formulare un giudizio (positivo, ancorché erroneo) circa la concreta fattibilità del piano”).

Fortemente problematica rimane la questione (la cui risoluzione non può che essere affidata agli interpreti ed in particolare alla giurisprudenza) di quando i dati aziendali di cui si riferisce nelle relazioni o attestazioni possano definirsi falsi.

È ormai acquisita, infatti, la consapevolezza che tali elementi “non sono tali oggettivamente, non costituiscono il rispecchiamento di una realtà che non attende altro se non di essere conosciuta. I ‘dati' non sono ‘fatti', bensì espressione di un sapere e di un agire convenzionale, nel senso che sono il frutto di una rappresentazione ottenuta mediante l'applicazione di determinate regole conoscitive” (Alessandri, Profili penali delle procedure concorsuali. Uno sguardo d'insieme, Milano, 2016, 71.): scontando una ineliminabile componente valutativa (Piva, Vecchie soluzioni per nuovi problemi nella falsa attestazione del professionista, in penalecontemporaneo.it, secondo cui il giudice penale è gravato in questo frangente dall'onere di “un sindacato paradossalmente più esteso rispetto a quello preventivo del giudice della procedura, su condotte di mendacio connotate da un forte margine di discrezionalità”. Così anche Baffi, Attestare stanca, in penalecontemporaneo.it; D'Orazio, Falso in attestazioni e relazioni, AaVv., Le procedure di regolazione della crisi, Milano 2013, 523; Fiorella – Masucci, La responsabilità penale del professionista incaricato di attestare l'idoneità del piano di pagamenti, del concordato preventivo, o dell'accordo di ristrutturazione dei debiti, AA. VV., Gli effetti del fallimento, Giappichelli, Torino, 2014, 973.) – si pensi alle prospettive di satisfazione di un credito o alla determinazione del valore del magazzino ecc. –, la bontà di dati riportati nei documenti redatti dall'attestatore non potrà mai apprezzarsi sul terreno del vero o del falso, bensì rispetto alla correttezza metodologica del portato valutativo (nel senso che non sarebbero estranee alla fattispecie “le ipotesi di occulta disapplicazione dei criteri dichiarati nonché di (coerente) applicazione di metodologie non accettate dalle regole dell'arte”, Borsari, Il nuovo reato di falso in attestazioni e relazioni del professionista nell'ambito delle soluzioni concordate della crisi d'impresa. Una primissima lettura, in penalecontemporaneo.it; Mucciarelli, Il ruolo dell'attestazione e la nuova fattispecie penale di “falso in attestazioni e relazioni, in IUS Crisi d'Impresa … Per una valorizzazione dell'analisi della metodologia utilizzata dall'attestatore, Mucciarelli, L'informazione penalmente presidiata nella rinnovata disciplina della crisi e dell'insolvenza dell'impresa, in Dir. Pen. Proc., 2020, 539), “posta da un lato l'esattezza delle rilevazione del dato fattuale e, dall'altro, la conformità delle stime ai criteri di valutazione adottati” (Mucciarelli, Stato di crisi, piano attestato, accordi di ristrutturazione, concordato preventivo e fattispecie penali, in Riv. Trim. Dir. Pen. Ec., 2009, 825; Mucciarelli, Il ruolo dell'attestazione e la nuova fattispecie penale di “falso in attestazioni e relazioni, in IUS Crisi d'Impresa).

Diversamente da quanto si registra per il delitto di false comunicazioni sociali, la base informativa su cui il professionista fonda i propri giudizi (non solo gli è fornita da un terzo soggetto, sia esso l'imprenditore o collaboratori dello stesso o la struttura che a lui fa capo, ma) è essa stessa il prodotto di innumerevoli valutazioni, a loro volta dunque opinabili nelle loro conclusioni (Per questa sottolineatura, D'Alessandro, Il delitto di falso in attestazioni e relazioni (art. 236 bis l. fall.), tra incerte formulazioni legislative e difficili soluzioni esegetiche, Crisi dell'impresa, procedure concorsuali e diritto penale dell'insolvenza. Aspetti problematici, a cura di Borsari, Padova, 2015). Ciò comporta che i compiti attribuiti all'attestatore andranno ricostruiti facendo riferimento (piuttosto che a quanto richiesto dai soggetti attivi del delitto di cui agli artt. 2621 ss. c.c., ma) alla figura del revisore legale – A sua volta, come è noto, soggetto attivo di un reato di falso ex art. 27 d.lgs. n. 39 del 2010 –, dovendosi in sede di valutazione del programma di risanamento stimare, al fine di impostare correttamente le procedure di verifica, il rischio di errori significativi nella base dati contabile fornita dall'impresa facendo ricorso ai principi e alle prassi di revisione consolidati e declinati in considerazione delle caratteristiche dell'impresa e delle sue dimensioni, applicando i principi contabili di riferimento e le norme del codice civile in tema di redazione del bilancio (nel senso che “la componente soggettiva del 236-bis è più accentuata rispetto alla redazione del bilancio, ove l'analisi dei dati aziendali, pur intervenendo su una realtà dinamica, è comunque un'attività rivolta al passato, simile – per riprendere l'efficace metafora utilizzata da Perini, Il delitto di false comunicazioni sociali, Padova, 1999, 343 – “al compito di un fotografo che si appresti a cristallizzare una immagine di un centometrista”. Viceversa, al professionista si chiede di formulare un giudizio prognostico su eventi futuri e incerti, di natura dinamica”, Guerini, La responsabilità penale del professionista attestatore nell'ambito delle soluzioni concordate per le crisi d'impresa, in penalecontemporaneo.it, 13).

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