Recenti orientamenti in materia di imposta di registro degli atti societari

04 Luglio 2024

La Cassazione si è pronunciata con frequenza sul tema della tassazione di atti societari – ai fini dell'imposta di registro – fornendo orientamenti talvolta contrastanti. Il contributo compie, quindi, una ricognizione sulle più recenti pronunce di legittimità.

Introduzione

Il presente contributo offre una breve analisi dei recenti orientamenti della Corte di Cassazione in materia di imposta di registro relativamente agli atti societari. In particolare, si affrontano gli orientamenti in tema di cessione totalitaria di quote sociali e riqualificazione dell'atto in cessione di azienda da parte dell'Agenzia delle Entrate, e dell'applicazione dell'imposta di registro all'atto di finanziamento soci enunciato nell'atto di aumento del capitale sociale. Infine, l'analisi di due pronunce in materia di atti giudiziari e di esterovestizione.

Cessione totalitaria di quote sociali

La prima delle fattispecie oggetto della presente rassegna riguarda la questione della possibilità, da parte dell'Agenzia delle Entrate, di riqualificare l'atto di cessione della totalità delle quote del capitale sociale in atto di cessione di azienda, con conseguente applicazione dell'imposta di registro nella misura proporzionale del 3%.

Nella sentenza Cass. 21 marzo 2024, n. 7613, la Corte ha affrontato una controversia relativa all'impugnazione di un avviso di rettifica e liquidazione dell'imposta di registro nella misura proporzionale del 3% in seguito alla riqualificazione ex art. 20 del d.P.R. 131/86 della cessione dell'integrale partecipazione nel capitale sociale della società A, nei termini di una cessione indiretta di azienda.

La Commissione Tributaria Regionale, riformando la decisione di primo grado, aveva accolto l'appello sul presupposto che l'imposta di registro dovesse applicarsi in relazione alla causa reale dell'atto stipulato, ritenendo che la cessione dell'integrale partecipazione al capitale sociale equivalesse a tutti gli effetti alla cessione dell'azienda.

La Cassazione ha accolto il ricorso del contribuente, ricordando come in tema di imposta di registro, ai sensi dell'art. 20 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, come modificato dall'art. 1, comma 87, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 , e dall'art. 1, comma 1084, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, nella parte in cui prevede che, ai fini dell' imposta di registro, l' interpretazione degli atti presentati alla registrazione debba avvenire solo in base al loro contenuto, senza fare riferimento ad atti collegati o ad elementi extratestuali, l'amministrazione finanziaria non può travalicare lo schema negoziale tipico in cui l'atto risulta inquadrabile.

Sul punto, la Corte Costituzionale ha statuito che non è fondata la questione di legittimità costituzionale, dell'art. 20 sopra citato, nella parte in cui prevede che, ai fini dell'imposta di registro, l'interpretazione degli atti presentati alla registrazione debba avvenire solo in base al loro contenuto, senza fare riferimento ad atti collegati o ad elementi extratestuali (Corte Cost. 21 luglio 2020, n. 158, confermata dalla successiva Corte Cost. 16 marzo 2021, n. 39).

In applicazione di tali principi, dovendo essere considerati soltanto gli effetti giuridici dell'atto presentato a registrazione, così come da esso desumibili “non può assumere rilevanza lo scopo economico perseguito dalle parti, quand'anche fosse quello di acquistare in via indiretta l'azienda della società compravenduta” (Cass., 13 dicembre 2023, n. 34929). Infatti, ciò che non è superabile è il diverso ed ulteriore aspetto secondo cui la cessione della partecipazione societaria non è produttiva degli effetti giuridici propri della cessione di azienda, discostandosene quanto ad estraneità di istituti tipici (in termini Cass., 13 dicembre 2023, n. 34917).

Nella sentenza Cass. 20 febbraio 2024, n. 4562, invece, la Corte affronta un caso in cui l'Agenzia delle Entrate, mediante avviso di liquidazione, riqualificava la complessiva operazione posta in essere dalle parti come cessione di ramo di azienda, con conseguente applicazione dell'imposta di registro in misura proporzionale al valore del bene ceduto.

La Corte riepiloga gli effetti dell'attuale formulazione dell'art. 20 d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, in forza del quale “non è più sostenibile l'orientamento della giurisprudenza tributaria che riqualificava la cessione delle quote come cessione d'azienda "guardando alla «funzione economica» dei due contratti, i.e. alla «sostanza economica» prodotta da essi". Pertanto, non è possibile "tassare l'atto di cessione di quote come cessione di azienda sull'assunto erroneo [...] per cui vi sarebbe identità di effetti giuridici tra la prima e la seconda", posto che "la cessione delle quote in realtà non coincide con la cessione dell'azienda dato che l'una attribuisce un diritto personale di partecipazione alla vita societaria, l'altra attribuisce un diritto reale sul patrimonio societario” (Cass., 25 gennaio 2023, n. 2252).

Infine, nel caso deciso con la sentenza Cass.16 aprile 2024 n. 10243, l'Agenzia delle Entrate aveva emesso un avviso di liquidazione per maggiore imposta proporzionale (3%) di registro sull'atto notarile con il quale la società A aveva ceduto alla società B il 100% delle quote da essa possedute della società C, previa riqualificazione, ex art. 20 d.P.R. 131/86 dell'atto in termini di cessione di azienda.

Nel proprio ricorso per cassazione l'Agenzia delle Entrate insisteva sul fatto che in sede di riqualificazione, anche solo per intrinseco, dell'atto di cessione totalitaria delle quote in questione, emergerebbe comunque un risultato in tutto corrispondente a quello di cessione aziendale, e come tale tassabile in misura proporzionale.

In tal senso, la Corte di Cassazione ha avuto modo di affermare come l'art. 20 Tur debba essere inteso nel senso che “l'Amministrazione finanziaria, nell'attività di qualificazione degli atti negoziali, deve attenersi alla natura intrinseca ed agli effetti giuridici dell'atto presentato alla registrazione, senza che assumano rilievo gli elementi extra-testuali e gli atti, pur collegati, ma privi di qualsiasi nesso testuale con l'atto medesimo, salve le diverse ipotesi espressamente regolate” (Cass. 28 gennaio 2022, n. 2677).

Finanziamento soci enunciato nell'atto di aumento del capitale sociale

Altro tema oggetto di interesse, è quello dell'applicazione dell'imposta di registro agli atti enunciati in atti sottoposti a registrazione e sul quale si rilevano recenti pronunce della Corte di Cassazione.

Nel caso oggetto della sentenza Cass. 9 novembre 2023, n. 31174, la società A in sede di assemblea dei soci deliberava la sottoscrizione di versamenti a titolo di finanziamento soci infruttiferi di interessi da parte dei soci.

L'Agenzia delle Entrate, con due avvisi di liquidazione ed irrogazione di sanzioni in materia di imposta di registro, contestava la omessa registrazione e l'omesso versamento quanto ai finanziamenti infruttiferi ritenuti enunciati ai sensi dell'art. 9, Parte I della tariffa allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131. L'Ufficio, qualificando i finanziamenti soci quali operazioni di mutuo, applicava l'imposta di registro proporzionale nella misura del 3%.

La tassazione, nel caso di enunciazione di un contratto verbale di finanziamento-soci contenuta in un verbale assembleare, è condizionata dalla ricorrenza di tre elementi, costituiti dall'esistenza di una compiuta enunciazione, dalla identità di parti tra l'atto enunciante e l'atto enunciato (nel caso di specie, verbale di assemblea e finanziamento) e dalla cd. permanenza degli effetti dell'atto enunciato.

Le “parti” dell'atto enunciante e dell'atto enunciato devono considerarsi le medesime ossia la società ed i suoi soci nell'uno e nell'altro caso, dovendosi in questo particolare contesto impositivo attribuire al termine "parte", utilizzato dall'art. 22 TUR, un significato lato e sostanziale, stante la chiara ratio antielusiva della disposizione legislativa.

La Cassazione ha più volte affermato che “il dato normativo letterale "parti intervenute nell'atto che contiene l'enunciazione" debba essere interpretato nel senso, appunto, lato e non "contrattualistico", di soggetti rispetto ai quali si realizzano gli effetti degli atti contenuti nell'atto di "emersione", così peraltro attribuendo al verbale di assemblea straordinaria societaria la sua funzione "propria", che è appunto quella di un resoconto di avvenimenti storici al quale il notaio attribuisce, per legge, fede pubblica” (Cass., Sez. Unite, 24 maggio 2023, n. 14432).

In applicazione di tali principi, e nel decidere il caso in oggetto, la Cassazione ha pertanto affermato il principio di diritto per cui “la presenza dei soci in assemblea giuridicamente "contiene" la loro, anche individuale, qualità di "parte" degli atti "enunciati" (in relazione ad essi, in senso tecnico negoziale), secondo il canone logico ermeneutico del "più che comprende (necessariamente) il meno" e, allo stesso tempo, secondo la ratio antievasiva dell'art. 22 TUR. Sotto questo profilo va soggiunto che non vi è alcuna "terzietà" dei soci che non sono "parti" degli atti emersi, posto che gli stessi esplicano effetti patrimoniali favorevoli per la società partecipata, sicché senz'altro anche a loro, pur in via mediata, deve essere riferito il correlato indice di capacità contributiva, conformemente al principio generale di cui all'art. 53 Cost.”.

Sul medesimo tema, ma con diverse conclusioni, la sentenza Cass. 18 gennaio 2024, n. 1960, nella quale l'Agenzia delle Entrate emetteva un avviso di liquidazione nei confronti del Notaio, per recuperare l'imposta di registro in relazione al finanziamento soci enunciato nel verbale assembleare redatto dallo stesso.

In questo caso, la Cassazione richiama il proprio orientamento per cui “la delibera assembleare di aumento del capitale sociale, realizzato, come nella presente fattispecie, mediante l' imputazione di un finanziamento del socio, concluso in forma orale con la società, non è assoggettabile all' imposta, anche laddove sia ravvisabile l'enunciazione del precedente finanziamento non registrato, poiché l' imputazione determina cessazione degli effetti propri del finanziamento, in ragione del predetto utilizzo, integrandosi la causa di non imponibilità di cui all'art. 22, comma 2, del D.P.R. n. 131 del 1986” (Cass., 8 febbraio 2023, n. 3841).

Nel caso in oggetto, ritiene la Corte, la convenzione enunciata (il finanziamento) ha cessato i suoi effetti a seguito della definitiva imputazione a capitale della somma già versata dal socio alla società, che ha mutato la causa della datio e che ha determinato l'estinzione dell'obbligo restitutorio della società nei confronti del socio, se non anteriormente, quantomeno contestualmente o in esecuzione dell'atto enunciante.

Si noti che la Cassazione ritiene esplicitamente che tale conclusione non collida con la sopra citata pronuncia delle Sezioni Unite (Cass., Sez. Unite, 24 maggio 2023, n. 14432) nella quale, a differenza del caso in esame, il credito restitutorio derivante dal precedente finanziamento non si era ancora integralmente estinto all'esito del conferimento.

Atti enunciati in atti giudiziari

Risulta meritevole di essere citata anche la sentenza Cass. 14 marzo 2024, n. 6893, sulla questione se l'imposta di registro debba essere applicata agli atti giudiziari che enuncino contratti di garanzia quando tali contratti siano stati già tassati con l'imposta sostitutiva ai sensi dell' art. 17 del citato d.P.R. n. 601/1973.

La Cassazione ritiene di dare continuità all'orientamento secondo cui “il fatto che l'art. 15, secondo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, non estenda l'assoggettamento delle operazioni di credito ad un'unica imposta sostitutiva anche per gli atti giudiziari ad esse relativi (i quali perciò sono soggetti ad imposizione secondo il regime ordinario), non comporta che le operazioni in questione, per essere enunciate in sede di quegli atti giudiziari, divengano soggette anche ad imposta di registro ai sensi dell'art. 22 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, che disciplina l' imposizione degli atti "enunciati" e non registrati e non riguarda né l'enunciazione di atti esenti, né gli atti soggetti ad imposizione sostitutiva, i quali, avendo già scontato detta imposta, non possono essere nuovamente soggetti ad imposizione” (da ultimo, Cass. 31 marzo 2022, n. 10490).

Su tali basi la Cassazione decide il caso ribadendo il principio di diritto per cui “il fatto che l'art. 15, secondo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, non estenda l'assoggettamento delle operazioni di credito ad un'unica imposta sostitutiva anche per gli atti giudiziari ad esse relativi (i quali perciò sono soggetti ad imposizione secondo il regime ordinario), non comporta che le operazioni in questione, per essere enunciate in sede di quegli atti giudiziari, divengano soggette anche ad imposta di registro ai sensi dell'art. 22 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, che disciplina l' imposizione degli atti "enunciati" e non registrati e non riguarda né l'enunciazione di atti esenti, né gli atti soggetti ad imposizione sostitutiva, i quali, avendo già scontato detta imposta, non possono essere nuovamente soggetti ad imposizione”.

Esterovestizione e prova per presunzioni

Infine, vale la pena di citare la pronuncia Cass. 06 febbraio 2024 n. 3386 in tema di c.d. “esterovestizione”.

La vicenda oggetto di pronuncia riguardava il caso in cui la società A conferiva alla società B, avente sede nel Regno Unito, beni di propria proprietà siti in Italia, in esecuzione di un aumento di capitale deliberato dalla società B.

L'Agenzia delle Entrate emetteva avviso di liquidazione di maggiore imposta di registro con applicazione dell'aliquota proporzionale del 7% sul presupposto che la società B fosse solo apparentemente all'estero, avendo invece in Italia il centro principale dei suoi interessi.

L'Agenzia delle Entrate, soccombente in primo e secondo grado, ricorreva per Cassazione contestando alla CGT di Secondo grado di avere, in contrasto con la presunzione legale relativa di "esterovestizione" dettata dall'art. 73, comma 5-bis, TUIR, erroneamente addossato all'Amministrazione Finanziaria l'onere di dimostrare che la società B non avesse la propria sede effettiva nel Regno Unito.

La Cassazione rileva come emerge dal dato testuale della norma sopra citata, il legislatore ha inteso limitare l'applicabilità della presunzione legale relativa di cd. "esterovestizione" ivi stabilita, subordinandola alla ricorrenza del duplice presupposto che la società avente sede all'estero, oltre a detenere la partecipazione di controllo in una società o in un altro ente commerciale residente in Italia, sia a sua volta controllata, anche indirettamente, ai sensi dell'art. 2359, comma 1, c.c., da soggetti residenti nel territorio dello Stato ovvero amministrata da un consiglio di amministrazione composto in prevalenza di consiglieri residenti nel medesimo territorio.

La Cassazione ritiene però che sia mancata, da parte del giudice di appello, una valutazione complessiva degli elementi raccolti da Agenzia delle Entrate e rinvia alla CGT di secondo grado per una nuova pronuncia, ribadendo il proprio principio di diritto per cui: “In tema di prova per presunzioni, il giudice, posto che deve esercitare la sua discrezionalità nell'apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari, per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati, per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi. Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand'anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall'altro in un rapporto di vicendevole completamento".

Considerazioni conclusive

Come si può desumere da questa breve rassegna delle pronunce della Corte di Cassazione, l'imposta di registro degli atti societari è materia che trova frequenti sentenze di legittimità, anche tra loro contrastanti.

Dalla disamina delle pronunce sopra citate, possiamo dire con ragionevole certezza che la giurisprudenza si è assestata – anche a seguito delle modifiche normative intervenute – sul tema della cessione totalitaria delle quote sociali, altrettanto non si può dire sull'altrettanto importante tema degli atti enunciati, dove le due pronunce citate giungono a conclusioni differenti.

Il tema riveste importanza anche per gli advisor delle società, in quanto il corretto regime dell'imposta di registro è un elemento importante da valutare in sede di pianificazione delle operazioni societarie stante la considerevole differenza, in termini meramente economici, tra l'applicazione di un regime e l'altro.

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