Titolarità del diritto di prelazione: le principali problematiche

09 Luglio 2024

Il legislatore del 1978, riguardo alle locazioni di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello abitativo, ha voluto, mediante l'istituto della prelazione, garantire stabilità e continuità al rapporto locatizio in favore del conduttore-imprenditore, avendo come obiettivo la tutela, oltre che della posizione di quest'ultimo, anche dell'attività produttiva in generale. La ratio degli artt. 38 e 39 della l. n. 392/1978 consiste essenzialmente nell'interesse dell'imprenditore, qualunque sia la dimensione dell'impresa, ad utilizzare, in modo duraturo, un determinato immobile, allorché, al contatto diretto con il pubblico, si connetta l'opportunità di tutelarne l'avviamento. Chiarite le linee guida circa la titolarità del diritto di prelazione sotto il profilo attivo, il presente focus esamina alcune fattispecie che, su tale versante, hanno coinvolto gli interpreti e gli operatori pratici.

Introduzione. Il quadro normativo

Al fine di una corretta perimetrazione dell'istituto della prelazione sotto il profilo attivo, va, innanzitutto, rilevato che l'art. 38 della l. n. 392/1978 è applicabile esclusivamente alle locazioni ad “uso diverso”, come è testimoniato dalla sua collocazione nel capo II del titolo I della legge c.d. dell'equo canone, dedicato, appunto, alla “locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione”; ne consegue che, riferendosi tale capo II esclusivamente alle locazioni di immobili di cui all'art. 27, il diritto di prelazione non trova applicazione nelle locazioni ad uso abitativo, tranne l'ipotesi di cui all'art. 3, comma 1, lett. g), della l. n. 431/1998, ossia nel caso di diniego di rinnovo motivata dalla vendita a terzi dell'immobile locato.

L'ulteriore perimetrazione dell'istituto de quo si evince, poi, alla luce del combinato disposto degli artt. 41 e 35 della l. n. 392/1978: invero, il suddetto art. 41 stabilisce che il citato art. 38 - unitamente ai successivi artt. 39 e 40 della stessa legge - non si applica ai rapporti di locazione di cui all'art. 35 (dettato in tema di avviamento, prevedendone la non spettanza), il quale si riferisce, a sua volta, ai “rapporti di locazione relativi ad immobili utilizzati per lo svolgimento di attività che non comportino contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori nonché destinati all'esercizio di attività professionali, ad attività di carattere transitorio, ed agli immobili complementari o interni a stazioni ferroviarie, porti, aeroporti, aree di servizio stradali o autostradali, alberghi e villaggi turistici”.

La locazione effettiva e lecita

Il diritto di prelazione spetta, ovviamente, al conduttore, occorrendo che la locazione (valida ed efficace) sia in atto (v., ex multis, Trib. Milano 21 giugno 1993); non esiste, però, alcuna incompatibilità tra la disdetta del contratto in vista della sua futura scadenza e la comunicazione che il locatore, intenzionato ad alienare l'immobile locato, deve effettuare al conduttore ex art. 38 della l. n. 392/1978, atteso le due dichiarazioni operano su piani diversi, essendo la prima diretta ad impedire la rinnovazione del rapporto e la seconda volta a consentire al conduttore l'esercizio del diritto di prelazione (Cass. civ., sez. III, 15 novembre 2016, n. 23219).

Il diritto di prelazione ed il diritto di riscatto di cui agli artt. 38 e 39 della l. n. 392/1978 non competono, quindi, al conduttore una volta che siano cessati gli effetti del contratto di locazione (v., in proposito, Cass. civ., sez. III, 27 aprile 2011, n. 9415), risultando irrilevante la sua eventuale posizione successiva di detentore de facto dell'immobile già oggetto della locazione (Cass. civ., sez. III, 21 novembre 2008, n. 27666); si pensi, ad esempio, al periodo di permanenza nell'immobile entro il termine fissato per il rilascio, ma successivo alla dichiarata risoluzione del contratto di locazione per morosità (Cass. civ., sez. III, 20 ottobre 2014, n. 22234; Cass. civ., sez. III, 5 luglio 2004, n. 12291; Cass. civ., sez. III, 24 gennaio 1994, n. 692; Cass. civ., sez. III, 23 giugno 1993, n. 6935; Cass. civ., sez. III, 20 febbraio 1990, n. 1261).

La prelazione non spetta neppure (ad avviso di Cass. 17 ottobre 1997, n. 10174) nell'ipotesi in cui il conduttore mantenga legittimamente la detenzione della cosa locata, come nel caso dell'esercizio dello ius retentionis - sia pure discusso - spettante sino alla corresponsione dell'indennità di avviamento, poiché, anche in tal caso, la posizione di mero detentore di un immobile non può in alcun modo ritenersi omogenea o equiparabile a quella del legittimo conduttore, sicché cessati, per scadenza contrattuale, gli effetti del suddetto negozio, il locatore può trasferire il bene, senza che al conduttore spetti la prelazione.

La situazione cambia, però, in caso di alienazione effettuata dopo la cessazione de iure del contratto, ma in forza di un preliminare di vendita stipulato in corso di rapporto: infatti, il fatto che la vendita dell'immobile al terzo sia stata perfezionata dopo la cessazione de iure del contratto di locazione non esclude la configurabilità del diritto di riscatto in capo al conduttore che non abbia ricevuto dal locatore la denuntiatio prevista dal precedente art. 38, se il trasferimento della proprietà sia avvenuto in esecuzione di un contratto preliminare stipulato prima della scadenza della locazione (Cass. civ., sez. III, 29 febbraio 2008, n. 5502).

Occorre, altresì, che il conduttore abbia la titolarità dell'attività imprenditoriale svolta nell'immobile locato (Cass. civ., sez. III, 22 luglio 1987, n. 6410), con la precisazione che bisogna aver riguardo all'attività effettivamente svolta, in applicazione dei consueti principi stabiliti dall'art. 80 della l. n. 392/1978.

Dunque, ai fini del riconoscimento del diritto di prelazione, rileva la destinazione effettiva dell'immobile locato, ove lo stesso venga successivamente utilizzato per lo svolgimento di attività comportanti contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, e non quella diversa originariamente pattuita, ove il proprietario non abbia tempestivamente esperito, a norma del suddetto art. 80, l'azione di risoluzione del contratto a seguito del mutamento di uso da parte del conduttore, posto che il mancato esercizio di tale azione va interpretato come implicito consenso al mutamento d'uso (v., altresì, Cass. civ., sez. III, 16 maggio 2013, n. 11964; Cass. civ., sez. III, 19 gennaio 2010, n. 699; Cass. civ., sez. III, 12 novembre 1996, n. 9881).

Inoltre, il diritto di prelazione del conduttore non è escluso dalla previsione contrattuale che inibisca al conduttore lo svolgimento di attività implicanti contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, in presenza di un uso effettivo dell'immobile implicante quei contatti, conforme a quello convenuto o implicitamente assentito dal locatore (Cass. civ., sez. III, 29 marzo 2012, n. 5069).

Deve trattarsi, infine, di attività esercitata in base alle prescritte autorizzazioni amministrative, poiché il presupposto della tutela apprestata dal complesso delle disposizioni protettive dell'avviamento risiede nella liceità dell'attività commerciale: ne consegue che non può essere riconosciuto (Cass. civ., sez. III, 27 marzo 2007, n. 7501; Cass. civ., sez. III, 7 agosto 2002, n. 11908) il diritto di riscatto al conduttore che svolga nell'unità immobiliare un'attività priva delle suddette autorizzazioni, in quanto si fornirebbe altrimenti copertura a situazioni abusive, frustrando l'applicazione di norme imperative che regolano le attività economiche e lo stesso scopo premiale della disciplina (Cass. civ., sez. III, 28 luglio 2005, n. 15813).

L'impresa familiare

In caso di locazione stipulata dal titolare dell'impresa familiare nella qualità di suo rappresentante occorre che l'esercizio della prelazione sia deliberato a maggioranza dei familiari che partecipano all'impresa.

Se, poi, nell'ambito dell'impresa familiare, il contratto di locazione sia stato stipulato, quale conduttore, da uno dei coniugi, mentre l'altro coniuge sia titolare dell'impresa, ciò non preclude l'esercizio del diritto di prelazione e del conseguente diritto di riscatto (Cass. civ., sez. III, 11 febbraio 1993, n. 1699): in quest'ultima pronuncia, la questione, sottoposta ai giudici di legittimità e decisa in senso positivo, consisteva nel verificare se il diritto di prelazione e di riscatto spetti o meno, ai sensi degli artt. 38 e 39 della l. n. 392/1978, al conduttore di un immobile adibito ad attività alberghiera nell'ipotesi in cui detta attività fosse esercitata sotto forma di un'impresa familiare, e di quest'ultima il conduttore non fosse titolare o contitolare ma soltanto compartecipe.

Analoga soluzione era stata accolta (Cass. n. 6410/1987, cit.) nella diversa ipotesi di esercizio del diritto di prelazione da parte del conduttore, il quale rivestiva anche la posizione di contitolare dell'impresa, o di consocio, qualora l'impresa risultasse gestita da una società di fatto o da una società di persone, a nulla rilevando la circostanza che gli altri consoci fossero soggetti estranei alla titolarità del rapporto di locazione.

Già la Corte Costituzionale (Corte Cost., 5 maggio 1983, n. 128 e 6 ottobre 1983, n. 300) aveva evidenziato che l'attribuzione del diritto di prelazione ai conduttori di immobili adibiti ad attività comportanti contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, in caso di vendita degli immobili stessi, mira ad uno scopo di tutela, anche nel pubblico interesse, delle aziende, generalmente di piccola o media dimensione, mediante il mantenimento della loro clientela, componente essenziale dell'avviamento commerciale.

Non varrebbe opporre - osservano i giudici di Piazza Cavour - che, nell'istituto dell'impresa familiare di cui all'art. 230-bis c.c., va tenuto distinto l'aspetto interno, relativo alla regolamentazione dei diritti e delle facoltà di ciascun componente del gruppo nei confronti degli altri, dall'aspetto esterno, nel quale campeggia la figura del familiare-imprenditore, il quale assume in proprio, quale effettivo gestore della impresa, i diritti e le obbligazioni nascenti dai rapporti con i terzi, e nei loro confronti risponde illimitatamente e solidalmente anche con i suoi beni personali: la distinzione tra i due aspetti non rileva, in quanto non è in discussione la legittimazione all'esercizio del diritto di prelazione sull'azienda, in caso di suo trasferimento o di divisione ereditaria ai sensi del comma 5 dell'art. 230-bis c.c., bensì la legittimazione all'esercizio dei diritti di prelazione e di riscatto da far valere nei confronti del venditore dell'immobile locato o nei confronti del terzo acquirente di esso ai sensi degli artt. 38 e 39 della l. n. 392/1978.

Questi ultimi diritti sono chiaramente ricondotti dal legislatore nel novero di quelli spettanti al conduttore dell'immobile, in collegamento immediato con questa sua specifica posizione contrattuale, ancorché condizionatamente all'esercizio da parte dello stesso di un'attività produttiva o commerciale svolta a contatto diretto con il pubblico, mentre non sono certo classificabili nell'ambito delle prerogative riservate al titolare dell'impresa familiare ed effettivo gestore dell'azienda insediata nell'immobile locato a prescindere dall'essere egli, o meno, il titolare del relativo contratto locatizio.

Il richiamo alla disciplina dettata dall'art. 230-bis c.c. può essere, d'altra parte, utile in punto di accertamento dell'interesse all'esercizio dei diritti ex artt. 38 e 39 della l. n. 392/1978 da parte del familiare compartecipe della impresa familiare: a questi sono, infatti, riconosciuti:

a) il diritto di beneficiare, proporzionatamente al lavoro svolto, oltre che agli utili dell'impresa, agli incrementi dell'azienda anche in ordine dell'avviamento;

b) il diritto di prendere parte alle decisioni inerenti, tra l'altro, alla gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell'impresa.

Laddove si considerino sia l'innegabile collegamento tra tutela dell'avviamento commerciale ed attribuzione del diritto di acquisto preferenziale in caso di vendita dell'immobile locato, sia il carattere di atto di gestione straordinaria che riveste l'acquisto stesso della proprietà dell'immobile ove viene svolta l'attività di impresa, è lecito affermare che, “in ordine alle decisioni attinenti all'esercizio del diritto di prelazione, il familiare titolare del contratto di locazione non si presenti nelle vesti di mero prestatore di attività lavorativa passivamente inserito in un'impresa facente capo ad altro familiare, quanto piuttosto in quelle di esercente di un'attività imprenditoriale svolta in collaborazione con altri e dotato a titolo personale, sia pure a vantaggio del gruppo familiare oltre che proprio, di legittimazione e di interesse ad incrementare e, comunque, ad evitare la dispersione di valori, quali la conservazione della clientela e la salvaguardia dell'avviamento, a detta attività inerenti o e per essa essenziali” (così Cass. n. 1699/1993, cit.).

L'esercizio dell'attività in forma associata

Riguardo alla questione della titolarità del diritto di prelazione nel caso di esercizio in forma associata dell'attività imprenditoriale svolta nell'immobile locato, mette punto rammentare la sopracitata pronuncia di legittimità (Cass. n. 6410/1987, cit.), con la quale si è affermato che il diritto di prelazione spetta al conduttore anche se lo stesso vi eserciti l'attività imprenditoriale come contitolare, o consocio in società di persone, con soggetti estranei alla titolarità del rapporto locativo.

Ancorché il dato testuale della norma faccia espresso cenno soltanto al singolare della figura del conduttore, quale avente diritto alla prelazione, non è necessaria l'unicità o esclusività dell'esercizio da parte del conduttore di quelle attività la cui azienda sia allocata nell'immobile, non trovando la debita riferibilità al conduttore dell'attività privilegiata dalla legge alcun apprezzabile ostacolo alla sua positiva considerazione qualora la relativa esplicazione avvenga in forma di contitolarità della correlativa impresa - assuma o no questa le forme tipiche della società di persone (cioè di centri di riferimento ed imputazione delle attività sociali non diverse dalle stesse persone dei soci) - con persone o soggetti non titolari del rapporto locativo.

In tale direzione, infatti, depone la ratio della normativa della prelazione urbana, che anima parimenti la disciplina della successione nel contratto, ex art. 37 della l. n. 392/1978, la quale, nell'ipotesi di immobile adibito all'uso di più professionisti, artigiani o commercianti, di cui uno solo sia titolare del contratto, prevede, per la morte o il recesso del titolare, la successione degli altri, privilegiando così la continuazione delle attività.

Va, tuttavia, precisato che la suddetta disciplina, che appare latamente comprensiva di attività anche autonome degli occupanti l'immobile locato, non può condurre ad un'identica considerazione anche per la prelazione in caso di vendita, trovando proprio nella sua specifica ed eccezionale previsione un limite intrinseco alla sua dilatata applicazione, specie in fattispecie di già limitative del diritto di proprietà, la cui interpretazione costituzionalmente corretta è consentita solo in termini restrittivi.

D'altro canto, ferma l'esigenza della riferibilità al titolare del contratto dell'attività per cui l'immobile viene utilizzato, non è dato rinvenire alcuno specifico segno negativo nel fatto che quelle attività trovino espressione in forme societarie o comunque di contitolarità dell'impresa con soggetti estranei al rapporto locativo, “non essendovi dubbio che, anche in tali ipotesi, l'attività privilegiata dalla legge faccia capo anche al titolare del rapporto locativo che, quale associato all'esercizio, la fa propria, così concretando, ai fini dell'esercizio della prelazione che solo a lui è spettante, il debito requisito legale” (così Cass. n. 6410/1987, cit.).

Il diritto di prelazione, in definitiva, viene meno soltanto qualora l'attività imprenditoriale sia svolta da una società, attesa, in tal caso, l'alterità tra la persona del conduttore e la titolarità dell'attività svolta nell'immobile locato (Cass. civ., sez. III, 26 ottobre 2001, n. 13291; Cass. civ., sez. III, 30 maggio 1996, n. 5009; Cass. civ., sez. III, 23 febbraio 1991, n. 1956).

La prevalenza dell'aspetto organizzativo su quello professionale

Se è vero che la prelazione non spetta nel caso di svolgimento di un'attività professionale, può accadere, però, che il suo esercizio in forma organizzata dia luogo ad un'attività imprenditoriale quando tale aspetto prevalga su quello professionale: in quest'ipotesi, si è precisato (v., tra le altre, Cass. civ., sez. III, 7 luglio 1992, n. 8291) che, ove l'immobile locato sia destinato ad attività organizzata, la qualificazione dell'attività stessa come non meramente professionale, ma commerciale, con la conseguente spettanza del diritto di prelazione dell'art. 38 della l. n. 392/1978, esige il riscontro di un'organizzazione d'impresa che non si esaurisca in un sostrato strumentale delle prestazioni personali e, correlativamente, il riscontro di un'esorbitanza di tali prestazioni dall'opera intellettuale in senso stretto, per trasmodare in coordinamento dei fattori produttivi indirizzato all'offerta di un servizio autonomamente rilevante.

Al riguardo, si è rammentato che il limite segnato negli artt. 35 e 41 della l. n. 392/1978, all'applicabilità dell'istituto della prelazione urbana agli immobili destinati all'esercizio di attività professionali, non riguarda le attività ausiliari di informazione, consulenza ed assistenza, per la convergente considerazione che esse costituiscono delle imprese di “servizi”, ossia delle imprese nelle quali i risultati dell'opera dei professionisti si presentano strumentalizzati da fattori di diversa provenienza e risultano fusi nella realizzazione di un prodotto e di un'utilità “nuova” propria dell'impresa di servizio.

Se è indubbio che l'opera del professionista possa assumere il valore di uno degli elementi di un'attività organizzata in forma d'impresa (art. 2228 c.c.), è necessario, però, affinché ciò si verifichi, che il professionista svolga, al contempo, un'assorbente e distinta attività che si contraddistingue da quella professionale per il diverso ruolo che acquista il sostrato organizzativo che cessa di essere solo strumentale, e cioè che l'apporto del professionista non risulti circoscritto alle prestazioni di opera intellettuale, ma importi una prevalente opera di organizzazione di fattori produttivi che si affiancano all'attività tecnica ai fini della produzione del servizio: la configurabilità di un'attività imprenditoriale va, quindi, correlata eziologicamente alla prevalenza dell'attività di organizzazione di fattori tecnici su quelli forniti con l'opera intellettuale dal professionista, risultando così caratterizzata dal prioritario riscontro della cessazione della funzione solo strumentale dell'apparato tecnico-organizzativo.

In quest'ottica, si presenta del tutto irrilevante, quindi, la presenza di un'organizzazione dell'attività, quale che sia la sua dimensione, in ragione della sua naturale funzione di mezzo al fine dell'opera professionale (v., altresì, Cass. civ., sez. III, 15 novembre 1998, n. 12623).

La cessione del contratto

In caso di cessione del contratto ex art. 36 della l. n. 392/1978, il diritto di prelazione spetta al cessionario, atteso che, in tale ipotesi, si determina la sostituzione di quest'ultimo nei diritti e negli obblighi del cedente, sicché l'originario conduttore risulta del tutto estraneo al rapporto locatizio che, pur restando assoggettato al medesimo regime giuridico, viene ad instaurarsi, con il consenso del locatore, direttamente tra il cessionario ed il locatore medesimo.

Ne consegue che il cessionario, quale unico conduttore del rapporto locativo e titolare di un rapporto diretto con l'azienda, ben può esercitare la prelazione ex art. 38 della l. n. 392/1978, che tutela l'interesse commerciale in atto e la continuità del relativo esercizio; ove si ritenesse diversamente, si configurerebbe una preclusione non espressamente contemplata dalla norma, risolventesi in un'ingiustificata discriminazione nei confronti di un soggetto esercente attività privilegiata (Cass. civ., sez. III, 18 marzo 2003, n. 3996).

D'altronde, la giurisprudenza ha più volte sottolineato il parallelismo tra il diritto di prelazione, attribuito al conduttore, ed il diritto di avviamento, attribuito sempre allo stesso al momento della cessazione del rapporto, ricordando che l'art. 36, ultimo comma, della l. n. 392/1978 prevede espressamente che l'indennità è attribuita a favore di colui che risulta conduttore al momento della cessazione effettiva della locazione.

Invero, entrambi gli istituti sono improntati alla ratio della tutela della conservazione dell'azienda: la prelazione facendo coincidere nello stesso soggetto la proprietà dell'immobile e la titolarità dell'azienda, mentre l'indennità di avviamento consentendo a colui che nel momento della cessazione del rapporto locatizio esercitava l'attività protetta di potere trasferirla altrove, continuandola; consegue che, per il riconoscimento del diritto di prelazione, debbano coesistere sia la qualità di conduttore sia quella di esercente l'attività economica e, quindi, non è legittimato ad esercitarla colui che, avendo ceduto l'azienda, manca di uno dei requisiti fondamentali che giustificano la prelazione.

Per contro, il cessionario del contratto di locazione e insieme dell'azienda, il quale sia subentrato all'originario conduttore dopo l'inutile scadenza del termine a quest'ultimo concesso per l'esercizio del diritto di prelazione, subisce la decadenza già verificatasi nei confronti del cedente e, quindi, non ha diritto ad una nuova denuntiatio (Cass. civ., sez. III, 3 settembre 1990, n. 9095).

In altri termini, il suddetto conduttore non ha diritto ad un nuovo termine per l'esercizio del diritto di prelazione, in quanto, per effetto della cessione del contratto, si attua una vera e propria successione a titolo particolare per atto tra vivi nel contratto stesso, con conseguente sostituzione del cessionario nell'identica posizione di diritti ed obblighi del cedente e opponibilità al cessionario, da parte del contraente ceduto, di tutte le eccezioni derivanti dal contratto, ivi compresa la decadenza già verificatasi nei confronti del cedente (Cass. civ., sez. III, 5 marzo 2009, n. 5369).

E', quindi, configurabile una successione del cessionario dell'azienda e del contratto di locazione nella stessa posizione giuridica in cui si trovava il conduttore-cedente anche con riferimento al possibile esercizio della prelazione o del riscatto; in particolare, la denuntiatio effettuata all'originario conduttore-imprenditore è efficace anche nei confronti del subentrante: una volta, cioè, che il meccanismo sia stato correttamente avviato, non occorre procedere ad una nuova comunicazione al cessionario che subentra nella posizione del suo dante causa, caratterizzata dalla presenza della denuntiatio.

Riassumendo: se i termini per esercitare la prelazione sono scaduti, il subentrante sarà succeduto in una posizione di diritto non esercitato; se non sono scaduti, potrà esercitarla egli stesso; e, infine, se la vendita avverrà a condizioni diverse da quelle comunicate, potrà agire in retratto.

Si è, inoltre, affermato che, qualora nel periodo intermedio tra la denuntiatio e la trascrizione della compravendita stipulata dal locatore con il terzo, il conduttore ceda il contratto di locazione ad altri con la contestuale cessione o locazione dell'azienda, il diritto di riscatto spetta al precedente conduttore, quale “avente diritto alla prelazione”, e non al conduttore subentrato, che tale diritto non aveva (Cass. civ., sez. III, 4 maggio 1989, n. 2073).

Diverso è il caso (analizzato da Trib. Roma 2 febbraio 1990) in cui la cessione intervenga in pendenza del termine per l'esercizio della prelazione, poiché qui è configurabile una successione del cessionario dell'azienda e del contratto di locazione nella stessa posizione giuridica in cui si trovava il conduttore-cedente, anche con riferimento al possibile esercizio della prelazione, sicché la denuntiatio, effettuata all'originario conduttore, è efficace anche nei confronti del cessionario, senza che occorra procedere ad una nuova comunicazione a quest'ultimo.

La sublocazione dell'immobile

Parimenti, si è concordemente ritenuto in giurisprudenza - salvo le precisazioni di cui appresso - che il diritto di prelazione spetti al subconduttore, e non al conduttore-sublocatore, atteso che quest'ultimo, non esercitando più nell'immobile l'attività commerciale tutelata dal legislatore, è oramai un mero intermediario nel rapporto locativo.

Muovendo dalla mancanza di un dato letterale univoco da cui trarre la soluzione al quesito relativo all'applicabilità della prelazione al subconduttore, è stata, in proposito, ritenuta risolutiva, sempre nell'ottica dell'ampliamento dell'àmbito di operatività della prelazione e di un'interpretazione estensiva del termine “conduttore”, la valutazione della ratio delle norme relative al diritto di prelazione.

Al riguardo, si è richiamato l'orientamento della Corte Costituzionale (v. le citate Corte Cost. n. 128/1983 e Corte Cost. n. 300/1983), secondo cui scopo delle disposizioni di cui trattasi, oltre di quelle attinenti all'indennità di avviamento, è la conservazione anche nel pubblico interesse, delle imprese considerate, tutelate mediante il mantenimento della clientela, che costituisce una componente essenziale dell'avviamento commerciale; l'incidenza di tale ragione giustificatrice consente di affermare che la prelazione compete a colui che effettivamente svolge nell'immobile locato l'impresa, la quale trova la fonte prevalente dell'avviamento nel contatto diretto con il pubblico degli utenti e dei consumatori in un determinato luogo, sicché, nel caso di sublocazione, la prelazione può spettare anche al subconduttore, che viene, quindi, ad essere compreso nell'ampia previsione normativa.

Del resto, la medesima ragione giustificatrice è stata tenuta presente dal Supremo Collegio riguardo all'indennità per la perdita dell'avviamento, stabilendo che, nel caso di sublocazione, l'indennità spetta esclusivamente al subconduttore (Cass. civ., sez. III, 14 aprile 1986, n. 2617); per la connessione - evidenziata dai magistrati della Consulta - tra i due istituti dell'indennità di avviamento e della prelazione, deve dunque anche per quest'ultima pervenirsi alla conclusione che essa possa spettare al subconduttore (Cass. civ., sez. III, 20 febbraio 1990, n. 1261).

Si è, tuttavia, puntualizzatoche, nel sistema della legge, la prelazione può operare in favore del subconduttore solo quando il conduttore non abbia più alcun interesse nella gestione dell'azienda per averla definitivamente ceduta al primo e quando il subconduttore abbia assunto legittimamente tale qualifica secondo la disciplina vigente all'epoca del subentro mediante regolare comunicazione al locatore.

Viene in considerazione, innanzitutto, la duplice ipotesi - espressa nel paradigma dell'art. 36 - della sublocazione dell'immobile realizzata unitamente alla cessione dell'azienda e della sublocazione realizzata unitamente all'affitto dell'azienda: in quest'ultimo caso, deve riconoscersi al conduttore il diritto di prelazione, poiché egli rimane proprietario dell'azienda e, alla cessazione dell'affitto, riacquista la disponibilità di essa e, quindi, il relativo avviamento, mentre, con la cessione dell'azienda, il diritto di prelazione non può essere riconosciuto al conduttore nei cui confronti non opera più la tutela normativa che, invece, spetta al subconduttore (Così Cass. n. 1261/1990, cit.).

Risulta, inoltre, essenziale, ai fini dell'operatività della prelazione in favore del subconduttore, che questi abbia assunto legittimamente tale qualifica con la regolare comunicazione al locatore (Cass. civ., sez. III, 10 luglio 1997, n. 6271; Cass. civ., sez. III, 24 gennaio 1994, n. 692; Cass. civ., sez. III, 23 febbraio 1991, n. 1956).

Il fallimento del conduttore

È stato, altresì, escluso (Trib. Milano 24 gennaio 1984) che la prelazione spetti al conduttore fallito o, in sostituzione di questo, al curatore del fallimento, considerando che l'uno perde la capacità di agire in ordine ai rapporti caduti nel fallimento e l'altro opera in vista della liquidazione del compendio fallimentare in funzione della soddisfazione dei creditori.

Invero, a partire dalla data di dichiarazione di fallimento, il conduttore ha perso il potere di disposizione sui beni propri e rapporti giuridici, e il locatore, volendo alienare l'immobile, non può ritenersi tenuto ad inviare al fallito, che aveva perso la capacità di agire, la comunicazione di cui all'art. 38 della l. n. 392/1978; e neppure lo stesso locatore può ritenersi tenuto ad inviarla al curatore del fallimento, stante che il diritto di prelazione e successivo riscatto ex artt. 38 e 39 è finalizzato alla tutela dell'esercizio dell'attività che viene svolta nell'immobile e non assolve certo a questo scopo quando l'attività economica è in liquidazione al fine di soddisfare concorsualmente i creditori, per quanto possibile, attraverso la procedura di cui al r.d. n. 267/1942 (per la nuova disciplina, v. attualmente il d.lgs. n. 14/2019, “Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza”).

Il fatto, poi, che non vi sia un'espressa esclusione del diritto di cui all'art. 38 - come avviene, invece, per quello di cui all'art. 40 per il conduttore fallito - non è indicativo di una diversa volontà della legge di mantenere il diritto di prelazione e riscatto sulla vendita dell'immobile condotto in locazione dal fallito, data l'evidente inconciliabilità del fine della tutela dell'attività degli artt. 38 e 39 con la cessazione dell'attività stessa.

La Pubblica Amministrazione conduttrice

Sulla base del combinato disposto degli artt. 35, 41 e 42 della l. n. 392/1978, deve ritenersi che non spetti il diritto di prelazione e riscatto di cui agli artt. 38 e 39 con riferimento ai rapporti nei quali sia conduttrice la Pubblica Amministrazione (o altri enti pubblici territoriali), a prescindere dal fatto che l'attività svolta nell'immobile locato comporti o meno contatti diretti con il pubblico degli utenti.

Invero, in forza dell'art. 42, alle locazioni con la Pubblica Amministrazione si applica - fra gli altri - l'art. 41, e quest'ultima disposizione, al comma 2, nega il diritto di prelazione per le locazioni di cui all'art. 35, il quale, a sua volta, esclude l'indennità di avviamento per le locazioni relative ad immobili utilizzati per lo svolgimento di attività che non comportino contratti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori.

La tesi secondo cui, dai suddetti rinvii, dovrebbe desumersi che la prelazione per le locazioni con la Pubblica Amministrazione resterebbe esclusa soltanto se manchi il rapporto con il pubblico degli utenti e dei consumatori, è apparsa infondata (secondo il parere di Cass. civ., sez. III, 2 marzo 1990, n. 1661) per le seguenti ragioni: a) il limite posto dalla disposizione dell'art. 35 opera all'interno della categoria delle locazioni di immobili di cui al precedente art. 27 (industriali, commerciali, artigianali, turistiche ecc.) ed è, quindi, incongruo applicarlo alle locazioni con la Pubblica Amministrazione in genere, che hanno tutt'altra destinazione;

b) di conseguenza, il rinvio operato dall'art. 42, comma 2 (inapplicabilità della prelazione alle locazioni ex art. 35) può significare soltanto che, alle locazioni con la Pubblica Amministrazione, non si applica in nessun caso il diritto di prelazione.

La pluralità di conduttori

L'art. 38 della l. n. 392/1978, ai commi 5, 6 e 7, detta una disciplina particolare nell'ipotesi che l'immobile locato abbia più di un conduttore, atteso che:

a) la comunicazione di cui al comma 1 deve essere effettuata a ciascuno di essi;

b) il diritto di prelazione può essere esercitato congiuntamente da tutti i conduttori, o, qualora taluno vi rinunci, dai rimanenti o dal rimanente conduttore;

c) l'avente titolo che, entro trenta giorni dalla notificazione di cui al comma 1, non abbia comunicato agli altri aventi diritto la sua intenzione di avvalersi della prelazione, si considera aver rinunciato alla prelazione medesima.

Ad avviso della migliore dottrina, tale disciplina è applicabile sia ad un rapporto originariamente costituitosi con più conduttori, sia a quello in cui questi ultimi siano subentrati al conduttore originario per cessione o per successione; altri non condividono la tesi secondo cui sarebbe sufficiente a far sorgere l'obbligo di cui sopra la presenza di più conduttori di fatto aventi diritto alla successione in caso di morte o di recesso del titolare del contratto ai sensi dell'art. 37, commi 3 e 4, della l. n. 392/1978: la lettera dell'artt. 38 comma 5, difatti, non consente tale soluzione, ivi parlandosi di immobile che deve “risultare” locato a più persone; inoltre, non si vede come potrebbe il locatore essere costretto a fare la comunicazione ai conduttori di fatto, di cui, proprio perché tali, sino a quel momento egli ignora persino l'esistenza.

È, comunque, pacifico che il termine per l'esercizio della prelazione decorra dall'ultima notifica effettuata ai singoli aventi diritto, mentre ciascuno di essi deve effettuare la comunicazione rivolta agli altri conduttori entro il termine computato a partire dalla notifica ricevuta, restando intesi che quest'ultima comunicazione, da conduttore a conduttore, non è assoggettata a formalità, sicché è da escludere la necessità della notifica a mezzo di ufficiale giudiziario e finanche l'uso della forma scritta.

Per altro verso, date le drastiche conseguenze dell'omessa comunicazione, e cioè l'insorgere di una presunzione iuris et de iure di rinuncia, sarà onere di ciascun interessato fare in modo che la comunicazione abbia il massimo di certezza di data.

La prelazione può essere esercitata congiuntamente, cioè mediante un unico atto risalente a tutti i conduttori, ma anche con singoli atti separati, nel rispetto del termine previsto.

La disposizione sulla presunzione di rinuncia per il decorso del termine di cui all'art. 38 comma 7, è posta a tutela dei conduttori, sicché nulla può eccepire il locatore se essi consentano l'esercizio della prelazione al conduttore che abbia omesso la comunicazione tempestiva.

In conclusione

Per completezza, si osserva che il diritto di prelazione del conduttore sussiste ogni qual volta la vendita avvenga in costanza di locazione, quantunque in esecuzione di un preliminare di vendita stipulato prima della locazione: in tal senso, si è affermato (Cass. civ., sez. III, 21 maggio 2014, n. 11247; Cass. civ., sez. III, 31 marzo 2008, n. 8288; Cass. civ., sez. III, 1° settembre 1999, n. 9197) che il contratto preliminare di vendita stipulato prima della locazione con un soggetto a questa estraneo non è idoneo a sopprimere il diritto di prelazione derivante al conduttore dal rapporto locativo successivamente venuto ad esistenza.

D'altronde, è vero che il contratto preliminare non produce, di per sé, l'effetto immediato di trasferire la proprietà - effetto, appunto, rinviato ad un'ulteriore necessaria manifestazione di volontà - ma è altrettanto vero che l'avvenuta stipula del preliminare con altro soggetto integra una chiara manifestazione, da parte del locatore, dell'intento di vendere, con inevitabile insorgenza, a suo carico, dell'obbligo di comunicazione contemplato dall'art. 38, e ciò anche se il contratto definitivo debba essere stipulato in data successiva alla cessazione del rapporto locativo.

In senso contrario, ossia per l'insussistenza del diritto di prelazione vantato dal conduttore - costituente presupposto imprescindibile della dedotta responsabilità del locatore e del terzo acquirente - si era sostenuto (sull'abbrivio di Cass. civ., sez. III, 19 maggio 1990, n. 4516) che la struttura della norma dellart. 38 presupponeva necessariamente l'attualità del rapporto locativo; tuttavia, qualora il preliminare sia stato stipulato nella vigenza della citata legge, l'art. 38 conferisce al conduttore il diritto di prelazione, che non è eludibile da un negozio avente effetti obbligatori soltanto tra gli stipulanti e che, pertanto, non è opponibile al medesimo conduttore.

Invero, la ratio legis della normaconsiste nella salvaguardia dell'interesse, che ha riflessi di indubbia natura pubblicistica, a garantire la prosecuzione dell'attività svolta nell'immobile locato per tutto il tempo del rapporto locativo, sicché, riguardo al trasferimento in proprietà del bene durante il rapporto di locazione, l'interesse del conduttore a divenirne proprietario prevale sull'interesse del terzo, promissario acquirente; del resto, il promittente venditore di bene non locato può ben evitare l'insorgenza del diritto di prelazione ex art. 38, astenendosi dal concedere il bene in locazione, ma, una volta che sia sorto tale rapporto, a nulla rileva l'avvenuta stipula del preliminare, dovendosi aver riguardo all'effettivo trasferimento dell'immobile nel corso della locazione.

Riferimenti

Di Marzio, Commento all'art. 38 della l. n. 392/1978, in Codice delle locazioni diretto da Celeste, Milano, 2020, 666;

Pellegrino, Il conflitto tra la prelazione a favore degli Enti pubblici e la prelazione a favore del conduttore, in Rass. loc. e cond., 2006, 380;

Jacopi, Inapplicabilità della prelazione urbana al conduttore professionista, in Notariato, 2000, 537;

Guida, Escluso il diritto all'indennità di avviamento e alla prelazione per il conduttore di fatto, in Rass. loc. e cond., 1998, 25;

De Tilla, Prelazione ed avviamento commerciale: diritti del subconduttore, in Riv. giur. edil., 1994, I, 735;

Panzani, Prelazione del conduttore e concordato preventivo, in Fallimento, 1994, 812;

De Nictolis, Questioni in tema di prelazione ex art. 38 l. n. 392 del 1978 e di cessione della locazione, in Rass. equo canone, 1991, 66;

Izzo, Prelazione legale e cessione della locazione, in Giust. civ., 1990, I, 1626;

Triola, Sublocazione e prelazione, in Giust. civ., 1990, I, 1226;

Cappabianca, Legittimazione del subconduttore all'esercizio del diritto di prelazione, in Corr. giur., 1990, 927;

Marchio, Prelazione del conduttore e vendita fallimentare, in Fallimento, 1987, 561.

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