La buona fede e la correttezza del debitore nell’accesso al concordato semplificato

09 Luglio 2024

Lo scritto si occupa di definire i concetti di “correttezza e buona fede nelle trattative”, che ai sensi dell’art. 25-sexies formano il primo presupposto per l’accesso al concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio. In quest’ottica, viene chiarito il tipo di controllo che il tribunale deve svolgere sulla relazione finale dell’esperto. Vengono infine esposti gli orientamenti assunti sul punto dalla giurisprudenza.

Il concetto di buona fede e correttezza delle parti in generale e nella composizione negoziata

In tutti gli istituti del nuovo diritto della crisi aventi natura negoziale vige il principio generale della conduzione delle trattative con i creditori e con i soggetti comunque interessati e della proposizione degli strumenti secondo i canoni della buona fede oggettiva e della correttezza (art. 4 c.c.i.i.). Essi costituiscono la “massima espressione del criterio di ragionevolezza nel diritto delle obbligazioni” e si concretizzano specificamente in condotte attive sia del debitore che dei creditori [così F. Di Marzio, Diritto dell'insolvenza, Milano, 2023, 149; cfr. anche F. Lamanna, Il Codice della crisi e dell'insolvenza dopo il secondo Correttivo, Milano, 2022, 86 ss. e 173 s., il quale evoca “una sorta di sotto-codice etico della crisi (gli artt. 3-4)”].

Limitando il discorso ai soli doveri del debitore nelle trattative durante la fase della composizione negoziata della crisi – poiché è lui, poi, a presentare la domanda giudiziale di concordato semplificato per la liquidazione del proprio patrimonio (si v. ancora F. Di Marzio, op. cit., 650) –, egli deve aver seguito le negoziazioni secondo correttezza e buona fede, pur senza riuscire a pervenire ad una delle soluzioni elencate nell'art. 23 commi 1 e 2, lett. b), c.c.i.i. E tale esito dev'essere dichiarato dall'esperto nella relazione finale di cui all'art. 17 comma 8 (art. 25-sexies c.c.i.i.).

Ma come si deve intendere l'endiadi “correttezza e buona fede” nelle trattative?

I concetti vengono ritenuti sostanzialmente sovrapponibili tra loro [(cfr., per tutti, U. Breccia, Clausole generali (buona fede, buon costume, diligenza, ordine pubblico), in Diritto civile, a cura di S. Martuccelli e V. Pescatore, Milano, 2011, 253, il quale considera i due termini come sinonimi e così anche l'opinione “ormai unanime e costante”. Per C.M. Bianca, La nozione di buona fede quale regola di comportamento contrattuale, in Riv. dir. civ., 1983, I, 205 ss., il canone di lealtà “si concretizza in tre principali comportamenti negativi, e cioè il non suscitare intenzionalmente falsi affidamenti, il non speculare su falsi affidamenti e, ancora, non contestare ragionevoli affidamenti comunque ingenerati nell'altra parte”, cosicché buona fede e lealtà presentano in definitiva contenuti simili e impongono comportamenti analoghi. In giurispr. si v., da ultimo, Cass. civ., sez. III, 14 marzo 2024, n. 6930, secondo cui la “clausola generale di buona fede oggettiva o correttezza ex artt. 1175 cod. civ. (cfr. Cass., 20 agosto 2015, n. 16990; Cass., 2 ottobre 2012, n. 16754; Cass., 11 maggio 2009, n. 10741), oltre che regola (artt. 1337,1358,1375 e 1460 c.c.) di comportamento, quale dovere di solidarietà, fondato sull'art. 2 Cost. (Cass., 6 maggio 2020, n. 8495; Cass., 10 novembre 2010, n. 22819; Cass., 22 gennaio 2009, n. 1618; Cass., sez. U, 25 novembre 2008, 28056), che trova applicazione a prescindere dalla sussistenza di specifici obblighi contrattuali, là dove impone di compiere quanto necessario o utile a salvaguardare gli interessi della controparte, nei limiti dell'apprezzabile sacrificio, che non si sostanzi cioè in attività gravose o eccezionali o tali da comportare notevoli rischi o rilevanti sacrifici (Cass., 30 marzo 2005, n. 6735; Cass., 9 febbraio 2004, n. 2422), si specifica in particolare nel significato di lealtà, sostanziantesi nel non suscitare falsi affidamenti e non speculare su di essi, come pure nel non contestare ragionevoli affidamenti comunque ingenerati nella controparte (Cass., 6 maggio 2015, n. 9006; Cass., 23 ottobre 2014, n. 22513; Cass., 25 maggio 2007, n. 12235; Cass., 20 maggio 2004, n. 9628)”].

Essi vengono distinti, però, dalla nozione di diligenzaex art. 1176 c.c., in quanto si riferiscono ad attività che non sono, di per sé, necessarie per lo stretto adempimento di una prestazione, ma che sono imposte per tutelare altri interessi rilevanti comunque connessi all'obbligazione (F. Di Ciommo, Efficienza allocativa e teoria giuridica del contratto, Torino, 2012, 151 ss., il quale dimostra l'efficienza sul piano economico della soluzione prescelta dal legislatore di avvalersi della clausola generale in parola, che permette al giudice di sindacare la liceità del comportamento delle parti e accordare tutela all'interesse leso dall'esercizio abusivo dell'autonomia negoziale).

Dette clausole generali nella composizione della crisi sembrano corrispondere a quelle contenute negli artt. 1175,1337,1375 c.c. Tuttavia, in un contesto di obbligazioni rimaste (almeno parzialmente) inadempiute da parte del debitore, buona fede e correttezza assumono una connotazione peculiare, giacché il debitore, essendo in crisi, propone una diversa conformazione dei propri obblighi e un rinnovato adempimento di essi attraverso il piano di risanamento posto a base della composizione negoziata.

Esse attengono, quindi, tanto alla fase esecutiva dell'obbligazione (inadempiuta) quanto a quella precedente la (auspicata) formazione del negozio novativo.

Ma soprattutto quelle stesse clausole generali vengono oggi finalmente declinate in maniera espressa e dettagliata in due disposizioni fondamentali, gli artt. 4 e 16 commi 4-6, c.c.i.i., dedicate, la prima quale principio generale, a tutte le parti coinvolte nella composizione negoziata della crisi e/o nei procedimenti per l'accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza previsti dal codice, e la seconda soltanto alla composizione negoziata (la bozza del decreto correttivo-ter al c.c.i.i., approvata dal Consiglio dei Ministri, con successivo invio per i pareri alle commissioni competenti, aggiunge ai debitori e creditori “tutti i soggetti interessati alla regolazione della crisi e dell'insolvenza”, quali destinatari degli obblighi di comportarsi secondo buona fede e correttezza, nonché di “collaborare lealmente con il debitore, con l'esperto nella composizione negoziata e con gli organi nominati dall'autorità giudiziaria e amministrativa e di rispettare l'obbligo di riservatezza sulla situazione del debitore, sulle iniziative da questi assunte e sulle informazioni acquisite”).

In ciò si coglie la nuova concezione della correttezza e buona fede, che qui attengono tanto alla fase delle trattative (artt. 1337 c.c., artt. 4 e art. 16 c.c.i.i.) in funzione della proposta novazione contrattuale, quanto alla fase esecutiva dell'adempimento (exartt. 1175 e 1375 c.c. e 21 c.c.i.i.), ambedue le fasi riguardanti anche i creditori (artt. 1206 c.c. e 4 comma 4, e 16 commi 5 e 6, c.c.i.i.) (per quanto concerne i creditori bancari e finanziari la predetta bozza di decreto correttivo prevede all'art. 16 comma 5, c.c.i.i. che la notizia dell'accesso alla composizione negoziata non costituisca “ragione di una diversa classificazione del credito. Nel corso della composizione negoziata la classificazione del credito è determinata tenuto conto di quanto previsto dal progetto di piano rappresentato ai creditori e della disciplina di vigilanza prudenziale, senza che rilevi il solo fatto che l'imprenditore abbia fatto accesso alla composizione negoziata. L'eventuale sospensione o revoca delle linee di credito determinate dalla applicazione della disciplina di vigilanza prudenziale deve essere comunicata agli organi di amministrazione e controllo dell'impresa, dando conto delle ragioni specifiche della decisione assunta. La prosecuzione del rapporto non è di per sé motivo di responsabilità della banca e dell'intermediario finanziario”).

Il moderno diritto della crisi d'impresa ha, dunque, introdotto istituti innovativi, a cominciare proprio dal “percorso” di composizione negoziata, che si avvalgono di alcune categorie e clausole generali del diritto dei contratti: “dalla ragionevolezza (art. 12) per la generale prospettiva del risanamento dell'impresa, alla buona fede e la correttezza (art. 4), per lo svolgimento delle trattative; all'intervento di un soggetto terzo, per il ruolo dell'esperto indipendente, nel tentativo di trovare una soluzione, rispetto alle parti contraenti, come accade nel fenomeno dell'incompletezza contrattuale; al richiamo all'equità come misura al cui parametro ricondurre la dimensione dello scambio alterato dalla sopravvenienza” (E. Gabrielli, Studi sul concorso dei creditori, in Quaderni riv. dir. priv., Bari, 2023, 90). L'illustre civilista evidenzia, più in generale, come con il nuovo codice la consolidata categoria ordinante dell'autonomia privata non possa più trovare pieno significato all'interno della crisi d'impresa, alla luce di un così variegato insieme di figure e di istituti, con il loro connesso complesso di discipline; pur in presenza di un'omogenea funzione negoziale di superamento della crisi, ogni strumento di regolazione di essa necessita delle opportune distinzioni in ragione delle specificità di ciascuna disciplina e non sembra potersi più ravvisare un assoluto potere di autodeterminazione e autoregolamento dei propri interessi ad opera dei privati. Occorre perlopiù una mediazione di un terzo (l'esperto) ovvero, nelle procedure, l'intervento giudiziale, in grado persino di piegare la maggioranza contraria (E. Gabrielli, op cit., 100).

Resta solido, per converso, l'obbligo civilistico di reciproca lealtà delle parti che informa ogni fase del rapporto negoziale, dalle trattative alla sua esecuzione, nel limite in cui ciò non determini un loro ingiustificato detrimento (si v. la giurisprudenza citata in nota 3. Per Cass. civ., sez. III, 10 marzo 2021, n. 6582, la violazione degli obblighi di buona fede e correttezza nell'esecuzione del contratto, i quali impongono a ciascuna delle parti di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra nella misura in cui essi non comportino un apprezzabile sacrificio a suo carico, determina il sorgere di una responsabilità di natura contrattuale in capo alla parte inadempiente. V. altresì Cass. civ., sez. III, 2 aprile 2021, n. 9200; Cass. civ., sez. III, 28 aprile 2022, n. 13342). “Questa responsabilizzazione del creditore nel rapporto obbligatorio trova riscontro, e si accentua, nel momento in cui il debitore-imprenditore entra in crisi. In tal caso, si attivano, infatti, istituti finalizzati a contenere comportamenti dannosi non solo dell'imprenditore, ma anche dei creditori tali da erodere la garanzia patrimoniale generica del debitore o violare ingiustificatamente il principio della par condicio creditorum” (D. Lenzi, I doveri dei creditori nella crisi d'impresa, Milano, 2022, 207, la quale sottolinea come proprio il dovere di buona fede permetta di evitare che la discrezionalità esercitata dal creditore si trasformi in arbitrio).

A fronte di chiare disposizioni normative gli obblighi delle parti diventano precisi e ineludibili; anche nella composizione negoziata della crisi il debitore(artt. 4 comma 2 e 21 c.c.i.i.) ha il dovere – discendente dalle esigenze basilari di informazione e trasparenza – di:

a) illustrare la propria situazione in modo completo, veritiero e trasparente, fornendo tutte le informazioni necessarie rispetto alle trattative avviate;

b) assumere tempestivamente le iniziative idonee all'individuazione delle soluzioni per il superamento delle condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario e alla rapida definizione dello strumento di regolazione della crisi prescelto (obbligo stabilito anche negli artt. 3 c.c.i.i. e 2086 c.c.);

c) gestire il patrimonio o l'impresa durante i procedimenti nell'interesse prevalente dei creditori.

I creditori, invece, dovranno collaborare lealmente e in modo sollecito con il debitore, con l'esperto nella composizione negoziata della crisi (dando risposte tempestive e motivate) e con gli organi nominati dall'autorità giudiziaria, oltre a partecipare alle trattative in modo attivo e informato e a rispettare l'obbligo di riservatezza sulla situazione del debitore (art. 4 comma 4, e 16 commi 5-6, c.c.i.i.).

Vista l'esplicitazione e la specificazione dei doveri delle parti, a questo punto è consequenziale affermare che l'eventuale violazione di essi comporti per il trasgressore, che cagioni un diretto pregiudizio alla o alle controparti, l'obbligo di risarcire il danno (Per G. Vettori, Buona fede, abuso e inesigibilità del credito, in AA.VV. La responsabilità patrimoniale “sostenibile”, Torino, 2023, 146 ss. il dovere di correttezza è configurato come “autonomo e precettivo, talmente radicato da non tollerare smentite” e, al termine di un ragionamento di tipo sillogistico, giunge ad ipotizzare un risarcimento per la condotta abusiva e la violazione di un affidamento legittimo) nella misura determinata dal mancato guadagno (per i creditori o i terzi interessati) o dal minor esborso che sarebbe stato ipotizzabile (per il debitore). E la natura di siffatta responsabilità sarebbe di tipo contrattuale, dal momento che l'assoggettamento all'imperativo di buona fede/correttezza trasforma una mera relazione in un rapporto costellato ex lege da obblighi specifici per ciascun destinatario [V. Cass. civ., sez. I, 2 luglio 2020, n.13597, che richiama “l'insegnamento delle sezioni unite di questa Corte per cui "la responsabilità nella quale incorre "il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta" (art. 1218 c.c.) può dirsi contrattuale non soltanto nel caso in cui l'obbligo di prestazione derivi propriamente da un contratto, nell'accezione che ne dà il successivo art. 1321 c.c., ma anche in ogni altra ipotesi in cui essa dipenda dall'inesatto adempimento di un'obbligazione preesistente, quale che ne sia la fonte", potendo "discendere anche dalla violazione di obblighi nascenti da situazioni (non già di contratto, bensì) di semplice "contatto sociale", ogni qual volta l'ordinamento imponga ad un soggetto di tenere, in tali situazioni, un determinato comportamento". In altri termini, "la distinzione tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale sta essenzialmente nel fatto che quest'ultima consegue dalla violazione di un dovere primario di non ledere ingiustamente la sfera di interessi altrui, onde essa nasce con la stessa obbligazione risarcitoria, laddove quella contrattuale presuppone l'inadempimento di uno specifico obbligo giuridico già preesistente e volontariamente assunto nei confronti di un determinato soggetto (o di una determinata cerchia di soggetti)". 6.2. Anche la categoria delle "obbligazioni ex lege" (da taluno ricondotta agli "altri atti o fatti idonei" a produrre obbligazioni in conformità dell'ordinamento giuridico, cui allude lo stesso art. 1173 c.c.) è soggetta a un regime che non si discosta da quello delle obbligazioni contrattuali in senso stretto”]. 

I presupposti e le condizioni per l'accesso al concordato semplificato

Va premesso che, dal punto di vista soggettivo, legittimati ad accedere al concordato semplificato sono gli imprenditori che abbiano tentato invano la composizione negoziata della crisi e, segnatamente, gli imprenditori commerciali e agricoli, anche “sotto soglia” – vale a dire che presentino i requisiti di cui all'art. 25-quater c.c.i.i., tra i quali è implicita l'iscrizione al registro delle imprese (v. artt. 13 e 17 c.c.i.i.) –, mentre sotto il profilo oggettivo occorre che permangano ancora quelle “condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l'insolvenza” (art. 12 c.c.i.i.), ed anzi che si siano aggravate non essendo state superate con il piano di risanamento proposto ai creditori nella composizione negoziata della crisi (A. Piccolo, in Commentario breve alle leggi su crisi d'impresa ed insolvenza, a cura di A. Maffei Alberti, Milano, 2023, sub art. 25-sexies, 169 e 171); con la conseguenza che la risanabilità dell'impresa non assume più rilievo alcuno, dovendosi procedere alla sua liquidazione.

Risulta, pertanto, notevolmente ampia la platea delle categorie e dei soggetti potenzialmente ammessi ad usufruire dello strumento in parola.

Entro 60 giorni  (il termine ha natura decadenziale) dalla comunicazione della relazione finale dell'esperto ex art. 17 comma 8, c.c.i.i. (che la bozza di decreto correttivo ora precisa debba essere redatta “senza indugio e comunque entro venti giorni” dalla conclusione dell'incarico) l'imprenditore-debitore può presentare la proposta di concordato per cessione dei beni, unitamente al piano di liquidazione e ai documenti indicati nell'art. 39 c.c.i.i. (anche qui la bozza di decreto correttivo inserisce all'art. 25-sexies, comma 1, ult. per., un elemento nuovo, importato dall'art. 84 comma 5, c.c.i.i. al fine di poter degradare al chirografo i crediti privilegiati incapienti, vale a dire la relazione di stima sul valore “di liquidazione dei beni o dei diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, al netto del presumibile ammontare delle spese di procedura inerenti al bene o diritto e della quota parte delle spese generali, attestato da professionista indipendente”), purché l'esperto nella sua relazione dichiari A) che le trattative si sono svolte secondo correttezza e buona fede, e B) che le soluzioni individuate ai sensi dell'art. 23, commi 1 e 2, lett. b), non sono praticabili.

La bozza di decreto correttivo ha espunto il riferimento generico al fatto che le trattative “non abbiano avuto esito positivo” – in quanto suscettibile di varie interpretazioni – e ha chiarito che il concordato semplificato sarà ammissibile qualora uno qualunque degli esiti previsti nell'art. 23 c.c.i.i. non sia risultato praticabile: oltre a quelli, già noti, contemplati nell'art. 23 comma 1 – a) un contratto, con uno o più creditori oppure con una o più parti interessate all'operazione di risanamento, che produce gli effetti di cui all'art. 25-bis comma 1, se, secondo la relazione dell'esperto di cui all'art. 17 comma 8, è idoneo ad assicurare la continuità aziendale per almeno due anni; b) la convenzione di moratoria (art. 62); c) un accordo sottoscritto dall'imprenditore, dai creditori aderenti e dall'esperto che produce gli effetti di cui agli artt. 166, comma 3, lett. d), e 324 c.c.i.i.) –, anche gli eventuali:

a) piani attestati di risanamento di cui all'art. 56 [l'introduzione con il correttivo della possibilità di esperire lo strumento di regolazione della crisi rappresentato dal piano attestato di risanamento, quale soluzione preclusiva del concordato semplificato darà adito, con ogni probabilità, a plurime controversie (anche giudiziali), atteso che la valutazione sulla percorribilità di un siffatto strumento appare oltremodo soggettiva: chi stabilisce se un piano di risanamento, in un dato contesto – successivo alla chiusura della composizione negoziata della crisi senza accordi ex art. 23 comma 1, c.c.i.i. –, fosse concretamente realizzabile?];

b) accordi di ristrutturazione dei debiti ai sensi degli artt. 57, 60 e 61 (con percentuale, nel caso di AdR ad efficacia estesa, ridotta al 60% dei creditori aderenti se il raggiungimento dell'accordo risulta dalla relazione finale dell'esperto o se la domanda di omologazione dell'AdR è proposta nei 60 giorni successivi alla relazione finale dell'esperto).

Com'è facilmente intuibile, le soluzioni di cui all'art. 23 comma 2 affollano di incognite il percorso di rapida soluzione della crisi e lo allungano non di poco.

Eppure, l'obiettivo con il quale il concordato semplificato era stato pensato nel 2021 e confermato nel 2022 era (ed è) quello di apprestare una procedura snella che il debitore-imprenditore può utilizzare solo quando, preso atto dell'impossibilità di un accordo con i creditori o comunque di trovare altre soluzioni concordate, rimane quale unica via percorribile quella della liquidazione del patrimonio (Cfr. G. Bozza, Il “concordato semplificato” introdotto dal d.l. n. 118 del 2021, convertito, con modifiche, dalla l. n. 147 del 2021, in fallimentiesocieta.it, 8).

Nella prospettiva gius-economica è stato osservato che il concordato semplificato costituisce un incentivo all'accesso alla composizione negoziata (v. A. Nigro – D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, Bologna, 2023, 38 e 112, i quali ricordano come una delle principali direttive della legge delega di riforma n. 155/2017 fosse quella di semplificare, razionalizzare e modernizzare la disciplina delle procedure concorsuali) tanto per il debitore quanto per i creditori, i quali dovrebbero rifuggire con ogni mezzo tale epilogo per non ritrovarsi il più delle volte con pagamenti davvero irrisori.    

Le ulteriori condizioni di ammissibilità del concordato in discorso – oggi compendiata nella più immediata valutazione di “ritualità” da parte del tribunale (comma 3) – sono enunciate nel comma 5 dell'art. 25-sexies:

  1. l'assenza di pregiudizio per i creditori rispetto all'alternativa della liquidazione giudiziale e
  2. un'utilità da “assicurare” a ciascun creditore.

Non è questa la sede per illustrare il significato e l'importanza del cambiamento di paradigma (sul tema la letteratura è divenuta subito sterminata; qualunque manuale o monografia, al quale si rinvia, espone adeguatamente il concetto) voluto dal legislatore UE con la direttiva 2019/1023, in virtù della quale (artt. 14 par. 1 e 10 par. 2, lett. d) “L'autorità giudiziaria o amministrativa adotta una decisione sulla valutazione dell'impresa del debitore solo qualora il piano di ristrutturazione sia contestato da una parte interessata dissenziente per: a) una presunta violazione della verifica del migliore soddisfacimento dei creditori […] e tale verifica comporta (art. 2, par. 1, n. 6) “che nessun creditore dissenziente uscirà dal piano di ristrutturazione svantaggiato rispetto a come uscirebbe in caso di liquidazione se fosse applicato il normale grado di priorità di liquidazione a norma del diritto nazionale, sia essa una liquidazione per settori o una vendita dell'impresa in regime di continuità aziendale”.

Quanto all'utilità da garantire a ciascun creditore, essa potrebbe coincidere – pur nella più sintetica definizione normativa – con l'analogo requisito prescritto dall'art. 84 comma 3, c.c.i.i. per il concordato preventivo in continuità, ossia “un'utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile, che può consistere anche nella prosecuzione o rinnovazione di rapporti contrattuali con il debitore o con il suo avente causa” [per S. Leuzzi, Il concordato semplificato nel prisma delle prime applicazioni, in dirittodellacrisi.it, 19 maggio 2023, § 5, “è l'utilità economicamente valutabile dell'art. 84, comma 3, c.c.i.i. (e già dell'art. 161, comma 2, lett. e) o l'utilità tout court dell'art. 25-sexies, comma 5, c.c.i.i.”; per G. Bozza, op. cit., 39 ss., il problema è sottile, in assenza del diritto di voto dei creditori: “Nel concordato con cessione dei beni, infatti, l'adempimento consiste prevalentemente nel pagamento di una somma di danaro, per cui, eliminata la soglia minima di soddisfazione per la categoria dei chirografari, l'utilità per costoro diventa molto evanescente non dovendo più essere adeguata alla previsione del raggiungimento di un traguardo prefissato dalla legge […]; di modo che anche il beneficio immediato degli scarichi fiscali (esempio di utilità addotto da M. Fabiani, L'ipertrofica legislazione concorsuale fra nostalgie e incerte contaminazioni ideologiche, in ilcaso.it, 6 agosto 2015), a fronte della dimostrata insoddisfazione del credito, diventa una utilità vantaggiosa”].

E ciò per ragioni di armonia del sistema.

Nel concordato semplificato detta utilità per i creditori insoddisfatti non è stata ravvisata, ad es., nella possibilità di recuperare l'Iva sui crediti o nella loro immediata deducibilità fiscale, avendo il tribunale di Bergamo valutato che i creditori godono dei medesimi benefici fiscali nelle procedure liquidatorie, sin dall'apertura, per cui  non risulta riservato a questi creditori alcun vantaggio nel concordato semplificato che sarebbe stato escluso dalla liquidazione giudiziale (V. Trib. Bergamo, 6 dicembre 2023, e App. Ancona, 27 marzo 2024). Al contrario, si è affermato che “Non si tratta di una utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile, come il legislatore ha previsto nel caso di cui all'art. 84, comma 3, c.c.i.i. per il concordato preventivo, ma qualsiasi utilità, anche non economica, che ponga il creditore in una situazione non deteriore rispetto alla liquidazione giudiziale; il concetto di utilità, dunque, non è collegato alla convenienza per il creditore ma alla assenza di danno, assenza che giustifica la compressione del diritto del creditore anche contro la sua volontà” (così App. Venezia, Sez. I, 28 marzo 2024, che, al pari di altri tribunali, ha legittimato un'offerta dello 0,048% ai creditori chirografari o privilegiati degradati, riveniente da un apporto di risorse esogene per soli euro 30mila). Anche Trib. Pescara 11 dicembre 2023 ha evidenziato che “La norma è dettata da un evidente favor per la soluzione concordataria, sia pur in una prospettiva liquidatoria e in ipotesi di equivalenza dei risultati economico-finanziari netti delle due procedure, perché il concordato semplificato può esprimere un vantaggio qualitativo per i creditori in termini di maggiore rapidità procedurale e di riparto” (Trib. Lecce 30 ottobre 2023 ha omologato un concordato semplificato che prevede lo 0,77% ai chirografi).

In ogni caso si deve verificare che “ciascun creditore” ottenga un'utilità e non solo qualche categoria.

Resta ora da analizzare funditus il primo presupposto per l'accesso al concordato semplificato: la dichiarazione dell'esperto, nella relazione finale, che le trattative si sono svolte secondo correttezza e buona fede.

Il tipo di controllo del tribunale sulla relazione finale dell'esperto, con riguardo alla correttezza nelle trattative

In ordine al tema della correttezza e buona fede nelle trattative che hanno preceduto l'accesso al concordato semplificato , ai fini che qui interessano, occorre riprendere il filo del discorso dalla funzione di dette clausole generali, ricordata nel paragrafo di apertura come regola di comportamento valevole sia nella fase delle negoziazioni in vista della revisione dell'assetto contrattuale di partenza, sia nei momenti dell'esecuzione del rapporto obbligatorio come rimodellato, nell'intento comune a tutte le parti coinvolte di superare lo stato di crisi o di insolvenza del debitore (o almeno lo squilibrio patrimoniale o economico-finanziario di partenza), che aveva determinato il positivo avvio della composizione negoziata della crisi.

Orbene, ancorché la valutazione della buona fede in capo ai creditori ad opera del tribunale non sia dirimente per l'accesso al concordato semplificato – posto che, come anticipato in apertura, la domanda giudiziale è prerogativa esclusiva del debitore (e da lui solo deve esigersi il comportamento corretto) –, può accadere che siano state le condotte delle controparti del debitore a rendere impraticabili gli accordi di cui all'art. 23 c.c.i.i. per le più varie motivazioni (non è infrequente che siano proprio i funzionari delegati e/o gli advisor degli istituti e dei servicer a rallentare od ostacolare il celere avanzamento delle negoziazioni anche per ragioni oggettive (dover riferire ai propri gestori o agli organi deliberanti), quando non addirittura a sbagliare “i conti” costruendo ipotesi di rimborso senza riferimento ai dati contabili o secondo proiezioni non rispondenti alla situazione reale e non congruenti con le previsioni di piano).

In siffatte evenienze la “punizione” per i creditori recalcitranti, di là da un'improbabile richiesta di risarcimento danni (pur teoricamente concepibile), è offerta proprio dalla facoltà concessa al debitore di presentare un concordato semplificato, di guisa che saranno indotti ad abbandonare atteggiamenti ostruzionistici per cercare insieme una soluzione (S. Pacchi, Il concordato semplificato: un epilogo ragionevole della composizione negoziata, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 23 ottobre 2023, 22).   

Tuttavia, nella maggior parte dei casi è la scarsa trasparenza del debitore a non aver permesso l'ostensione all'esperto e ai creditori di tutte le informazioni rilevanti, specie quelle elencate negli artt. 15 e 17 comma 3, c.c.i.i. (i documenti e le informazioni inseriti nella piattaforma dall'imprenditore al momento della presentazione dell'istanza di CNC o nel corso delle trattative), tra i quali spicca il progetto di piano di risanamento redatto secondo le indicazioni della lista particolareggiata di controllo di cui all'art. 13 comma 2 (v. decreto dirigenziale del Ministero della giustizia 21 marzo 2023) e una relazione chiara e sintetica sull'attività in concreto esercitata recante un piano finanziario per i successivi sei mesi e le iniziative che il debitore intende adottare.

In base al Protocollo di conduzione della composizione negoziata della crisi, par. 2. della sezione III della check list, l'esperto deve valutare la sussistenza di ragionevoli prospettive di risanamento che giustifichino, per essere verificate, l'apertura delle trattative, in modo da poter giungere ad accordi con i creditori o alla cessione dell'azienda, i cui proventi consentano la sostenibilità del debito (l'imprenditore, nel predisporre il piano di risanamento, deve spiegare come intende fronteggiare il debito da coprire nei diversi anni attraverso i flussi al servizio dello stesso e se le proposte consentono, in via prognostica, il mantenimento del capitale sociale minimo al momento di conclusione dell'accordo).

Ciò che va immediatamente escluso dall'esperto è un piano che muova: i) da una continuità aziendale che distrugge risorse; ii) dall'indisponibilità dell'imprenditore a immettere nuove risorse; iii) dall'assenza di valore del compendio aziendale (v. par. 2.4 Protocollo composizione negoziata della crisi); ove ricorrano congiuntamente questi fattori l'insolvenza si considera irreversibile ed è inutile, se non scorretto, avviare le trattative.

Non raramente (specie nelle crisi delle micro-imprese, anche sotto soglia) si assiste a debitori che non hanno predisposto un reale piano di risanamento o che non sanno quali concrete soluzioni proporre ai creditori, sicché in tali casi l'esperto non potrebbe dichiarare che le trattative si siano svolte in buona fede (Così già A. Rossi, Le condizioni di ammissibilità del concordato semplificato, Fall., 2022, 755. Si v. anche A. Piccolo, op. cit., 172 s., che qualifica la clausola in esame come elemento “filtrante” attraverso l'impiego dei principi generali contenuti negli artt. 4 e 16 sopra menzionati).

Per tacere dei tentativi di avviare la composizione negoziata della crisi dopo aver ceduto/conferito/scisso le parti migliori dell'azienda o dismesso altri asset rilevanti, così ponendo gli interlocutori davanti “al fatto compiuto” della ridotta produttività aziendale o della scarsa appetibilità sul mercato.

Non solo: vi è stato anche chi ha provato ad offrire un quid ai fornitori, che però lo hanno rifiutato seccamente; salvo, poi, riprovare con altre proposte (celando i contratti spoliativi nel frattempo siglati) al solo scopo di poter sostenere l'apertura delle trattative e pervenire, così, alla possibilità di presentare il concordato semplificato.

È dunque l'esperto a dover capire subito chi ha di fronte, chiedere documenti di supporto, anche in merito ai pagamenti effettuati a favore dei creditori durante la composizione negoziata della crisi [A. Pezzano e M. Ratti, Il concordato preventivo semplificato: un'innovazione solo per i debitori meritevoli, funzionale al migliore soddisfacimento dei creditori (ed a qualche salvataggio d'impresa), in dirittodellacrisi.it, 19 ottobre 2021, par. 6, considerando le disposizioni dell'art. 24 c.c.i.i.] – che il debitore deve fornire proprio in osservanza del canone di buona fede –, e constatare l'effettiva esistenza di un piano concretamente realizzabile, alla luce delle informazioni assunte dall'organo di controllo e dal revisore legale, ove in carica (art. 17 comma 5, c.c.i.i.). Successivamente si potrà adattare il piano all'andamento delle negoziazioni o secondo nuove strategie di intervento; ma se difettano le condizioni di partenza il percorso dev'essere bloccato senza indugio.

Peraltro, al momento di depositare la proposta di concordato semplificato il debitore deve anche redigere ex art. 39 comma 2, c.c.i.i. (richiamato dall'art. 25-sexies comma 1) una relazione riepilogativa degli atti di straordinaria amministrazione menzionati nell'art. 94 comma 2, c.c.i.i. compiuti nel quinquennio anteriore; il che completa il corredo documentale indispensabile per chiedere al tribunale il beneficio del concordato semplificato.

È pure su questi atti di straordinaria amministrazione che si dovrebbe appuntare l'attenzione dell'esperto nel parere suppletivo che è chiamato a rendere ai sensi dell'art. 25-sexies comma 3, c.c.i.i., “con specifico riferimento ai presumibili risultati della liquidazione e alle garanzie offerte”?

Le garanzie dovrebbero essere relative alle risorse esterne eventualmente messe a disposizione da terzi; mentre i presumibili risultati della liquidazione, avendo ad oggetto l'evoluzione possibile della liquidazione (neppure raffrontata ai crediti da soddisfare secondo la proposta concordataria), potrebbero ben essere ignorati dall'esperto vuoi perché il piano nelle trattative era di tipo risanatorio, vuoi perché l'esperto potrebbe non aver disposto perizie o stime durante la composizione negoziata della crisi (su cui v. G. Bozza, op. cit., 35 e 55, il quale richiama la raccomandazione di cui al par. 13.1 della Sez. III del Decreto dirigenziale 28 settembre 2021, che esorta l'esperto a richiedere le stime dell'attivo).

Ciò implica, allora, che il parere dell'esperto – a differenza del parere dell'ausiliario nominato dal tribunale in ipotesi di ritualità della proposta – non debba valutare anche le possibili azioni revocatorie ordinarie e “fallimentari” e/o di responsabilità ex art. 255 c.c.i.i. che il curatore potrebbe ragionevolmente proporre e vincere. Sul punto è necessario comunque adoperare la massima prudenza e stimare attentamente i costi, i tempi e le reali chance di fruttuosità di quelle azioni, onde evitare le ricorrenti esagerazioni di risultato riscontrate nella prassi.

Non è da escludere, tuttavia, che l'esperto nella relazione finale esprima un parere errato, idoneo a generare possibili responsabilità nei confronti tanto del debitore (precludendogli l'accesso al concordato semplificato), quanto dei creditori, sottraendo loro le maggiori chance di soddisfacimento ritraibili dalla procedura di liquidazione giudiziale [se si vuole, un primo accenno sul tema si trova in L.A. Bottai, La composizione negoziata di cui al D.L. 118/2021: svolgimento e conclusione delle trattative, su IUS Crisi d'impresa, 4 ottobre 2021; ora, più specificamente, si v. C. Esposito, Il concordato semplificato, Giuffrè Francis Lefebvre, 2023, 214 ss.; M. Ceschin e M. Panelli, La responsabilità in capo all'Esperto nella composizione negoziata della crisi, dirittodellacrisi.it, 10 aprile 2024, i quali evocano un regime probatorio fondato sulla regola del c.d. “doppio ciclo causale” (Cass. civ., sez. III, 11 novembre 2019, n. 28991). Pertanto, in prima battuta, il danneggiato deve provare, anche tramite presunzioni, la causalità materiale tra condotta del danneggiante e l'evento dannoso (c.d. causalità-costitutiva) e, quindi, il danneggiante è tenuto a provare la causa imprevedibile e inevitabile che ha reso impossibile l'adempimento della prestazione (c.d. causalità-estintiva)].

Vero è che il codice della crisi in più norme cerca di limitarle, ma la negligenza o l'imprudenza nel redigere quel parere sulla buona fede del debitore nello svolgimento delle trattative in composizione negoziata ben potrebbe configurare una forma di responsabilità professionale di nuova forgia (v. la voce di M. Rossetti, La responsabilità del mediatore, in treccani.it.) – sempre riconducibile nella colpa contrattuale o ex lege (anche a mente dell'art. 1759 comma 1, c.c.) sull'esistenza delle condizioni legittimanti la proposizione del concordato semplificato - per quanto concerne la mancata o parziale comunicazione alle parti delle circostanze rilevanti sulla situazione del debitore o sulle posizioni dei creditori a lui note. Pure l'inosservanza degli standard tipici dell'esecuzione dell'opera “a regola d'arte” ex art. 2224 c.c. potrebbe configurare un titolo risarcitorio (standard oggi ancora in via di formazione).

In ogni modo il tema è denso di interesse – anche nella distinzione fra piccole e grandi imprese in crisi - e merita supplementi di riflessione (Cfr. S. Pacchi, op. cit., la quale prefigura “possibili inquietanti scenari di responsabilità”) alla luce delle prime fattispecie concrete verificatesi.

Fattispecie decise in giurisprudenza

Un breve sguardo alla giurisprudenza di merito recentemente pronunciatasi offre un saggio degli orientamenti assunti sull'elemento della buona fede del debitore nelle trattative, in vario modo declinato.

Per App. Venezia 28 marzo 2024, alla questione se correttezza e buona fede nella conduzione delle trattative possano ritenersi sussistenti anche nel caso di mancato coinvolgimento in sede di negoziazione di alcuni creditori, va data risposta affermativa “qualora i creditori non coinvolti siano quelli rimasti estranei alla falcidia nella fase negoziata, ossia quelli non interessati dal piano di risanamento, in quella sede proposto, proprio in quanto destinatari del pagamento integrale del loro credito, come nella specie. Né può dirsi che il venir meno della correttezza e buona fede dipenda dall'esito negativo di quel piano, non essendo prevista dal legislatore una rinnovata interlocuzione con tutti i creditori nel momento in cui risulti l'impossibilità di individuare la soluzione idonea al superamento della crisi, atteso che in quel momento il piano diviene esclusivamente liquidatorio, destinato ad offrire ai creditori – che ne soggiacciono - una utilità non deteriore rispetto alla alternativa della liquidazione giudiziale. In sostanza, il requisito della buona fede e correttezza nello svolgimento delle trattative è finalizzato ad evitare condotte abusive, riservando l'accesso al concordato semplificato a quei casi in cui il rispetto della regolarità garantisce che non sia effettivamente praticabile una soluzione diversa da quella liquidatoria”.

Circa la non regolarità nell'esposizione della situazione debitoria e nella determinazione dell'ordine dei pagamenti si v. App. Ancona 27 marzo 2024 (dirittodellacrisi.it), la quale ha negato l'omologa di una proposta di concordato semplificato nella quale erano esposti dati incompleti o non fedelmente riportati, atteso che mancava un fondo rischi per l'ipotesi - pressoché certa già al tempo della proposizione della domanda - di escussione della garanzia prestata da MCC in favore di una banca finanziatrice, e che non prevedeva alcuna soddisfazione (o utilità, da intendersi quale quid pluris di qualsiasi natura connesso alla soluzione alternativa alla liquidazione giudiziale) per i creditori chirografari. Il parere favorevole dell'esperto sulla non incidenza dell'eventuale ammissione al passivo di MCC è stato, pertanto, opportunamente sindacato nel merito dalla Corte, che ne ha ribadito l'inattendibilità in punto di “rilevata infedeltà dei dati esposti” e, dunque, quale prova dell'assenza del presupposto della correttezza.

In tema di abuso dello strumento del concordato semplificato, Trib. Milano 20 dicembre 2023 (il noto caso KI Group), nel ribadire che il tribunale è chiamato sia a compiere una valutazione circa la fattibilità economico-giuridica del piano proposto dal debitore, come vaglio di ritualità, sia a valutare la completezza e l'attendibilità delle informazioni fornite dallo stesso in relazione al piano prospettato (in ragione del fatto che il ceto creditorio non gode di spazi di interlocuzione di tipo negoziale con il debitore in corso di procedura, ma può unicamente esercitare la facoltà di opporsi all'omologazione dello strumento, facoltà per la quale è necessario che il corredo informativo fornito dal debitore sia corretto ed esaustivo e si riferisca ad una ipotesi di risanamento ritenuta - quanto meno in astratto – percorribile), ha ravvisato la manifesta inadeguatezza del piano a raggiungere gli obiettivi prefissati nonché la insanabile carenza nell'indicazione degli elementi sostanziali posti alla base della domanda di risanamento, con conseguente declaratoria di irritualità della proposta presentata. 

Del pari Trib. Avellino 3 ottobre 2023, ha ribadito che “la buona fede non può che essere riferita alla completa e trasparente situazione patrimoniale, condizione indispensabile per consentire la partecipazione informata dei creditori alle trattative e l'adesione alle proposte formulate dal debitore nel percorso di negoziazione stragiudiziale”. Qualora il tribunale, anche avvalendosi della relazione dell'ausiliario, accerti la presenza di passività non dichiarate dal debitore durante la composizione, deve discostarsi dalle diverse conclusioni dell'esperto, perché “il controllo sul contenuto della relazione dell'esperto sulla correttezza e buona fede nella conduzione delle trattative, previsto dal comma 3 dell'art. 25-sexies c.c.i.i., non può avere, nella successiva procedura di concordato semplificato, una valenza meramente estrinseca e burocratica, dovendo estendersi a tutte quelle risultanze processuali che possano disattendere le conclusioni pur raggiunte dal professionista circa il corretto svolgimento del percorso di composizione negoziata” (analogamente Trib. Vicenza 9 novembre 2023, ha negato l'omologa di un concordato semplificato per il difetto del presupposto dello svolgimento delle trattative secondo correttezza e buona fede, avendo “ritenuto che la conduzione di trattative con il ceto creditorio bancario sulla base di un presupposto fattuale – quello della patrimonializzazione – che la società non intendeva accettare, e senza che venissero poste in essere le procedure interne per verificare tale disponibilità per ben tre mesi e mezzo,  costituisca violazione della buona fede; rilevato che la perdurante erroneità ed incompletezza della rappresentazione del debito bancario ha comportato, secondo l'Esperto, un aggravamento del rischio di credito delle Banche, e che l'omessa rettifica sul punto non appare conforme ai canoni di correttezza, che imporrebbero di salvaguardare le ragioni dei creditori e di prospettare correttamente i rischi; ritenuto infine che, pur non essendo la ricorrente tenuta ad accettare offerte d'acquisto, la condizione delle trattative secondo buona fede avrebbe dovuto suggerire di rendere edotti i creditori e l'Esperto dell'offerta ricevuta; che pertanto il presupposto di ammissibilità dello svolgimento delle trattative secondo correttezza e buona fede non risulta integrato”).

Di frode decettiva per deficit informativi rilevanti parlano Trib. Mantova 6 luglio 2023 e 19 ottobre 2023, in Fall., 2024, 589).

Anche Trib. Brescia 16 maggio 2023, in sede di sindacato di ritualità, ha rimarcato come il proponente il concordato semplificato non avesse osservato la previsione di cui all'art. 16 comma 4, c.c.i.i. violando così “il dovere di rappresentare la propria situazione all'esperto, ai creditori e agli altri soggetti interessati in modo completo e trasparente”; il debitore, inoltre, non aveva coinvolto nelle trattative alcuni creditori. In tal guisa lo strumento della composizione negoziata era stato interpretato dal proponente come un “mero tramite formale per giungere al concordato semplificato, da percorrere senza essere animata da una concreta volontà compositiva”.

Più in particolare, Trib. Torino 4/16 gennaio 2024 ha ritenuto insussistenti, fin dall'inizio, le concrete prospettive di risanamento sulla scorta della documentazione versata in atti, non potendo intendersi tale la proposta di una continuità diretta senza alcun apporto esterno e con stralcio quasi integrale dei debiti, in particolare, nei confronti dell'Agenzia delle Entrate uno stralcio pari al 90% del credito vantato, degli altri creditori privilegiati uno stralcio per oltre il 95% dei crediti vantati e dei creditori chirografari uno stralcio integrale pari al 100%. E ciò nonostante la relazione finale dell'esperto avesse rilevato che il test pratico effettuato dalla società per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento era stato svolto esaminando solo l'indebitamento e i dati dell'andamento economico attuale e indicando quale debito scaduto quello già ipoteticamente stralciato. Il tribunale ha enunciato, altresì, che le trattative con i creditori non si erano svolte in modo effettivo e corretto (neanche erano iniziate le interlocuzioni), in quanto le comunicazioni delle proposte di stralcio erano “fondate” su un piano industriale definito “assolutamente generico e scarno”, la cui attuabilità era in corso di verifica, non riportavano elementi di valutazione comparativa con lo scenario liquidatorio e, soprattutto, presupponevano una soluzione negoziale con l'Agenzia delle Entrate (transazione fiscale) chiaramente inconfigurabile all'interno della composizione negoziata (almeno fino ad oggi).  

Ebbene, proprio la sindacabilità del parere/relazione finale dell'esperto diviene sovente il fulcro della decisione: accade non di rado che l'esperto non assuma una posizione chiara e netta sulla reale (in)esistenza della buona fede e/o correttezza del debitore nello svolgimento delle negoziazioni, vuoi per non dover interrompere subito il percorso della composizione negoziata (senza ricevere nuovi incarichi per molto tempo, stante l'alto numero di esperti iscritti nell'elenco), vuoi per una tendenziale ritrosia nell'affermare una ‘sì perentoria conclusione.

L'esperto potrebbe svolgere il proprio ruolo in maniera “passiva”, ossia attendendo che le parti interagiscano fra loro salvo presenziare agli incontri (ma senza introdurre proposte), oppure in modo “proattivo”, prevenendo i punti di scontro, facendosi promotore di soluzioni, convocando gli interessati a riunioni cadenzate e ravvicinate (via video).

In ogni caso nella relazione conclusiva egli potrebbe omettere (non tanto i fatti constatati, quanto) dei giudizi di valore in merito al compiuto e corretto dipanarsi della fase negoziale.

Sorge, allora, il problema della valenza tanto della relazione finale quanto del parere dell'esperto, onde evitare che il debitore possa abusare di una relazione favorevole immeritata o, per converso, subire una preclusione. Dottrina e giurisprudenza prevalenti sono concordi nel ritenere quell'atto non vincolante, né in senso negativo (relazione ostativa), né in senso positivo (relazione permissiva) laddove le circostanze e soprattutto la documentazione prodotta smentiscano manifestamente le deduzioni dell'esperto.

Trib. Monza 17 aprile 2023, confermata da App. Milano 13 luglio 2023, ha decretato che il vaglio di ritualità di una proposta di concordato semplificato non può limitarsi a constatare la formale sussistenza delle attestazioni circa lo svolgimento delle trattative secondo correttezza e la non percorribilità di soluzioni fisiologiche della composizione negoziata, dovendo invece verificare anche la loro attendibilità e ragionevolezza. In assenza di motivazione congruente con la documentazione in atti la proposta dovrà considerarsi irrituale (cfr. anche R. Bonivento, Opportunità e criticità del concordato semplificato: aspetti operativi, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 18 febbraio 2024, § 3, p. 8 ss. Più approfonditamente G. Bozza, Il ruolo del Giudice nel concordato semplificato, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 11 gennaio 2023 par. 3. per ovviare al rischio che l'esperto diventi “il depositario del potere di stabilire se un imprenditore possa o non usufruire della nuova procedura”, ritiene “che al tribunale nella fase iniziale sia attribuito un controllo solo formale della relazione dell'esperto, teso a verificare che essa contenga il giudizio, positivo o negativo, sulla buona fede e correttezza del comportamento del debitore nella fase della composizione negoziata e che il parere includa un giudizio, qualunque ne sia l'esito, sui risultati della liquidazione; così come, del resto, è richiesto al tribunale di controllare l'attestazione del professionista indipendente nel concordato preventivo”. Ma è ormai acquisito che anche nel concordato preventivo pieno il Collegio ha il potere di sindacare la logicità, congruità, ragionevolezza e completezza dell'attestazione. Tuttavia, Trib. Firenze 31 agosto 2022, ebbe a dichiarare l'insussistenza dei presupposti per la presentazione della domanda di concordato semplificato seguendo il parere dell'esperto, senza alcuna valutazione critica, impossibilitata a svolgersi per come il procedimento è organizzato. Contraria S. Pacchi, op. cit., 15, la quale, al pari di Trib. Parma 12 luglio 2023 esclude che la valutazione del tribunale debba assumere portata “notarile” ed arrestarsi ad una verifica meramente formale. In linea anche Trib. Vicenza 20 ottobre 2023 che ha nominato l'ausiliario e fissato l'udienza di omologazione pur in presenza del parere negativo dell'esperto per asserita mancanza di buona fede nelle precedenti trattative).

Ciò che conta è che si possa misurare, allo stato degli atti, la ragionevolezza, l'analiticità e la coerenza complessiva della relazione/parere con quanto avvenuto nella composizione negoziata e con le assunzioni e le conclusioni del piano di risanamento proposto [v., da ultimo, App. Venezia 28 marzo 2024, cit. In dottrina, S. Ambrosini, Concordato semplificato: la giurisdizione come antidoto alla “coattività” dello strumento e alla “tirannia” dell'esperto, in  ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 27 ottobre 2023, 13, spiega che il parere contenuto nella relazione dell'esperto “non è – né può considerarsi – vincolante, essendo notoriamente tassative le ipotesi di pareri e relazioni definite espressamente tali, peraltro relativi a organi della liquidazione giudiziale (tipicamente, quelli del comitato dei creditori ex artt. 211, c. 5, e 241, c. 2), le cui valutazioni sono dotate, nei suddetti casi eccezionali, di un “peso” comprensibilmente diverso, oltre a provenire dall'organo che “rappresenta” il ceto creditorio: funzione del tutto aliena da quelle proprie dell'esperto. Se così non fosse, del resto, la (pretesa ma insussistente) valenza ostativa del “giudizio” dell'esperto comporterebbe una inaccettabile “delega in bianco” dell'attività giurisdizionale a un soggetto che alla giurisdizione è estraneo; il che appare vieppiù inconcepibile ove si consideri che tale relazione non è in alcun modo impugnabile” ].

Appare dunque inconfutabile quanto statuito da App. Milano 13 luglio 3.7.2023, dejure.it, secondo cui rientra nel controllo di ritualità anche la legittimità sostanziale della proposta. Di tale controllo di legittimità sostanziale fa parte anche la verifica della completezza della relazione finale dell'esperto e della ragionevolezza delle sue conclusioni, che non possono essere né ambigue né apodittiche, ma devono saldarsi in modo chiaro, logico e conseguenziale ai dati contabili accertati, al contenuto delle specifiche soluzioni prospettate dall'impresa ai creditori, alle concrete modalità di svolgimento delle trattative, alla legittimità delle soluzioni della crisi ipotizzate.

Rimane fermo, naturalmente, il successivo riesame di tutti gli atti in sede di omologazione, alla luce pure del parere dell'ausiliario.

Conclusioni

Il concordato semplificato rappresenta, indubbiamente, una sorta di responsabilizzazione dei creditori nel rapporto obbligatorio inadempiuto (dal debitore), che si accentua nella fase di crisi non superata con la composizione negoziata. Sarebbe inefficiente, oltre che iniquo, permettere che taluni creditori ostacolino la sopravvivenza dell’azienda in thesi ancora risanabile – e non già in situazione di insolvenza irreversibile -, pregiudicando tutti gli altri portatori degli interessi coinvolti nella crisi (in primis i lavoratori, anch’essi creditori, anzi i primi in graduatoria). In tal senso è già l’interpretazione di Cass., sez. I1, 12 aprile 2023, n. 9730, per la quale “Il concordato semplificato è stato concepito fin dalla legislazione dell’emergenza per evitare la liquidazione giudiziale dopo l’esperimento negativo delle trattative e la verifica che non vi sono altre soluzioni possibili per il superamento dello stato di crisi e per la prosecuzione dell’attività”.

Lo attestano anche gli ultimi dati forniti da UnionCamere (aggiornati al 17 maggio 2024, si veda la news pubblicata su questo Portale), che lasciano apprezzare i miglioramenti dei risultati delle composizioni negoziate finora esperite: su 831 istanze chiuse dall’avvio della composizione negoziata nell’agosto 2021, sono 153 le procedure che hanno avuto esito favorevole, pari al 18%. Là dove, tra quelle 531 chiuse negativamente, soltanto 82 hanno tentato il concordato semplificato (e 236 sono finite in liquidazione giudiziale o volontaria).

Degli 82 concordati semplificati ben pochi sono giunti alla meta dell’omologazione.

Aveva, dunque, colto nel segno chi prevedeva che la procedura di concordato semplificato sarebbe andata incontro a forti resistenze (a cominciare dalla posizione di Confindustria, che avrebbe voluto il ripristino della soglia minima del 20%) (M. Campobasso, Il concordato liquidatorio semplificato: ma perché il concordato preventivo non trova pace?, in Le nuove leggi civili commentate, 2022, 112 ss.).[1].

Altrettanto efficacemente quell’Autore aveva propugnato già due anni orsono la possibilità di presentare proposte concorrenti di concordato semplificato, come antidoto all’offerta di percentuali irrisorie ai creditori e come incentivo per il mercato a soluzioni delle crisi più ampie e trasparenti.

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