Inventario, potere selettivo e obblighi del curatore: il recente orientamento del Tribunale di Roma

10 Luglio 2024

Il Tribunale di Roma si è espresso in tema di liquidazione giudiziale e inventario dei beni soffermandosi, in particolare, ad analizzare la sottile linea di confine che sussiste tra potere selettivo e obblighi del curatore. La pronuncia è una delle prime in materia sotto la vigenza del "nuovo" codice della crisi.

Massima

Il curatore, così come può rinunciare ad acquisire all’attivo beni del soggetto posto in liquidazione, allo stesso modo può non richiedere documentazione che non ritenga utile all’espletamento del suo incarico. La scelta del curatore deve essere compiuta in modo prudenziale e, dunque, acquisendo tutto ciò che non può escludere che possa essere di utilità.

È corretta la decisione del giudice delegato di respingere il reclamo, non avendo il curatore l’obbligo di acquisire tutti i documenti contabili.

Il caso

Il Tribunale di Roma si è pronunciato in tema di obblighi del curatore durante le attività di inventario dei beni sottoposti a liquidazione giudiziale enfatizzando – seppure in ottica prudenziale – il potere selettivo del professionista alla luce del nuovo quadro normativo introdotto dal codice della crisi d'impresa.

La decisione prende in esame, altresì, il tema della condanna alle spese di lite nell'ambito del procedimento di reclamo ex art. 133 c.c.i.i. ed esclude che la parte soccombente possa essere chiamata alla refusione delle spese processuali per l'assistenza tecnico-legale sostenuta dal curatore, stante la natura del procedimento in discorso.

Nel caso concreto, una società proponeva reclamo ex art. 124 c.c.i.i. avanti al Tribunale di Roma, in composizione collegiale, lamentando che il curatore nominato nell'ambito di una procedura di liquidazione giudiziale non aveva ottemperato agli obblighi stabiliti dagli artt. 49,194 e 197 c.c.i.i.

Più in particolare, la ricorrente deduceva che il curatore aveva dato corso alle operazioni di inventario senza terminarle e senza apprendere tutta la documentazione contabile-amministrativa messa a disposizione dal legale rappresentante, nonostante quest'ultimo, in un'ottica di collaborazione fattiva, avesse evidenziando che la documentazione societaria era ricoverata, in parte, presso un immobile di proprietà di soggetti terzi e avesse invitato il professionista a completare le attività previste dall'art. 197 c.c.i.i.

Stante l'inerzia del curatore, la società proponeva (un primo) reclamo ex art. 133 c.c.i.i.: la procedura si concludeva con decreto di rigetto e condanna del reclamante al pagamento delle spese processuali, incluse quelle per l'assistenza tecnico-legale sostenuta dal curatore.

La società formulava, dunque, un secondo reclamo – questa volta, ai sensi dell'art. 124 c.c.i.i. – ed impugnava il decreto di rigetto al fine di ottenere la riforma del provvedimento anche in punto di condanna alle spese legali.

Il Tribunale di Roma, esaminati i fatti di causa, verificata l'applicabilità al caso di specie dell'art. 194 comma 1, c.c.i.i. e dell'art. 197 comma 1, c.c.i.i. annullava il provvedimento limitatamente alla statuizione sulle spese, ritenendo invece fondato il decreto con riguardo a tutte le altre disposizioni.

La questione

Con il provvedimento in commento, il Tribunale di Roma si è espresso in tema di liquidazione giudiziale e inventario dei beni soffermandosi, in particolare, ad analizzare la sottile linea di confine che sussiste tra potere selettivo e obblighi del curatore.

Più nel dettaglio, è possibile tratteggiare due temi focali oggetto della decisione in esame, ovvero:

  1. l'individuazione degli obblighi posti a carico del curatore nel corso della procedura di liquidazione giudiziale, con particolare riferimento alle attività che connotano gli adempimenti previsti dal nuovo codice della crisi in materia di raccolta delle scritture contabili, inventario dei beni e potere selettivo;
  2. la possibilità di procedere alla condanna della parte soccombente alle spese di lite sostenute dal curatore nell'ambito del procedimento di reclamo ex art. 133 c.c.i.i.

Con riguardo alla questione sub. 1), oggetto di approfondimento da parte dei giudici capitolini, si rende preliminarmente opportuno delineare un sintetico inquadramento delle norme che regolano la materia.

Nello specifico, rilevano:

1.A) l'art. 49 comma 3, c.c.i.i., il quale dispone che il tribunale ordini al debitore: “(…) il deposito entro tre giorni dei bilanci e delle scritture contabili e fiscali obbligatorie, in formato digitale nei casi in cui la documentazione è tenuta a norma dell'articolo 2215-bis del codice civile, dei libri sociali, delle dichiarazioni dei redditi, IRAP e IVA dei tre esercizi precedenti, nonché dell'elenco dei creditori corredato dall'indicazione del loro domicilio digitale, se già non eseguito a norma dell' articolo 39”.

La noma suddetta, costituisce un chiaro richiamo all'art. 16 comma 1, l. fall. che, in tema di dichiarazione di fallimento, stabiliva che il tribunale dovesse, mediante sentenza, designare un curatore e ordinare al fallito il deposito dei bilanci e delle scritture contabili e fiscali obbligatorie, nonché l'elenco dei creditori, entro un termine di tre giorni, a meno che tale attività non fosse già stata eseguita ai sensi dell'art. 14 l. fall. (M. Di Sarli, G. Garesio, Tavola sinottica di raffronto fra nuovo Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza e normativa vigente, in centrocrisi.it);

1.B) gliartt. 194 e 197 c.c.i.i., in combinato disposto tra loro, che prevedono – rispettivamente – che i) le scritture contabili ed ogni altra documentazione dal curatore richiesta vengano consegnate a quest'ultimo, se non ancora depositate in cancelleria e che ii) il curatore prenda in consegna tale documentazione nel corso delle operazioni di redazione dell'inventario.

Rispetto alla previgente disciplina, è possibile rilevare, anche in questo caso, un marcato parallelismo con la legge fallimentare: invero, i commi 1 e 2 dell'art. 194, c.c.i.i. trovano una perfetta correlazione con i primi due commi dell'art. 86 l. fall

Quest'ultima disposizione prevedeva, difatti, l'obbligo del fallito di consegnare determinata documentazione, quali le scritture contabili, su richiesta del curatore, se non ancora depositata in cancelleria exartt. 14 e 16 l. fall.

Detta consegna doveva (e deve) essere integralmente e accuratamente documentata nelle forme dell'inventario, mediante la stesura di un apposito verbale.

Tale prassi consente di fornire una prova documentale della ricezione delle scritture contabili consegnate dal fallito e attribuisce certezza alla data di effettiva consegna.

L'eventuale mancata o tardiva consegna delle scritture contabili potrebbe, invero, comportare una responsabilità penale del debitore ex art. 220 l. fall. oltre a compromettere i diritti del fallito stesso e di coloro che hanno interesse ad esaminare i documenti.

Pertanto, la redazione di verbale contenente informazioni dettagliate circa le scritture ricevute è fondamentale per garantire e assicurare l'esercizio effettivo delle funzioni del curatore nonché del diritto di esame del debitore (e di terzi), difficilmente esigibili in assenza di una puntuale rendicontazione relativa alla procedura di acquisizione delle scritture (D. Benzi, sub. art. 86, in Codice commentato del fallimento. Disciplina comunitaria e transfrontaliera disciplina tributaria, Milano, 2013, 1126).

Quanto invece all'art. 197 comma 1, c.c.i.i. è possibile rilevare un'analogia con l'art. 88 comma 1, l. fall., il quale disponeva che il curatore prendesse in consegna le scritture contabili e i documenti del debitore, di volta in volta nel corso delle operazioni di inventario (M. Di Sarli, G. Garesio, Tavola sinottica di raffronto fra nuovo Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza e normativa vigente, in centrocrisi.it);

1.C) l'art. 213 comma 2, c.c.i.i., avente ad oggetto l'acquisizione dell'intera documentazione da parte del curatore, norma che assume particolare rilevanza poiché regola la facoltà del curatore di non acquisire all'attivo o rinunciare alla liquidazione di uno o più beni, previa autorizzazione del comitato dei creditori.

La ratio sottesa alla disposizione in analisi risponde alla necessità del legislatore di affrontare concretamente il tema della derelictio dei beni, aspetto di grande importanza nello svolgimento pratico dell'attività liquidatoria, mutuato dal diritto romano (secondo cui potevano essere oggetto di derelizione cose mancipi nec mancipi, immobili e mobili).

Partendo dal principio che la derelictio è l'abbandono della cosa da parte del proprietario (i.e. intenzione di abbandonare definitivamente la cosa, animus derelinquendi e corrispondente condotta, c.d. elemento materiale), infatti, il potere selettivo attribuito al curatore di procedere con alcuni beni (immobili e mobili) ed escluderne altri è giustificato dalla volontà di meglio impiegare tempo e risorse per attività che comportino un maggior beneficio per i creditori.

Per il vero, la questione era già stata affrontata nella legge fallimentare, in particolare dall'art. 104-ter comma 8, l. fall. – che disciplina la manifesta non convenienza dell'attività liquidatoria – tuttavia, con una regolamentazione meno netta e chiara.

La novellata disciplina introdotta dall'art. 213 comma 2, c.c.i.i. si mostra innovativa, soprattutto, nel prevedere (ed enfatizzare) la presunzione di non manifesta convenienza che, come esposto nella relazione illustrativa al d.lgs. n. 14/2019, introduce una valutazione in termini di costi/benefici colta a disincentivare un'attività liquidatoria poco conveniente o gravante negativamente sul passivo e sulla durata della procedura (Paluchowski, Fall. 19, in Maffei Alberti, Commentario breve alle leggi su crisi d'impresa e insolvenza, Milano, 2023, 1650).

 

Avuto riguardo al secondo aspetto, sub 2), relativo alla liquidazione delle spese di lite nell'ambito del procedimento di reclamo ex art. 133 c.c.i.i., è anzitutto opportuno osservare che l'enunciato si limita a circoscrivere la tipologia di reclamo, senza specificare l'eventuale obbligo di assistenza tecnica e la condanna delle spese.

Tuttavia, a sopperire alla carenza di espressa indicazione normativa sono intervenute dottrina e giurisprudenza, allineate nel ritenere non necessario il patrocinio del legale (Abete, Comm. Jorio, I, in Maffei Alberti, Commentario breve alle leggi su crisi d'impresa e insolvenza, Milano, 2023, 984).

Anche in questo caso, si rende doveroso compiere un parallelismo con la legge fallimentare: il curatore, infatti, poteva partecipare al procedimento previsto dall'art. 36 l. fall. senza la necessaria assistenza di un difensore, essendo il reclamo uno strumento di controllo da parte del giudice delegato sugli atti del curatore (Trib. Chieti 10 agosto 2010, citata da Maffei Alberti, Commentario breve alle leggi su crisi d'impresa e insolvenza, Milano, 2023, 984).

Le soluzioni giuridiche

Il provvedimento in esame costituisce una delle prime pronunce in materia, non riscontrandosi precedenti giurisprudenziali ad eccezione di quelli delineati ante-riforma con riguardo alla “vecchia” disciplina dettata dalla legge fallimentare.

Nel costruire il quadro concettuale della propria decisione, i giudici capitolini si soffermano, dapprima, ad inquadrare il nuovo codice della crisi e gli obblighi da esso previsti a carico del curatore, in punto di inventario.

In relazione alle scritture contabili e a tutta la documentazione fornita dalla l.r.p.t. della società reclamante, il Tribunale di Roma sostiene non sussista un obbligo per la curatela di acquisire l'intera documentazione contabile, laddove non sia ritenuta rilevante.

Si riconosce, dunque, da subito, l'importanza del potere selettivo e discrezionale del curatore da esercitare entro la chiusura dell'inventario.

Più nel dettaglio, in merito alla questione se il curatore sia tenuto ad accettare integralmente la documentazione contabile fornita dal legale rappresentante della società ovvero se possa limitarsi a richiedere (e custodire) unicamente la documentazione che ritiene di utilità, in conformità al sopra enunciato principio di selettività, il tribunale, statuisce che la responsabilità della scelta è in capo al curatore, ritenendo pertanto un'opzione plausibile la possibilità di restituire i documenti non ritenuti rilevanti.

Ciò in quanto – secondo il percorso motivazionale seguito dal Tribunale – sul piano letterale, l'art. 194 del codice della crisi prevede che devono essere consegnati al curatore le scritture contabili ed ogni altra documentazione dal medesimo richiesta, alludendo quindi all'esistenza del suddetto potere selettivo, in capo al curatore, della documentazione da acquisire.

Del resto, espone il collegio, si immagini il caso di una società di grandi dimensioni che abbia una contabilità ventennale perfettamente e compiutamente custodita: una diversa interpretazione onererebbe il curatore di apprenderla tutta, con conseguenti rilevanti quanto inutili costi di conservazione a carico della massa (quando per l'espletamento dell‘incarico, potrebbe essere necessaria solo quella più recente).

È, tuttavia, senza dubbio necessario che – come sottolineato dal tribunale romano – di tale selezione il curatore dia atto nel verbale di inventario che dovrà sul punto essere preciso nel descrivere sia cosa venga acquisito sia non acquisito, e ciò per le ripercussioni che il tema della documentazione contabile e della sua consegna può avere sotto un profilo penalistico, anche ai fini di cui all'art. 280 del c.c.i.i. in materia di esdebitazione.

Puntualizza il Tribunale di Roma che il potere selettivo deve essere, tuttavia, esercitato prudenzialmente; il curatore deve prendere (o decidere di non prendere) “i beni, le scritture contabili ed i documenti del debitore di mano in mano che ne fa l'inventario” (come previsto dall'art. 197 c.c.i.i.) operando detta selezione entro la chiusura dell'inventario.

La documentazione non richiesta – al pari dei beni che il curatore rinunci ad acquisire all'attivo – tornerà nella disponibilità del soggetto cui appartiene, ossia quello nei cui confronti si è aperta la liquidazione.

L'opzione interpretativa sposata dai giudici romani è coerente con i principi di rapida ed efficiente conduzione della procedura, evincibili dall'art. 213 comma 2, c.c.i.i., secondo il quale il curatore può non acquisire all'attivo quei beni che stima di non poter liquidare in modo conveniente o, addirittura, che reputi pregiudizievoli dal punto di vista economico in considerazione del rapporto tra costi di acquisizione/custodia e presumibili ricavi della liquidazione.

Così ricostruito il sistema, nel caso di specie, è stata dunque ritenuta corretta la decisione impugnata, non avendo il curatore l'obbligo di acquisire tutti i documenti contabili e liberare i locali se non da quei documenti che intenda “richiedere” e dunque acquisire perché ritenuti utili allo svolgimento della sua attività.

Infine, per quanto attiene alla richiesta svolta dal reclamante nei confronti del curatore di liberare l'immobile di proprietà dei terzi, il Tribunale romano precisa che la proprietà di terzi deve essere liberata solamente dai documenti che il curatore intende richiedere perché ritenuti utili per l'esercizio delle sue funzioni.

In merito al secondo aspetto – i.e. la condanna, della parte soccombente, alle spese di assistenza tecnico-processuale del curatore nell'ambito del procedimento di reclamo ex art. 133 c.c.i.i. – il collegio, nel solco di consolidata corrente giurisprudenziale, ha ritenuto fondato il reclamo ed ha conseguentemente annullato il provvedimento limitatamente alla statuizione sulle spese.

Nella vigenza della legge fallimentare si riteneva che il reclamo ex art. 36 - sul quale è modellato il reclamo ex art. 133 del codice della crisi - comportasse l'obbligo della difesa tecnica nei casi in cui l'atto del curatore incidesse su diritti soggettivi; al contrario, si riteneva tale obbligo insussistente qualora il sindacato di legittimità fosse promosso avverso atti aventi natura tipicamente gestoria (cfr. Cass. Civ., sez. I, 20 luglio 2015, n. 15131; Trib. Chieti, 10 agosto 2010 citata da Maffei Alberti, Commentario breve alle leggi su crisi d'impresa e insolvenza, Milano, 2023, 984).

Altra corrente interpretativa, invece, sosteneva una generale non obbligatorietà della difesa tecnica, quale che ne fosse l'oggetto, in ragione della natura destrutturata del rimedio (Cass. civ., sez. I, 25 settembre 2003, n. 14245; Cass. civ., sez. I, 7 dicembre 2011, n. 26365; Cass. civ., sez. I, 29 marzo 2006, n. 7128; Cass. civ., sez. I, 2 ottobre 2015, n. 19723).

L'art. 9 comma 2, c.c.i.i. non sembrerebbe aver risolto il dubbio interpretativo, dal momento che prevede che, qualora non sia previsto diversamente, il patrocinio del difensore è obbligatorio.

L'articolo, tuttavia, sembra riferirsi agli strumenti della gestione della crisi in generale e non ai segmenti procedimentali interni che possono intervenire.

Secondo il Tribunale di Roma, nel caso di specie, essendo l'oggetto del reclamo inerente a questioni gestorie, il procedimento assume i caratteri di una controversia di volontaria giurisdizione e, pertanto:

  • non vi è l'obbligo di difesa tecnica, sia per il reclamante sia per il curatore (senza che ciò vieti alle parti di avvalersi di un difensore);
  • all'esito del giudizio non è propriamente ravvisabile una parte vittoriosa o soccombente, conseguentemente ciò non permette di poter procedere alla condanna alle spese.

Osservazioni e conclusioni

L’analisi condotta dal Tribunale di Roma si presenta razionale e condivisibile.

Essa sottolinea, in particolare, come le fasi iniziali della procedura di liquidazione giudiziale – tipicamente caratterizzate dalla raccolta dei beni e della documentazione, nonché dal relativo inventario – possano essere condotte con discrezionalità da parte del curatore, seppure prudenzialmente orientata.

Ad avviso dello scrivente, il chiaro e marcato riconoscimento, all’interno del nuovo codice della crisi, di un potere selettivo in capo al curatore - diversamente dalla previgente legge fallimentare che appare, sul punto, meno netta - è aspetto di non poco momento se si considera l’importanza e lo spessore delle scelte in relazione alle operazioni d’inventario.

La selezione deve, tuttavia, essere improntata a criteri di cautela atteso che, diversamente, un’eccessiva discrezionalità potrebbe comportare per il curatore profili di responsabilità per mala gestio.  

La prassi dei curatori è, infatti, tendenzialmente quella di apprendere tutta la documentazione contabile intesa non solo nella sua accezione tipica (libro inventario, libro giornale e libri fiscali), bensì in senso estensivo, ossia riferibile a tutta la documentazione posta a supporto dei fatti contabili. Siffatta prassi prudenziale viene adottata anche per garantire la genuinità dei documenti, sottraendoli alla libera disponibilità del liquidato/fallito.

Del resto, era lo stesso art. 86 l. fall. a prevedere che il giudice delegato potesse autorizzare il deposito (anche dei documenti contabili) in luogo idoneo per le esigenze della procedura quali, ad esempio, in via di mera ipotesi, la custodia per far fronte a richieste di esibizione e/o di acquisizione da parte della Procura della Repubblica per l’avvio di azioni penali.

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