L’istruttoria stragiudiziale nella negoziazione assistita

12 Luglio 2024

Una delle più importanti novità introdotte con il d.lgs. n. 149/2022 è senz'altro, almeno in linea teorica, quella dell'attività di istruzione stragiudiziale nella negoziazione assistita, di cui agli artt. 4-bis e 4-ter del d.l. n. 132/2014.

Inquadramento

Una delle più importanti novità introdotte con il d.lgs. n. 149/2022 è senz'altro, almeno in linea teorica, quella dell'attività di istruzione stragiudiziale nella negoziazione assistita, di cui agli artt. 4-bis e 4-ter del d.l. n. 132/2014. Queste norme sono state inserite sulla base del principio contenuto nella legge delega n. 206/2021 che lo individuava nel senso di prevedere, nell'ambito della procedura di negoziazione assistita, quando la convenzione di negoziazione lo prevede espressamente, la possibilità di svolgere, nel rispetto del principio del contraddittorio e con la necessaria partecipazione di tutti gli avvocati che assistono le parti coinvolte, attività istruttoria denominata, appunto, “attività di istruzione stragiudiziale” consistente nell'acquisizione di dichiarazioni da parte di terzi su fatti rilevanti in relazione all'oggetto della controversia (principio poi confluito nell'art. 4-bis in commento) e nella richiesta alla controparte di dichiarare per iscritto, ai fini di cui all'art. 2735 c.c., la verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli alla parte richiedente (principio poi confluito nell'art. 4-ter).

Come precisa la Relazione illustrativa (Schema di decreto legislativo recante attuazione della l. n. 206/2021 recante delega al governo per l'efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata) nell'ambito della negoziazione assistita la riforma Cartabia ha introdotto l'importante previsione di una istruttoria stragiudiziale, tramite acquisizione di dichiarazioni da parte di terzi su fatti rilevanti in relazione all'oggetto della controversia e nella richiesta alla controparte di dichiarare per iscritto la verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli all'altra parte, con finalità ed effetti propri della confessione stragiudiziale (comma 4, lett. s), l. n. 206/2021). Trattasi, nell'intento del legislatore, di una innovazione molto importante che consente l'apertura di nuovi scenari nella determinazione dei fatti di lite anche ai fini dell'eventuale futuro giudizio che sia introdotto in caso di fallimento della negoziazione assistita. Esso contribuisce, secondo quanto espone la Relazione illustrativa, alla creazione, se non di una vera e propria “giurisdizione forense” almeno di una sorta di “giustizia complementare” che si realizza per il costruttivo tramite dell'opera degli avvocati.

Pertanto, in base all'art. 4-bis del d.l. n. 132/2014  introdotto dal d.lgs. n. 149/2022, e rubricato Acquisizione di dichiarazioni,Quando la convenzione di negoziazione assistita lo prevede, ciascun avvocato può invitare un terzo a rendere dichiarazioni su fatti specificamente individuati e rilevanti in relazione all'oggetto della controversia, presso il suo studio professionale o presso il Consiglio dell'ordine degli avvocati, in presenza degli avvocati che assistono le altre parti”. L'informatore – che il legislatore ben avrebbe potuto chiamare “testimone” dato che in tutto e per tutto l'istituto è una forma di testimonianza stragiudiziale – dopo essere stato identificato, è invitato a dichiarare se ha rapporti di natura personale o professionale con le parti della negoziazione ovvero se ha interesse nella controversia ed è preliminarmente avvertito, ai sensi delle lett. da a) a f) del comma 2 della norma in commento: della qualifica dei soggetti innanzi ai quali rende le dichiarazioni e dello scopo della loro acquisizione; della facoltà di non rendere le dette dichiarazioni; della facoltà di astenersi ex art. 249 c.p.c.; delle responsabilità penali derivanti dalle false dichiarazioni; del dovere di riservatezza sulle domande e le risposte; delle modalità di acquisizione e documentazione delle dichiarazioni.

Le ipotesi di divieto di testimoniare e di incapacità a testimoniare sono, poi, in tutto e per tutto identiche a quelle previste dal nostro legislatore per la testimonianza nel processo civile.

Sia le domande che le risposte vengono verbalizzate in un documento che, munito dell'indicazione del luogo e della data, delle generalità dell'informatore e degli avvocati delle parti e dell'attestazione relativa agli avvertimenti indicati dalla norma, deve essere sottoscritto dall'informatore e dagli avvocati e fa piena prova di quanto gli avvocati attestano essere avvenuto alla loro presenza o da loro compiuto secondo quanto previsto dall'art. 2700 c.c. Il verbale in questione può essere poi prodotto nel successivo giudizio instaurato tra le parti a seguito del fallimento della negoziazione assistita ed è assistito dall'efficacia probatoria della prova libera quanto all'intrinseco, ai sensi dell'art. 116, comma 1, c.p.c. ma il giudice del successivo processo può sempre disporre che l'informatore sia escusso come teste. La norma dell'art. 4-bis d.l. 132/2014 prevede che allorché l'informatore non si presenti o, pur presentandosi, rifiuti di rendere le dichiarazioni e la negoziazione assistita si concluda con un nulla di fatto, la parte che ritiene necessaria l'acquisizione della sua testimonianza può utilizzare le disposizioni relative alla istruzione preventiva, nei limiti della compatibilità, escluse le norme sull'ATP e sulla consulenza tecnica preventiva in funzione di composizione della lite. Sono poi previste importanti sanzioni penali per l'ipotesi di falsa testimonianza che sono state specificamente introdotte con riferimento all'istruttoria stragiudiziale nella negoziazione assistita alla norma dell'art. 371-ter c.p.

Invece la disposizione dell'art. 4-ter del d.l. n. 132/2014 stabilisce che quando la convenzione di negoziazione assistita lo prevede, ciascun avvocato può invitare la controparte a rendere per iscritto dichiarazioni su fatti, specificamente individuati e rilevanti in relazione all'oggetto della controversia, ad essa sfavorevoli e favorevoli alla parte nel cui interesse sono richieste. Trattasi all'evidenza di vere e proprie dichiarazioni confessorie.

La dichiarazione è resa e sottoscritta dalla parte e dall'avvocato che la assiste anche ai fini della certificazione dell'autografia.

Il documento che contiene tali dichiarazioni fa piena prova di quanto l'avvocato attesta essere avvenuto in sua presenza e può essere prodotto nel giudizio iniziato dalle parti della convenzione di negoziazione assistita. Tale documento ha l'efficacia probatoria ed è soggetto ai limiti previsti dall'art. 2735 c.c.

Il rifiuto ingiustificato di rendere dichiarazioni sui fatti in questione è valutato dal giudice ai fini delle spese del giudizio, anche ai sensi dell'applicazione delle norme sulla responsabilità aggravata per lite temeraria (art. 96, commi 1, 2 e 3 c.p.c., tutti espressamente richiamati dalla disposizione). Il decreto delegato non ha dato seguito ad altri principi contenuti nella legge delega, come ad esempio quello relativo all'applicazione dell'art. 642, comma 2, c.p.c. nei confronti della parte che rifiuti di rendere le dichiarazioni in parola.

Le dichiarazioni di terzi

Trattasi, sia nell'intento che nella disciplina, di una vera e propria “testimonianza” anche se, come si è suggestivamente detto “pudicamente” il legislatore omette di chiamare il deponente “teste” e preferisce usare il penalistico termine di “informatore”.

La prova testimoniale, nella disciplina generale derivante dalle norme del codice sostanziale e del codice di rito è, come noto, una dichiarazione di scienza su fatti relativi alla causa, resa da un soggetto che rispetto alla causa stessa non è parte. E' una prova connotata dal valore di prova libera (ex art. 116 c.p.c.) che, di conseguenza, non può né assurgere al valore di prova legale e vincolare, di conseguenza il giudice al suo risultato, né scendere al livello dell'argomento di prova che da solo non può supportare la decisione sul fatto da provare.

Non par dubbio che quanto alla natura la acquisizione di dichiarazioni si palesi come una testimonianza stragiudiziale, resa davanti agli avvocati delle parti (presenza che, ai sensi della disposizione in commento,  comma 1, è necessaria).

Se quindi non possono residuare dubbi sulla sua natura, bisogna comprendere se essa possa ritenersi connotata dai medesimi limiti soggettivi e oggettivi che nel processo civile caratterizzano la prova testimoniale.

La prova testimoniale nel processo civile è, infatti, limitata sia soggettivamente che oggettivamente. Sotto il profilo soggettivo vi è una preventiva valutazione del legislatore circa la non attendibilità di colui che non abbia la qualità di terzo rispetto al giudizio. Infatti l'art. 246 c.p.c. stabilisce che “non possono essere assunte come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio”. La ragione di questa preventiva esclusione risiede nel fatto che il terzo che abbia un interesse nella causa non potrebbe mai essere obiettivo e, di conseguenza non avrebbe in alcun caso legittimazione a deporre.

Nel processo civile la giurisprudenza chiarisce che la valutazione di attendibilità del teste è relativa al contenuto della dichiarazione di scienza da lui resa e non può essere, di conseguenza, effettuata a priori o per specifiche categorie di soggetti, per escludere preventivamente la loro capacità a rendere la testimonianza (Cass., n. 19215/2015); né il giudice può preventivamente escludere una testimonianza perché ritiene non verosimili i fatti allegati o perché ritiene che il teste non sia idoneo ad effettuare un resoconto preciso degli stessi (Cass. n. 7146/2004).

Il limite dell'interesse nella causa, per espresso richiamo dell'art. 4-bis d.l. n. 132/2014 vale senz'altro specularmente anche nell'istruttoria stragiudiziale della negoziazione assistita. Infatti, come visto, l'informatore è tenuto preliminarmente a dichiarare – oltre ai rapporti di parentela o di natura personale – se ha un interesse nella causa.

Ne deriva che l'eventuale riscontro della inattendibilità del teste perché non “terzo” rispetto alla lite, dovrebbe comportare anche la valutazione di inammissibilità delle informazioni così acquisite nella negoziazione assistita.

La giurisprudenza nel processo civile esclude che rilevi quale causa di incapacità a testimoniare, l'interesse meramente fattuale a un esito determinato del giudizio perché le norme del rito ordinario si riferiscono senz'altro all'interesse ad agire come inquadrato dall'art. 100 c.p.c. (Cass. civ., sez. lav., 20 marzo 1999, n. 2618) né è rilevante un interesse relativo ad ipotetiche azioni future, differenti rispetto a quelle oggetto della controversia in cui la testimonianza è resa, a meno che il loro collegamento oggettivo con la stessa non comporti già nel momento in cui la testimonianza è resa, una legittimazione alla partecipazione al giudizio in corso (Cass. civ., sez. lav., 21 ottobre 2015, n. 21148; Cass. civ., sez. lav., 12 maggio 2006, n. 11034; Cass. civ., sez. lav., 15 febbraio 2004, n. 2327). E' quindi, secondo la giurisprudenza non ammissibile la testimonianza di coloro che sarebbero legittimati ad intervenire volontariamente nel giudizio (Cass. civ., II, 18 marzo 1989, n. 1369; Cass. civ., 6 gennaio 1981, n. 47) anche se il panorama dottrinale è più vario.

Non sarebbe a questa stregua ammissibile nemmeno nella negoziazione assistita la testimonianza resa da colui che astrattamente sarebbe legittimato ad intervenire nel giudizio instaurando, laddove la negoziazione assistita non dovesse concludersi con un accordo.

Bisogna tenere presente che la capacità a testimoniare si differenzia dalla valutazione sulla attendibilità del teste, perché i due requisiti operano su piani differenti dato che la prima, ex art. 246 c.p.c., dipende dalla presenza di un interesse giuridico che potrebbe legittimare il terzo a partecipare al giudizio, mentre la seconda è relativa alla veridicità della deposizione che il giudice valuta discrezionalmente sulla base di elementi oggettivi – precisione, completezza, eventuali contraddizioni – e soggettivi – credibilità in relazione a qualità personali, rapporti con le parti, eventuale interesse all'esito della lite – sicché anche uno solo degli elementi soggettivi, laddove ritenuto di particolare rilevanza può essere sufficiente per una dichiarazione di inattendibilità del teste nel giudizio ordinario.

In questo senso si è espressa la giurisprudenza anche recente. Si vedano ad es. Cass. civ., VI, 30 settembre 2021, n. 26547 e Cass. civ., II, 9 agosto 2019, n. 21239 secondo cui la capacità a testimoniare differisce dalla valutazione sull'attendibilità del teste, operando le stesse su piani diversi.

Poiché comunque le informazioni così acquisite possono trovare ingresso nel futuro giudizio ma sono valutate dal giudice secondo il suo prudente apprezzamento, potrà essere il giudice del successivo processo a valutare l'inattendibilità del teste alla luce della carenza di uno o più elementi soggettivi non rilevati in sede di istruttoria stragiudiziale nella negoziazione assistita. Del resto rimane ferma, alla luce della norma dell'art. 4-bis del d.l. n. 132/2014, la possibilità per il giudice del successivo processo di escutere il teste direttamente.

Se nel processo civile l'eccezione di incapacità a testimoniare deve essere sollevata in sede di assunzione della prova o nella prima difesa successiva, la stessa valutazione deve essere fatta in relazione alla acquisizione di dichiarazioni, sicché la parte interessata – tramite il suo avvocato - ad eccepire tale incapacità dovrà farlo in sede di assunzione delle dichiarazioni ovvero nel primo incontro successivo.

La giurisprudenza afferma questo principio nel processo civile e dice che in tema di prova per testimoni, poiché le nullità o decadenze derivanti dalla violazione delle disposizioni contenute negli artt. 244 e seguenti c.p.c. hanno natura relativa e sono sanate per acquiescenza delle parti, in quanto sono stabilite dalla legge a tutela dei loro interessi, e non per motivi di ordine pubblico, la nullità per incapacità a testimoniare (art. 246 c.p.c.) deve essere opposta tempestivamente dalla parte interessata secondo le modalità previste dall'art. 157,comma 2, c.p.c.: Cass. civ., III, 25 settembre 2009, n. 20652). O ancora vedasi Cass. civ., III, 12 gennaio 2006, n. 403 (conformi Cass. civ., VI, 3 settembre 2013, n. 20180; Cass. civ., sez. lav., 4 aprile 2008, n. 8806) secondo cui nel processo civile, l'invalidità della costituzione di una delle parti non integra una nullità rilevabile d'ufficio, senza alcun limite, in ogni stato e grado del giudizio.

Modalità di acquisizione

L'informatore, così come lo chiama la norma dell'art. 4-bis, deve essere previamente identificato – secondo le regole generali – ed è poi invitato a dichiarare se ha rapporti di parentela o di natura personale e professionale con qualcuna delle parti ovvero se ha un interesse nella causa.

Egli deve essere altresì preliminarmente avvertito:

a) della qualifica dei soggetti davanti ai quali rende le sue dichiarazioni oltreché dello scopo della loro acquisizione;

b) della facoltà di non rendere le dichiarazioni stesse;

c) della facoltà di astensione a lui riconosciuta ex art. 249 c.p.c., nell'ipotesi in cui ritenga di opporre l'esistenza di un segreto professionale, per ragioni di ufficio o di Stato;

d) delle responsabilità penali che derivano dalle dichiarazioni false;

e) del dovere di riservatezza sia sulle domande che sulle risposte fornite;

f) delle modalità in cui le dichiarazioni vengono acquisite e successivamente documentate.

Rispetto agli avvertimenti che devono essere in via preliminare fatti all'informatore, parallelamente a quanto accade rispetto alla testimonianza nel processo civile, le dichiarazioni in questione non possono essere rese da chi non abbia compiuto il quattordicesimo anno di età e da chi si trovi nelle condizioni di incapacità a testimoniare ex art. 246 c.p.c.

In particolare rispetto al divieto di testimoniare va ricordato che, dopo la dichiarazione di incostituzionalità dell'art. 247 c.p.c., si deve escludere qualsiasi valutazione negativa aprioristica rispetto ai testimoni che siano legati da vincoli familiari con alcuna delle parti. Di conseguenza l'informatore è solo invitato a dichiarare se ha rapporti di parentela o di natura personale o professionale con qualcuna delle parti.

La giurisprudenza ha chiarito che in materia di prova testimoniale non esiste, quanto alle deposizioni rese dai parenti o dal coniuge di una delle parti, alcun principio di automatica inattendibilità collegata al vincolo di parentela o di coniugio, perché, venuto meno il divieto di testimoniare di cui all'art. 247 c.p.c. per effetto di Corte cost. n. 248/1974, l'attendibilità del teste legato da uno di questi vincoli non può essere esclusa a priori, in difetto di ulteriori elementi in base ai quali il giudice del merito, con congrua motivazione, reputi di poterne valutare l'inattendibilità (Cass. civ., n. 18410/2013).

Per la facoltà di astensione la norma richiama l'art. 249 c.p.c. che, come è noto, stabilisce che si applicano all'audizione dei testimoni le disposizioni degli artt. 200,201 e 202 c.p.p. relative alla facoltà di astensione dei testimoni. Trattasi in particolare del segreto professionale (art. 200 c.p.p.), del segreto d'ufficio (art. 201 c.p.p.) e del segreto di Stato (art. 202 c.p.p.). Va però ricordato che la facoltà o l'obbligo di astenersi dal rendere la testimonianza non sono operativi quando vi sia l'obbligo di riferire i fatti all'autorità giudiziaria (art. 331 c.p.p.). Ai sensi dell'art. 200 c.p.p. non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero, ufficio o professione, salva l'operatività dell'art. 331 c.p.p., alcuni soggetti specificamente individuati dalla norma (come i ministri di confessioni religiose, gli avvocati, i medici ecc.). L'art. 200 c.p.p. ha introdotto, rispetto al precedente articolo sul segreto professionale, una nuova lettera, la d) che fa generico riferimento agli esercenti di altri uffici o professioni cui la legge riconosce la facoltà di astenersi dal deporre determinata dal segreto professionale.

A norma dell'art 201 c.p.p. esiste invece il segreto d'ufficio per i pubblici ufficiali, i pubblici impiegati e gli incaricati di un pubblico servizio che hanno l'obbligo di astenersi dal deporre su fatti conosciuti per ragioni del loro ufficio che devono rimanere segreti. Infine, a norma dell'art. 202 c.p.p. i pubblici ufficiali, i pubblici impiegati e gli incaricati di un pubblico servizio hanno l'obbligo di astenersi dal deporre sui fatti coperti dal segreto di Stato. Se il testimone in questo caso oppone un segreto di Stato, l'autorità giudiziaria ne informa il Presidente del Consiglio dei Ministri ai fini dell'eventuale conferma, sospendendo ogni iniziativa diretta ad acquisire la notizia oggetto del segreto.

Verbalizzazione delle informazioni ed efficacia probatoria del documento

Secondo quanto previsto dalla norma dell'art. 4-bis le domande rivolte all'informatore e le dichiarazioni da lui rese sono verbalizzate in un documento, redatto dagli avvocati, che contiene l'indicazione del luogo e della data in cui sono acquisite le dichiarazioni, le generalità dell'informatore e degli avvocati e l'attestazione che sono stati rivolti gli avvertimenti di cui al comma 2 della disposizione.

Questo documento, previa integrale lettura, è sottoscritto dall'informatore e dagli avvocati. All'informatore e a ciascuna delle parti ne è consegnato un originale.

Il documento, sottoscritto come previsto dal 5 comma della norma, fa piena prova di quanto gli avvocati attestano essere avvenuto in loro presenza. Può essere prodotto nel giudizio tra le parti della convenzione di negoziazione assistita ed è valutato dal giudice ai sensi dell'art. 116, comma 1, del codice di procedura civile ma il giudice può sempre disporre che l'informatore sia escusso come testimone.

Pertanto il documento redatto secondo le indicazioni normative e sottoscritto dall'informatore e dagli avvocati, “fa piena prova” ossia fa prova fino a querela di falso, poiché è dotato della stessa efficacia dell'atto pubblico rispetto all'estrinseco, ossia alla provenienza del documento dal pubblico ufficiale rogante che, nella specie, è l'avvocato, nonché delle dichiarazioni che sono state rese dinanzi a loro e dei fatti che attestano essere avvenuti in loro presenza o da loro compiuti, secondo il disposto dell'art. 2700 c.c.

Le dichiarazioni confessorie

Si tratta di una vera e propria confessione stragiudiziale assistita peraltro anche dalla stessa efficacia probatoria, stante l'esplicito richiamo dell'art. 2735 c.c..

Trattasi, in ogni caso, di dichiarazioni confessorie dato che, a mente della disposizione in commento, ciascun avvocato può invitare l'altra parte a rendere per iscritto dichiarazioni su fatti, specificamente individuati e rilevanti in relazione all'oggetto della controversia che si cerca di risolvere in sede di negoziazione assistita, che siano caratterizzati dall'essere a sé sfavorevoli e favorevoli all'altra parte.

Ricordo che la confessione nel sistema derivante dal combinato disposto delle norme del codice sostanziale e del codice di rito, consiste nella dichiarazione resa dalla parte della verità di fatti a sé sfavorevoli e favorevoli all'altra parte, secondo quanto espressamente dispone l'art. 2730 c.c. La confessione è relativa ai fatti e non, bensì, ai diritti che da essi derivano, fatti che devono essere, per esplicito dettato di legge, sfavorevoli alla parte che confessa; i fatti devono essere inoltre relativi a diritti disponibili delle parti e devono provenire dalla parte che sia dotata della capacità di disporre del diritto ovvero dal suo rappresentante legale o volontario, entro i limiti in cui questi possa vincolare il soggetto rappresentato.

Poiché la norma richiama espressamente le disposizioni sulla confessione stragiudiziale, deve ritenersi che questa sia la configurazione che il legislatore ha inteso assegnare all'istituto delineato dall'art. 4-ter in commento e che, pertanto, tutte le norme ad essa relative trovino applicazione pur se non specificamente richiamate.

Di conseguenza non possono essere oggetto di interpello né di dichiarazioni confessorie fatti relativi a diritti non disponibili delle parti.

Peraltro vale anche con riferimento alle dichiarazioni di cui all'art. 4-ter il principio, comunemente affermato nella giurisprudenza, secondo cui l'indagine volta a stabilire se una dichiarazione della parte costituisca o meno confessione e, cioè, ammissione di fatti sfavorevoli al confitente e favorevoli all'altra parte, si risolve in un apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimità se fondato su una motivazione immune da vizi logici (per tutti si veda Cass. civ., I, 5 aprile 2023, n. 9419; Cass. civ., VI, 14 febbraio 2020, n. 3698).

Non potendo il legislatore configurare le dichiarazioni confessorie di cui all'art. 4-ter come una confessione “giudiziale”, ha giustamente richiamato le disposizioni relative alla confessione “stragiudiziale”. Come questa, anche le dichiarazioni confessorie dovranno essere acquisite al processo per la prova di essa varrà il verbale sottoscritto dalla parte e dall'avvocato che la assiste.

Modalità di acquisizione delle dichiarazioni

Per quanto riguarda l'acquisizione delle dichiarazioni delle parti, l’art. 4-ter, comma 1, prevede che ciascun avvocato possa invitare la controparte a rendere per iscritto dichiarazioni su fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli alla parte nel cui interesse sono richieste, indicando specificamente i fatti rilevanti rispetto all'oggetto della controversia. La dichiarazione è resa e sottoscritta dalla parte e dall'avvocato che la assiste anche ai fini della certificazione dell'autografia. Questo documento contenente la dichiarazione fa piena prova di quanto l'avvocato attesta essere avvenuto in sua presenza e può essere prodotto nel giudizio iniziato dalle parti della convenzione di negoziazione assistita. Questo documento ha l'efficacia ed è soggetto ai limiti previsti dall'art. 2735 c.c.

Pertanto rispetto a tali dichiarazioni La forma scritta è dunque l'unica forma idonea per tali dichiarazioni, che possono assumere valore confessorio e quindi di prova legale ex art. 2735 c.c.

Efficacia probatoria del documento

Quanto all'efficacia probatoria bisogna distinguere il documento che contiene le dichiarazioni che fa piena prova fino a querela di falso di tutto ciò che l'avvocato attesta essere avvenuto in sua presenza o da lui compiuto, dal contenuto confessorio delle dichiarazioni sfavorevoli contenute nel documento, per le quali, appunto la disposizione dell'art. 4-ter d.l. n. 132/2014 richiama l'efficacia probatoria della confessione stragiudiziale ex art. 2735 c.c.; pertanto anch'esse hanno valore di prova legale a carico della parte confitente.

Anche rispetto a queste dichiarazioni confessorie deve ritenersi operante il principio che pur laddove possa essere escluso che le dichiarazioni sfavorevoli alla parte possano avere valore di confessione stragiudiziale con piena efficacia probatoria nel rapporto processuale, esse comunque conservano il valore di prova liberamente apprezzabile dal giudice (Cass. civ., sez. lav., n. 8870/2023).

Nell'ipotesi in cui le dichiarazioni confessorie in parola vengano rese e verbalizzate nel documento di cui all'art. 4-ter, esse rivestono piena efficacia probatoria ex artt. 2733 e 2735 c.c. sicché il confitente non potrà impugnare l'atto se non dimostrando, in base alla regola generale posta dall'art. 2732 c.c., che esso è stato determinato da errore di fatto o da violenza, non essendo sufficiente a tal fine la prova della non veridicità della dichiarazione.

Questo principio è affermato comunemente nella giurisprudenza, ad es. con riferimento al rilascio della quietanza al debitore con cui si ammette il fatto del ricevuto pagamento che configura una confessione stragiudiziale resa alla parte. Si veda ad es. di recente Cass. civ., III, n. 5945/2023; Cass. civ., II, n. 4196/2014).

Qualora la parte rifiuti di rendere le dichiarazioni in parola sui fatti, specificamente individuati e rilevanti in relazione all'oggetto della controversia che si vuole risolvere in sede di negoziazione assistita, la norma non attribuisce alcuna efficacia confessoria al rifiuto (ficta confessio) né attribuisce al giudice un potere analogo a quello previsto dall'art. 232 c.p.c. rispetto alla mancata risposta della parte in sede di interrogatorio formale.

Se, pertanto alla mancata risposta in sede di interrogatorio formale non può essere automaticamente attribuito il valore di ficta confessio (Cass. civ. n. 17719/2014), si impone però al giudice di valutare ogni altro elemento di prova (Cass. civ. n. 9436/2018).

Il mancato richiamo dell'art. 232 c.p.c. rispetto alla dichiarazione confessoria di cui all'art. 4-ter d.l. n. 132/2014 è senz'altro una scelta intenzionale dovuta alla chiara scelta di equiparare tali dichiarazioni ad una confessione stragiudiziale anche quanto all'efficacia probatoria, escludendo che possa in alcun modo parificarsi il regime delle dichiarazioni stesse e l'eventuale rifiuto ingiustificato di renderle, al regime della confessione giudiziale “provocata” tramite interrogatorio formale.

Vengono conseguentemente richiamate soltanto le disposizioni dell'art. 96 c.p.c., in tutti i suoi commi, con applicazione integrale del regime della responsabilità aggravata. Sicché, ad es. se nel successivo giudizio instaurato a seguito del fallimento della negoziazione assistita, la parte che ha rifiutato di rendere le dichiarazioni dovesse rimanere soccombente, ai sensi dell'art. 96, 1° co., c.p.c., il giudice, su istanza dell'altra parte, la potrà condannare oltre che alle spese processuali, anche al risarcimento del danno che liquiderà d'ufficio nella sentenza.

Ma, ugualmente, il giudice che dovesse accertare l'inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare o trascritta domanda giudiziale, o iscritta ipoteca giudiziale o iniziata o compiuta l'esecuzione forzata, in relazione a controversia per cui si è svolto il giudizio di negoziazione assistita senza concludersi con l'accordo e in cui il creditore o attore ha rifiutato ingiustificatamente di rendere le dichiarazioni confessorie, con conseguente instaurazione e/o promozione di successive azioni cautelari o esecutive, su istanza della parte danneggiata, condannerà al risarcimento dei danni l'attore o creditore procedente che ha agito senza la “normale prudenza”.

In applicazione dell'art. 96, comma 3, c.p.c. il giudice in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell'art. 91 c.p.c., anche d'ufficio, può condannare la parte soccombente al pagamento a favore della controparte di una somma equitativamente determinata.

Il divieto di acquisizione telematica delle dichiarazioni di terzi

Sia l'art. 4-bis che l'art. 4-ter d.l . n. 132 /2014 prevedono una specifica disciplina per il rispetto delle necessarie garanzie in ordine all'acquisizione delle dichiarazioni di terzi, non solo in ordine alle modalità in parola ma anche rispetto alle specifiche modalità di verbalizzazione delle dichiarazioni. Questa disposizione è dettata in attuazione dell'art. 1, 4 comma, lett. p), n. 1), legge delega che espressamente indicava come criterio direttivo la previsione “che le procedure di mediazione e negoziazione assistita possano essere svolte, su accordo delle parti, con modalità telematiche e che gli incontri possano svolgersi con collegamenti da remoto”.

Il 3 comma dell'art. 2 -bis,  d.l. n. 132/2014 , invece, proibisce l'acquisizione per via telematica o con collegamenti audiovisivi delle dichiarazioni dei terzi, che pertanto devono essere acquisite verbalmente presso lo studio del difensore di una delle parti o presso il consiglio dell'ordine degli avvocati, nonché alla presenza dei legali che le assistono.

Riferimenti

C. Asprella, La negoziazione assistita, Collana La riforma del processo civile, a cura di A. Panzarola e R. Giordano, Milano, 2024.

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