La responsabilità di amministratori e sindaci alla luce del Codice della crisi

Luca Jeantet
Paola Vallino
18 Luglio 2024

Il presente contributo analizza i profili di responsabilità degli amministratori, alla luce delle modifiche al Codice Civile introdotte dal Codice della Crisi d'Impresa e dell'Insolvenza (CCII). Con riferimento alla responsabilità degli amministratori nei confronti dei creditori sociali, il d.lgs. n. 14/2019 – colmando una lacuna normativa creata dal legislatore della riforma del 2003 – ha modificato l'art. 2476 c.c. estendendo tale forma di responsabilità anche alle S.r.l.  Il contributo fornisce, altresì, una ricognizione normativa rispetto alla tematica della responsabilità dei sindaci prevista dalle disposizioni del Codice Civile e del Codice della Crisi d'Impresa e dell'Insolvenza, facendo da ultimo menzione al Disegno di Legge n. 1276, il quale propone la soppressione della responsabilità concorrente dei sindaci e un nuovo criterio per la liquidazione del danno ad essi imputato, che si basa sul sistema dei multipli del compenso percepito.

In un successivo contributo, di prossima pubblicazione, gli Autori si concentreranno sui criteri per la quantificazione del danno imputato agli amministratori.

Il Codice della Crisi d'impresa e dell'insolvenza: le modifiche al Codice Civile

Per la definizione della disciplina di attuazione dei principi e dei criteri direttivi di cui alla riforma organica della crisi e dell'insolvenza – culminata con l'entrata in vigore, in data 15 luglio 2022, del Codice della Crisi d'impresa e dell'insolvenza – è stato necessario procedere alla modifica di alcune disposizioni del Codice Civile, del libro V, titoli II e V (alcune delle quali entrate in vigore il 16 marzo 2019), oltre che all'abrogazione di alcune norme.

A tal proposito, la parte II del CCII, agli artt. da 375 a 384, ha apportato talune novità al Codice Civile.

In particolare, le innovazioni introdotte intervengono sul libro V del Codice Civile, e concernono gli assetti organizzativi dell'impresa (titolo II del libro V); gli assetti organizzativi societari, la responsabilità degli amministratori, la nomina degli organi di controllo nelle società a responsabilità limitata, le cause di scioglimento delle società per azioni (titolo VI del libro V).

Tra i principali interventi d'innovazione che rilevano ai fini del presente contributo:

  • l'art. 2086 c.c. è stato modificato al fine di far emergere tempestivamente la situazione di crisi, introducendo una disposizione vòlta ad imporre all'imprenditore l'obbligo di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa (art 375 CCII);
  • la rubrica dell'art. 2086 c.c. è mutata da “Direzione e gerarchia nell'impresa” a “Gestione dell'impresa”;
  • sono stati integrati gli artt. 2476 c.c. (in materia di responsabilità degli amministratori delle società a responsabilità limitata) e 2486 c.c. (relativo ai poteri degli amministratori al verificarsi di una causa di scioglimento della società), con l'obiettivo di innalzare il grado di responsabilità dell'organo gestorio in caso di mancato rispetto degli obblighi di conservazione dell'integrità del patrimonio sociale (art. 378 CCII);
  • è stato modificato l'art. 2484 c.c. (mediante aggiunta al primo comma del numero 7-bis) al fine di prevedere l'apertura della procedura di liquidazione giudiziale tra le cause di scioglimento delle società di capitali (art. 380 CCII);
  • è stato modificato l'art. 2477 c.c., al fine di estendere le ipotesi in cui le società a responsabilità limitata sono obbligate a nominare l'organo di controllo o il revisore (art. 379 CCII);
  • è stato conferito al conservatore del registro delle imprese il potere di segnalare al tribunale che l'assemblea, tenuta a nominare l'organo di controllo o il revisore ai sensi del sesto comma dell'art. 2477 c.c., non vi abbia provveduto nel termine di trenta giorni (secondo quanto previsto al primo periodo del medesimo sesto comma);
  • con aggiunta di un comma all'art. 2477 c.c., è stata disposta l'applicabilità alle società a responsabilità limitata, anche se prive di organo di controllo, delle disposizioni dell'art. 2409 c.c., che disciplinano le modalità di denunzia al tribunale di gravi irregolarità compiute dagli amministratori e tali da poter arrecare danno alla società;
  • è stato fatto carico alle società a responsabilità limitata e alle società cooperative già costituite alla data di entrata in vigore dell'articolo in esame di adeguare l'atto costitutivo e lo statuto alle disposizioni dei novellati commi terzo e quarto dell'art. 2477 c.c. entro 180 giorni dalla predetta data.

Come ormai noto, l'obiettivo della riforma è consentire alle imprese in difficoltà finanziaria di ristrutturarsi in una fase precoce, per evitare l'insolvenza e proseguire la propria attività: la normativa precedente guardava al passato, agli avvenimenti ormai accaduti nella vita dell'impresa, mentre il CCII mira alla conservazione del going concern e alla prevenzione di eventuali stati di crisi dell'impresa.

A tal fine sono stati individuati gli strumenti di allerta, tra cui spiccano gli indicatori della crisi, costituiti dagli squilibri di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell'impresa e dell'attività imprenditoriale svolta dal debitore.

Una delle innovazioni più significative introdotte dal CCII è senza dubbio la “composizione negoziata per la soluzione della crisi d'impresa”, che mira ad (i) anticipare l'emersione della crisi di impresa; (ii) a costituire uno strumento di sostegno diretto ad analizzare le cause della sofferenza economica e finanziaria dell'impresa e (iii) a fornire un servizio di composizione della crisi funzionale alle trattative per il raggiungimento dell'accordo con i creditori.

Tutto questo è stato previsto per favorire l'emersione tempestiva della crisi attraverso l'introduzione di un obbligo di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa, anche in funzione della rilevazione immediata della crisi dell'impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l'adozione e l'attuazione di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale.

Di qui ed in questa prospettiva, la previsione di misure premiali per chi affronta e risolve anticipatamente un proprio stato di crisi, ma, al tempo stesso, l'aggravamento della posizione per chi resti inerte, ledendo gli interessi della società e la garanzia patrimoniale dovuta ai creditori (Abriani, Doveri e responsabilità; Ambrosini, Appunti sui doveri degli amministratori di s.p.a. Con riferimento alla violazione dei doveri di cui al nuovo art. 2086 c.c., tra cui vi è l'obbligo di prevedere assetti adeguati in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell'impresa, in merito alla responsabilità l'Autore sostiene che “Restando al tema dei corollari del principio dell'adeguatezza degli assetti sul versante dei doveri degli amministratori e, quindi, della loro responsabilità nell'ipotesi di violazione di tali doveri, può ribadirsi quanto osservato all'indomani del varo del codice della crisi, vale a dire che non pare irragionevole pronosticare una ricaduta del nuovo quadro normativo sul piano delle responsabilità degli organi sociali, in termini di valutazioni tendenzialmente più rigorose nel caso di omessa o inadeguata istituzione di tali assetti”).

La responsabilità degli amministratori: modifiche agli artt. 2476 e 2486 c.c.

Ai fini del presente contributo, è opportuno riportare il testo dell'art. 378 CCII rubricato “Responsabilità degli amministratori”. Il primo comma stabilisce che all'art. 2476 c.c. è stato aggiunto un sesto comma, ove si legge che “gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l'inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale. L'azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti. La rinunzia all'azione da parte della società non impedisce l'esercizio dell'azione da parte dei creditori sociali. La transazione può essere impugnata dai creditori sociali soltanto con l'azione revocatoria quando ne ricorrono gli estremi”. 

Il secondo comma dello stesso art. 378 CCII, invece, stabilisce che all'art. 2486 c.c. è stato aggiunto un terzo comma, ai sensi del quale è stato previsto che “quando è accertata la responsabilità degli amministratori a norma del presente articolo, e salva la prova di un diverso ammontare, il danno risarcibile si presume pari alla differenza tra il patrimonio netto alla data in cui l'amministratore è cessato dalla carica o, in caso di apertura di una procedura concorsuale, alla data di apertura di tale procedura e il patrimonio netto determinato alla data in cui si è verificata una causa di scioglimento di cui all'articolo 2484, detratti i costi sostenuti e da sostenere, secondo un criterio di normalità, dopo il verificarsi della causa di scioglimento e fino al compimento della liquidazione. Se è stata aperta una procedura concorsuale e mancano le scritture contabili o se a causa dell'irregolarità delle stesse o per altre ragioni i netti patrimoniali non possono essere determinati, il danno è liquidato in misura pari alla differenza tra attivo e passivo accertati nella procedura” (tali modifiche saranno approfondite infra, in quanto esse sono di rilevante interesse ai fini che qui interessano, riguardando la responsabilità degli amministratori e il criterio di quantificazione del danno). 

La responsabilità degli amministratori nei confronti dei creditori sociali – cenni

La modifica dell'art. 2476 c.c. da parte dell'art. 378 CCII ha allineato la disciplina delle società a responsabilità limitata a quella delle società per azioni con riferimento alla tematica della responsabilità degli amministratori nei confronti dei creditori sociali. Tale innovazione suggerisce, anzitutto, alcune preliminari considerazioni.

Oltre che verso la società gestita, gli amministratori di una società per azioni, e oggi anche di una società a responsabilità limitata, possono essere chiamati a rispondere anche nei confronti dei creditori sociali nel caso in cui dal loro inadempimento dei doveri inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale sia conseguita la relativa insufficienza a soddisfare i crediti stessi.

Rispetto alla qualificazione ed all'inquadramento sistematico di questa ipotesi di responsabilità ci si è in passato interrogati circa la sua riconducibilità alla categoria della responsabilità aquiliana, piuttosto che a quella della responsabilità contrattuale, ed a proposito della natura autonoma o surrogatoria della relativa azione: interrogativi tutt'altro che astratti e accademici, posto che dalla loro soluzione discendono conseguenze pratiche di estremo rilievo. Per limitarci a menzionare le principali, la qualificazione dell'azione come extracontrattuale avrebbe la conseguenza di imporre all'attore l'onere di fornire la prova dell'elemento soggettivo, vale a dire della colpa o del dolo degli amministratori, onere che verrebbe meno ove l'azione fosse ricondotta nell'alveo della responsabilità contrattuale. L'attribuzione all'azione di natura meramente surrogatoria condurrebbe a ritenere che gli amministratori convenuti in giudizio possano opporre ai creditori le stesse eccezioni che avrebbero potuto opporre alla società e che dei risultati eventualmente conseguiti con l'azione i creditori possano beneficiare soltanto indirettamente, tramite la reintegrazione del patrimonio sociale, laddove a conclusioni diametralmente opposte si dovrebbe giungere ove all'azione fosse riconosciuta dignità autonoma.

Le due questioni sono state dibattute in dottrina, ove le contrapposte soluzioni annoverano autorevoli sostenitori e sono supportate con approfonditi iter argomentativi (sostengono la tesi della natura extracontrattuale dell'azione ex art. 2394 c.c., ad esempio, Gommellini; Conforti; Mazzoni; Di Sabato; Ambrosini, La società per azioni; Galgano; Quatraro-Picone; Franzoni, Le responsabilità civili. Favorevoli alla riconduzione dell'azione nell'alveo della responsabilità contrattuale, al contrario, Cavalli, Le azioni di responsabilità; Campobasso; Presti–Rescigno; Zanarone; Spiotta; Libonati; Bonelli; Adiutori. Per quanto concerne la seconda questione, ritengono che l'azione abbia natura diretta ed autonoma rispetto a quella prevista dall'art. 2393 c.c.: Pagni; Fabiani, L'azione di responsabilità; Id., Le azioni di responsabilità; Bonelli; Galgano. Si schierano per la natura surrogatoria dell'azione Bussoletti; Cottino, Diritto societario; Ferri, Manuale di diritto commerciale, Torino; G. Ferri, Manuale di diritto commerciale, a cura di Angelici; Cottino, Diritto commerciale. Le società.

La Corte di Cassazione ha da tempo preso posizione su entrambi gli argomenti in una sentenza risalente, ma mai smentita nelle sue statuizioni anche in successive pronunce, facendo espressamente propria da un lato la tesi della riconducibilità dell'azione dei creditori alla fattispecie di responsabilità extracontrattuale, dall'altro quella della natura autonoma e diretta dell'azione (si veda Cass. 22 ottobre 1998, n. 10488, con nota adesiva di V. Salafia, Considerazioni in tema di responsabilità degli amministratori verso le società e verso i creditori sociali, in Giust. Civ., 1999, I, 75. Come è stato segnalato, tale pronuncia non è mai stata smentita da sentenze più recenti. Si veda, a tal proposito, Cass. S.U. 23 gennaio 2017, n. 1641; Cass. 4 dicembre 2015, n. 24715; Cass. 20 settembre 2012, n. 15955; Cass. 12 giugno 2007, n. 13765).

In particolare, sotto il primo profilo, la Suprema Corte ha avuto modo di evidenziare che la responsabilità in questione ha natura extracontrattuale, in assenza dell'imprescindibile presupposto della responsabilità contrattuale che è costituito dalla preesistenza di un vincolo obbligatorio (anche se non necessariamente di genesi contrattuale) del quale possa configurarsi l'inadempimento (alcuni autori, con specifico riguardo agli amministratori di fatto, hanno teorizzato il sorgere di una specifica tipologia di responsabilità, ossia la c.d. responsabilità da contatto sociale. Sul punto si veda Franzoni, Il fatto illecito; Caprara; D'Orazio). Tale responsabilità, secondo la Suprema Corte, sorge se ed in quanto il comportamento degli amministratori cagioni una diminuzione del patrimonio sociale di entità tale da rendere lo stesso inidoneo per difetto ad assolvere la funzione di garanzia patrimoniale generica di cui all'art. 2740 c.c., e il diritto riconosciuto ai creditori sociali è quello di ottenere dagli amministratori, a titolo di risarcimento, l'equivalente della prestazione che, per colpa degli stessi amministratori, la società non è più in grado di adempiere (o di adempiere integralmente e correttamente).

Sotto il secondo profilo, la Cassazione ha rilevato come la tesi della natura surrogatoria dell'azione, sebbene sia autorevolmente sostenuta in dottrina (vedi supra) e accolta in alcuni risalenti precedenti della giurisprudenza di legittimità poi superati (Cass. 4 dicembre 1991, n. 13498; Cass. 28 febbraio 1998, n. 2251), appaia priva di fondamento, dovendo la responsabilità in oggetto essere qualificata alla stregua di azione diretta ed autonoma (questa precipua caratteristica dell'azione ex art. 2394 c.c. è stata confermata anche dalla giurisprudenza di legittimità più recente).

Ciò non solo sulla base della lettera della norma secondo cui gli amministratori rispondono verso i creditori sociali, ma anche, e soprattutto, sulla base di considerazioni di ordine sistematico, emergenti:

  1. dal comma 3 dell'art. 2394 c.c., ove si stabilisce che la rinunzia all'azione da parte della società non impedisce l'esercizio dell'azione da parte dei creditori sociali: tale disposizione risulterebbe inconcepibile se ad essa si dovesse attribuire il significato del conferimento all'attore in surrogatoria della facoltà di sostituirsi al titolare principale del diritto nel far valere un'azione a questo preclusa;
  2. dall'art. 255 CCII, che prevede la possibilità per il curatore del fallimento della società di agire contro gli amministratori a norma degli artt. 2393 e 2394 c.c.: tale norma conferma la persistenza di una duplicità di azioni nella pendenza della procedura concorsuale (l'art. 255 CCII ha sostituito il vecchio art. 146 l.fall. e anch'esso prevede che il curatore possa esperire l'azione dei creditori sociali ai sensi dell'art. 2394 c.c., per le s.p.a.) e dell'art. 2476, comma 6, c.c., per le s.r.l.;
  3. dal regime della prescrizione, che il legislatore, se non ne avesse presupposto l'autonomia, non avrebbe disciplinato con una specifica previsione normativa, per assoggettarla allo stesso termine dell'azione sociale di responsabilità, con la sola differenza che in questo caso non opera la causa di sospensione di cui al n. 7) dell'art. 2941 c.c. (ai sensi del quale la prescrizione rimane sospesa “tra le persone giuridiche e i loro amministratori, finché sono in carica, per le azioni di responsabilità contro di essi), non essendo configurabile quel rapporto diretto tra le parti che della causa di sospensione costituisce ragione di essere, e con la particolarità che il termine di prescrizione inizia a decorrere in questo caso, in applicazione del criterio generale posto dall'art. 2935 c.c., dal momento in cui sia divenuto oggettivamente conoscibile il dato di fatto dell'insufficienza del patrimonio sociale, anche se lo stesso sia stato in concreto ignorato. In merito al dies a quo del decorso della prescrizione come sopra delineato, si vedano: Cass. 3 agosto 2023, n. 23659; Cass. 4 settembre 2019, n. 22077; Cass. 4 dicembre 2015, n. 24715; Cass. 12 giugno 2014, n. 13378, Cass. 22 aprile 2009, n. 9619. La tesi della natura extracontrattuale dell'azione può dirsi consolidata in giurisprudenza, in quanto ribadita anche da diverse corti di merito: cfr. Trib. Roma, 4 ottobre 2023, n. 14011; Trib. Napoli, 22 settembre 2023, n. 8643; Trib. Roma, 18 febbraio 2021; Trib. Grosseto, 6 novembre 2020, n. 766; Trib. Palermo, 5 giugno 2020, n. 1639; Trib. Catania, 18 marzo 2020, n. 1080. Per sentenze di merito più risalenti nel tempo ma altrettanto a conferma di questa tesi si veda App. Milano, 14 gennaio 1992, Trib. Milano, 2 ottobre 2006; Trib. S. M. Capua Vetere, 23 maggio 2000; Trib. Milano, 6 febbraio 1989.

Quanto all'esercizio, da parte dei creditori sociali o di chi ne fa le veci, dell'azione risarcitoria ex art. 2394 c.c. – poiché il pregiudizio in questione deriva dall'insufficienza del patrimonio sociale a far fronte ai debiti assunti dalla società – i presupposti sono: (i) la dimostrazione della condotta illegittima degli amministratori; e (ii) l'insufficienza del patrimonio sociale a soddisfare le ragioni di credito quale conseguenza immediata e diretta derivante proprio dalla condotta censurabile degli amministratori. Con riguardo ai presupposti dell'azione di responsabilità ex art. 2394 c.c. tradizionalmente si segnala Cass. 6 dicembre 2000, n. 15487, ove si legge che “in tema di società, presupposti necessari e sufficienti per l'esperimento dell'azione di responsabilità verso gli amministratori, ex art. 2394 c.c., devono ritenersi l'esistenza di un pregiudizio patrimoniale per i creditori (costituito dall'insufficienza del patrimonio sociale a soddisfarne le rispettive ragioni di credito), la condotta illegittima degli amministratori, nonché un rapporto di causalità tra pregiudizio e condotta”. V. anche Cass. 27 ottobre 2006, n. 23180, ove viene statuito che “[…] la mancata conservazione del patrimonio della società, pregiudizievole per i creditori, in tanto può generare responsabilità negli amministratori in quanto sia conseguenza, non già dell'alea insita in qualsiasi attività d'impresa, bensì della violazione da parte loro di doveri legali o statutari, di cui è perciò indispensabile identificare nella domanda giudiziaria gli estremi fattuali”; v. anche Cass. 25 luglio 2008, n. 20476.

Con riguardo al presupposto dell'insufficienza del patrimonio a far fronte al monte dei debiti, si tratta di una situazione diversa, quanto a natura e caratteristiche, sia dalla perdita del capitale sociale, sia dall'insolvenza in senso tecnico. Sul punto la Suprema Corte ha evidenziato che la nozione di insufficienza patrimoniale “è comunemente individuata nella eccedenza delle passività sulle attività del patrimonio netto dell'impresa, ovverosia in una situazione in cui l'attivo sociale, raffrontato ai debiti della società, sia insufficiente al loro soddisfacimento. Ugualmente pacifica è la differenziazione di tale concetto dall'eventualità della perdita integrale del capitale sociale, dal momento che quest'ultima evenienza può verificarsi anche quando vi è un pareggio tra attivo e passivo perché tutti i beni sono assorbiti dall'importo dei debiti e, quindi, tutti i creditori potrebbero trovare di che soddisfarsi nel patrimonio della società. L'insufficienza patrimoniale è una condizione più grave e definitiva della mera insolvenza, indicata dall'art. 5 del r.d. 16 marzo 1992, n. 267 (nozione oggi disciplinata dall'art. 2, comma 1, let. b), CCII) come incapacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, potendosi una società trovare nell'impossibilità di far fronte ai propri debiti ancorché il patrimonio sia integro; così come potrebbe accadere l'opposto, vale a dire che l'impresa possa presentare un'eccedenza del passivo sull'attivo, pur permanendo nelle condizioni di liquidità e di credito richieste (per esempio ricorrendo ad ulteriore indebitamento). L'insolvenza, in sostanza, connota uno stato di salute dell'impresa meno grave del vero e proprio deficit patrimoniale, dal momento che anche in caso di patrimonio netto negativo la società potrebbe adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni (ad esempio, grazie alle disponibilità creditizie di cui gode) e che, d'altra parte, un imprenditore può essere insolvente anche quando l'attivo prevale sul passivo (come avviene tipicamente nell'ipotesi in cui le poste attive siano difficilmente liquidabili nel breve periodo, a fronte di debiti pur di minore entità, ma immediatamente esigibili)”: Cass. 25 luglio 2008, n. 20476. Nello stesso senso e più di recente, v. Cass. 20 settembre 2019, n. 23452; Cass. 12 giugno 2014, n. 13378; Cass. 22 aprile 2009, n. 9619. Sul punto, la dottrina condivide l'orientamento della giurisprudenza. A tal proposito si vedano Bernabai;  Cian-Trabucchi. Secondo la Cassazione quindi, neppure l'insolvenza conclamata può essere automaticamente identificata con l'insufficienza patrimoniale di cui all'art. 2394 c.c.: e ciò, perché l'incapacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni non dipende in via prevalente dall'insufficienza della garanzia patrimoniale generica (art. 2740 c.c.), quanto piuttosto dall'impossibilità di ottenere ulteriore credito.

Il secondo presupposto essenziale è rappresentato dall'inadempimento da parte degli amministratori dei doveri di conservazione del patrimonio sociale, cui la sopravvenuta insufficienza patrimoniale sia legata dalla sussistenza di un nesso causale. In particolare, giova osservare che – mentre la responsabilità nei confronti della società comprende qualsiasi violazione di legge o di statuto che abbia comportato un danno alla società, ex art. 2392 c.c., eventualmente anche solo in termini di lucro cessante, senza mettere a repentaglio la conservazione del patrimonio esistente – la responsabilità nei confronti dei creditori si ha solo quando l'inosservanza dei loro obblighi implichi un pregiudizio al patrimonio sociale tale da renderlo non più sufficiente al soddisfacimento delle pretese dei creditori (Cass. 3 aprile 2007, n. 8359). Ed è una differenza che non lascia dubbi, dal momento che i creditori hanno una pretesa fissa, soddisfatta la quale, nulla hanno più da richiedere, mentre in capo ai soci continua a persistere la cosiddetta pretesa residuale, ossia tutto ciò che resta dopo che essi sono stati soddisfatti integralmente (Sansone).

Quanto ai doveri alla cui violazione ci si deve riferire, essi non risultano definiti, nel contenuto specifico e nella portata, né dal testo della norma né tantomeno dalla giurisprudenza. Si ritiene in genere che il riferimento debba essere inteso al generale obbligo di diligenza (Bodellini; Abriani; Galgano; Minervini; Silvestrini; Audino) e che, dunque, debbano applicarsi le linee guida tracciate in relazione alla fattispecie della responsabilità sociale, con applicazione della business judgment rule e conseguente esenzione degli amministratori da responsabilità ogniqualvolta l'insufficienza del patrimonio sia conseguenza di scelte di opportunità o di merito sottratte, come tali, al sindacato del giudice; sempre peraltro con il correttivo, su cui ci siamo soffermati in precedenza, per cui resta comunque valutabile e sindacabile “la diligenza mostrata nell'apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all'operazione da intraprendere, così da non esporre l'impresa a perdite, altrimenti prevedibili” (Cass. 12 agosto 2009, n. 18231).

Trattandosi, come abbiamo visto di un'azione autonoma e indipendente rispetto all'azione sociale di responsabilità, i creditori sociali possono agire nei confronti degli amministratori anche nel caso in cui sia decorso il termine di prescrizione dell'azione sociale, avendo le due azioni termini prescrizionali diversi, oppure nel caso di rinuncia all'azione sociale o di transazione (per maggiori approfondimenti concernenti il tema della prescrizione, si rinvia a Riganti; Giordano; Jeantet–Vallino, Responsabilità degli amministratori. Sul medesimo argomento, v. di nuovo Jeantet–Vallino, La prescrizione delle azioni di responsabilità).

In quest'ultimo caso, però, i creditori, come previsto dall'art. 2394, comma 3, c.c. possono impugnare la transazione solo con l'azione revocatoria (Abriani; Cian-Trabucchi).

Tornando alla questione della prescrizione, evidenziamo che il termine (di cinque anni) decorre dalla conoscibilità esteriore e dall'oggettiva percepibilità dell'incapienza patrimoniale, e quindi dell'insufficienza dell'attivo sociale a soddisfare i debiti (Cass. 6 febbraio 2023, n. 3552; Cass. 4 dicembre 2015, n. 24715; Cass. 12 giugno 2014, n. 13378; Cass. 5 aprile 2013, n. 8426; Cass. 22 aprile 2009, n. 9619; Cass. 8 aprile 2009, n. 8516; Cass. 25 luglio 2008, n. 20476). Conoscenza che risulta evidente solo nel momento in cui la società viene dichiarata fallita (rectius, sottoposta a liquidazione giudiziale).

Cionondimeno, atteso che l'insufficienza patrimoniale può in concreto rendersi palese anche prima dell'apertura della liquidazione giudiziale, l'amministratore convenuto può vincere la presunzione iuris tantum di coincidenza del dies a quo con la dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale, dimostrando che lo stato di incapienza patrimoniale era oggettivamente percepibile ad una data anteriore, così retrodatando il termine di prescrizione quinquennale in un momento antecedente alla dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale (v. anche con riferimento all'onere della prova in capo all'amministratore convenuto, sempre Cass. 6 febbraio 2023, n. 3552; Cass. 4 dicembre 2015, n. 24715; Cass. 21 luglio 2010, n. 17121; Cass. 18 gennaio 2005, n. 941; Cass. 28 maggio 1998, n. 5287).

In effetti, le applicazioni pratiche della disposizione relativa alla responsabilità degli amministratori nei confronti dei creditori sociali si sono in realtà rivelate rarissime, se non addirittura inesistenti, rispetto alle società in bonis ed il suo naturale campo d'applicazione è ben presto divenuto quello delle procedure concorsuali e in particolare del fallimento (oggi liquidazione giudiziale), nell'ambito del quale tale azione, congiuntamente a quella sociale, è esercitata dal curatore, utendo juribus creditorum, ai sensi dell'art. 255 CCII. e dell'art. 2394-bis c.c.

L'attivazione del rimedio di cui all'art. 2394 c.c. nella s.r.l.: la lacuna normativa colmata con il CCII

Il legislatore del 2003, nel riscrivere le norme relative alla società a responsabilità limitata al fine di ridisegnare in chiave personalistica tale forma societaria, aveva eliminato dalla relativa disciplina ogni riferimento all'azione di responsabilità dei creditori, che non risultava più contemplata né direttamente, né tramite rinvio all'art. 2394 c.c. dettato in materia di S.p.A.

In questo contesto, all'epoca ci si era interrogati se l'azione ex art. 2394 c.c. potesse ritenersi esperibile anche dai creditori di società a responsabilità limitata o se, viceversa, la stessa dovesse intendersi loro preclusa, andando la sua mancanza ad aumentare il divario fra le due principali forme di società di capitali.

Conviene premettere che raramente ha costituito oggetto di autonoma discussione la questione, alla prima collegata, della permanenza in capo al curatore della legittimazione ad esperire l'azione ex art. 2394 c.c. in seno al fallimento di S.r.l.

Tale legittimazione veniva generalmente affermata o esclusa in parallelo con l'affermazione o con l'esclusione della sopravvivenza dell'azione dei creditori, spesso sulla scorta dell'affermazione che il secondo comma dell'art. 146 l.fall., nell'ampia formulazione conferitagli dalla riforma, contemplasse “una generale legittimazione processuale in favore del curatore che gli permetterà di azionare tutte le azioni di responsabilità espressamente previste dal sistema” (Pajardi; Ferro).

E d'altronde sarebbe risultato assai arduo comprendere le ragioni per cui l'azione ex art. 2394 c.c., pacificamente esercitata dal curatore nell'ambito delle S.p.A., dovesse essere sottratta alla sua competenza, ove ritenuta ancora esistente, in caso di fallimento di una S.r.l.

Ciò posto, giova evidenziare che, sin dal momento dell'entrata in vigore della riforma societaria, l'opinione prevalente era orientata nel senso della sopravvivenza dell'azione di responsabilità ex art. 2394 c.c. anche con riferimento alle società a responsabilità limitata.

Tale opinione era stata osteggiata da una corrente di pensiero contraria che sosteneva la tesi opposta valorizzando il silenzio del legislatore (ubi noluit tacuit) e l'assenza di valide motivazioni contrarie ( Trib. Verona 16 aprile 2012. In dottrina, si vedano ad esempio, Abete, Il ceto creditorio; Id. La responsabilità, Buonocore, Di Amato) . I sostenitori della tesi negativa ritenevano che i creditori, pur non potendo promuovere un'azione sociale di responsabilità contro gli amministratori, potessero comunque tutelare i propri interessi facendo applicazione delle regole generali: l'azione extracontrattuale per lesione del credito (ai sensi dell'art. 2043 c.c.: Cass. 27 settembre 1998, n. 7337; Cass. 4 novembre 2002, n. 15399; Cass., sez. un., 10 gennaio 2006, n. 141; Trib. Verona 3 agosto 2012, in Fall., 2013, 344 ), oppure promuovendo l'azione sociale in via surrogatoria, se la società rimaneva inerte nel perseguire i propri amministratori.

Tuttavia, dopo gli iniziali tentennamenti, largamente prevalente è risultata l'opinione secondo cui permaneva la legittimazione dei creditori sociali a promuovere l'azione di responsabilità per inosservanza degli obblighi di conservazione del patrimonio sociale, escludendo che la riforma avesse abrogato tale azione e dovendosi ammettere che la mancata previsione di un'azione da parte dei creditori sociali fosse il frutto di una mera lacuna normativa ( Trib. Milano 18 gennaio 2011, in Riv. Dir. Comm., 2012, 2, 135; Trib. Milano 22 dicembre 2010, in Società, 2011, 348; Trib. Verona 3 agosto 2012, in Fall., 2013, 344; Trib. S.M. Capua Vetere 2 agosto 2012, ibidem; Trib. Lecce 9 dicembre 2011, ivi, 2012, 705 ss.; Trib. Napoli 11 gennaio 2011, in Società, 2011, 510; Trib. Vicenza 26 luglio 2010, ivi, 2010, 1399; Trib. Roma 17 dicembre 2008, in Giur. mer., 2009, 6, 1585; Trib. Pescara 15 novembre 2006, in Foro it., 2007, 2262; Trib. Mantova 14 settembre 2005, consultabile su ilcaso.it ; Trib. Udine 11 febbraio 2005, in Dir. Fall., 2005, II, 809. In dottrina, fra gli altri, Fauceglia; Rescigno; Bianca; Lo Cascio; Ambrosini, Sub art. 2476 c.c.; Proto; Santosuosso; Panzani. Favorevole anche Cagnasso, il quale fa leva principalmente sull'applicabilità in via analogica della normativa dettata per le s.p.a.

Orientamento che era senz'altro preferibile in quanto l'affermazione della mancanza di una disciplina concernente la responsabilità degli amministratori di S.r.l. verso i creditori per la violazione degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sarebbe stata inconciliabile con il sistema di responsabilità degli organi gestori come delineato dalla riforma, dal momento che la disciplina della S.r.l. non sarebbe risultata coordinata con quella di cui agli artt. 2485 e 2486 c.c., con quella dei gruppi, e con la regolamentazione della responsabilità dei sindaci.

In particolare:

1)             il creditore avrebbe potuto agire contro gli amministratori della S.r.l. in stato di scioglimento ex art. 2486 c.c., ma non contro quelli della S.r.l. operativa;

2)             il creditore avrebbe potuto agire contro la controllante della debitrice S.r.l. e contro gli amministratori di quest'ultima (art. 2497 c.c.), ma non contro gli amministratori della S.r.l. qualora essa non fosse stata soggetta a direzione e coordinamento;

3)             in caso di S.r.l. con collegio sindacale obbligatorio ex art. 2477 c.c. avrebbe dovuto essere applicata la norma di cui all'art. 2407, comma 2, c.c. che richiama l'art. 2394 c.c., sicché i creditori di una S.r.l. con collegio sindacale obbligatorio avrebbero potuto agire contro i sindaci per l'omesso controllo che avrebbe concorso a determinare l'insufficienza del patrimonio sociale, ma non – paradossalmente – contro gli amministratori che l'avrebbero direttamente provocata ( così Trib. Milano, 18 gennaio 2011, in iv. Dir. Comm., 2012, 2, 135) .

Tale posizione è stata poi condivisa anche dalla Corte di Cassazione (Cass., 21 luglio 2010, n. 17121, in Foro it., 2011), che, chiamata a giudicare sull'azione risarcitoria promossa, all'indomani della riforma, dal fallimento di una S.r.l., aveva all'epoca riconosciuto la legittimazione attiva del curatore (anche) ex art. 2394 c.c., ritenendo che “la questione deve ritenersi superata dalla considerazione che la l. fall., art. 146, nel suo testo originario, era destinato solo a riconoscere la legittimazione del curatore all'esercizio delle azioni di responsabilità comunque esercitabili dai soci o dai creditori nei confronti degli amministratori, indipendentemente dallo specifico riferimento agli artt. 2393 e 2394 c.c. E questa interpretazione risulta ora confermata dallo stesso legislatore, perché il nuovo testo della l. fall., art. 146, come sostituito dal d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, art. 130, prevede semplicemente che il curatore è legittimato a esercitare le azioni di responsabilità contro gli amministratori, i componenti degli organi di controllo, i direttori generali e i liquidatori, della società fallita. Sicché il curatore può esercitare qualsiasi azione di responsabilità sia ammesso contro gli amministratori di qualsiasi società” (Cass. n. 17121/2010, cit.).

Oggi, il CCII va proprio in questa direzione, avendo corretto un'evidente lacuna della riforma societaria del 2003.

La responsabilità dei sindaci tra il Codice Civile e il nuovo c.c.i.i.

Come noto, vari sono i doveri cui è assoggettato l'organo di controllo delle società e, di conseguenza, i componenti dello stesso potrebbero andare incontro a profili di responsabilità qualora non adempiano agli obblighi sanciti dalla legge.

È, pertanto, opportuno effettuare una ricognizione della normativa con riferimento a questa tematica, la quale trova indubbiamente i riferimenti più rilevanti all'interno del Codice Civile, ma oggi anche all'interno del CCII, avendo l'organo di controllo importanti doveri in caso di insolvenza – conclamata o potenziale – dell'impresa.

Anzitutto, l'art. 2407 c.c., rubricato “Responsabilità”, prevede una responsabilità c.d. esclusiva (al primo comma) e una responsabilità c.d. concorrente (al secondo comma): si veda Finardi.

Prima di entrare nel merito di queste due forme di responsabilità, occorre in primo luogo ricordare che l'art. 2407 c.c. stabilisce che i sindaci “devono adempiere ai loro doveri con la professionalità e diligenza richieste dalla natura dell'incarico” (per approfondimenti sul tema: Sangiovanni, Dardes, Balzarini, Russo). La disposizione fa quindi riferimento all'art. 1176 c.c. e tali criteri devono essere commisurati alle principali caratteristiche della società di capitali, come l'oggetto sociale, la struttura organizzativa, la dimensione e l'assetto proprietario (vd Romano).

Secondo la giurisprudenza di legittimità, i doveri dei componenti dell'organo di controllo delle società di capitali sono finalizzati non solo alla tutela dell'interesse dei soci, ma anche alla tutela dei creditori sociali. Per questo motivo, l'attività di vigilanza del collegio sindacale non può concernere solo la verifica della correttezza formale dell'operato degli amministratori, ma deve riguardare anche la regolarità sostanziale degli atti compiuti dall'organo di gestione (Cass. 27 maggio 2013, n. 13081).

La responsabilità dei sindaci, sia essa esclusiva oppure concorrente, è in ogni caso una forma di responsabilità per fatto proprio, poiché la causa di essa è, in entrambi i casi, pur sempre la mancata vigilanza o controllo sull'operato degli amministratori. In particolare, nell'ipotesi di responsabilità concorrente, è pacifico che non vi sia alcun tipo di automatismo tra la responsabilità degli amministratori e quella dei sindaci. Ciò che rileva non è solamente l'illecito commesso dai componenti dell'organo di gestione, ma l'omesso controllo da parte dei componenti dell'organo di controllo sull'operato dei primi. Infatti, non sussiste la responsabilità dei sindaci per i danni cagionati dagli amministratori qualora essi abbiano vigilato con la diligenza richiesta sull'operato dell'organo gestorio (Cavalli, Sindaci).

Come sopra accennato, l'art. 2407, comma 1, c.c., disciplina la responsabilità esclusiva dei sindaci. In particolare, la norma stabilisce che questi ultimi “sono responsabili della verità delle loro attestazioni e devono conservare il segreto sui fatti e sui documenti di cui hanno conoscenza per ragione del loro ufficio”. Le “attestazioni” cui fa riferimento la disposizione in esame ricomprendono la relazione del collegio sindacale al bilancio di esercizio ex art. 2429 c.c., le verbalizzazioni compiute sul libro di cui all'art. 2421, comma 1, n. 5, c.c., nonché ogni altra dichiarazione o relazione degli stessi. Di contro, la norma impone all'organo di controllo anche un dovere di riservatezza circa i fatti di cui essi vengono a conoscenza in ragione del loro ufficio.

L'art. 2407, comma 2, c.c., invece, concerne la responsabilità dei sindaci con quella degli amministratori per i fatti o le omissioni di questi ultimi, quando il danno da essi provocato non si sarebbe prodotto se l'organo di controllo avesse vigilato in conformità agli obblighi concernenti la loro carica.

Affinché possa sorgere la responsabilità dei sindaci ai sensi della predetta norma occorre che (i) i componenti dell'organo di gestione abbiano commesso un illecito (Trib. Milano, 14 giugno 2021); (ii) da tale illecito sia derivato un danno; (iii) l'organo di controllo non abbia correttamente vigilato con la diligenza e la professionalità richiesta dall'art. 2407, comma 1, c.c. e, infine, (iv) sussista un nesso causale tra l'omesso controllo dei sindaci e il danno che si è verificato (Cass. 11 dicembre 2020, n. 28357 e in dottrina Romano).

In alcune occasioni addirittura, la giurisprudenza si è mostrata molto severa nei confronti dei sindaci, riconoscendo l'esistenza della responsabilità dell'organo di controllo anche nel caso in cui l'attore non abbia dedotto specifiche violazioni degli obblighi di vigilanza dei sindaci o, comunque, ogniqualvolta essi non abbiano rilevato una macroscopica violazione commessa dall'organo gestorio con conseguente reazione alla stessa (Russo: l'Autore, in proposito, ha rilevato che “In giurisprudenza non mancano, tuttavia, pronunce assestate su una posizione più severa verso i sindaci: a più riprese la Suprema Corte ha stabilito che i giudizi risarcitori possono concludersi con la condanna del sindaco convenuto anche nel caso in cui la parte attrice non abbia provato violazioni specifiche e circoscritte del dovere di vigilanza; parallelamente si è deciso che la responsabilità dei sindaci sussiste anche ove costoro siano stati «tenuti all'oscuro» di una condotta dannosa, evidenziando altresì che i soli ammonimenti formulati dall'organo di controllo all'indirizzo dell'amministratore, ove gli stessi non siano seguiti dall'esercizio dei poteri reattivi, non sono sufficienti ad escludere la responsabilità dei sindaci. Si è quindi statuito che la domanda risarcitoria può essere accolta ogniqualvolta i componenti dell'organo di controllo «non abbiano rilevato una macroscopica violazione o comunque non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità». (Cass. Cass., 11 dicembre 2020, n. 28357, in DeJure)”.

Nel corso del 2021, la giurisprudenza di legittimità, con riguardo alla responsabilità concorrente dei sindaci, ha sancito che (i) questi ultimi sono responsabili anche nel caso in cui vengano compiuti atti distrattivi da parte dei componenti dell'organo gestorio, non essendo necessaria la prova dell'impossibilità di ottenere la restituzione di ciò che è stato sottratto da parte dei sindaci, in quanto il diritto al risarcimento del danno verso l'organo di controllo sorge nel momento in cui viene accertata l'esistenza del fatto dannoso e della imputabilità dello stesso in capo a quest'ultimo (Cass., 6 dicembre 2021, n.38733); (ii) l'assunzione della carica da parte dei sindaci in epoca successiva al compimento di fatti illeciti da parte degli amministratori non esclude che l'organo di controllo non possa essere – in ogni caso – ritenuto responsabile, in quanto i sindaci hanno altresì l'obbligo di attivarsi per eliminare o ridurre le conseguenze degli atti dannosi posti in essere dall'organo di gestione anche in un momento anteriore a quello dell'entrata in carica dell'organo di controllo (Cass., 14 ottobre 2021, n. 28067 e in dottrina, Romano).

L'ultimo comma dell'art. 2407 c.c. sancisce che “all'azione di responsabilità contro i sindaci si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni degli artt. 2393, 2393-bis, 2394, 2394-bis e 2395”. Sul punto, merita segnalare che i sindaci sono solidalmente responsabili tra loro, sia in caso di responsabilità esclusiva, sia nel caso di responsabilità concorrente. Ne consegue che, l'azione di responsabilità può essere instaurata nei confronti di uno solo di essi e non sussiste l'obbligo di integrare il contraddittorio nei confronti degli altri.

Ai fini dell'integrazione della responsabilità ex art. 2407 c.c. rileva anche la mancata segnalazione da parte dell'organo di controllo, e rivolta all'organo amministrativo, dei presupposti per la presentazione dell'istanza di cui all'art. 17 CCII (trattasi dell'istanza di accesso al procedimento di composizione negoziata della crisi), prevista dall'art. 25-octies CCII. Ancor prima dell'onere di segnalazione, i sindaci hanno il dovere di vigilare sulla correttezza degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili, idonei a consentire la tempestiva emersione della crisi. Come illustrato supra, l'obbligo di prevedere adeguati assetti societari e organizzativi grava sugli amministratori e, di conseguenza, grava sull'organo di controllo l'onere di vigilare sulla correttezza e adeguatezza dei predetti assetti.

Con riferimento all'oggetto della segnalazione ex art. 25-octies CCII, esso consiste nella verifica della sussistenza dei presupposti per la presentazione dell'istanza di cui all'art. 17 CCII, vale a dire, (i) l'esistenza di uno squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne renda probabile la crisi o l'insolvenza e (ii) la ragionevole perseguibilità del risanamento dell'impresa.

Il secondo periodo del comma 1 dell'art. 2407 disciplina il contenuto che deve avere la segnalazione. Quest'ultima deve (i) essere resa per iscritto, (ii) essere motivata, (iii) essere trasmessa con mezzi che assicurano la prova della sua ricezione (mediante raccomandata con ricevuta di ritorno o posta elettronica certificata) e, infine, (iv) contenere un termine congruo, non superiore a trenta giorni, entro il quale l'organo gestorio è tenuto a riferire in ordine alle iniziative che ha deciso di intraprendere.

Come sopra accennato, il dovere di segnalazione posto in capo ai componenti dell'organo di controllo, nonché la costante attività di vigilanza sull'andamento delle trattative, sono oggetto di valutazione ai fini della sussistenza di profili di responsabilità ex art. 2407 c.c. In relazione a questa specifica tipologia di responsabilità, i componenti dell'organo di controllo saranno tenuti a dimostrare di aver esercitato tutti i poteri loro conferiti per effettuare la segnalazione di cui all'art. 25-octies CCII. La giurisprudenza di legittimità ha sancito che le dimissioni rassegnate dai sindaci non sono idonee a interrompere il nesso causale con il danno e, pertanto, essi potranno comunque essere considerati responsabili. V. in tal senso Cass. 12 luglio 2019, n. 18770, ove si legge che le dimissioni dei componenti dell'organo di controllo non sono idonee ad esimerli da responsabilità se non sono stati compiuti appositi atti “volti a contrastare, porre rimedio o impedire il protrarsi degli illeciti, per la pregnanza degli obblighi assunti dai sindaci proprio nell'ambito della vigilanza sull'operato altrui, e perché la diligenza impone piuttosto un comportamento alternativo: equivalendo allora le dimissioni ad una sostanziale inerzia ed, anzi, divenendo esemplari della condotta colposa e pilatesca tenuta dal sindaco, del tutto indifferente e inerte nel rilevare la situazione di illegalità reiterata”. Le medesime conclusioni sono condivise da Cass. 11 dicembre 2019, n. 32397.

Da ultimo, e in conclusione, è opportuno sottolineare che l'art. 2407 c.c. qui esaminato è ad oggi sottoposto ad un iter di modifica da parte del nostro Legislatore. In particolare, in data 4 luglio 2023 è stata presentata alla Camera la Proposta di legge n. 1276 riguardante la modifica della norma sopracitata. Il primo via libera è stato conferito dalla Camera, che il 29 maggio 2024 ha approvato all'unanimità il Disegno di Legge n. 1276 e ora si attende l'esame da parte del Senato. Le principali novità proposte consistono, anzitutto, nella eliminazione della responsabilità concorrente dei sindaci con quella degli amministratori. A tal riguardo, il secondo comma dell'art. 2407 c.c. – qualora la norma dovesse entrare in vigore – verrà totalmente riscritto, prevedendo unicamente una fattispecie di responsabilità esclusiva in capo ai componenti dell'organo di controllo in caso di violazione dei doveri loro imposti, e un metodo di calcolo della quantificazione del danno a loro carico basato sul sistema dei multipli del compenso da essi percepito. Infine, il Disegno di Legge aggiunge un comma all'art. 2407 c.c., introducendo uno specifico termine di prescrizione dell'azione di responsabilità esperibile nei confronti dei sindaci identificato nel termine di cinque anni dal deposito della relazione di cui all'art. 2429 c.c. concernente l'esercizio in cui si è verificato il danno.

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