Responsabilità sanitaria e riparto dell’onere della prova
22 Luglio 2024
Con ricorso ex art. 702-bis c.p.c., a seguito di accertamento tecnico preventivo ex art. 696 bis c.p.c., un uomo conveniva dinanzi al Tribunale di Torino l'Azienda Sanitaria Locale, deducendo che, a seguito di un intervento chirurgico per ipertrofia prostatica in cui gli era stata praticata un'anestesia spinale, aveva sofferto dapprima un “vivo dolore” al momento dell'anestesia e, due mesi dopo, si era dovuto recare al Pronto Soccorso, a causa di disturbi alla spalla destra e difficoltà respiratorie. In quella sede, gli era stata diagnosticata la paralisi del nervo ascellare destro e dell'emidiaframma sinistro «da verosimile reliquato di anestesia», che l'uomo imputava alla manovra imperita ed erronea del medico anestesista durante l'intervento. Di conseguenza, chiedeva al Tribunale la condanna della struttura al risarcimento danni di carattere patrimoniale e non patrimoniale. La domanda, accolta in parte dal Tribunale, veniva rigettata dalla Corte d'appello di Torino, la quale sosteneva che l'ex paziente non avesse fornito la prova del nesso causale tra la condotta del professionista e il danno lamentato, dal momento che non aveva formulato alcuna richiesta di prova testimoniale diretta a dimostrare l'allegata condotta imperita dell'anestesista e che quest'ultima non poteva essere desunta dalla Corte in via indiziaria o presuntiva. Ricorreva l'ex paziente in Cassazione. Nel caso di specie, la Suprema Corte ha sancito che il paziente non ha l'onere di provare l'inadempimento del medico, bensì solo il nesso causale – quale mera relazione consequenziale – tra la condotta dello stesso e il danno subito. Se il paziente dimostra la sussistenza del nesso causale, è onere della struttura sanitaria dimostrare l'esatto adempimento della prestazione da parte del proprio professionista o il verificarsi di cause non imputabili alla struttura, al fine di esonerarsi da responsabilità. Inoltre, ricorda la Cassazione, l'accertamento del nesso di causalità deve essere improntato alla regola del "più probabile che non", la quale impone al giudice – secondo un ragionamento interferenziale – di escludere le ipotesi meno probabili per arrivare a scegliere quella che abbia ricevuto il maggior grado di conferma dalle circostanze di fatto acquisite al processo. Nel caso di specie, il nesso causale – mediante il criterio del “più probabile che non” – era stato ampiamente dimostrato dall'ex paziente, grazie alla documentazione prodotta e alle risultanze dell'accertamento tecnico preventivo, che avevano individuato una relazione probabilistica tra la manovra dell'anestesista e i danni postumi subiti dall'ex paziente. Di conseguenza, La Cassazione accoglieva il ricorso e cassava la sentenza della Corte territoriale. |