CEDU ed equo processo: alcune considerazioni sull’imparzialità del magistrato
22 Luglio 2024
Massima Nonostante il contributo dei giudici alla diffusione del diritto (in particolare attraverso manifestazioni scientifiche, attività didattiche e pubblicazioni) costituisca un elemento naturale delle loro funzioni, l'esistenza di rapporti professionali regolari, stretti e retribuiti, intrattenuti dal magistrato con una delle parti del procedimento, può integrare la violazione del diritto delle parti a un equo processo e a un giudice imparziale garantito dall'art. 6, can. 1 Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo. Il caso La controversia trae origine da un'operazione societaria realizzata nel 2007 da un noto gruppo editoriale. L'operazione, sotto il nome di “projet Cosmos”, prevedeva la trasmissione del patrimonio di nove società del gruppo ad altra società controllata dalla holding. La realizzazione del progetto Cosmos, tuttavia, ha comportato un grosso indebitamento e la conseguente esclusione dei dipendenti alla partecipazione agli utili, garantita dall'art. L. 3322-2 del codice del lavoro francese. Nel 2010, il Comité d'Entreprise (CE), quale istituzione rappresentativa del personale all'interno dell'impresa, ha citato in giudizio la società controllata “[...] France” dinanzi al tribunal de grande instance di Nanterre, per avere volutamente violato in più occasioni, dal 2007 al 2009, l'obbligo di consultare il CE e di condividere le informazioni legate all'operazione finanziaria. Nel 2012, anche quattro sindacati hanno agito dinanzi al medesimo Tribunale affinché il progetto Cosmos venisse dichiarato inopponibile ai dipendenti, e le società coinvolte nell'operazione fossero condannate a ricostituire una riserva speciale per la partecipazione dei dipendenti agli utili per gli esercizi 2007/2022. Con sentenza del 22 gennaio 2015, il Tribunale di Nanterre ha dichiarato inammissibili le domande sollevate dal CE e dai sindacati. La sentenza è stata impugnata in appello e, la Corte di Versailles, con sentenza del 2 febbraio 2016, seppur confermando parzialmente la sentenza di prime cure, ha statuito che l'operazione di ristrutturazione Cosmos fosse il frutto di una manovra fraudolenta nei confronti del Comité d'Entreprise. Alla luce di tale decisione, l'operazione finanziaria realizzata dagli editori della casa editrice è stata dichiarata inopponibile ai dipendenti per la parte in cui ha comportato l'indebitamento della società e la conseguente esclusione del personale dalla partecipazione agli utili. Le società convenute hanno promosso ricorso in Cassazione avverso la sentenza della Corte d'Appello di Versailles. La Cour de cassation francese, tuttavia, con sentenza del 28 febbraio 2018, n. 16-50.015, ha cassato senza rinvio la sentenza d'appello. La Suprema Corte ha applicato in maniera rigorosa, non senza critiche, l'art. L. 3326-1 del codice del lavoro, il cui dispositivo vieta, nelle controversie derivanti dall'applicazione del sistema di partecipazione agli utili, di contestare l'importo di utile netto stabilito dal revisore legale. La lunga vicenda processuale, dopo oltre dieci anni, sembrava finalmente giunta al termine, ma il 18 aprile 2018, un articolo del settimanale Le Canard Enchainé ha fatto scoccare una nuova scintilla che ha riaperto le aule giudiziarie all'operazione Cosmos. Secondo l'inchiesta del settimanale, tre dei sei magistrati incaricati della Cassazione collaboravano regolarmente con il gruppo editoriale convenuto in giudizio. In particolare, si è scoperto che i magistrati non erano soltanto impegnati in sporadiche collaborazioni, ma intrattenevano stretti legami con gli editori, anche nell'ambito di remunerati programmi di formazione destinati ai professionisti del diritto. Alla luce di queste rivelazioni, il 26 giugno 2018, i ricorrenti hanno portato la questione dinanzi al Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) francese, chiamato ad esprimersi sulla violazione del diritto all'equo processo nonché delle regole deontologiche della magistratura. Il CSM si è pronunciato il 19 dicembre 2019, affermando che la partecipazione regolare e remunerata dei tre magistrati ai programmi di formazione organizzati dall'editore costituisse un legame di interessi tra loro e una delle parti in giudizio, sicché l'esistenza di questo legame avrebbe creato un dubbio legittimo circa l'imparzialità dei magistrati. A parere del CSM francese, i giudici coinvolti avrebbero dovuto astenersi dal decidere, sebbene l'inosservanza delle regole deontologiche non fosse stata sufficientemente grave da fondare l'irrogazione di sanzioni disciplinari. Infine, il Sindacato Nazionale dei Giornalisti, il Sindacato Nazionale dei Media e della Stampa, nonché l'Unione Generale degli Ingegneri, Quadri e Tecnici, hanno agito contro la Repubblica francese dinanzi alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo affinché fosse accertata la violazione dell'art. 6 della Convenzione per la parte in cui prevede che «ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata […] da un tribunale indipendente e imparziale». La questione La Corte EDU, nella decisione in commento, è intervenuta sul delicatissimo tema del diritto ad un giudice imparziale, aggiungendo un ulteriore tassello al complesso quadro ermeneutico delineatosi in giurisprudenza e in dottrina. Invero, occorre riconoscere l'estrema difficoltà, in un ordinamento che possa definirsi pienamente democratico, di garantire l'inviolabile diritto delle parti ad un giusto processo e, al contempo, la piena indipendenza dell'autorità giudiziaria. La primaria importanza del principio di imparzialità del giudice adito è generalmente riconosciuta dalla giurisprudenza nazionale e internazionale (v. Corte Cost., 7 ottobre 2016, n. 215, in cui si è affermato che i requisiti di indipendenza e imparzialità «costituiscono il substrato indispensabile dell'esercizio del potere giurisdizionale» e devono ritenersi «connotazioni imprescindibili dell'azione giurisdizionale»). La Corte di Giustizia UE è giunta a definire il suddetto principio quale “pietra angolare del diritto all'equo processo» (v. CGUE 1° luglio 2008, Chronopost SA e La Poste c. UFEX e altri). La Corte EDU, da parte sua, ha escluso ab origine qualsiasi interpretazione restrittiva dell'art. 6 della Convenzione poiché inconciliabile con l'equità pretesa per ogni processo dagli ordinamenti democratici (v. CEDU, 26 ottobre 1984, De Cubber c. Belgio § 30). Come noto, l'art. 6 can. 1 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo sancisce che «ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale […]». Dal punto di vista pratico, tuttavia, occorre precisare quali siano le condizioni da verificare affinché un giudice possa essere effettivamente considerato imparziale. La Corte EDU, a tal proposito, ha ritenuto necessario fondare la propria analisi sui seguenti elementi: i) le modalità di nomina dei componenti dell'autorità giudiziaria; ii) la durata del mandato; iii) la sussistenza di pressioni esterne; iv) l'apparenza di indipendenza del giudice (v. CEDU, 9 luglio 1986, Langborger c. Svezia; CEDU, 6 maggio 2003, Pres. Wildhaber, Kleyn e altri c. Paesi Bassi, § 190). Occorre precisare, però, che tale analisi deve essere svolta in concreto sulla base di due criteri fondamentali:
La linea di demarcazione tra questi due approcci, tuttavia, non è ermetica, poiché un'applicazione congiunta dei suddetti criteri è il più delle volte essenziale affinché la valutazione sulla neutralità del giudice possa dirsi effettivamente efficace (v. CEDU, 23 aprile 2015, Morice c. Francia, § 75; CEDU, 15 gennaio 2008, Micallef c. Malta § 95; CEDU, 15 dicembre 2005, Kyprianou v. Cipro, § 119; CEDU, 6 novembre 2018, Ramos Nunes de Carvalho e Sá c. Portogallo, § 146). Anche dal punto di vista probatorio, posto che l'imparzialità del magistrato è presunta fino a prova contraria (v. CEDU, 9 aprile 2018 Nicholas c. Cipro, § 50; CEDU, 23 aprile 2015, Morice c. Francia, § 74; CEDU, 15 gennaio 2008, Micallef c. Malta § 94; CEDU, 15 dicembre 2005, Kyprianou v. Cipro, §§ 32 e 38; CEDU, 23 giugno 1981, Le Compte, Van Leuven e De Meyere c. Belgio, § 58), il criterio oggettivo offre un'importante misura di garanzia, essendo il più delle volte difficile, o addirittura impossibile, provare le intenzioni ostili del giudice chiamato a dirimere la controversia (v. CEDU, 9 aprile 2018 Nicholas c. Cipro, § 50; CEDU, 15 gennaio 2008, Micallef c. Malta, §§ 95 e 101; CEDU, 26 ottobre 1984, De Cubber c. Belgio § 25). La critica mossa dalla dottrina consiste nel fatto che, nella realtà fattuale, i due criteri, per il loro contenuto generico, rischiano di ingenerare confusione nell'interprete. In particolare, gli elementi che, sul piano soggettivo, inducono le parti a dubitare dell'imparzialità del tribunale, non devono confondersi con le mere convinzioni ed esperienze personali del giudice, poiché un giudizio pienamente affrancato dal vissuto del magistrato sarebbe inverosimile, essendo ormai superato il dogma del giudice quale mera “bocca della legge” (“Les juges de la nation ne sont que la bouche qui prononce les paroles de la loi ; des êtres inanimés, qui n'en peuvent modérer ni la force ni la rigueur”, Montesquieu, l'esprit des lois, 1748). In altri termini, una valutazione sulla capacità del tribunale di emettere una decisione “pura”, esente da soggettività, si risolverebbe in un processo alle intenzioni (v. B. Hurel, “Impartialité et subjectivité”, in Délibérée 2018/3, Éditions La Découverte, 2018). In questi casi, il rimedio predisposto dagli ordinamenti consiste nell'impugnabilità della decisione; a tal proposito, la Corte EDU ha negato la violazione dell'art. 6 can. 1 della Convenzione qualora la decisione emessa dallo iudex suspectus sia stata sottoposta al successivo controllo di un organo giudiziario avente “giurisdizione piena” e che abbia assicurato il rispetto dei diritti garantiti alle parti sanando l'iniziale vizio (v. CEDU, 27 ottobre 2009, Crompton c. Regno Unito § 79; CEDU, 19 dicembre 1997, Helle c. Finlandia, § 46; CEDU, 26 agosto 1997, De Haan c. Paesi Bassi, §§ 52-55). La terzietà del giudice può essere messa in dubbio in due occasioni, una di carattere funzionale, una di carattere personale (v. CEDU, 15 gennaio 2008 Micallef c. Malta, §§ 97-98, in dottrina, v. B. Hurel, op. cit.; A. Oudoul, “L'impartialité des magistrats dans la procédure pénale françaises à l'aune du droit de la convention EDH”, Université d'Auvergne - Clermont-Ferrand I, 2016).
Le soluzioni giuridiche Nella sentenza oggetto di esamina, la quinta sezione della Corte EDU ha fatto buon uso delle categorie stratificatesi nel tempo al fine sondare la fondatezza delle doglianze sollevate dai ricorrenti. In specie la Corte, attraverso una valutazione oggettiva, ha riconosciuto la parzialità di tre magistrati della Cassazione in una situazione di natura personale, cioè nella stretta collaborazione economica intrattenuta con una delle parti in causa. Conformemente alla regola per cui la valutazione sulla violazione dell'art. 6 can. 1 CEDU debba svolgersi in concreto, la Corte ha cercato di adottare una soluzione che fosse al tempo stesso fedele ai principi generali derivati dalla sua giurisprudenza e adeguata alle circostanze del caso. In primo luogo, affinché possa affermarsi la violazione del diritto al giusto processo di cui all'art. 6 can. 1 CEDU in ragione della parzialità dell'autorità giudiziaria adita, non basta l'esistenza di qualsivoglia legame tra lo iudex suspectus e una delle parti, ma è necessaria la sussistenza di un legame, per così dire, “qualificato”, cioè di un rapporto abbastanza forte da minare l'imprescindibile requisito di terzietà del giudice come richiesto dalla Convenzione. Difatti, non sono mancate le occasioni in cui la Corte ha escluso la violazione dell'art. 6 can. 1 CEDU rilevando che il legame di interessi tra il magistrato e una delle parti non fosse abbastanza stretto da ingenerare il timore che il giudice potesse non essere imparziale. A titolo esemplificativo, la Corte ha sancito che non vi è automatica violazione dell'art. 6 can. 1 CEDU, ma occorre la sussistenza di ulteriori elementi, quando: i) il giudice entra in contatto, in occasione di riunioni o eventi scientifici estranei a una determinata causa, con i rappresentanti di una parte in giudizio (v. CEDU, 3 maggio 2018, SPRL Projet Pilote Garoube v. Francia, § 24); ii) il giudice ha legami di sangue con un collaboratore dello studio legale che rappresenta una parte in causa (v. CEDU, 27 giugno 2017, Ramljak c. Croazia, § 29); iii) dei giudici in quanto colleghi si conoscono oppure condividono gli stessi uffici (v. CEDU, 19 maggio 2005, Steck-Risch e altri c. Liechtenstein, §§ 48-49). Nel caso in esame, invece, l'elemento che più di tutti ha convinto la Corte EDU sulla violazione del principio di imparzialità è stata la presenza di rapporti professionali i) regolari, ii) stretti e iii) remunerati, che legavano tre magistrati del collegio al gruppo editoriale citato in giudizio (v. CEDU, 1° dicembre 2015, Blesa Rodríguez c. Spagna, § 44; CEDU, 17 giugno 2003, Pescador Valero c. Spagna, §§ 27-28). Pur negandosi l'esistenza di un vero e proprio vincolo di subordinazione, la Corte ha comunque rilevato un legame di interessi tale da ingenerare dubbi legittimi sulla terzietà di alcuni membri del collegio. In tal caso, la Corte EDU è stata chiamata a sondare il peso specifico di tali rapporti e, la sussistenza di interessi economici regolari, stretti e remunerati è stata ritenuta abbastanza grave da integrare la violazione dell'art. 6 can. 1 CEDU. I tre magistrati, in effetti, collaboravano da anni con l'editore parte del processo, non attraverso collaborazioni saltuarie, bensì tramite rapporti organici e ben retribuiti. Parallelamente, la Corte ha ribadito il principio per cui «justice must not only be done, it must also be seen to be done» (v. CEDU, 23 aprile 2015, Morice c. Francia, § 78; CEDU 15 gennaio 2008 Micallef c. Malta, § 98; CEDU, 26 ottobre 1984, De Cubber c. Belgio, § 26). Questo principio estende l'efficacia dell'art. 6 can. 1 CEDU al di là dei limiti della singola controversia ed assume una non trascurabile importanza sistemica, in quanto cristallizza nel diritto positivo la valutazione secondo cui la fiducia nei tribunali è essenziale per ispirare la collettività di una società democratica. In altri termini, i giudici non solo devono essere imparziali, ma devono anche apparire come tali. Questa conclusione non è priva di risvolti pratici: ogni giudice di cui si possa legittimamente dubitare che difetti di imparzialità è gravato dall'obbligo di astenersi dal decidere (v. CEDU, 18 luglio 2019, Rustavi 2 Broadcasting Company Ltd e altri c. Georgia, §§ 332, 341, 342). Tale obbligo di astensione, afferma la Corte, è tanto più pregnante nell'ipotesi in cui le parti non abbiano potuto conoscere la composizione del collegio e, dunque, non abbiano potuto da sé contestare l'assenza di imparzialità (v. CEDU, 23 aprile 2015, Morice c. Francia, § 90). Nel delineato contesto, è bene ricordare che, nonostante siano numerose le situazioni idonee ad innescare il timore della parzialità dell'autorità adita, è altresì indispensabile assicurare il corretto esercizio della funzione giurisdizionale. Se così non fosse, il sistema si presterebbe a interventi pretestuosi, volti a contestare la terzietà dei tribunali aditi al solo scopo di ostacolare o, peggio, di impedire, l'emissione della sentenza, neutralizzando così l'effettività della tutela giurisdizionale. Da ciò si comprendono le ragioni sottese al metodo con il quale la Corte EDU ha interpretato l'art. 6 can. 1 CEDU, tenendo conto dei delicati pesi e contrappesi in gioco. Dalla sentenza in commento, invero, a controbilanciamento dei limiti impartiti alla magistratura a garanzia della sua terzietà, viene tutelato con pari vigore il diritto dei giudici di partecipare attivamente alla vita della comunità, anche attraverso collaborazioni con editori nazionali e internazionali. La Corte, sul punto, condivide tout court le argomentazioni del CSM francese, secondo il quale la partecipazione ad attività di diffusione della giurisprudenza e di riflessione sull'applicazione del diritto è interesse essenziale per la magistratura e per la società, nonché contribuisce al necessario dialogo tra la magistratura e la comunità nel suo insieme. Dunque, non è l'attività di collaborazione in quanto tale la causa della violazione dell'art. 6 can. 1 CEDU, ma piuttosto l'esistenza di legami forti e continuativi tra i magistrati della Cassazione e l'editore parte in giudizio. La Corte ha ponderato attentamente a che il legame di interessi riscontrato tra i magistrati e l'editore superasse la soglia minima consentita, difatti, la Corte EDU ha fatto propria la convinzione per cui i giudici, lungi dal dover essere costretti all'isolamento nella propria “tour d'ivoire”, hanno il diritto di partecipare attivamente alla vita associata. Pertanto, il contributo della magistratura alla diffusione del diritto, in particolare attraverso eventi scientifici, attività didattiche o pubblicazioni, è parte naturale dei loro doveri. Osservazioni La centralità del principio di imparzialità all’interno degli ordinamenti democratici è questione indiscussa. Un’autorevole voce dottrinale definisce tale principio «elemento fondante della stessa accettabilità dell’esperienza processuale» (v. C. Consolo, “Terzietà ed imparzialità nella dinamica dei processi non penali”, Il Foro italiano, 2012) e da ciò si spiega l’accortezza e la cautela con cui la Corte EDU pondera le proprie decisioni inerenti all’interpretazione dell’art. 6 can. 1 CEDU. La Corte si fa portatrice dell’esigenza di tutelare i diritti umani in un contesto complesso, nella consapevolezza dell’incisivo impatto delle proprie decisioni i) sul diritto dei cittadini ad un processo effettivamente equo e, al contempo ii) sul diritto dei magistrati ad essere e apparire imparziali senza la necessità di isolarsi. È condivisibile, dunque, l’approccio che cerca di trovare il punto di equilibrio tra la tutela delle parti, affinché venga loro garantita l’equità processuale, e l’operatività della funzione giurisdizionale. Del resto, il principio di imparzialità sancito dall’art. 6 can. 1 CEDU è senz’altro strumentale al coerente funzionamento della giustizia, impedendo che questa sconfini nell’arbitrio o nel privilegio. |