Il Correttivo-ter e le modifiche in tema di accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza ai sensi degli artt. 37, 40 e 44 c.c.i.i.

Luca Jeantet
Paola Vallino
Emanuele Albesano
22 Luglio 2024

Gli Autori forniscono una prima panoramica degli interventi di riforma in tema di accesso alla liquidazione giudiziale e, più in generale, agli strumenti di regolazione della crisi d’impresa e dell’insolvenza, con particolare riferimento al disposto degli artt. 37, 40 e 44 c.c.i.i.

Introduzione

Il Consiglio dei ministri n. 85, in data 10 giugno 2024, ha approvato in esame preliminare lo schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive al codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza. Lo schema di decreto si trova, attualmente, presso le Commissioni di Camera e Senato per il parere di competenza.

A valle del d.lgs. n. 147/2020, e del successivo d.lgs. n. 83/2022, si tratta dunque del terzo intervento di modifica del codice in poco più di cinque anni dalla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

Intervento, si noti, di non poco momento, posto che risulterebbero emendati – con modulata incisività – ben centosessantaquattro articoli (ivi includendo, a rigor d'onestà, un'ampia parte di revisioni di natura terminologica o di mero chiarimento del dato normativo).

In tale contesto, appare utile fornire – o quanto meno tentare di fornire – una prima panoramica degli interventi di riforma in tema di accesso alla liquidazione giudiziale e, più in generale, agli strumenti di regolazione della crisi d'impresa e dell'insolvenza, con particolare riferimento al disposto degli artt. 37,40 e 44 c.c.i.i.

Le modifiche all'art. 37 comma 1, c.c.i.i.

Procedendo con ordine, muoviamo dal secondo periodo dell'art. 37 comma 1, c.c.i.i., in tema di cd. ‘start-up innovative'.

Ove approvata in via definitiva, la novellata disposizione così testualmente prevedrebbe: “In deroga a quanto previsto dall'articolo 31 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, le start-up innovative diverse dalle imprese minori, possono richiedere, con domanda proposta esclusivamente dal debitore, l'accesso agli altri strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza previsti dal presente codice nonché l'apertura della liquidazione giudiziale”.

Anzitutto, può essere utile chiarire il perimetro di applicabilità soggettiva della disposizione in discorso, limitata alle sole “start-up innovative” in senso tecnico: vale a dire quella categoria d'imprese introdotta per la prima volta nell'ordinamento con (l'ormai invero risalente) art. 25 del d.l. n. 179/2012, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 221/2012.

A mente di tale disposizione, perché un'impresa possa ottenere lo status di start-up innovativa, essa deve:

  1. essere stata costituita da non oltre sessanta mesi;
  2. aver sede in Italia (o in altro Paese dello spazio economico europeo, tuttavia mantenendo sede produttiva o filiale in Italia);
  3. avere un fatturato annuo inferiore a cinque milioni di Euro;
  4. non essere quotata in alcun mercato regolamentato o in alcuna piattaforma multilaterale di negoziazione;
  5. non distribuire od aver distribuito utili;
  6. avere, come oggetto sociale esclusivo o prevalente, lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di un prodotto o servizio “ad alto valore tecnologico”;
  7. non essere il risultato di fusione, scissione o cessione di ramo d'azienda.

In addizione ai sopra sintetizzati requisiti, la start-up innovativa deve altresì, come noto, possedere almeno uno dei seguenti tre requisiti: i)  sostenere spese in ricerca e sviluppo pari ad almeno il 15% del maggior valore tra costo e valore totale della produzione; ii) impiegare personale altamente qualificato (per almeno un terzo, dottori di ricerca, dottorandi o ricercatori; ovvero per almeno due terzi personale munito di laurea magistrale); iii) essere titolare, depositaria o licenziataria di almeno un brevetto o titolare di un software registrato.

Si tratta, dunque, e con ogni evidenza, di una perimetrazione particolarmente restrittiva e rigorosa, anche e soprattutto in considerazione degli effetti, di non poco momento, riconnessi alla qualifica di start-up innovativa.

Proprio in ragione di tale particolare specificità, il legislatore ha optato per una disciplina derogatoria delle regole ordinarie in tema di crisi d'impresa e di insolvenza: ad oggi, infatti, e come previsto dall'art. 31 del d.l. n. 179/2012, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 221/2012, le start-up innovative possono accedere alle sole procedure minori di cui al capo II della l. n. 3/2012.

L'intento del legislatore, secondo quanto osservato dai commentatori, sarebbe quindi stato duplice. Da un lato, sarebbero stati forniti meccanismi idonei a consentire allo startupper il cd. “fresh start”, per garantire la possibilità di avviare un nuovo progetto, con una più rapida liquidazione dei residui attivi (Fregonara, Start up innovativa - Start up innovative: esenzione dal fallimento e procedura di sovraindebitamento, in Giurisprudenza Italiana, 2020, 10, 2177). Dall'altro, con l'esenzione dal fallimento, si sarebbe invece inteso incoraggiare l'avviamento di nuove esperienze imprenditoriali dall'elevato contenuto tecnologico e innovativo, statisticamente soggette ad un elevato rischio di insuccesso (i bidem).

In tale solco, si inserisce il progetto di riforma oggetto del presente intervento.

Il legislatore delegato, infatti – nel rispetto dei limiti dimensionali di cui all'art. 2 c.c.i.i. – ha ritenuto di poter consentire l'accesso, da parte delle imprese in parola, alle procedure ordinarie di gestione della crisi d'impresa e dell'insolvenza, nonché alla liquidazione giudiziale.

Pur tuttavia, nell'ottica di preservare, per quanto possibile, le finalità sopra sintetizzate, ha disposto che l'accesso a tali procedure possa avvenire solo ed esclusivamente “in proprio”: vale a dire a fronte di domanda proposta dal debitore. Viene quindi radicalmente ed espressamente esclusa ogni legittimazione in capo a soggetti terzi, primi fra i quali i creditori, che non avranno in alcun caso titolo per richiedere la liquidazione giudiziale della start-up innovativa debitrice (e, si noti, nemmeno nel caso in cui quest'ultima dovesse oltrepassare i limiti dimensionali di cui all'art. 2 c.c.i.i.).

Le modifiche all'art. 40 c.c.i.i.

Com'è noto, l'istituzione del c.d. “procedimento unitario” costituisce una delle principali innovazioni introdotte dal codice della crisi; e, come tutte le innovazioni di particolare impatto, ha reso evidenti, nel corso del primo periodo di applicazione, una serie di criticità che non hanno di certo agevolato l'attività degli operatori del settore (avvocati, giudici e cancellerie).

Il legislatore ha quindi correttamente colto l'esigenza di un rapido intervento, al fine di chiarire, per quanto possibile, dubbi e criticità.

Il decreto correttivo, anzitutto ed in tale ottica, interviene sull'art. 40 c.c.i.i. in tema di domanda di accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza e alla liquidazione giudiziale.

In primo luogo, viene chiarito, al comma 2 della disposizione in parola, che – per le società – la legittimazione attiva alla presentazione della domanda di accesso alla liquidazione giudiziale spetta a coloro che ne hanno la rappresentanza.

Il chiarimento del legislatore delegato consente di superare ogni (pur eventuale) aporia interpretativa in merito alla domanda c.d. “in proprio”, che – va detto – nella prassi, ormai consolidata, è già oggi sottoscritta, quanto meno per prudenza, dal legale rappresentate della società ricorrente.

In secondo luogo, in tema di cd. “digitalizzazione” del procedimento unitario, il correttivo:

  1. da un lato, inserisce un riferimento all'indice nazionale dei domicili digitali (con ogni conseguente necessità di coordinamento con l'INI-PEC, non contestualmente soppresso);
  2. dall'altro, abroga ogni riferimento all'area web di cui all'art. 359 c.c.i.i. (mai in concreto istituita, né resa operativa), così sostituita dal “portale dei servizi telematici” gestito dal Ministero della Giustizia.

In terzo luogo, il decreto correttivo emenda un refuso contenuto nel nono comma dell'articolo in oggetto, nella sua formulazione attualmente vigente.

In particolare, l'attuale wording della disposizione contiene un riferimento alla domanda presentata con ricorso ai sensi dell'art. 37 comma 2, c.c.i.i., che, tuttavia, e come noto, attiene all'accesso agli strumenti di regolazione della crisi.

Il testo riformato si riferisce invece, correttamente, all'art. 37 comma 1, c.c.i.i., in tema di accesso alla liquidazione giudiziale.

Da ultimo, il decreto correttivo modifica il decimo comma dell'art. 40, per chiarire quale sia la prima udienza del procedimento per l'apertura della liquidazione giudiziale, in occasione della quale il debitore può richiedere (a pena di decadenza) di accedere ad uno strumento di regolazione della crisi. In dettaglio, viene espressamente previsto che detta udienza sia quella fissata dal tribunale ai sensi e per gli effetti di cui art. 41 c.c.i.i.

In linea con la disposizione di cui al nono comma, è stato altresì modificato l'art. 53 comma 5, c.c.i.i., al fine di chiarire che la domanda di uno dei soggetti legittimati, che permette l'apertura della liquidazione giudiziale in caso di revoca dell'omologazione del concordato o degli accordi di ristrutturazione dei debiti, è quella che sia stata depositata nel termine di cui all'art. 40 comma 9, c.c.i.i., nel corso del procedimento unitario di primo grado (e non per la prima volta in sede di reclamo).

Le modifiche di cui all'art. 44 c.c.i.i.

L'ultimo intervento che ci occupa riguarda l'art. 44 c.c.i.i. e mira a risolvere alcuni dubbi applicativi sorti in relazione ad uno dei passaggi processuali più comuni e decisivi degli strumenti di regolazione della crisi d'impresa e dell'insolvenza: la c.d. “fase prenotativa”.

In linea con le modifiche apportate all'art. 46 c.c.i.i., vengono anzitutto chiariti gli effetti della domanda prenotativa presentata in una fase del procedimento che non automaticamente conduce al concordato preventivo.

Viene inoltre precisato che l'art. 46 c.c.i.i. è norma relativa, di per sé operante solo con riferimento alla domanda “piena”. Conseguentemente, qualora il debitore proponga una domanda “in bianco”, senza scegliere in questa fase lo strumento cui intenda accedere, troveranno applicazione le norme in tema di concordato preventivo.

A temperamento di quanto sopra, a mezzo del nuovo comma 1-quater, viene concesso al debitore di avvalersi, in sede prenotativa, del regime dello strumento di regolazione della crisi d'impresa e dell'insolvenza prescelto. Perché ciò avvenga, è peraltro necessario che il debitore depositi un progetto di piano di regolazione della crisi e dell'insolvenza in conformità con il regime dello strumento selezionato. Si noti, peraltro, che il deposito di tale progetto diviene requisito indefettibile per ottenere la proroga del termine fissato dal Tribunale investito del procedimento cd. “riservato”.

Viene peraltro espunto il passaggio che, nel testo vigente, richiede – ai fini della concessione della proroga del termine per il deposito del piano e della proposta, o della domanda di omologa, a valle della domanda cd. “prenotativa” – l'assenza di domande per l'apertura della liquidazione giudiziale. Ciò potrebbe, in concreto, evitare che la domanda di liquidazione giudiziale possa essere utilizzata, da parte di creditori particolarmente aggressivi, con finalità difformi rispetto a quelle considerate meritevoli di tutela da parte dell'ordinamento (specie nei casi in cui il creditore intenda a ben vedere ottenere – quale contropartita di una possibile desistenza – il versamento di somme di denaro, in acconto o a saldo, al di fuori della par condicio dei creditori). 

Infine, il decreto correttivo introduce anche i due nuovi commi 1-bis ed 1-ter.

Il primo tende a garantire l'omogeneità degli effetti derivanti dall'accesso ad uno strumento di regolazione della crisi d'impresa e dell'insolvenza, stabilendo che, dalla presentazione della domanda prenotativa, sono sospesi gli obblighi a tutela dell'integrità del capitale sociale imposti dal codice civile.

Il secondo, invece, dispone che il compimento di atti di straordinaria amministrazione, a valle della domanda cd. “prenotativa”, in assenza dell'autorizzazione prescritta per legge, comporta la loro inefficacia e la revoca del decreto di concessione del termine.  

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