Una diversa prospettiva sul termine per la liquidazione controllata del patrimonio “senza beni”

La Redazione
22 Luglio 2024

Il tribunale di S. M. Capua Vetere ritiene non condivisibile la pronuncia della Corte costituzionale n. 6/2024 relativa ai tempi di definizione della liquidazione del patrimonio c.d. “senza beni”.

Nell'ambito di un procedimento per l'apertura della liquidazione controllata ex art. 268 e ss. caratterizzata dalla sola acquisizione di quote di reddito del debitore, il tribunale, avendo la ricorrente in prima battuta inteso prospettare una procedura con durata predeterminata triennale, riteneva necessario prendere posizione su tale questione in via officiosa e fissava, a garanzia del contraddittorio preventivo rispetto alla decisione finale, udienza di discussione. La ricorrente procedeva quindi alla modifica del piano, omettendo, questa volta, di predeterminare la durata dello stesso, “rimettendosi sul punto alle determinazioni che riterrò di assumere il liquidatore, prima ed il Tribunale, poi”.

E proprio questa – la durata della procedura di liquidazione controllata del patrimonio “senza beni” – è la questione centrale affrontata dal tribunale; tema oggetto di una recente pronuncia della Corte costituzionale, n. 6/2024 (si rimanda alla news pubblicata su questo Portale). In quell’occasione, la Consulta aveva affermato che “fintantoché vi sono debiti da adempiere nell'ambito della procedura di liquidazione controllata del sovraindebitamento, il termine triennale correlato all'esdebitazione può operare non solo quale termine massimo, ma anche quale termine minimo di apprensione dei beni sopravvenuti del debitore in pendenza della procedura liquidatoria”. 

Il tribunale ritiene non condivisibile – e, per sua natura, non vincolante per l'interprete – la decisione, ritenendo che essa lasci aperti una serie di profili problematici; segnatamente, in relazione all'ammissibilità di un ricorso del debitore che, predeterminando la durata dell'acquisizione dei beni a sopravenire, finirebbe per delimitare l'attivo da destinare ai creditori – con violazione di quanto disposto dall'art. 268 comma 4, c.c.i.i. – intervenendo in un campo attribuito, invece, al liquidatore ex art. 272 c.c.i.i.

In definitiva, il tribunale ritiene:

  • che non spetti al debitore predeterminare la durata della liquidazione controllata;
  • che essa debba essere piuttosto oggetto di programmazione da parte del liquidatore, in maniera tale da consentire l'adeguato soddisfacimento dei creditori e delle spese di giustizia
  • che ai fini della individuazione della durata, ma anche del parametro minimo di tale soddisfazione creditoria, debba tenersi conto delle indicazioni contenute nell'art. 283 c.c.i.i., laddove al comma 1 prevede l'obbligo di pagamento in capo al debitore meritevole ove nei quattro anni dal decreto di esdebitazione sopravvengano utilità che consentano il soddisfacimento dei creditori in una percentuale non inferiore complessivamente al 10 %;
  • che, infine, ciò non toglie che la durata della liquidazione possa subite un arresto in ipotesi di domanda di accesso all'esdebitazione di diritto tuttavia: (I) con effetti solo all'esito del relativo eventuale accoglimento con decisione irretrattabile; (II) senza che l'esdebitazione possa determinare la chiusura della liquidazione controllata, regolata dall'art. 233 c.c.i.i., giusto il richiamo di compatibilità contenuto dall'art. 276 c.c.i.i.; (III) senza che l'esdebitazione possa determinare l'interruzione delle attività esecutive del programma di liquidazione;

Quanto al profilo attinente alla efficacia della disposizione di cui al comma 3 dell'art. 272 c.c.i.i., che invoca la ragionevole durata della procedura, il tribunale ritiene:

(i) che non esiste nell'attuale disciplina della liquidazione controllata un parametro temporale che definisca la sua durata ragionevole, tanto che la stessa Corte costituzionale – nella sentenza di cui in premessa – ritiene che essa debba ancorarsi alle peculiarità concrete della procedura, pur potendo assumere rilievo ai fini il termine quadriennale di cui all'art. 282 c.c.i.i.;

(ii) che l'eventuale violazione di quel termine, ove individuato, non determina alcun effetto reale, ovvero la chiusura della procedura, quanto integrazione del presupposto di eventuali domande indennitarie connesse ad una relativa durata irragionevole;

(iii) che in ogni caso la durata della procedura – anche per la fase necessitata dall'esecuzione del programma di liquidazione e/o alle conclusioni delle liti attivate in conformità al medesimo – ove pure ecceda il termine sub-(ii), può intendersi volta a garantire un beneficio per i creditori quale ulteriore attivo da attribuire in loro favore, tale da elidere ogni pregiudizio derivante dal lasso temporale intercorso per la relativa definizione.

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