E’ incostituzionale la norma che prevede l’autorizzazione del tribunale all’intervento medico-chirurgico per la rettificazione anagrafica di sesso

La Redazione
29 Luglio 2024

La Corte Costituzionale ha vagliato le questioni costituzionali relative alla possibilità per un individuo di ottenere una rettificazione anagrafica di tipo “non binario” e alla necessità dell’autorizzazione del tribunale competente al trattamento  medico-chirurgico, al fine della riattribuzione di sesso.

Il Tribunale di Bolzano veniva adito da una persona di sesso anagrafico femminile, la quale non si riconosceva in tale genere, bensì in un genere non binario: si era dunque rivolta alle strutture sanitarie pubbliche, presso le quali riceveva una diagnosi di disforia o incongruenza di genere, per identificazione non binaria, con propensione alla componente maschile. Da qui la sua domanda giudiziale per ottenere la rettificazione del sesso da “femminile” ad “altro”, nonché per vedersi riconosciuto il diritto di sottoporsi a mastectomia, al fine di cambiamento del prenome e rettificazione anagrafica. Il Tribunale sollevava questione di legittimità costituzionale relativamente:

  • all'art. 1, l. n. 164/1982 in violazione degli artt. violazione degli artt. 2, 32,117 Cost., che non dà possibilità di accogliere la domanda di rettificazione ad un genere non binario;
  • e all'art. 31 del d.lgs. n. 150/2011, in violazione degli artt. 2, 3 e 32 Cost. (per l'ingiustificata compressione dell'autodeterminazione individuale e del diritto alla salute), norma che prevede necessariamente l'autorizzazione del Tribunale all'intervento medico-chirurgico, tappa imprescindibile al fine della rettificazione anagrafica.

La Corte Costituzionale ha ritenuto inammissibile la prima questione, perché eccedente rispetto ai poteri della Corte, implicando scelte affidate alla discrezionalità politica del legislatore: difatti, l'eventuale introduzione di un terzo genere di stato civile avrebbe un impatto generale, che postula necessariamente un intervento legislativo di sistema.

Con riguardo alla seconda questione, invece, la Corte Costituzionale l'ha ritenuta fondata, poiché l'art. 31 del d.lgs. n. 150/2011 non tiene conto dell'evoluzione giurisprudenziale (v. Corte Cost., 5 novembre 2015, n. 221) che ha escluso che le modificazioni dei caratteri sessuali, richieste agli effetti della rettificazione anagrafica, debbano necessariamente includere un trattamento chirurgico di adeguamento, nonostante quest'ultimo, ad oggi, sia solo un «possibile mezzo, funzionale al conseguimento di un pieno benessere psicofisico». Infatti, agli effetti della rettificazione è necessario e sufficiente l'accertamento dell'«intervenuta oggettiva transizione dell'identità di genere, emersa nel percorso seguito dalla persona interessata» (cfr. Corte Cost. n. 13 luglio 2017, n. 280). Tale percorso, oggigiorno, può compiersi già mediante trattamenti ormonali e sostegno psicologico-comportamentale, quindi anche senza un intervento di adeguamento chirurgico. Dunque, la prescrizione indistinta dell'autorizzazione giudiziale denuncia una palese irragionevolezza: con i mezzi odierni, un eventuale intervento chirurgico avverrebbe comunque dopo la già disposta rettificazione. Di conseguenza, La Corte Costituzionale ha dichiarato l'art. 31 del d.lgs. n. 150/2011 incostituzionale nella parte in cui prescrive l'autorizzazione del tribunale al trattamento medico-chirurgico anche qualora le modificazioni dei caratteri sessuali già intervenute siano ritenute dallo stesso tribunale sufficienti per l'accoglimento della domanda di rettificazione di attribuzione di sesso.

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