Distrazione di somme aziendali e reato di appropriazione indebita: la Cassazione mette alcuni paletti
29 Luglio 2024
Massima In tema di responsabilità degli enti collettivi a seguito della commissione di reati tributari, stante il disposto di cui all'art. 8 d.lgs. n. 231/2001 non osta al riconoscimento della responsabilità della società la circostanza che non sia stato individuato il soggetto autore del reato presupposto una volta che sia stato accertato che tale delitto sia stato effettivamente commesso e che lo stesso sia stato posto in essere nell'interesse o a vantaggio dell'ente. Il caso L'amministratore di una società debitrice verso il fisco di significativi importi era accusato del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte di cui all'art. 11 d.lgs. n. 74/2000 in quanto aveva bonificato dalle casse della società debitrice somme di denaro a vantaggio di un'altra persona giuridica, gestita formalmente da terzi soggetti, che erano indagati in concorso per la violazione del citato art. 11. Nei confronti di quest'ultima società beneficiata e destinataria delle somme sottratte all'imposizione tributaria si procedeva per l'illecito amministrativo di cui agli artt. 5, lett. a), 25-quinquiesdecies, d.lgs. n. 231/2001, disponendosi il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta (o per equivalente) della somma di euro 1.477.092,32 considerata vantaggio economico ottenuto in conseguenza del reato di cui all'art. 11 d.lgs. n. 74/2000. In particolare, nel disporre il sequestro preventivo delle somme sottratte alle pretese dell'erario veniva esclusa la responsabilità degli amministratori formali della società destinataria dei bonifici ma al contempo si riconosceva la oggettiva sussistenza del reato, ipotizzando che la persona giuridica che aveva ricevuto il denaro fosse di fatto gestita dall'amministratore dell'impresa debitrice; si riteneva perciò sussistente l'illecito amministrativo in capo alla persona giuridica che aveva percepito il denaro sul rilievo che la stessa non aveva impedito il concorso nel reato tributario del suo gestore e amministratore di fatto, principale responsabile dell'accaduto. In sede di ricorso per cassazione, la difesa – per quanto di interesse in questa sede – lamentava che il provvedimento di sequestro e la relativa motivazione non fosse conforme alle richieste del pubblico ministero e che il provvedimento ablatorio fosse stato adottato oltre la domanda cautelare di sequestro preventivo. Infatti, mentre secondo l'organo requirente erano responsabili del delitto di cui all'art. 11 d.lgs. n. 74/2000 tanto l'amministratore della società debitrice verso l'erario e cui erano state prelevate disponibilità economiche per sottrarle all'esecuzione dell'erario quanto l'amministratore della terza società cui erano state bonificate tali somme, secondo il Giudice delle indagini preliminari prima e del Tribunale del riesame il legale rappresentante di tale seconda persona giuridica era estraneo alla commissione del delitto; di conseguenza, secondo la difesa, in violazione dell'art. 5, lett. a), d.lgs. n. 231/2001 l'illecito da reato era stato ritenuto sussistente pur in assenza di responsabilità a carico della legale rappresentante della società colpita dal sequestro ed in mancanza di una contestazione del Pubblico ministero di concorso della medesima società con l'autore materiale del reato-presupposto. La questione Ai sensi dell'art. 8, comma 1 lett. a), d.lgs. n. 231/2001 «la responsabilità dell'ente sussiste anche quando l'autore del reato non è stato identificato o non è imputabile». La ratio di questa disposizione è duplice. In primo luogo, la citata disposizione sottolinea come la fonte di responsabilità della società non coincida con l'adozione della condotta criminosa da parte del singolo ma la ricomprende: il delitto della persona fisica è solo uno degli elementi che formano l'illecito amministrativo da reato, il quale costituisce una fattispecie complessa, in cui il crimine rappresenta il presupposto fondamentale, accanto alla qualifica della persona fisica responsabile ed alla sussistenza di un interesse o di un vantaggio per l'ente; da ciò la scelta di richiedere, per la punibilità della persona giuridica, l'accertamento circa la commissione di un reato nell'interesse o a vantaggio di quest'ultima ma non la compiuta identificazione del soggetto responsabile. In secondo luogo, si è inteso evitare che il riconoscimento di una responsabilità dell'impresa fosse impedito dalle difficoltà relative all'individuazione della persona fisica effettivamente responsabile dell'illecito delittuoso presupposto della responsabilità aziendale – individuazione spesso resa difficoltosa dalla circostanza che il crimine è maturato all'interno di un ente collettivo, sulla base di deliberazioni e scelte ripartite fra più soggetti in ragione della suddivisione di competenze decisionali. (Su questa disposizione, in dottrina, senza pretesa di completezza, Paliero, La responsabilità penale della persona giuridica: profili strutturali e sistematici, in De Francesco (a cura di), La responsabilità degli enti: un nuovo modello di giustizia “punitiva”, Torino, 2004, 23; Consulich, Il principio di autonomia della responsabilità dell'ente. Prospettive di riforma dell'art. 8, in Riv. Resp. Amm. Enti, 1/2018, 221; Cocco, L'illecito degli enti dipendente da reato ed il ruolo dei modelli di prevenzione, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2004, 93; Amodio, Prevenzione dei rischi penali di impresa e modelli integranti di responsabilità degli enti, in Cass. pen. Pen., 2005, 330; Forti, Uno sguardo ai “piani nobili” del d.lgs. n. 231/2001, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2012, 1264; Orsina, L'autonomia della responsabilità degli enti fra pragmatismo e garanzie, in Dir. Pen. Proc., 2017, 934; De Vero, La responsabilità penale delle persone giuridiche, in Grosso, Padovani, Pagliaro (eds.), Trattato di diritto penale, Milano, 2008, 204). In effetti, la disciplina in tema di responsabilità da reato delle persone giuridiche nasce in ragione della conseguita consapevolezza — raggiunta anche grazie, se non soprattutto, alla spinta di istanze sovranazionali — della «partecipazione criminosa dell'ente agli illeciti di riferimento, anche considerato il sopravanzare sulle illegalità individuali di una diffusa e diffusiva illegalità dell'impresa, con contenuti motivazionali trascendenti gli scopi dei singoli individui e direttamente pertinenti il soggetto economico ‘impresa' e le sue autonome scelte di politica aziendale/imprenditoriale/finanziaria» (Rossi, Note in prima lettura su responsabilità diretta degli enti ai sensi del d. lgs. 231 del 2001 ed autoriciclaggio: criticità, incertezze, illazioni ed azzardi esegetici, in dirittopenalecontemporaneo.it, 10). È indiscutibile che alcune tipologie di illeciti, denominati genericamente come “reati di impresa”, pur se realizzati sotto il profilo dell'assunzione della condotta penalmente rilevante da una persona fisica, sono comunque intesi ad arrecare un vantaggio ad enti collettivi, all'interno dei quali il singolo responsabile dell'illecito si trova ad agire; di conseguenza, considerato che la commissione di questi delitti non appare solitamente frutto di una scelta autonoma ed individuale del soggetto-persona fisica, ma risulta essere strumentale al raggiungimento di un obiettivo criminoso della societas, un'efficace politica criminale impone che accanto al reo venga in qualche modo sanzionato anche l'ente a vantaggio o nell'interesse del quale il primo delinque o delle cui strutture egli si avvale nel suo comportamento criminale. Al contempo, tuttavia, al raggiungimento di questo obiettivo il più delle volte può risultare d'ostacolo la circostanza che — proprio perché il crimine matura all'interno di un ente collettivo, sulla base di deliberazioni e scelte ripartite fra più soggetti in ragione della suddivisione di competenze decisionali — l'individuazione della persona fisica effettivamente responsabile dell'illecito delittuoso presupposto della responsabilità aziendale non possa essere raggiunta — specie se si deve garantire il rispetto dei giustamente severi standard probatori del processo penale. Si pensi, ad esempio, al caso in cui, con riferimento a commesse pubbliche di significativo importo, si accerti che l'aggiudicazione delle stesse è avvenuta a seguito del pagamento di una tangente versata nell'interesse della società privata e poi aggiudicataria dell'appalto; al contempo, però, la rilevante dimensione dell'impresa corruttrice, la sua ramificazione sul territorio, il numero considerevole di dirigenti che si sono interessati della partecipazione alla gara, impediscono di attribuire con certezza ad alcuni di loro la conclusione dell'accordo corruttivo e l'effettuazione del pagamento illecito; analoghe conclusioni si possono formulare con riferimento all'ipotesi in cui ci si avveda del coinvolgimento di una società in un'operazione di riciclaggio: acquisita la prova che i conti bancari dell'ente sono stati utilizzati per attività di money laudering può essere tutt'altro che agevole individuare chi abbia disposto i bonifici o i giroconti o abbia comunque avuto la disponibilità delle somme provenienti da reato. In circostanze come queste si potrebbe sostenere che, pur se acclarata la commissione di un illecito e la circostanza che lo stesso sia stato realizzato nell'interesse di una persona giuridica, la mancata individuazione del singolo che ha posto in essere la condotta di reato impedisce ogni forma di sanzione (non solo nei confronti della persona fisica, il che è ovvio, ma anche) dell'ente collettivo. Proprio per evitare questa conclusione, si è introdotto il principio della generale autonomia della responsabilità della società rispetto alle sorti della persona fisica che consente — per quanto di interesse in questa sede — di sanzionare l'ente anche nell'ipotesi in cui rimanga ignoto l'autore del reato presupposto. Per questo motivo, tenuto presente il contenuto del dato normativo di cui all'art. 8 citato, si è affermato che all'assoluzione della persona fisica imputata del reato presupposto per una causa diversa dalla rilevata insussistenza di quest'ultimo, non consegue automaticamente l'esclusione della responsabilità dell'ente per la sua commissione (Cass. pen., sez. V, 4 aprile 2013) e ciò in quanto l'autonomia della responsabilità dell'ente rispetto a quella penale della persona fisica che ha commesso il reato-presupposto deve essere intesa nel senso che, per affermare la responsabilità dell'ente, non è necessario il definitivo e completo accertamento della responsabilità penale individuale, ma è sufficiente un mero accertamento incidentale, purché risultino integrati i presupposti oggettivi e soggettivi di cui agli artt. 5,6,7 e 8 d.lgs. n. 231/2001 (Cass. pen., sez. IV, 23 maggio 2018, n. 38363). Da quanto detto deriva che non sussiste contrasto tra giudicati ex art. 630, comma 1, lett. a), c.p.p. tra la sentenza dichiarativa della responsabilità dell'ente ai sensi del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 e la sentenza di assoluzione dell'imputato del reato presupposto pronunciata in un diverso procedimento nel caso in cui, in quest'ultimo, sia stata accertata la ricorrenza del fatto illecito, discendendo l'inconciliabilità dei giudicati solo dalla negazione del fatto storico su cui essi si fondano e non anche dalla mancata individuazione del suo autore, posto che la responsabilità dell'ente ex art. 8 del citato d.lgs. sussiste pur se l'autore del reato non risulta identificato (Cass. pen., sez. IV, 10 febbraio 2023, n. 10143). Le soluzioni giuridiche Il ricorso è stato rigettato, richiamandosi il dettato di cui all'art. 8 comma 1 lett. a) d.lgs. n. 231 del 2001. Secondo la decisione in commento, infatti, la tesi difensiva – secondo cui, stante il disposto dell'art. 5, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 231/2001, ogni considerazione circa la potenziale responsabilità dell'ente collettivo presuppone che il reato-presupposto da cui origina la potenziale condanna della società deve essere quantomeno formalmente attribuito (anche) al legale rappresentante (o al gestore di fatto) dell'ente, non potendo l'ente rispondere di reati che non sono contestati a nessuna delle persone indicate dall'art. 5 citato – non considera quanto disposto dal menzionato art. 8 dello stesso d.lgs. n. 231 che sancisce il principio di autonomia della responsabilità dell'ente, in base al quale non impedisce il riconoscimento della responsabilità della società per reati presupposti commessi nel suo interesse o vantaggio in caso di (per quanto ci interessa in questa sede) mancata identificazione della persona fisica autore del delitto di cui l'impresa è beneficiaria. Ai fini della dichiarazione di responsabilità dell'ente commerciale, è dunque, essenziale che un reato tra quelli compresi nel catalogo dei reati presupposto sia stato accertato e sia riferibile ad uno dei soggetti indicati dall'art. 5 d.lgs. n. 231/2001, anche se poi manchi o sia insufficiente la prova della responsabilità individuale di uno di tali soggetti (Cass. pen., sez. un., 25 settembre 2014, n. 11170). Ciò significa, dunque, che solo l'insussistenza del fatto (formalmente) attribuito al legale rappresentante della società comporta il venir meno della responsabilità amministrativa di quest'ultima, non quando il fatto sia accertato nella sua dimensione storica. Nel caso di specie, conclude la decisione in commento, correttamente è stata ritenuta – quanto meno in sede di indagini ed ai fini dell'adozione del provvedimento cautelare reale – la responsabilità della società beneficiaria dei bonifici provenienti da altro soggetto debitore verso il fisco per l'illecito amministrativo attribuitole tenuto conto della oggettiva (e non contestata) sussistenza del reato-presupposto e della sua formale imputazione a uno dei soggetti indicati dall'art. 5, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 231/2001 (nel caso di specie, il legale rappresentante), a prescindere dalle vicende relative all'accertamento della effettiva responsabilità di quest'ultima per il reato presupposto stesso. Osservazioni La sentenza della Cassazione è da un lato sorprendente, dall'altro non molto convincente. La sorpresa deriva dall'affermazione – tutt'altro che scontata – che la disposizione di cui al citato art. 8 d.lgs. n. 231/2001 possa trovare applicazione anche nell'ambito dei reati tributari. Questa conclusione lascia perplessi: infatti, non riusciamo a comprendere come si possa sostenere l'impossibilità di individuare, quando l'evasione fiscale sia commessa a vantaggio di una società, l'autore della relativa violazione tributaria, posto che all'interno degli enti collettivi l'adempimento degli obblighi fiscali è di competenza di soggetti apicali agevolmente individuabili, trattandosi o di soggetti specificatamente delegati all'osservanza di tali obblighi ovvero di coloro, senza distinzione ed esclusione alcuna, che siedono nel consiglio di amministrazione. Queste considerazioni, peraltro, hanno operatività più generale e valgono con riferimento alla sfera di applicabilità tout court della disposizione in parole. Come sottolineato da alcuni autori (Vinciguerra, La struttura dell'illecito, in Vinciguerra-Ceresa Gastaldo-Rossi, La responsabilità dell'ente per il reato commesso nel suo interesse, Padova, 2004, 13, che ritiene sostanzialmente inapplicabile la previsione di cui all'art. 8 lett. a) che consente di sganciare la responsabilità dell'ente dall'identificazione dell'autore del reato, sostenendo che laddove il reo rimanga ignoto sia illusorio sperare di poter approdare comunque ad una condanna della persona giuridica), difficilmente il disposto dell'art. 8 in commento può operare in relazione a reati in cui assume particolare rilievo la condotta del singolo, che con il suo comportamento e con il suo atteggiamento soggettivo impone una particolare direzionalità all'atteggiamento della persona giuridica indirizzandolo in maniera decisiva verso una violazione delle regole. Per tale ragioni – scusandoci per l'ineleganza dell'autocitazione – abbiamo in altre sedi sostenuto che il criterio di imputazione di cui al citato art. 8 può essere richiamato solo allorquando l'evento delittuoso presenti una significativa connessione con l'organizzazione della società così da potersi fondatamente sostenere che — a prescindere dalla pur sussistente incidenza che sull'accaduto può aver rivestito la condotta del singolo (di cui nel caso di specie non è stato possibile definire l'identità) — il reato sia comunque per lo più riconducibile a carenze strutturali dell'impresa interessata, dovendo farsi applicazione di tale disposizione con riferimento alle diverse fattispecie di natura colposa che rientrano fra i reati presupposto della responsabilità della società, ipotesi criminose nelle quali l'evento del reato — non è attribuibile all'iniziativa di un singolo né rappresenta la conclusione di un procedimento volitivo riferibile in via esclusiva ad una persona fisica ma piuttosto — costituisce l'esito di una serie di inefficienze organizzative della società da cui consegue il verificarsi del fatto delittuoso (Santoriello, Responsabilità da reato degli enti: problemi e prassi, Milano 2023, 69). La sentenza in commento, tuttavia, ritiene di poter superare queste perplessità individuando, nella vicenda oggetto della sentenza in commento, una ipotesi in cui, con riferimento agli illeciti tributari, è possibile richiamare il disposto dell'art. 8 d.lgs. n. 231/2001. Secondo la Suprema Corte, infatti, pur non essendosi ancora raggiunta la prova circa la responsabilità individuale degli amministratori della società destinataria dei bonifici provenienti dall'impresa debitrice verso il fisco, era comunque acclarata la sussistenza della partecipazione dell'azienda cui erano pervenute le somme di denaro alla vicenda criminale della sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. È in relazione a questa conclusione che la decisione della Cassazione riesce tutt'altro che convincente. A nostro parere, nel caso di specie il richiamo all'art. 8 d.lgs. n. 231/2001 non è pertinente in quanto nella vicenda in esame ciò che non risulta pienamente accertato non è la responsabilità individuale per il reato di cui all'art. 11 d.lgs. n. 231 ma, in modo più radicale, se la società indagata ed i suoi vertici fossero o meno coinvolti nella condotta criminosa. In proposito, occorre infatti considerare come, mentre era indiscutibile la responsabilità dell'ente collettivo debitore verso l'erario e che aveva bonificato le somme ad un'altra società affinché non fossero attinte dal fisco, la responsabilità di quest'ultima, quale mera percettrice delle predette somme, era tutt'altro che pacifica, tant'è vero che il giudice delle indagini preliminari, nel disporre il sequestro preventivo delle somme, aveva escluso la responsabilità nell'accaduto dei relativi amministratori, sostenendo al contempo che – pur non essendo stato questo profilo in alcun modo preso in considerazione – tale società era amministrata di fatto dal principale accusato della condotta delittuosa. In sostanza, nella decisione in epigrafe la società destinataria dei bonifici è accusata – non di essere la protagonista principale della vicenda criminosa ma – di avervi partecipato quale concorrente in quanto soggetto beneficiato dalla condotta di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte posta in essere dall'amministratore di altra impresa. Tuttavia, perché si possa ipotizzare la responsabilità nel delitto di cui all'art. 11 d.lgs. n. 74/2000 di terzi soggetti diversi dal contribuente che sottrae il proprio patrimonio alle pretese del fisco, occorrono una serie di elementi che dimostrino l'accordo fra i vari soggetti che contribuiscono alla violazione fiscale. Nel caso di specie, la compartecipazione delle due società nella fattispecie criminosa sarebbe rappresenta dall'identità dei rispettivi vertici gestionali, nel senso che l'amministratore della società debitrice verso il Fisco era anche ed al contempo amministratore di fatto della persona giuridica che aveva ricevuto le somme distratte dalle casse della prima: se però questa circostanza – ovvero, l'identità degli organi di vertici – non è compiutamente accertata non può sostenersi che si è innanzi ad un'ipotesi di mancata individuazione del responsabile dell'illecito, la cui sussistenza è tuttavia indiscutibile con possibilità di far ricorso alla previsione di cui all'art. 8 d.lgs. n. 231/2001, ma occorre prendere atto che manca la prova del concorso della una terza società nel delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte commesso dai vertici di impresa debitrice nei confronti dell'Erario. |