Misure di prevenzione e agevolazione colposa dell’impresa operante negli appalti di opere e/o servizi: legittima l’applicazione dell’amministrazione giudiziaria
30 Luglio 2024
Massima Sul piano del profilo soggettivo richiesto per l'applicazione della misura di prevenzione ex art. 34 d.lgs. n. 159/2011 è necessario «che il soggetto terzo ponga in essere una condotta censurabile quantomeno su un piano di rimproverabilità “colposa”, quindi negligente, imprudente o imperita, senza che ovviamente la manifestazione attinga il profilo della consapevolezza piena della relazione di agevolazione. Tale ultimo caso, infatti, è ascrivibile nella cornice dolosa del diritto penale, ad ipotesi concorsuali o, quantomeno, favoreggiatrici. In sostanza, dovendosi comunque leggere la misura dell'amministrazione giudiziaria come posta anche a favore e a tutela dell'attività imprenditoriale e della sua trasparenza, occorre, a giudizio del Collegio, che la condotta del terzo possa e debba essere censurata esclusivamente sul piano del rapporto colposo, che riguardi, cioè, la violazione di normali regole di prudenza e buona amministrazione imprenditoriale che la stessa società si sia data (magari dotandosi di un codice etico) o che costituiscano norme di comportamento esigibili sul piano della legalità da un soggetto, che opera ad un livello medio-alto nel settore degli appalti di opere e/o servizi. In tale perimetro interpretativo, qualora la società abbia effettivamente l'obiettivo di perseguire un risanamento a prescindere dall'analisi di comportamenti di singoli che non invadano ovviamente la sfera dell'illecito penale, si dovrebbe creare una nuova finalità imprenditoriale comune caratterizzata da una costruzione, condivisa con l'organo tecnico del Tribunale e cioè con l'Amministratore Giudiziario, di modelli virtuosi ed efficaci che impediscano nuove infiltrazioni illegali attraverso la creazione di rapporti di lavoro con soggetti che operino nel mondo articolato dell'illecito strutturato criminale e che quindi costruiscano provviste destinate, anche in parte, a sodalizi mafiosi. In altri termini, l'imprenditorialità privata deve capitalizzare l'intervento del Tribunale, che può ovviamente apparire invasivo e comunque compressivo di un diritto di impresa costituzionalmente protetto, per ridisegnare tutti gli strumenti di governance aziendale per evitare futuri incidenti di commistione attraverso la realizzazione di condotte, anche dei singoli, che non possano essere censurate su un piano della negligenza o dell'imperizia professionale. Il caso L'intermediazione illecita e lo sfruttamento lavorativo della manodopera Con la richiesta del Pubblico Ministero di applicazione della misura dell'amministrazione giudiziaria nei confronti di un'impresa operante nel business della moda, il Tribunale di Milano è tornato a focalizzare la propria attenzione sui rapporti intercorrenti con le imprese fornitrici, in quanto gli atti investigativi espletati dagli organi inquirenti negli opifici a conduzione cinese hanno evidenziato la ricorrente presenza di gravi violazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro, oltreché di un modello di sfruttamento sistemico della manodopera impiegata nelle operazioni di produzione, esternalizzate dalla Società con contratti di sub appalto. La questione All'ente che ha tenuto un comportamento censurabile a titolo di colpa è applicabile l'amministrazione giudiziaria ex art. 34 d.lgs. n. 159/2011 Nel caso in questione, il Tribunale di Milano ha suggellato l'orientamento giurisprudenziale attorno ai presupposti applicativi della misura dell'amministrazione giudiziaria ex art. 34 d.lgs. n. 159/2011 a carico dell'ente che, operante quale soggetto terzo, abbia integrato un comportamento rimproverabile sul piano colposo. La soluzione giuridica L'amministrazione giudiziaria del Codice Antimafia è applicabile in caso di violazione colposa dell'impresa che opera ad un livello medio-alto negli appalti di opere e/o servizi, sempreché questa non abbia osservato i tradizionali canoni di prudenza e corretta gestione imprenditoriale Il provvedimento emesso dal Tribunale Ordinario di Milano, Sezione Autonoma Misure di Prevenzione, si inserisce pienamente nel solco ermeneutico già intrapreso in relazione all'applicazione della misura dell'amministrazione giudiziaria in capo all'ente che abbia posto in essere un comportamento colposamente rimproverabile, pur in assenza di condotte ausiliarie o agevolatorie di carattere doloso. Ebbene, come recentemente precisato proprio dai Giudici di Milano, all'atteggiamento dell'ente può essere attribuita una rilevanza penale colposa qualora siano stati violati non solo i tradizionali canoni della prudenza, ma anche l'apparato normativo implementato nell'organizzazione attraverso l'attuazione di presidi di controllo interno che mirano alla salvaguardia dell'impresa dalla responsabilità amministrativa astrattamente derivante da reati commessi per perseguire un proprio interesse od ottenere proprio vantaggio. In particolare, l'organo giudicante evidenzia come la mancata adeguatezza o efficacia del Modello di organizzazione, gestione e controllo di cui al d.lgs. n. 231/2001 e lo svolgimento di controlli carenti e fallaci possano indubbiamente consentire l'applicazione della misura di prevenzione dell'amministrazione giudiziaria, perché tali inefficienze rivestono un'efficacia agevolatoria avente natura colposa per i soggetti ai quali, come nel caso di specie, è mossa l'accusa del reato di caporalato in base a corposi elementi probatori. In buona sostanza, la misura di prevenzione in questione costituisce un fondamentale strumento di tutela dell'attività imprenditoriale per contrastare l'insorgenza di fenomeni criminosi all'interno del tessuto economico, con la finalità di risanare il mercato tramite un intervento diretto allo svolgimento corretto dell'amministrazione e della gestione dell'impresa. Invero, se i modelli organizzativi e gestionali della Società e il sistema di internal audit non fossero stati ritenuti carenti o inefficaci, anche il rischio di commissione del reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro sarebbe stato regolarmente gestito e monitorato in una prospettiva ex ante, tanto da impedire la successiva applicazione dell'amministrazione giudiziaria di cui all'art. 34 d.lgs. n. 159/2011. Osservazioni La pronuncia del Tribunale di Milano non apre a particolarità perplessità sul fronte ermeneutico né tantomeno applicativo, in quanto aderisce pienamente al filone giurisprudenziale instauratosi attorno ai presupposti della misura dell'amministrazione giudiziaria disposta a carico dell'ente che abbia realizzato una condotta censurabile a titolo di colpa (Trib. Milano, 6 giugno 2024, n. 12; Trib. Milano, 27 maggio 2020, Uber Italy S.r.l.; Trib. Milano, 7 maggio 2019, Ceva Logistic Italia S.r.l.; Trib. Milano, 23 giugno 2016, Nolostand S.p.A.). Nel ribadire la finalità preventiva dell'istituto, proteso al contrasto della contaminazione antigiuridica dell'impresa sana per sottrarla tempestivamente dall'infiltrazione criminale e restituirla al mercato di beni e/o servizi una volta epurata dei propri profili inquinanti, il provvedimento in esame richiama l'importanza di salvaguardare la continuità aziendale e i livelli occupazionali, nell'ottica della tutela del diritto di impresa costituzionalmente protetto (Corte cost., 29 novembre 1995, n. 487). In altri termini, l'azione imprenditoriale non può esimersi dall'efficace attuazione degli strumenti rivolti all'analisi e al management dei rischi di commissione di particolari ipotesi criminose (come del reato di cui all'art. 603-bis c.p.), che avrebbero potuto essere presidiati e contenuti tramite l'individuazione e lo svolgimento di controlli ad hoc anche in ordine alla produzione esternalizzata tramite sub appalto. Segnatamente, il delitto in esame incrimina tutti quei comportamenti gravemente distorsivi del mercato del lavoro che, in quanto connotati da uno sfruttamento del lavoratore e da un utilizzo abusivo del suo stato di bisogno e delle sue necessità, non si traducono in mere infrazioni della normativa giuslavoristica anche in materia di salute e sicurezza, bensì concretano un vero e proprio sfruttamento, spesso unito anche a violazioni di natura fiscale e tributaria. Ai fini dell'integrazione del reato, infatti, lo stato di bisogno non deve essere considerato alla stregua di uno stato di necessità tale da eliminare in modo assoluto ogni libertà di scelta, ma come una situazione di grave difficoltà, anche temporanea, che limita la volontà del lavoratore sfruttato e lo induce ad accettare condizioni di vita particolarmente svantaggiose (Cass. pen., sez. IV, 20 settembre 2022, n. 34600). A tal proposito, dunque, il consolidato formante interpretativo della Suprema Corte ha espressamente sottolineato gli indici di rilevazione dello sfruttamento lavorativo, atteso che la mera condizione di irregolarità amministrativa del cittadino extracomunitario nel territorio nazionale, associata ad uno stato di disagio e di bisogno di accesso alla prestazione lavorativa, non costituisce in re ipsa l'unico elemento in grado di configurare il delitto in questione, il quale resta ancorato ad una situazione di lampante pregiudizio e di significativo assoggettamento del lavoratore, resa manifesta da profili contrattuali retributivi o da profili normativi del rapporto di lavoro, oppure dalla violazione delle norme antinfortunistiche, ovvero dalla sottoposizione ad avvilenti o degradanti condizioni di lavoro e di alloggio, dal mancato svolgimento di corsi di formazione o dall'omesso godimento di giorni di riposo settimanale (ex multis, Cass. pen., sez. IV, 16 settembre 2020, n. 27582; Cass. pen., sez. IV, 9 ottobre 2019, n. 49781). In sintesi, i Giudici della prevenzione potranno applicare l'amministrazione giudiziaria all'ente che ha tenuto un comportamento rimproverabile sotto il profilo colposo, solo dopo aver accertato l'esistenza di precisi indici di rilevazione del reato, come quelli richiesti dal diritto vivente in relazione al delitto di caporalato. Riferimenti bibliografici minimi A. R. Castaldo, L'Amministrazione giudiziaria va proposta con cautela, in Il Sole 24 Ore, 4 luglio 2016. C. Cubicciotto e B. Andò, Il contrasto e la repressione dell'intermediazione illecita e dello sfruttamento del lavoro: il caso Uber, in Riv. Pen. Dir. Proc., 2020, 3. D. Ferranti, La legge n. 199/2016: disposizioni penali in materia di caporalato e sfruttamento del lavoro nell'ottica del legislatore, in Dir. Pen. Cont., 15 novembre 2016. F. Menditto, Le misure di prevenzione personali e patrimoniali - La confisca ex art. 12-sexiesL. n. 356/92, Milano, 2012. F. Menditto, Presente e futuro delle misure di prevenzione personali e patrimoniali: da misure di Polizia a prevenzione della criminalità da profitto” - Relazione presentata al Convegno della Associazione tra gli studiosi del processo penale “G. D. Pisapia” su “La giustizia penale preventiva. Ricordo di Giovanni Conso, svoltosi a Cagliari il 29-30 ottobre 2015, in Dir. Pen. Cont., 23 maggio 2016. G. Pignatone, Mafia e corruzione: tra confische, commissariamenti e interdittive, in Dir. Pen. Cont., 24 settembre 2015. A. Quattrocchi, Le nuove manifestazioni della prevenzione patrimoniale: amministrazione giudiziaria e contrasto al “caporalato” nel caso Uber, in Giur. Pen., 2020. V. Torre, Lo sfruttamento del lavoro. La tipicità dell'art. 603-bis c.p. tra diritto sostanziale e prassi giurisprudenziale, in Questione Giustizia, 2019, 4. C. Visconti, Ancora una decisione innovativa del Tribunale di Milano sulla prevenzione antimafia nelle attività imprenditoriali, in Dir. Pen. Cont., 11 luglio 2016. |