Poteri istruttori d’ufficio nel rito del lavoro e acquisizione dei contratti collettivi
05 Agosto 2024
Massima Nel rito del lavoro il giudice di merito, qualora ritenga indispensabile l'acquisizione integrale di un contratto collettivo, può esercitare i poteri istruttori d'ufficio, sempre che il lavoratore abbia assolto l'onere della prova di cui è gravato, ai sensi dell'art. 2697 c.c., essendo a ciò sufficiente la produzione di "schede riassuntive" dei contratti collettivi ritenuti applicabili. Il caso Un datore di lavoro, soccombente in grado di appello, proponeva ricorso per cassazione censurando, tra l'altro, la pronuncia di merito sotto il profilo della violazione degli artt. 2697 c.c., art. 421 c.p.c. e art. 92 disp. att. c.p.c., per avere il giudice, a fronte dell'omessa produzione giudiziale, da parte del lavoratore, delle versioni integrali dei contratti collettivi di cui chiedeva l'applicazione (avendo egli depositato esclusivamente schede riassuntive degli stessi), delegato al CTU l'individuazione del contratto collettivo applicabile, oltre che l'acquisizione di copia integrale dello stesso. La questione Fatta salva la previsione normativa, nell'ambito del giudizio di cassazione, di cui all'art. 369 co. 2 n. 4 c.p.c., che pone uno specifico onere di depositare contratti e accordi collettivi, a pena di improcedibilità del ricorso (v. Cass. civ., sez. lav., 4 marzo 2019, n. 6255), da ritenersi soddisfatto unicamente dalla produzione del testo integrale del contratto collettivo, rispondente alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione e necessaria per l'applicazione del canone ermeneutico previsto dall'art. 1363 c. c. (v. anche Cass. civ., sez. lav., 16 luglio 2010, n. 16295), occorre domandarsi se, nel giudizio di merito, l'omessa o incompleta produzione dei contratti collettivi di diritto comune possa dar luogo ad un'attività suppletiva da parte del giudice, in applicazione dei poteri istruttori d'ufficio che sul medesimo si appuntano in forza della norma di cui all'art. 421 c.p.c.. Come noto, il processo del lavoro è caratterizzato dal principio di circolarità degli oneri assertivi e probatori, che impone ai protagonisti del processo di provvedere, entro stringenti limiti temporali, coincidenti con il deposito degli atti introduttivi del giudizio nei termini di cui agli artt. 415 e 416 c.p.c., all'esaustiva esposizione dei fatti rilevanti ai fini della decisione finale e alla completa esposizione dell'offerta probatoria, id est alla produzione della documentazione ritenuta rilevante e all'articolazione della prova costituenda. Al contempo, tuttavia, in modo apparentemente antinomico con l'esistenza di stringenti preclusioni processuali, il codice prevede, all'art. 421 c.p.c., ampi poteri ufficiosi in capo al giudice del lavoro da attivare, secondo l'insegnamento giurisprudenziale, quando si registri una c.d. pista probatoria qualificata ovvero l'esistenza di fatti o mezzi di prova idonei a sorreggere le ragioni di parte con carattere di decisività, che necessiti di un'attività di integrazione istruttoria, demandata al giudice di merito, quando la parte ne abbia espressamente e univocamente chiesto l'intervento (Cass. civ., sez. lav., 10 luglio 2023, n. 19525). Per altri versi, la questione della tardiva introduzione (rispetto alle preclusioni istruttorie) in giudizio del testo integrale del contratto collettivo di diritto comune, rispetto ai due estremi della decadenza dalla prova documentale e dei poteri ufficiosi del giudice, si interseca con il tema della natura del contratto collettivo atteso che laddove si ritenga, conformemente alle ultime novità normative e acquisizioni giurisprudenziali, che essi refluiscano nella categoria delle fonti del diritto, la libera acquisibilità nel corso del giudizio, sia pure nel rispetto del principio del contraddittorio, può trovare copertura nel principio iura novit curia. Le soluzioni giuridiche La questione della tardiva producibilità o acquisibilità ex officio dei contratti collettivi, su cui la domanda giudiziale si fonda, è stata oggetto di articolata e non sempre univoca ricostruzione. La giurisprudenza (v. Cass. civ., sez. lav., 7 gennaio 2020, n. 112) ha tracciato una prima, fondamentale distinzione, tra applicazione o violazione di contratti collettivi nazionali di lavoro privatistico o contratti collettivi nazionali del pubblico impiego, essendo i primi conoscibili solo con la collaborazione delle parti, la cui iniziativa è assoggettata alle regole processuali sulla distribuzione dell'onere della prova e sul contraddittorio, potendo il giudice, nel secondo caso, procedere con mezzi propri, secondo il principio iura novit curia. L'apparente rigore della regola è, tuttavia, temperato dall'assunto giurisprudenziale (cfr. Corte app. Roma, sez. III, 5 luglio 2021, n. 1866) secondo cui l'omessa o incompleta produzione dei contratti collettivi è motivo di nullità del ricorso introduttivo o, secondo la tesi più accreditata (Cass. civ., sez. lav., 6 luglio 2023, n. 19117), di rigetto dello stesso per inassolvimento dell'onere probatorio, soltanto quando non siano contestati esistenza e contenuto del contratto, ma solo la sua applicabilità risultando, nel diverso caso, non un'indebita supplenza a una carenza assertiva o probatoria su fatti costitutivi della domanda, bensì il superamento di un'incertezza su un fatto indispensabile ai fini del decidere (così Cass. civ., sez. lav., 7 luglio 2008, n. 18584). Sotto il profilo concretamente operativo, l'acquisizione del contratto collettivo in corso di giudizio potrà avvenire per iniziativa della parte interessata, eventualmente con invito o ordine di produzione giudiziale ai sensi dell'art. 210 c.p.c. o, in appello dell'art. 437, comma 2, c.p.c. (Cass. civ., sez. lav., 1° luglio 2010, n. 15653) oppure avvalendosi della facoltà prevista dall'art. 425, comma 5, c.p.c., con acquisizione diretta presso le organizzazioni sindacali firmatarie del contratto nazionale o aziendale. In tale ambito, non può che evidenziarsi la peculiarità del caso giurisprudenziale in commento, nel quale l'attività di delega da parte del giudice al CTU non ricomprendeva soltanto l'attività di acquisizione del contratto, pacificamente demandabile all'ausiliario (v. Cass. civ., sez. lav., 6 settembre 2021, n. 24024), bensì la stessa individuazione del contratto applicabile, nel novero di quelli alternativamente allegati dalla parte. Tale significativo ampliamento della sfera valutativa della consulenza non esorbita i confini di legittimità, in ragione dell'esistenza di un potere in capo al giudice di riscontro ultimo della correttezza dell'operato del consulente, rispetto ai profili di valutazione giuridica, non strettamente inerenti all'attività consulenziale. Trattandosi di potere-dovere del giudice, funzionale all'acquisizione di una regola di giudizio, sarà onere della parte che lamenti il mancato esercizio di detto potere indicare, con il ricorso per cassazione, il momento e il modo con cui ne abbia sollecitato l'esercizio, al fine di consentirne il sindacato (Cass. civ., sez. lav., 12 agosto 2009, n. 18261). Osservazioni Non va, come detto, obliterata l'evoluzione normativa dell'ultimo ventennio, che riconduce al centro del dibattito dottrinale e giurisprudenziale la questione della natura dei contratti collettivi di diritto comune, le cui soluzioni sono destinate ad avere riflessi su plurimi aspetti processuali, tra cui il regime di producibilità postuma. Si allude, in particolare, al d.lgs. n. 40/2006 che ha introdotto, all'art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., tra i motivi di ricorso per cassazione, la violazione o falsa applicazione dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro, oltre che delle norme di diritto; e l'art. 420-bis c.p.c. (il cui pendant, nell'ambito dei contratti collettivi di diritto pubblico, è l'art. 63 comma 5, d.lgs. n. 165/2001), che consente un sindacato interpretativo diretto, ad opera del massimo organo nomofilattico, su validità, efficacia e interpretazione dei contratti collettivi. Ci si interroga, in particolare, alla luce delle modifiche, sulla circostanza che, a seguito dell'introduzione del sindacato diretto in Cassazione, i contratti collettivi nazionali abbiano fatto il loro ingresso nell'alveo delle fonti del diritto, sia pure sui generis o extra ordinem. Significativa conferma sarebbe rappresentata, sia pure per i contratti e accordi di diritto pubblico, dall'art. 47, comma 8, d.lgs. n. 165/2001, che prevede la loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Si registra, sul punto, una significativa presa di posizione della Cassazione (Cass. civ., sez. lav., 19 marzo 2014, n. 6335) che ha osservato come le modifiche di natura normativa, sopra sintetizzate, abbiano innescato un movimento di distacco, confinato al piano processuale, del contratto collettivo dallo schema tipico del negozio giuridico. Principale corollario di tale impostazione è, innanzitutto, la circostanza che le doglianze relative alla violazione e falsa applicazione delle disposizioni dei contratti collettivi vadano ascritte all'errore di diritto, direttamente denunciabile per cassazione, senza necessità di indicare, a pena di inammissibilità, il criterio ermeneutico violato, tra quelli codificati dagli artt. 1362 ss. c.c. Non va, tuttavia, sottovalutato l'impatto di tale impostazione sul profilo della producibilità tardiva del contratto collettivo atteso che, aderendo alla tesi della natura di fonte del diritto sui generis, non potrebbe ovviarsi all'applicazione del principio iura novit curia, consentendo alle parti la produzione dei contratti anche nel corso del giudizio, indipendentemente dall'attivazione dei poteri istruttori d'ufficio ex artt. 421 e 425 c.p.c., nel rispetto del principio del contraddittorio. Riferimenti
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