Danni da fumo passivo nel luogo di lavoro: accertamento del nesso causale
19 Agosto 2024
Il Tribunale di Ancona accoglieva la domanda proposta da una lavoratrice nei confronti della Provincia di Ancona per l'accertamento della violazione dell'obbligo datoriale di garantire il rispetto del divieto di fumo nei locali di lavoro e per l'illegittima esposizione al fumo passivo della stessa con conseguente danno alla salute, condannando l'Amministrazione al risarcimento del danno biologico temporaneo e permanente in applicazione delle Tabelle di Milano, oltre al pagamento delle spese mediche sostenute dalla donna. La Corte d'Appello riformava la sentenza, affermando che non fosse stata raggiunta la prova del danno causale tra il lamentato danno alla salute e la nocività dell'ambiente di lavoro, poiché le fasi di insorgenza e riacutizzazione delle patologie lamentate dalla dipendente si collocavano in epoca anteriore all'assunzione della lavoratrice. Inoltre, la storia clinica della paziente era caratterizzata da un insieme di specifici fattori di rischio (asma bronchiale, rinite cronica). A seguito di ricorso in Cassazione della lavoratrice, la Suprema Corte ha chiarito che, in tema di accertamento del nesso causale nella responsabilità civile, qualora l'evento dannoso sia ipoteticamente riconducibile a una pluralità di cause, si devono applicare i criteri della "probabilità prevalente" e del "più probabile che non". Pertanto, il giudice di merito è tenuto, dapprima, ad eliminare, dal novero delle ipotesi valutabili, quelle meno probabili, poi ad analizzare le rimanenti ipotesi ritenute più probabili e, infine, a scegliere tra esse quella che abbia ricevuto il maggior grado di conferma dagli elementi di fatto. Inoltre, perché rilevi il nesso di causalità tra una condotta e l'evento lesivo deve ricorrere, secondo la combinazione dei principi della condicio sine qua non e della causalità efficiente, la duplice condizione che si tratti di una condotta antecedente necessaria dell'evento e che la stessa non sia poi neutralizzata dalla sopravvenienza di un fatto di per sé idoneo a determinare l'evento stesso, tenendo conto che «lo standard di cd. certezza probabilistica in materia civile non può essere ancorata esclusivamente alla cd. probabilità quantitativa della frequenza di un evento, che potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificato, secondo la cd. probabilità logica, nell'ambito degli elementi di conferma e, allo stesso tempo, nell'esclusione di quelli alternativi, disponibili in relazione al caso concreto» (Cass. civ., sez. lav., 3 gennaio 2017, n. 47). Dunque, la Cassazione ha accolto il ricorso poiché la Corte d'appello, disattendendo i suddetti principi, non ha illustrato le ragioni per cui l'esposizione al fumo passivo nel periodo in cui la ricorrente prestava servizio presso la Provincia di Ancona non avrebbe concorso a far persistere o aggravare le patologie accertate in ragione dei criteri che regolano l'individuazione del nesso causale. |