La tassazione di azioni di società non residente acquisite da un contribuente italiano per successione testamentaria
Valentina Guarise
21 Agosto 2024
Ai fini della determinazione del costo fiscale di partecipazioni acquisite per successione, da assumere come riferimento per determinare la plusvalenza tassata in caso di cessione, occorre tenere in considerazione gli oneri strettamente inerenti all’acquisizione della partecipazione, inclusa l’imposta di successione e donazione, anche se pagata all’estero.
Il quesito prospettato e la soluzione interpretativa condivisa dal contribuente
La recente risposta ad interpello n. 132 del 12 giugno 2024 merita particolare attenzione. Se non altro per via della peculiarità della questione interpretativa sottoposta, dal contribuente istante, all'Agenzia delle Entrate ed in ragione delle conclusioni da quest'ultima raggiunte. Più precisamente, con la risposta ad interpello richiamata l'Agenzia delle Entrate ha illustrato le modalità di tassazione delle azioni di una società quotata di diritto francese acquisite da un soggetto fiscalmente residente in Italia, a titolo di legato, mediante successione testamentaria. Sul punto, prima d'individuare le conclusioni raggiunte dall'Ufficio, è interessante ripercorrere sinteticamente il quesito interpretativo sottoposto dall'Istante, così da ben definire il perimetro della fattispecie prospettata.
Ebbene, il contribuente – soggetto residente ai fini fiscali in Italia – rappresenta d'aver ricevuto a titolo di legato testamentario delle azioni relative ad una società quotata di diritto francese. Trattasi di circostanza non irrilevante dal punto di vista impositivo atteso che, il ricevimento delle azioni a titolo di legato testamentario rappresenta circostanza rilevante ai fini delle imposte sulle successioni. Pertanto, proprio per tale ragione, il contribuente è stato chiamato ad assolvere l'obbligo tributario, tradottosi nel dovere di versare l'imposta di successione, tanto in Francia quanto in Italia. L'entità dell'imposizione dei due Paesi è differente: come rilevato dall'istante, infatti, in Francia, l'attribuzione testamentaria dà luogo ad un'imposta determinata nella misura del 60 per cento; in Italia, invece, il valore di mercato delle azioni alla data di apertura della successione, è stato inserito nella dichiarazione di successione del de cuius «in relazione alla quale sarà tassato, ex lege, con aliquota dell'8%, attesa l'assenza di ogni legame parentale o di affinità tra il de cuius e il beneficiato».
Sul punto, al fine di evitare d'incorrere in una doppia imposizione, il contribuente rappresenta che ai sensi dell'articolo 11 della Convenzione contro le doppie imposizioni in vigore tra Italia e Francia, l'ammontare dell'imposta sulle successioni francese dovrà essere portata in diminuzione della corrispondente imposta dovuta in Italia, fino a concorrenza dell'importo di quest'ultima. In termini più concreti, stante la (significativa) differenza tra la normativa francese e quella italiana, l'imposta sulle successioni italiana dovrebbe considerarsi integralmente assorbita dall'imposta sulle successioni francese. Da ciò discenderebbe che, l'imposta sulle successioni assolta in Francia rileverebbe, ai fini dell'articolo 68 comma 6, del Tuir, quale onere accessorio all'acquisto delle azioni di cui tenere conto ai fini del calcolo di una possibile futura plusvalenza. A parere dell'Istante i principi affermati in tale ultima diposizione sono estensibili anche alle imposte sulle successioni estere, per tre ordini di ragioni che meritano d'essere di seguito sintetizzati:
— in primo luogo, ad avviso del contribuente l'articolo 68 comma 6, del Tuir – disposizione che, come noto, disciplina il trattamento tributario riservato alle plusvalenze – non limiterebbe alle sole imposte sulle successioni e sulle donazioni italiane la possibilità di accreditare il relativo importo in aumento del costo fiscalmente riconosciuto;
— in secondo luogo, la ratio del citato articolo 68 comma 6, del Tuir è quella di incrementare il costo fiscalmente riconosciuto delle partecipazioni di ogni onere strumentale ed accessorio alla relativa acquisizione;
— in terzo luogo, l'istante afferma che, alla luce di recente giurisprudenza di legittimità «negare l'estensibilità del principio fissato dall'art. 68 comma 6, TUIR ai trasferimenti indiretti (ossia tramite cessioni di azioni) di aziende situate in un altro Stato membro dell'Unione Europea (come la Francia) significherebbe accreditare un disinteresse del legislatore italiano per oneri successori assolti all'estero, ancorché in relazione a partecipazioni societarie destinate ad essere detenute da persone fisiche residenti in Italia, che si risolverebbe nel contrasto alla libera circolazione di capitali, di cui all'articolo 63 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea.
In tal senso deporrebbe anche recente giurisprudenza di legittimità che, con riferimento alla diversa fattispecie dell'esenzione delle imposte di successione e donazione sul trasferimento di partecipazioni di controllo (di cui all'art. 3 d.lgs. n. 346/1990) detenute dal de cuius in società di altri Stati membri dell'Unione Europea, ha statuito che la mancata applicazione della predetta forma di ''esenzione'' al trasferimento di partecipazioni di controllo estere, violerebbe le libertà garantite dall'Unione Europea.
Sicché, in conclusione, ad avviso dell'Istante i tributi successori assolti in uno Stato estero rileverebbero ai fini del costo fiscalmente riconosciuto di azioni ricevute in successione.
Le conclusioni dell'Agenzia delle Entrate
Premesse le valutazioni interpretative del contribuente, l'Agenzia delle Entrate conclude affermando che ai fini della determinazione del costo fiscale delle Azioni, l'Istante potrà tenere conto dell'imposta di successione assolta in Francia; atteso che quest'ultima comprende, peraltro, quella dovuta in Italia.
In particolare, l'Agenzia delle Entrate ha chiarito che la successione debba considerarsi soggetta a tassazione nel paese di residenza della Società le cui azioni sono state oggetto del legato e altresì in quello di residenza fiscale del de cuius, con il conseguente obbligo di presentazione della dichiarazione di successione e del pagamento della relativa imposta in entrambi gli Stati. Tuttavia, stante quanto previsto dall'art. 11 della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Francia e Italia, dall'imposta di successione dovuta in Italia deve essere detratta la corrispondente imposta già pagata in Francia. L'Agenzia delle Entrate giunge a queste conclusioni valorizzando diversi profili, ovvero:
— il dato convenzionale e, in particolare, gli artt. 8, primo paragrafo, e 11 della Convenzione contro le doppie imposizioni, la cui lettura congiunta porta ad affermare che il legato testamentario delle azioni ricevute dal contribuente sia soggetto a tassazione concorrente: in Francia, quale Paese in cui ha sede la società le cui azioni sono state oggetto del legato, e in Italia, quale stato di residenza fiscale de cuius, con conseguente obbligo di presentazione della dichiarazione di successione e pagamento della relativa imposta sia in Francia che in Italia;
— la normativa italiana e, specificamente, gli artt. 5, comma 1, 28, comma 2, e 36, comma 5 del Testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni, i quali pongono in capo al contribuente l'obbligo di procedere alla dichiarazione di successione e pagamento dell'imposta anche in Italia;
— il, già richiamato, art. 68 del Tuir;
— la prassi ministeriale ovvero, precisamente, la circolare del Ministero delle Finanze 24 giugno 1998, n. 165, dalla quale emergerebbe che in caso di acquisizione di partecipazioni mediante successione – nella specie, legato testamentario – il costo fiscale da assumere come riferimento per la determinazione della plusvalenza da assoggettare a tassazione è il valore definito o, in mancanza, quello dichiarato ai fini della relativa imposta, aumentato degli oneri strettamente inerenti all'acquisizione della partecipazione medesima, compresa l'imposta di successione e donazione, anche se pagata all'estero.
Brevi considerazioni «di merito»
Le conclusioni raggiunte dall'Agenzia delle Entrate sembrano essere coerenti con il contesto di prassi e normativo di riferimento. In primo luogo, trattasi di conclusione coerente con le prescrizioni d'ordine convenzionale. In particolare, l'esercizio interpretativo condotto dall'Ufficio sembra porsi in linea con il dato testuale e letterale di cui all'art. 11, primo comma, della Convenzione laddove quest'ultima prevede esplicitamente che «questo Stato detrae dall'imposta calcolata secondo la sua propria legislazione un ammontare uguale all'imposta pagata nell'altro Stato sui beni che, in occasione dello stesso fatto e conformemente alle disposizioni della presente Convenzione, sono imponibili in questo altro Stato». La norma, come ricordato da dottrina specializzata di settore, individua le disposizioni tese ad evitare la doppia imposizione sulla base del criterio, duplice, per il quale: l'Italia determinerà il carico fiscale globale, sottraendo dal medesimo un ammontare pari alle imposte pagate sui beni siti in Francia; ed il credito di imposta recuperabile sarà pari al massimo alla imposta che si determina in Italia sui beni (nella specie, mobili e, specificamente, azioni) siti in Francia. In tal senso, l'Agenzia delle Entrate non si abbandona a letture discostanti dal tenore strettamente letterale dell'art. 11 ora richiamato, dandovi applicazione per quel che il suo dato testuale impone. Al contempo, profili per certi versi ancor più importante, la posizione dell'Agenzia delle Entrate sembra essere corretta anche se vista in una prospettiva sovrannazionale e, precisamente, europea. Se non altro perché, in accoglimento della ricostruzione giurisprudenziale effettuata a monte dal contribuente istante, l'Agenzia delle Entrate valorizza quella recente giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. civ., sez. trib., 28 febbraio 2023, n. 6082 e Cass. civ., sez. trib., 23 febbraio 2023, n. 5674) ad avviso della quale l'esenzione da imposta di successione deve essere necessariamente estesa ai trasferimenti di quote di società residenti in altri Paesi dell'Unione europea sul presupposto che, se così non fosse, verrebbe lesa «la libertà di stabilimento di iniziative economiche nel territorio dell'Unione, assicurata dall'art. 49 TFUE già art. 43 del Trattato CE giacché i residenti in Italia, che esercitano direttamente o indirettamente — cioè mediante società controllate— attività di impresa nel territorio di un altro Stato membro verrebbero a trovarsi in una posizione deteriore rispetto a quella dei residenti che esercitano detta attività in Italia». Inoltre, la recente presa di posizione della prassi si pone evidentemente in linea di continuità con le recenti indicazioni formulate dal Giudice delle Leggi. Tant'è vero che la Corte Costituzionale (C. cost., 23 giugno 2020, n. 120) aveva chiarito, già tempo addietro, chiarito che l'esenzione dall'imposta di successione in discussione «si applica anche ai trasferimenti, mortis causa o per liberalità, di quote sociali e azioni di società non residenti nel territorio nazionale (anche se sempre limitatamente a quelle partecipazioni che consentano di acquisire o integrare il controllo ai sensi dell'art. 2359 comma 1, numero 1, c.c.)». Sul punto, è d'obbligo una precisazione: l'Amministrazione non rinvia esplicitamente alla sentenza della Corte Costituzionale appena citata. Tuttavia, sembrerebbe essere evidente il punto di contatto tra la soluzione interpretativa resa dall'Amministrazione finanziaria e le precedenti indicazioni già date dal Giudice delle leggi. Indicazioni che tradiscono una totale “indifferenza”, in termini senz'altro positivi, nel senso di ritenere i trasferimenti, anche quelli mortis causa ed a prescindere dalla fonte, avvenuti in uno degli Stati Membri dell'Unione Europea come sostanzialmente equivalenti. Salva, ovviamente, la necessità di raccordare le diverse normative vigenti nei diversi Paesi, anche alla luce delle Convenzioni contro le doppie imposizioni applicabili.
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