Chi interviene nel processo dopo la conclusione della fase istruttoria può sempre formulare domande

La Redazione
19 Agosto 2024

La Cassazione individua i limiti e la portata dell'intervento di un terzo in un processo già pendente in relazione alle preclusioni ex art. 268 c.p.c., qualora il terzo intervenga a seguito della conclusione della fase istruttoria.

Una società adiva il Tribunale di Verona per accertare di essere l'unica proprietaria delle aree prospicienti un bosco ceduo e per ottenere il rilascio delle aree de quibus libere da persone e cose. Si costituivano alcuni residenti della zona. Terminata l'istruttoria, si costituivano con comparsa di intervento adesivo autonomo ex art. 105 c.p.c. altri 24 condomini che, oltre a ribadire le eccezioni e le domande dei convenuti, formulavano nuove domande. L'attrice eccepiva l'inammissibilità dell'intervento perché tardivo in quanto successivo alla prima udienza e chiedeva di espungere dal fascicolo la documentazione prodotta, dichiarando di non accettare il contraddittorio su nessuna domanda nuova. Il Tribunale accoglieva l'eccezione e la domanda di parte attrice. La Corte d'Appello confermava integralmente la sentenza gravata, ribadendo l'inammissibilità delle nuove domande dei terzi intervenuti, poiché proposte oltre i termini di cui all'art. 183 c.p.c. Secondo il giudice di secondo grado, infatti, i terzi intervenuti nel giudizio già pendente non potevano sottrarsi agli effetti delle preclusioni già verificatesi a carico delle parti, ai sensi dell'art. 268 c.p.c. Ricorrevano in Cassazione i convenuti.

La Cassazione ha affermato che chi interviene volontariamente in un processo già pendente ha sempre la facoltà di formulare domande nei confronti delle altre parti, quand'anche sia ormai spirato il termine di cui all'art. 183 c.p.c. per la fissazione del thema decidendum. Tale interpretazione dell'art. 268 c.p.c. non viola il principio di ragionevole durata del processo né il diritto di difesa delle parti originarie del giudizio perché l'interveniente, dovendo accettare il processo nello stato in cui si trova, non può dedurre - ove sia già intervenuta la relativa preclusione - nuove prove e, di conseguenza, non vi è né il rischio di riapertura dell'istruzione né quello che la causa possa essere decisa sulla base di prove che le parti originarie non abbiano potuto debitamente contrastare. Se si negasse al terzo interveniente la possibilità di proporre nuove domande, si vanificherebbe di fatto qualsiasi valore ed utilità processuale all'istituto degli interventi contemplati nell'art. 105 c.p.c. Difatti, con il termine «atti» utilizzato dal citato art. 268 c.p.c., il legislatore ha inteso esclusivamente l'attività istruttoria che l'interveniente dovrebbe svolgere, in conseguenza della domanda proposta, a dimostrazione del diritto vantato: cioè, avvenuta la formulazione definitiva delle richieste istruttorie delle parti originarie del processo, resta preclusa all'interveniente la facoltà di espletare ulteriore e diversa attività istruttoria.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.