Conseguenze dell’errata composizione dell’organo giudicante ai fini dell’apertura della liquidazione controllata

21 Agosto 2024

Il provvedimento esclude la possibilità per il consumatore di accedere alla procedura di concordato minore e chiarisce le conseguenze della errata composizione dell’organo giudicante – in composizione monocratica piuttosto che collegiale – in relazione alla domanda subordinata di apertura della liquidazione giudiziale.

Massima

Il vizio che affligge il decreto sull’inammissibilità della domanda relativa all’apertura della liquidazione controllata, pronunciato dal tribunale in composizione monocratica piuttosto che collegiale, non attiene alla costituzione del giudice ma determina una nullità, non rilevabile d’ufficio, che si converte in motivo di gravame, ai sensi dell’art. 50-quater c.p.c., e deve essere fatta valere mediante appello, in ossequio al principio della prevalenza della sostanza sulla forma. Ove ricorra tale ipotesi di nullità, che non prevede la rimessione al primo giudice, la corte deve esaminare il merito della domanda di ammissione alla procedura di liquidazione controllata.

Il caso

Il ricorrente adiva la Corte di appello di Catania, con reclamo proposto ai sensi dell'art. 50 c.c.i.i., impugnando il decreto del Tribunale di Ragusa con il quale erano state dichiarate inammissibili sia la domanda di apertura del concordato minore, promossa in via principale, sia quella subordinata relativa alla liquidazione controllata dei beni.

Il rigetto delle domande avanzate dal ricorrente era stato motivato nei seguenti termini:  «ritenuto che entrambe le domande sono inammissibili, perché proposte non dal debitore in stato di sovraindebitamento, ma dal terzo datore di ipoteca; i debiti esposti nel piano e nella proposta sono quasi tutti debiti contratti da soggetti terzi rispetto all'istante, il quale non figura obbligato neppure come fideiussore; non è pertanto possibile apprezzare uno stato di sovraindebitamento, perché il passivo esposto comprende, per la grandissima parte, debiti di terzi; per i restanti debiti personali dell'istante, che si definisce consumatore, non ricorre il requisito soggettivo per l'accesso al concordato minore; per quanto sopra esposto, non può essere valutata neppure l'istanza di apertura della liquidazione controllata del patrimonio».

La Corte, in parziale accoglimento del reclamo, ha dichiarato aperta la procedura di liquidazione controllata dei beni del debitore ai sensi dell'art. 150 c.c.i.i.

Le questioni

Breve ma esaustiva la motivazione di rigetto che poggia su valutazioni, necessarie e propedeutiche ai fini dell'accesso alle c.d. procedure concorsuali minori in materia di sovraindebitamento, operate dal giudice di primo grado, relative sia alla qualifica del debitore, ai fini della procedura prescelta, sia al soggetto legittimato rispetto allo stato di sovraindebitamento.

Questioni che sono state approfondite dalla Corte in sede di reclamo e che permettono di chiarire l'ambito di indagine preliminare che l'organismo di composizione della crisi e, in particolare, il gestore designato è deputato a dirimere già nella fase “degiurisdizionalizzata” della procedura.

In merito alla prima questione, relativa alla qualifica del debitore ai fini dell'accesso alla procedura prescelta, il reclamante – conformemente alla relazione dell'organismo di composizione della crisi – assume che il tribunale avrebbe errato nel ritenere preclusa al consumatore la procedura di concordato minore proposta ai sensi dell'art. 74 comma 2, c.c.i.i. 

Orbene, in primo grado il ricorrente afferma di essere un consumatore, come, peraltro, affermato dallo stesso OCC che, proprio in funzione di tale qualità, avrebbe scelto quale procedura da avviare l'ipotesi prevista dal comma secondo dell'art. 74 c.c.i.i.

L'art. 74 c.c.i.i. prevede «1. I debitori di cui all'articolo 2, comma 1, lettera c), in stato di sovraindebitamento, escluso il consumatore, possono formulare ai creditori una proposta di concordato minore, quando consente di proseguire l'attività imprenditoriale o professionale. 2. Fuori dai casi previsti dal comma 1, il concordato minore può essere proposto esclusivamente quando è previsto l'apporto di risorse esterne che aumentino in misura apprezzabile la soddisfazione dei creditori».

Il reclamante ritiene che il secondo comma della norma citata consenta al consumatore di presentare la proposta di concordato minore, tanto che la proposta richiama proprio il secondo comma: nel caso di specie, la proposta prevedeva delle garanzie aggiuntive, rappresentate dall'apporto di risorse esterne in grado di aumentare in misura apprezzabile la soddisfazione dei creditori.

Con altro motivo di reclamo, il debitore lamenta che il giudice di prime cure avrebbe dichiarato l'inammissibilità della domanda subordinata, quella volta all'apertura della liquidazione controllata, pronunziando in composizione monocratica piuttosto che collegiale.

Le soluzioni giuridiche

Quanto al presupposto soggettivo, ovvero alla possibilità per il consumatore di poter accedere alla procedura di concordato minore, la Corte d'Appello ha ritenuto infondato il motivo di reclamo sottolineando che «In disparte la perplessità che suscita in concreto l'intervento della finanza esterna per come prospettato dal reclamante, il secondo comma dell'art. 74 citato deroga al primo comma della norma solo per ciò che concerne la finalità della proposta di concordato minore. Il primo comma lo prevede per poter continuare a svolgere la propria attività imprenditoriale o professionale; il secondo comma, “Al di là di tali casi”, cioè quando non è prevista la prosecuzione dell'attività d'impresa e richiede l'apporto di soggetti esterni che garantiscano una maggior soddisfazione dei creditori nella procedura. La presenza della finanza esterna non sembra, invece, poter introdurre eccezione alcuna alla esclusione del consumatore dal novero dei soggetti legittimati. E tale conclusione, trova conferma in plurime indicazioni fornite dal dato normativo. L'art. 75 comma 1, lett. a) che nell'indicare la documentazione da presentare con la proposta include scritture tipiche dell'imprenditore e l'art. 77 nel suo richiamo ai “… requisiti dimensionali che eccedono i limiti di cui all'articolo 2, comma 1, lettera d), numeri 1), 2) e 3) …” (cioè requisiti dimensionali propri dell'imprenditore)».

In merito, invece, al rigetto della domanda subordinata, la Corte d'Appello ha ritenuto fondato il motivo di reclamo argomentando come segue.

«L'art. 268 c.c.i.i. individua, infatti, nel tribunale l'autorità giudiziaria alla quale domandare la liquidazione controllata e l'art. 270 c.c.i.i. conferma che è il tribunale ad assumere la decisione. Nessun dubbio può quindi sussistere sul fatto che la decisione sarebbe spettata ad organo collegiale. Occorre ora accertare quali siano le conseguenze dell'errata composizione dell'organo giudicante. Gli articoli 50-bis e 50-ter c.p.c. individuano le cause nelle quali il tribunale giudica in composizione collegiale e monocratica.

L'art. 50-quater c.p.c. prevede “Le disposizioni di cui agli articoli 50-bis e 50-ter non si considerano attinenti alla costituzione del giudice. Alla nullità derivante dalla loro inosservanza si applica l'articolo 161, primo comma”.

La previsione dell'art. 50-quater c.p.c. preclude, dunque, che la nullità in esame venga disciplinata dall'art. 158 c.p.c. (nullità per vizio di costituzione del giudice) per essere attratta nell'ambito delle nullità disciplinate dall'art. 161 c.p.c., cioè quelle nullità che devono essere fatte valere con i mezzi di impugnazione (come nel caso è avvenuto).

Alla luce della premessa sistematica che precede, occorre concludere che le conseguenze dell'accertata nullità sono disciplinate dagli artt. 353 e 354 c.p.c. (norme che disciplinano le ipotesi rimessione degli atti al primo giudice) e che l'ipotesi di nullità che ricorre nel caso in esame non prevede la rimessione al primo giudice (cfr. Cass. 26729/2019; 39124/2021).

La corte deve, dunque, esaminare il merito della domanda di ammissione alla procedura di liquidazione controllata del patrimonio”.

L'art. 268 c.c.i.i.prevede “1. Il debitore in stato di sovraindebitamento può domandare con ricorso al tribunale competente ai sensi dell'articolo 27, comma 2, l'apertura di una procedura di liquidazione controllata dei suoi beni. ….».

L'art. 269 c.c.i.i.«1. Il ricorso può essere presentato personalmente dal debitore, con l'assistenza dell'OCC. 2. Al ricorso deve essere allegata una relazione, redatta dall'OCC, che esponga una valutazione sulla completezza e l'attendibilità della documentazione depositata a corredo della domanda e che illustri la situazione economica, patrimoniale e finanziaria del debitore. 3. L'OCC, entro sette giorni dal conferimento dell'incarico da parte del debitore, ne dà notizia all'agente della riscossione e agli uffici fiscali, anche degli enti locali, competenti sulla base dell'ultimo domicilio fiscale dell'istante».

Il requisito richiesto dall'art. 269 c.c.i.i. è soddisfatto dalla relazione predisposta dall'OCC e versata in atti.

Occorre, quindi, verificare se il debitore si trovi in stato di sovraindebitamento che ai sensi dell'art. 2 c.c.i.i. è « … lo stato di crisi o di insolvenza del consumatore, del professionista, dell'imprenditore minore, dell'imprenditore agricolo, delle start-up innovative di cui al decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, e di ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale ovvero a liquidazione coatta amministrativa o ad altre procedure liquidatorie previste dal codice civile o da leggi speciali per il caso di crisi o insolvenza».

Nel caso di specie, rispetto alle valutazioni operate in proposito dal giudice di prime cure, la Corte d'Appello ha verificato che il reclamante ha provato di essere debitore nei confronti dell'Erario per circa 379.000,00 euro e nei confronti di altro creditore per 51.489,00 euro (per saldo passivo di conto corrente intestato al debitore nonché per alcuni effetti cambiari). Contrariamente a quanto affermato dal primo giudice, il debitore ha prestato fideiussione per i debiti della società agricola semplice e dei soci, entrambi figli del debitore, in favore di altri due creditori, rispettivamente per euro 850.000,00 e per euro 650.000,00.

Sulla scorta di tali risultanze, dunque, la situazione di sovraindebitamento personale del debitore-ricorrente è stata considerata tale da consentire, senza alcun dubbio, la dichiarazione di apertura della liquidazione controllata.

Osservazioni

Il provvedimento in esame è degno di nota per i diversi spunti di approfondimento ed è particolarmente apprezzabile nella misura in cui, preliminarmente all'esame del merito della domanda, ha chiarito le conseguenze circa la errata composizione dell'organo giudicante in relazione alla domanda subordinata formulata in ricorso.

La sentenza in commento, infatti, pur limitandosi a richiamare quanto disposto dall'art. 268 c.c.i.i., laddove individua nel tribunale l'autorità giudiziaria alla quale domandare la liquidazione controllata, come confermato dall'art. 270, conclude nel senso che «nessun dubbio può quindi sussistere sul fatto che la decisione sarebbe spettata ad organo collegiale».

La pronuncia, tuttavia, non tiene conto delle ipotesi di cui all'art. 70 comma 10 e all'art. 80 comma 5, laddove, in caso di diniego dell'omologazione della ristrutturazione dei debiti del consumatore o del concordato minore, è il giudice monocratico a dichiarare aperta la procedura liquidatoria ai sensi degli articoli 268 e seguenti, in presenza di una apposita istanza formulata in tal senso dal debitore.  

Nel caso in esame, peraltro, tale istanza era già contenuta in ricorso come domanda subordinata e alternativa rispetto alla principale.

Ipotesi, questa, non direttamente affrontata dalla Corte d'appello ma successivamente esaminata, in altro caso, dal Tribunale di Alessandria con decreto del 30 novembre 2023, in ordine alla quale il giudice monocratico, investito del ricorso, ha «ritenuto che tale norma [art. 70 comma 10, c.c.i.i.] vada interpretata nel senso che la competenza a pronunciare sull'apertura della liquidazione controllata, su istanza, spetti al giudice già investito del procedimento di omologa del piano» chiarendo, in merito allo specifico caso sottoposto al suo esame, che «ove l'istanza di apertura della liquidazione non sia presentata nell'ambito del procedimento ex art. 70 comma 10, la richiesta di apertura della liquidazione controllata debba essere depositata con autonomo ricorso con i presupposti di cui agli artt. 268 e 269 c.c.i.i. e munito di apposita relazione particolareggiata dell'OCC».

Altre ipotesi in cui viene contemplata la possibilità che il giudice monocratico disponga la conversione in liquidazione controllata sono quelle previste dall'art. 73 commi 1 e 3 e dall'art. 83, commi 1 e 3, rispettivamente destinati a disciplinare i casi di conversione in procedura liquidatoria del piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (art. 73 c.c.i.i.) e del concordato minore (art. 83 c.c.i.i.).

Tuttavia, è doveroso sottolineare che rispetto alla istanza ex art. 70 comma 10 o ex art. 80 comma 5, nelle ipotesi di conversione disciplinate dall'art. 73 e dall'art. 83, diversamente dal caso esaminato in commento, il giudice monocratico opera in una fase successiva all'omologa, ovvero qualora si verta in caso di revoca dell'omologazione, e in tale ipotesi «concede termine al debitore per l'integrazione della documentazione e provvede ai sensi dell'articolo 270».

Peraltro, nei casi di conversione, fermo restando che «il giudice revoca l'omologazione d'ufficio» l'istanza può essere presentata da un creditore, dal pubblico ministero o da qualsiasi altro interessato, «in contraddittorio con il debitore», così configurandosi l'instaurazione di un sub procedimento.

In tal senso, quindi, la conversione in procedura liquidatoria non opera automaticamente all'esito del subprocedimento di revoca – indipendentemente dal fatto che venga disposta d'ufficio dal giudice o su istanza – risultando la stessa un'opzione contemplata solo all'esito di apposita istanza che può essere presentata tanto dal debitore come dai creditori o dal pubblico ministero, nell'ipotesi di atti di frode o di inadempimento.

D'altronde il procedimento unitario delineato dall'art. 40 c.c.i.i. è una sorta di contenitore processuale di tutte le iniziative di carattere giudiziale inerenti la crisi o l'insolvenza, valevole per ogni categoria di debitore, consumatore incluso.

Il sistema, a fronte di una potenziale pluralità di domande successive al primo ricorso depositato – quello che introduce l'intero procedimento unitario a carico del medesimo debitore – prevede l'iscrizione a ruolo dell'ulteriore domanda associata al procedimento unitario già pendente. A seguito, pertanto, dell'iscrizione della nuova domanda, il sistema creato dal gestionale telematico apre automaticamente il sub procedimento corrispondente alla domanda iscritta creando una gerarchia di flussi con la struttura.

Il principio processuale dell'unitarietà del procedimento presuppone una gestione congiunta dei flussi, e anche la titolarità in capo al medesimo giudice, già designato nel flusso del principale, della trattazione in merito alle domande presentate successivamente. Il giudice così designato diviene automaticamente il titolare anche del sub procedimento corrispondente alla domanda presentata. Se successivamente viene depositata una ulteriore domanda che apre un ulteriore subprocedimento quest'ultimo "erediterà" automaticamente il giudice del procedimento unitario.

Stante la peculiarità dei casi, nello specifico esaminati, e la questione ancor poco dibattuta non solo dalla giurisprudenza ma anche dalla dottrina, non è da escludere che in futuro si possano registrare nuovi e più articolati provvedimenti.

Con l'auspicio che si possa chiarire meglio la volontà del legislatore consacrata nel nuovo codice della crisi e che, in particolar modo, per le c.d. procedure minori, prima disciplinate dalla l. n. 3/2012 sul sovraindebitamento, si possa fornire a tutti gli operatori un chiaro iter procedurale, ad oggi ancora pieno di insidie a causa dell'assenza di un coerente collegamento tra le norme interessate che conferma l'inadeguatezza del legislatore rispetto alle tecniche di drafting da utilizzare al fine di armonizzare un settore in continua evoluzione.

Sarebbe plausibile – come suggerisce l'operatività del sistema delineato dal procedimento unitario per il deposito telematico del ricorso principale e degli eventuali subprocedimenti dallo stesso generati – una soluzione che, in caso di diniego dell'omologa e di contemporanea istanza alternativa per l'apertura della liquidazione, già formulata in sede di ricorso, contemplasse la creazione di un sub-procedimento in cui il giudice monocratico, in qualità di relatore, rimette gli atti al collegio per la successiva apertura della liquidazione.

In merito, poi, al presupposto soggettivo, ovvero alla possibilità per il consumatore di poter accedere alla procedura di concordato minore, la questione appare essere stata mal esaminata dal gestore della crisi, propedeuticamente alla presentazione del ricorso.

In effetti, rispetto a quanto poteva verificarsi sotto la vigenza della l. n. 3/2012, quando era consentito al consumatore l'accesso a tutte e tre le procedure per la risoluzione della crisi da sovraindebitamento, con il nuovo codice della crisi di impresa e dell'insolvenza il consumatore, qualificabile come tale, può optare solamente tra la ristrutturazione dei debiti del consumatore (ex piano del consumatore) e la liquidazione controllata del sovraindebitato.

Peraltro, la qualifica di consumatore, nel caso di specie, non risulta messa in discussione nemmeno in relazione all'origine della debitoria c.d. promiscua, derivante in parte dai debiti nei confronti dell'Erario e dal saldo passivo del proprio conto corrente, in parte per aver prestato fideiussione in favore della società agricola e dei soci della stessa, figli dell'istante, pur essendo rimasto estraneo alla compagine societaria.

In tal senso, la qualità di fideiussore di una obbligazione contratta per scopi commerciali non esclude di per sé la natura di consumatore del soggetto garante, come osservato da condivisibile orientamento della giurisprudenza di legittimità che ha rilevato «in tema di contratti stipulati dal consumatore, i requisiti soggettivi di applicabilità della disciplina legislativa consumeristica, in relazione ad un contratto di fideiussione stipulato da un socio in favore della società, devono essere valutati con riferimento alle parti dello stesso (e non già del distinto contratto principale), dando rilievo – alla stregua della giurisprudenza comunitaria (CGUE, sentenza 19 novembre 2015, in causa C-74/15 Tarcau) – all'entità della partecipazione al capitale sociale, nonché all'eventuale qualità di amministratore della società garantita assunto dal fideiussore» (Cass. civ., sez.VI-1, 24 gennaio 2020, n. 1666)

Il discrimen, quindi, andava ab origine individuato nell'accesso alla corretta procedura, ossia la ristrutturazione dei debiti del consumatore, dal momento che le fideiussioni non erano state prestate dal debitore nella qualità di socio e non costituiscono atto espressivo di un'eventuale attività dal medesimo condotta all'interno della società, e, in alternativa, alla liquidazione controllata, stante la non diretta partecipazione dell'istante alla compagine societaria per cui aveva prestato fideiussione.

A conferma della corretta opzione procedurale, in relazione al caso del fideiussore, anche la Suprema Corte ha già da tempo privilegiato il criterio soggettivo, affermando l'applicabilità della tutela prevista per il consumatore al fideiussore garante di un credito contratto da una società commerciale (Cass., sez. un., 27 febbraio 2023, n. 5868) così aderendo all'orientamento introdotto dalla giurisprudenza eurounitaria che nel contratto di fideiussione, ai fini dell'applicazione della disciplina consumeristica, prescrive che i requisiti soggettivi devono essere valutati con riferimento alle parti di tale contratto senza considerare il contratto principale, ciò in quanto la scriminante va ricercata nell'entità della partecipazione al capitale sociale o nella qualità di amministratore e in generale nel ruolo che il fideiussore concretamente esercita nell'impresa di cui si fa garante, configurandosi solamente in un evidente coinvolgimento attivo la preclusione per la sua qualificabilità come consumatore.

Per tale motivo, la giurisprudenza – sia di legittimità sia di merito – sottolinea la necessità di evitare facili automatismi, privilegiando una valutazione caso per caso rispetto al ruolo effettivamente ricoperto dal garante-fideiussore all'interno della compagine societaria.

Nel caso in esame, risultando pacificamente dimostrata l'estraneità del garante-fideiussore alla partecipazione societaria, anche rispetto ad eventuali ruoli di amministratore, ben avrebbe potuto formulare un piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore.

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