Opposizione agli atti esecutivi e domanda riconvenzionale: presupposti e condizioni di ammissibilità

26 Agosto 2024

La Cassazione esamina una questione mai affrontata dalla giurisprudenza di legittimità: nell’ambito di un giudizio di opposizione agli atti esecutivi, è possibile proporre domande riconvenzionali?

Massima

Nell'ambito di un'opposizione agli atti esecutivi è ammissibile la proposizione di una domanda riconvenzionale, quando il provvedimento del giudice dell'esecuzione incida sugli interessi non solo dell'opponente, ma anche dell'opposto, purché sia spiegata, a pena di decadenza, nel termine perentorio previsto dall'art. 617 c.p.c., decorrente dal compimento o dalla conoscenza dell'atto opposto.

Il caso

Due condomini proponevano ricorso ex art. 612 c.p.c. per ottenere l'esecuzione di una sentenza che aveva ordinato la demolizione di opere eseguite sul tetto dello stabile condominiale.

Il giudice dell'esecuzione, ravvisato il pericolo per la stabilità dell'edificio che sarebbe derivato dalla realizzazione dell'intervento, dichiarava l'impossibilità di dare corso all'esecuzione forzata e disponeva che le somme che, in forza di sequestro conservativo eseguito dai medesimi condomini, erano state depositate su un libretto vincolato all'ordine del giudice, venissero – in parte – attribuite ai ricorrenti quale equivalente in denaro per la mancata esecuzione.

I condomini proponevano opposizione ex art. 617 c.p.c. avverso l'ordinanza resa dal giudice, contestando la declaratoria di infungibilità dell'esecuzione dell'obbligo di fare.

Introdotto il giudizio di merito, l'opposto si costituiva e chiedeva che fosse dichiarata la nullità della medesima ordinanza nella parte in cui aveva attribuito le somme sequestrate agli opponenti.

Il Tribunale di Ascoli Piceno rigettava l'opposizione, mentre accoglieva la domanda proposta dall'opposto, reputandola ammissibile e fondata.

La sentenza veniva gravata con ricorso per cassazione, mediante il quale gli originari opponenti contestavano l'ammissibilità della domanda riconvenzionale accolta dal giudice di prime cure.

La questione

La Corte di cassazione è stata chiamata a vagliare se, nell’ambito di un giudizio di opposizione agli atti esecutivi, sia possibile proporre domande riconvenzionali, trattandosi di questione mai affrontata in seno alla giurisprudenza di legittimità.

Le soluzioni giuridiche

Con la sentenza che si annota, la Co rte di cassazione ha accolto il ricorso, affermando che non vi sono ragioni per escludere che anche nell'opposizione agli atti esecutivi possano essere proposte domande riconvenzionali, dirette a fare accertare l'illegittimità del medesimo atto per motivi diversi da quelli addotti dall'opponente; tuttavia, perché la domanda riconvenzionale sia ammissibile, occorre che chi la propone abbia rispettato il termine prescritto dall'art. 617 c.p.c., ossia che abbia sollevato la contestazione entro venti giorni dal compimento dell'atto o dalla sua conoscenza.

Osservazioni

La Corte di cassazione, dopo avere ribadito il proprio orientamento in forza del quale l'ordinanza emessa ai sensi dell'art. 612 c.p.c., quand'anche abbia illegittimamente risolto una controversia tra le parti in ordine alla portata sostanziale del titolo esecutivo ovvero all'ammissibilità dell'azione esecutiva, non assume mai natura decisoria e di sentenza ed è, pertanto, impugnabile solo ed esclusivamente mediante opposizione esecutiva, si è interrogata in merito alla possibilità di proporre una domanda riconvenzionale nell'ambito di un'opposizione agli atti esecutivi, considerata la peculiare natura del relativo giudizio.

Nel caso di specie, infatti, era accaduto che i condomini che avevano proposto ricorso ex art. 612 c.p.c. per ottenere l'esecuzione forzata dell'obbligo di demolizione di opere eseguite sulla copertura dell'edificio condominiale, avevano svolto opposizione avverso l'ordinanza con cui la loro istanza era stata respinta; nel giudizio di merito, radicato successivamente allo svolgimento della fase sommaria dell'opposizione innanzi al giudice dell'esecuzione, in cui l'opposto si era limitato a chiedere la conferma dell'ordinanza, questi, costituendosi, aveva chiesto, in via riconvenzionale, che il provvedimento fosse annullato nella parte in cui, per compensare la mancata esecuzione coattiva della sentenza, aveva attribuito ai condomini opponenti le somme precedentemente vincolate in forza di sequestro conservativo.

Ebbene, i giudici di legittimità hanno osservato, in linea generale, che è indiscussa l'ammissibilità di una domanda riconvenzionale nel giudizio di opposizione all'esecuzione, quando sussista connessione con la domanda principale per il titolo o per l'oggetto: ciò in quanto, pur discutendosi del diritto del creditore di procedere all'esecuzione forzata, si tratta pur sempre di un ordinario giudizio di cognizione, cui si applicano le ordinarie regole in tema di cumulo oggettivo e di connessione per riconvenzione. Tant'è vero che si ammette addirittura che il creditore che sia convenuto nel giudizio di opposizione radicato dal debitore possa proporre una domanda diretta a procurarsi un nuovo titolo esecutivo, che si aggiunga o si sostituisca a quello azionato, onde consentire l'avvio di una nuova azione esecutiva (viene richiamata, a questo proposito, la pronuncia di Cass. civ., sez. III, 29 marzo 2006, n. 7225).

Nella sentenza che si annota, ci si è chiesti se la medesima soluzione possa estendersi al giudizio di opposizione agli atti esecutivi, nel quale si discute della regolarità formale degli atti del processo esecutivo, ossia della loro legittimità.

In linea di principio, secondo la Corte di cassazione, non vi sono ragioni per escluderlo, ben potendo il provvedimento del giudice dell'esecuzione incidere sulla posizione giuridica tanto dell'opponente, quanto dell'opposto, che può dunque avere interesse al suo annullamento o alla sua riforma.

In questo senso, l'ammissibilità della domanda riconvenzionale consente di concentrare l'attività processuale e di salvaguardare l'esigenza di contenere la durata del processo in termini ragionevoli.

Tuttavia, occorre considerare le regole peculiari che disciplinano l'opposizione ex art. 617 c.p.c.

È ovvio, innanzitutto, che, in considerazione dell'oggetto del giudizio di opposizione – che, come detto, è rappresentato dalla verifica della regolarità di un atto del processo esecutivo – e delle istanze che vi possono essere veicolate (che debbono necessariamente attingere l'atto impugnato, sia che provengano dall'opponente, sia che siano formulate in via riconvenzionale dell'opposto), non sono ipotizzabili domande che non siano volte a fare accertare l'illegittimità dell'atto, chiaramente per profili diversi da quelli già addotti dall'opponente.

In effetti, il giudizio di opposizione agli atti esecutivi ha carattere meramente rescindente, desumendosi ciò dal fatto che si tratta dell'impugnazione di un atto del processo esecutivo, istituzionalmente in grado di incidere solo su di esso, mentre spetta poi indefettibilmente al giudice dell'esecuzione adottare, nell'ambito della procedura esecutiva, i provvedimenti tesi a conformare il suo andamento alla decisione resa sull'atto esecutivo impugnato: da tale configurazione consegue anche la limitazione dei poteri propri del giudice chiamato a decidere l'opposizione, il che si riflette pure sul thema decidendum enucleabile alla stregua dei petita e delle causae petendi deducibili.

In altre parole, proprio perché l'oggetto dell'opposizione è costituito dalla sola verifica della legittimità dell'atto esecutivo impugnato, al fine del suo eventuale annullamento, al giudice della cognizione non è consentito sostituirsi al giudice dell'esecuzione nell'emissione dei provvedimenti che regolano il processo esecutivo e nelle relative valutazioni, delle quali può esclusivamente sindacare la conformità a diritto (così, da ultimo, Cass. civ., sez. III, 7 agosto 2023, n. 23971).

Si parla, a questo proposito, di competenza funzionale del giudice dell'esecuzione, che non può essere supplita da quello investito dell'opposizione formale, non essendo sistematicamente ammissibile un'eterodirezione del processo esecutivo o comunque un'interferenza che si esplichi attraverso l'esercizio, in sede di cognizione, dei poteri ordinatori del giudice che, in forza dell'art. 484 c.p.c., è tenuto a dirigere l'esecuzione (in questi termini, Cass. civ., sez. III, 27 settembre 2022, n. 28131).

Tenuto conto, quindi, del fatto che anche l'opposizione formale introdotta in via riconvenzionale nell'ambito di un giudizio di opposizione agli atti esecutivi da altri promosso non potrà che avere per oggetto la legittimità del medesimo atto del processo esecutivo, sarà indispensabile verificare l'osservanza del regime di proposizione previsto dalla legge e così, prima di tutto, il rispetto del termine decadenziale di venti giorni fissato dall'art. 617 c.p.c.

A tale scopo, vanno considerati due principi che caratterizzano, in generale, i giudizi di opposizione esecutiva:

  • in primo luogo, quello per cui l'opposizione ha una struttura necessariamente bifasica, atteso che a una prima fase sommaria rimessa alla competenza funzionale del giudice dell'esecuzione, segue quella di merito vera e propria, che necessita dell'introduzione di un giudizio che, sebbene collegato al processo esecutivo, resta autonomo e indipendente rispetto a questo (e sull'indispensabile svolgimento di entrambe le fasi innanzi al giudice rispettivamente competente, si è espressa, da ultimo, Cass. civ., sez. III, 9 aprile 2024, n. 9451);
  • in secondo luogo, quello per cui i motivi di opposizione che possono essere dedotti nella fase di merito sono quelli – e solamente quelli – che sono stati posti a fondamento del ricorso diretto al giudice dell'esecuzione, non essendone ammessa l'introduzione di altri, estranei all'ambito dell'originaria contestazione o che abbiano per oggetto atti diversi del processo esecutivo (così, tra le altre, Cass. civ., sez. III, 23 dicembre 2022, n. 37751).

Dal combinato disposto di questi principi, pertanto, risulta che, se deve reputarsi consentito proporre una domanda riconvenzionale (anche) nell'opposizione agli atti esecutivi, per censurare il medesimo atto già da altri impugnato per profili diversi da quelli fatti valere dall'originario opponente e direttamente incidenti nella sfera giuridica dell'opposto, questi ha l'onere di sollevare le contestazioni che saranno poi addotte a fondamento della domanda riconvenzionale già nell'ambito della fase sommaria dell'opposizione che deve tenersi davanti al giudice dell'esecuzione e, in ogni caso, entro il termine di venti giorni stabilito dall'art. 617 c.p.c. (non essendo sufficiente che la riconvenzionale sia formulata nella comparsa di risposta depositata nel successivo giudizio di merito nel rispetto del termine prescritto dall'art. 167 c.p.c.); in difetto, l'opposizione veicolata mediante la domanda riconvenzionale è destinata a sicura inammissibilità.

Le stesse regole valgono anche quando sia sostenuta l'abnormità dell'atto emesso dal giudice dell'esecuzione, ravvisabile in presenza di provvedimenti che, per la loro eccentricità rispetto a quanto previsto dalla legge (per il loro contenuto, oppure per l'ambito o il contesto in cui vengono assunti), sono affetti da una patologia particolarmente grave ed evidente: come precisato, da ultimo, da Cass. civ., sez. III, 13 ottobre 2023, n. 28562, pure in questi casi, infatti, il rimedio esperibile resta quello dell'opposizione ex art. 617 c.p.c., trattandosi di fare valere vizi che ineriscono alla forma o alla sostanza dell'atto e che, come tali, rientrano tra quelli tipicamente denunciabili con tale strumento, restando escluso un potere di rilievo officioso.

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