Esecuzioni, fase distributiva: il ruolo del professionista delegato secondo la riforma Cartabia

28 Agosto 2024

Tra le numerose innovazioni apportate dalla riforma Cartabia, si segnala il recepimento all'interno dell'art. 596 c.p.c. della prassi consolidatasi in diversi uffici giudiziari e consistente nel delegare al professionista delegato, incaricato delle operazioni di vendita, anche l'udienza per l'approvazione del piano di riparto .

Il ruolo del professionista delegato nella fase distributiva secondo le "buone prassi"

Tra le numerose innovazioni apportate dalla riforma Cartabia al codice di rito, si segnala il recepimento all'interno dell'art. 596 c.p.c. della prassi consolidatasi in diversi uffici giudiziari e consistente nel delegare al professionista incaricato delle operazioni di vendita anche l'udienza per l'approvazione del piano di riparto (o progetto di distribuzione).

Tale pratica positiva, evidenziata al paragrafo 18 delle Linee guida in materia di buone prassi nel settore delle esecuzioni immobiliari proposte dalla VII commissione ed approvate all'unanimità dal plenum del Consiglio Superiore della Magistratura nella seduta del 11 ottobre 2017, risulta «funzionale a ridurre il tempo-udienza del giudice».

Siffatta prassi, diffusasi in virtù dell'interpretazione evolutiva del combinato disposto degli art. 591-bis n. 12 c.p.c., art. 596 comma 1 c.p.c. e art. 598 c.p.c., prevedeva che i giudici delle esecuzioni impartissero istruzioni chiare al delegato in merito ai criteri giuridici, alla forma ed al contenuto del piano di riparto. Il professionista delegato, già nel corpo del provvedimento di aggiudicazione, fissava l'udienza nella quale si sarebbe poi discusso il futuro progetto di distribuzione, da lui stesso formato in base alle direttive del giudice esecutivo. Una volta redatto dal professionista il piano di riparto, questo veniva depositato in cancelleria almeno dieci giorni prima dell'udienza fissata per l'approvazione (ex art. 596 c.p.c.) che si svolgeva presso il professionista delegato.

Nel caso in cui i legali di tutti gli aventi diritto si fossero espressi per l'approvazione del progetto, il professionista delegato ne avrebbe dato atto nel verbale dell'approvazione del progetto di distribuzione; qualora i legali avessero invece sollevato contestazioni al progetto, il professionista delegato avrebbe dovuto rimettere gli atti al magistrato per la loro decisione.

Il nuovo art. 596 c.p.c.

Ai sensi del nuovo art. 596 c.p.c. «Se non si può provvedere a norma dell'articolo 510, primo comma, il professionista delegato a norma dell'articolo 591-bis, entro trenta giorni dal versamento del prezzo, provvede, secondo le direttive impartite dal giudice dell'esecuzione, alla formazione di un progetto di distribuzione e … alla sua trasmissione al giudice dell'esecuzione». «Entro dieci giorni dal deposito del progetto, il giudice dell'esecuzione esamina il progetto di distribuzione e, apportate le eventuali variazioni, lo deposita nel fascicolo della procedura perché possa essere consultato dai creditori e dal debitore e ne dispone la comunicazione al professionista delegato».

Viene così recepito l'indirizzo più rigoroso, secondo cui è affidato al giudice esecutivo un potere di controllo sulla bozza di progetto predisposta dal professionista delegato, redatta sulla base delle direttive del giudice esecutivo e che necessita, per essere efficace, di un atto recettizio del giudice stesso.

Oggi, dunque, il giudice:

  • stabilisce le modalità di liquidazione delle spese dei creditori (aumenti e riduzioni percentuali, scelta dell'importo sulla base di cui conteggiare lo scaglione);
  • fissa le regole per la liquidazione del compenso del custode e del delegato (ai fini dell'autonoma inserzione delle poste nel piano di riparto);
  • definisce il tempo entro il quale il delegato deve procedere alla predisposizione del progetto di distribuzione;
  • e procede al controllo della quantificazione dei crediti stabiliti dai creditori (misura degli interessi, graduazione degli stessi in particolare ai sensi dell'art. 2855 c.c.), altresì segnalando e/o inserendo le poste non liquidate o insolute (si pensi ad es. alla parte dei compensi dell'esperto non ancora liquidati o pagati ex art. 161 comma 3 disp. att c.p.c.).

Il ruolo e la funzione del professionista delegato

Da quanto appena osservato, è evidente la differenza tra il curatore nell'ambito delle procedure concorsuali e il professionista delegato: quest'ultimo, a differenza del primo, agisce non in autonomia (arg. ex art. 220 CCII), ma sotto le direttive del giudice dell'esecuzione.

Anche se non è equiparabile al curatore, il professionista delegato, in ogni caso, esercita una vera e propria “giurisdizione delegata”.

L'ampliamento dei confini soggettivi ed oggettivi della delega, oggi estesa ai commercialisti e agli avvocati e avente ad oggetto una serie di attività che vanno oltre il subprocedimento di vendita, quale, soprattutto, la predisposizione del progetto di distribuzione della somma ricavata, rende evidente come ormai la delega al professionista abbia un'ampia latitudine. Da tale premessa e dalla circostanza che gli atti compiuti dal professionista delegato producono i medesimi effetti processuali che avrebbero avuto qualora fossero stati emanati direttamente dal giudice delegante, la dottrina più avvertita ne ha desunto che il professionista delegato, più che un mero ausiliario del giudice, deve essere considerato un vero e proprio sostituto di quest'ultimo [Oriani, Il regime degli atti del notaio delegato alle operazioni di vendita nell'espropriazione immobiliare (art. 591 ter c.p.c.), in Foro it., 1998, V, 398; Manna, La delega ai notai delle operazioni di incanto immobiliare, Milano, 1999, 169; Sensale, L'espropriazione immobiliare e la delega ai notai degli incanti, in Riv. es. forz., 2003, 366], con la conseguenza che dagli atti posti in essere dal delegato «non possono che germinare i medesimi effetti processuali che scaturirebbero da una ipotetica, diretta emanazione ad opera del giudice che l'ha delegato» (Leuzzi, Il controllo dell'attività del delegato e il nuovo meccanismo della reclamabilità “diffusa”, in Inexecutivis.it, 2022, § 2). D'altronde, la circostanza che il reclamo ex art. 591-ter c.p.c. assorba l'atto del professionista delegato costituisce conferma del riconoscimento agli atti del delegato di un'efficacia nei confronti delle parti e dei terzi eguale rispetto a quella propria dei decreti del giudice dell'esecuzione.

Sennonché, come autorevolmente osservato, «non giova … discutere in astratto “della delegazione dell'autorità giudiziaria”» (Oriani, Il regime degli atti del notaio delegato, cit., 398), essendo più utile ed opportuno trattare del concreto regime giuridico dell'attività posta in essere dal professionista delegato.

Poiché il delegato è un ausiliario del magistrato titolare del procedimento, occorre che quest'ultimo possa controllarne gli atti, tanto a priori quanto a posteriori.

In particolare, per la giurisprudenza di legittimità, il giudice dell'esecuzione, in quanto soggetto delegante, è tenuto a vigilare sull'attività del professionista delegato e la violazione di tale dovere di controllo costituisce, quantomeno nei casi più gravi in cui la condotta omissiva del magistrato abbia agevolato la commissione di reati da parte del professionista delegato, financo un illecito disciplinare (Cass. civ., sez. un., 13 settembre 2011, n. 18701).

Lo strumento tramite il quale il giudice esecutivo fissa ed individua l'ambito e la latitudine della delega è rappresentato dall'ordinanza di delega.

In particolare, il contenuto dell'ordinanza di delega viene posto a fondamento della validità delle operazioni delegate: dal mancato rispetto dei termini e delle direttive per lo svolgimento delle operazioni contenute nell'ordinanza di delega-vendita, può conseguire, ai sensi dell'art. 591-bis, comma 11 c.p.c., la revoca del professionista delegato e, nei casi più gravi, la cancellazione dall'albo previsto dall'art. 179-ter disp. att. c.p.c.

Le questioni irrisolte...

Come accennato, per effetto della riforma Cartabia, sono state esternalizzate non solo le operazioni di vendita (come già accadeva per effetto delle pregresse riforme), ma anche quelle didistribuzione del ricavato.

Nell'ampliare l'ambito dei poteri riconosciuti al delegato, tuttavia, la riforma non ha colto l'occasione per regolamentare ex professo i risultati della distribuzione del ricavato, nonostante il fatto che da sempre la stabilità dei risultati della distribuzione del ricavato sia considerata un risultato imprescindibile per conferire efficacia alla tutela esecutiva. Assicurare l'immutabilità dei risultati del riparto di quanto ottenuto all'esito del procedimento espropriativo permette, infatti, di garantire l'effettività della tutela di chi si rivolge al processo per ottenere l'adempimento del proprio credito.

Il tema è da sempre molto dibattuto (sulle tesi succedutesi in dottrina e sulla posizione della giurisprudenza in ordine alla stabilità degli effetti della distribuzione del ricavato, si veda Vincre, Profili delle controversie sulla distribuzione del ricavato, Padova, 2010, 182 ss.); al riguardo,  l'affermazione contenuta nel comma 6 dell'art. 499 c.p.c. secondo cui «in tutti i casi il riconoscimento rileva comunque ai soli effetti dell'esecuzione» non è risolutiva del problema, in quanto in essa si prevede solo che il riconoscimento del diritto di credito abbia un'efficacia limitata all'esecuzione, ma non risolve la disputa relativa all'oggetto della distribuzione: se cioè rilevi il diritto di credito o il diritto al riparto.

Anche la materia delle procedure concorsuali non è propriamente di aiuto.

Ai sensi dell'art. 114 l. fall. «i pagamenti effettuati in esecuzione dei piani di riparto non possono essere ripetuti salvo il caso dell'accoglimento della domanda di revocazione». Identica disposizione è ripetuta nell'art. 229 CCII.

In quel sistema è quindi riconosciuta espressamente la stabilità dell'attribuzione patrimoniale ottenuta a seguito della distribuzione, anche se non c'è una decisione sul credito capace di produrre i suoi effetti accertativi al di fuori della procedura. Questo principio, tuttavia, non si può ripetere anche nell'ambito della procedura esecutiva individuale, in quanto l'ambito di applicazione delle norme in materia concorsuale è differente rispetto a quello della procedura espropriativa.

Insomma, la soluzione al quesito qui in esame non può in sostanza essere trovata nella pretesa applicabilità o inapplicabilità di talune norme.

Ciò che conta veramente - e innanzitutto - è se si ritiene di riconoscere o meno l'esistenza nel complesso del sistema di uno ius retentionis, inteso come generale «principio di stabilità degli effetti di quanto legittimamente accaduto».

A parere di chi scrive si deve riconoscere l'esistenza di tale principio, pena altrimenti, un vulnus non superabile nell'ambito del sistema dell'esecuzione forzata.

Si condivide pertanto la posizione assunta dalla giurisprudenza, a mente della quale l'ordinanza con cui il giudice dell'esecuzione provvede alla distribuzione del ricavato e al contempo chiude il procedimento esecutivo «pur non avendo, per la mancanza di contenuto decisorio, efficacia di giudicato, è, tuttavia, caratterizzata da una definitività insita nella chiusura di un procedimento esplicato col rispetto delle forme atte a salvaguardare gli interessi delle parti ed incompatibile con qualsiasi sua revocabilità in presenza di un sistema di garanzie di legalità per la soluzione di eventuali contrasti, all'interno del processo esecutivo (v. per tutte Cass. civ., sez. III, 24 ottobre 2018, n. 26927, in Riv. es. forz., 2019, 64 ss.).

Resta tuttavia da determinare da che momento si produca tale stabilità: siffatto problema si intreccia con quelli attinenti alla revocabilità dell'ordinanza distributiva e alla sua impugnabilità, soprattutto quando si ammetta la possibilità che a chiudere la fase distributiva sia il professionista delegato.

Tradizionalmente si afferma che l'ordinanza di distribuzione del ricavato emessa dal giudice dell'esecuzione è impugnabile con l'opposizione agli atti esecutivi, potendosi con tale strumento dedursi non solo i vizi del procedimento di formazione dell'atto, ma anche quelli dipendenti dalla violazione delle norme che ne disciplinano il contenuto sia in relazione alla sfera dei poteri esercitabili dal giudice dell'esecuzione nell'adottare il provvedimento impugnato sia in relazione al modo in cui il potere è stato esercitato (Cass. civ., sez. III, 20 febbraio 1993, n. 2072).

È tuttavia discusso il momento dal quale decorre il termine di 20 giorni per l'esperimento di tale mezzo di controllo.

Il problema, invero, si lega all'altro relativo alla possibilità per il giudice dell'esecuzione di revocare o modificare l'ordinanza di distribuzione.

Come noto, la disciplina generale in materia è quella contenuta nell'art. 487 c.p.c., in forza del quale i provvedimenti del giudice dell'esecuzione possono essere modificati o revocati finché non abbiano avuto esecuzione.

In dottrina (Bonsignori, Assegnazione forzata e distribuzione del ricavato, Milano, 1962, 254) si è sostenuto che, di conseguenza, il provvedimento con cui viene attribuita la somma sarebbe revocabile sino all'esecuzione dei mandati di pagamento.

Per altri autori, l'attribuzione del ricavato avviene in forza dell'atto di autorità del giudice dell'esecuzione, per cui la titolarità della somma si trasferisce non con l'effettiva riscossione, ma già con l'ordinanza di assegnazione o attribuzione (Castoro, Il processo d'esecuzione nel suo aspetto pratico, Milano, 1998, 299). Ne consegue che il provvedimento produca immediatamente la soddisfazione e come tale non sia più revocabile (Arieta, De Santis, L'esecuzione forzata, in Tratt. Montesano-Arieta, III, 2, Padova, 2007, 779). Al contrario, l'ordine con cui è disposto l'accantonamento è da considerarsi come un provvedimento sempre provvisorio, che necessariamente dovrà essere modificato.

Anche in giurisprudenza vi è analogo contrasto.

Per la giurisprudenza meno recente (Cass. civ., sez. I, 17 dicembre 2004, n. 23572; Cass. civ., sez. I, 22 aprile 1998, n. 4078; Cass. civ., sez. I, 8 aprile 1998, n. 3663) va escluso che il processo esecutivo individuale possa dirsi concluso già con l'ordinanza di distribuzione tra i creditori del ricavato della vendita, restando ad esso estranea la successiva fase dell'emissione dei mandati di pagamento, sull'assunto che si tratterebbe di adempimenti di cancelleria meramente attuativi e consequenziali del comando giurisdizionale ormai perfetto.

Per questo orientamento, l'ordinanza di distribuzione definisce la fase espropriativa vera e propria ma non anche il processo esecutivo, da ritenersi in corso fintanto che non sia eseguito il pagamento, a favore del creditore assegnatario, della somma ricavata dalla vendita.

Quest'ultimo principio sopra ricordato non pare condivisibile, atteso che è irragionevole far dipendere la pendenza del processo di espropriazione dal compimento dei creditori assegnatari di un atto stragiudiziale (la riscossione del mandato di pagamento).

Sembra allora preferibile affermare che la distribuzione del ricavato, che segna la chiusura del procedimento esecutivo, precludendo l'opposizione di cui all'art. 615 c.p.c., non dev'essere intesa in senso letterale come ripartizione effettiva e concreta, ma come ordine di distribuzione e pagamento.

In tal senso si è espressa di recente Cass. civ., sez. III, 20 novembre 2023, n. 32143, per la quale non è possibile dare seguito all'indirizzo giurisprudenziale meno recente appena riportato, secondo cui l'ordinanza di distribuzione definisce la fase espropriativa vera e propria, ma non anche il processo esecutivo, da ritenersi in corso fintanto che non sia eseguito il pagamento, a favore del creditore assegnatario, della somma ricavata dalla vendita. Per tale sentenza ciò non è possibile in quanto, pur in presenza di un provvedimento del giudice dell'esecuzione con cui venga disposta l'assegnazione di una somma di denaro al creditore procedente, la proprietà di detta somma rimane del debitore fino a quando non ne avvenga in concreto il passaggio nella sfera patrimoniale del creditore.

Secondo la Suprema Corte, infatti, l'ordinanza di approvazione del progetto di distribuzione segna la chiusura tout court dell'esecuzione, giacché essa definisce l'ultima fase del processo, che non può dirsi ancora tecnicamente pendente in forza del mero accidente materiale rappresentato dalla mancata esecuzione dell'ordine di pagamento delle singole quote. Né è possibile ritenere, prosegue, che le somme non ancora incassate dai creditori, dopo l'approvazione del progetto di distribuzione, siano ancora "di proprietà" del debitore esecutato, osservando che, così come la proprietà passa all'acquirente con il decreto di trasferimento parimenti, con l'approvazione del progetto di distribuzione, il danaro ricavato dalla vendita fuoriesce dal patrimonio dell'esecutato.

Questa chiusura, secondo il decisum qui annotato, non è del tutto incompatibile con l'esercizio del potere di revoca di cui all'art. 487 c.p.c. Sennonché, occorre individuare il momento ultimo nel quale questo potere può essere esercitato.

A tal riguardo, deve escludersi che il giudice dell'esecuzione possa revocare il provvedimento fino a quando le somme siano state effettivamente riscosse dai creditori, poiché altrimenti si finirebbe per dilatare detto potere indefinitamente, agganciandolo a variabili eccentriche alla sfera di controllo dell'ufficio giudiziario, perché dipendenti dalla solerzia con cui il professionista delegato procede ai pagamenti dovuti.

Al contrario, questo momento va fissato allo spirare del termine per la proposizione della opposizione agli atti esecutivi avverso il provvedimento di chiusura, posto che diversamente opinando si finirebbe col sollevare la parte interessata ad impugnare dall'onere di attivarsi nel termine di cui all'art. 617 c.p.c.

A questo proposito, osserva la pronuncia, sebbene di regola il potere di revoca ex art. 487 c.p.c. sia sganciato dal termine per la proposizione dell'opposizione di cui all'art. 617 c.p.c., giacché la norma lo permette fino a quando al provvedimento non venga data esecuzione, una simile conclusione non appare predicabile rispetto al provvedimento di chiusura del procedimento esecutivo, «proprio perché esso, a differenza di ogni altro che sia reso in costante pendenza di quest'ultimo, non può non ricondursi ad una conseguente consumazione dello stesso potere giurisdizionale», che potrà intervenire quindi nei limiti temporali in cui la legge consente che la procedura, per il tramite di una opposizione agli atti esecutivi, sia rimessa in discussione, e sempre che, frattanto, il piano di riparto non sia stato eseguito mediante i pagamenti delle somme in esso previste.

... E le questioni nuove

L'assetto che il diritto vivente ha sino ad oggi fornito alla materia merita tuttavia di essere rivisto alla luce dell'attuale dato normativo che affida la fase distributiva al professionista delegato.

A tal fine, occorre partire dalla seguente premessa: qualunque sia l'opinione che si intende accogliere sulla stabilità della distribuzione, è da ritenere che il provvedimento emanato dal professionista a conclusione delle operazioni di riparto sia equiparabile alla medesima pronuncia del giudice dell'esecuzione emessa al termine della fase distributiva, non potendosi ammettere l'attribuzione di un differente valore giuridico all'atto del professionista reso nelle operazioni di vendita e di riparto in sostituzione dell'opera del giudice dell'esecuzione.

Vi è dunque in primo luogo da chiedersi se in caso di mancata contestazione del progetto distributivo, l'atto del delegato che chiude il processo esecutivo rendendo esecutivo il piano di riparto possa essere impugnato ed in che modo.

Al riguardo, l'attuale formulazione dell'art. 591-ter c.p.c. permetterebbe di dare stabilità alla distribuzione, in quanto l'inserimento all'interno della norma di un termine ultimo di venti giorni, decorrente «dal compimento dell'atto o dalla sua conoscenza», entro il quale i soggetti interessati possono reclamare, avanti al giudice dell'esecuzione, l'atto del professionista delegato garantisce il consolidamento dell'atto in caso di mancato esperimento del reclamo.

Dunque, in applicazione dei principi generali in tema di preclusione e di nullità degli atti processuali, la mancata contestazione dell'atto posto in essere dal professionista delegato nel termine di venti giorni dal suo compimento o dalla sua conoscenza comporterà la definitiva stabilizzazione dello stesso, nel senso che non potrà più essere contestato dalle parti interessate, fatto salvo il potere del giudice di revocarlo o modificarlo. Del pari, analogo effetto si produce nel caso di proposizione del reclamo, giacché avverso l'ordinanza emessa all'esito del ricorso è oggi ammesso l'esperimento, in luogo del ricorso ex art. 669-terdecies c.p.c., del generale rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi.

Sennonché, il dato letterale dell'art. 591-ter  c.p.c., che limita l'esperimento dei rimedi di controllo avverso gli atti del professionista delegato alla sola fase «delle operazioni di vendita», sembra impedire che la stabilizzazione degli atti emessi dal delegato nel corso della fase di distribuzione del ricavato possa avvenire per il tramite dei rimedi appena citati.

Invero, potrebbe forzarsi il dato letterale contenuto nell'art. 591-ter  c.p.c. alla luce dell'art. 591-bis, comma 2, n. 12 e comma 14 c.p.c., dai quali si evince che rientrano nell'ambito delle operazioni delegate in sede di vendita anche quelle attinenti alla distribuzione del ricavato. Così opinando, avverso la declaratoria di esecutività del piano di riparto attuata dal professionista delegato potrebbe ammettersi il reclamo ex art. 591-ter  c.p.c. e, per tale via, l'esperibilità dell'opposizione agli atti avverso l'ordinanza che definisce il reclamo.

Ancora, prima della riforma era discussa la possibilità di poter ammettere in capo al professionista il potere di fissare l'udienza di discussione del progetto per l'audizione dei creditori e del debitore.

Infatti, il previgente art. 596, stabiliva che «Se non si può provvedere a norma dell'articolo 510 primo comma, il giudice dell'esecuzione o il professionista delegato a norma dell'articolo 591-bis, non più tardi di trenta giorni dal versamento del prezzo, provvede a formare un progetto di distribuzione anche parziale, contenente la graduazione dei creditori che vi partecipano, e lo deposita in cancelleria affinché possa essere consultato dai creditori e dal debitore, fissando l'udienza per la loro audizione. Il progetto di distribuzione parziale non può superare il novanta per cento delle somme da ripartire».

Dunque, l'art. 596 permetteva direttamente la fissazione dell'udienza a cura del professionista e la conseguente celebrazione presso lo studio di quest'ultimo.

La possibilità di permettere al professionista di fissare un'udienza e di celebrarla davanti a lui creava il rischio di una falla nel sistema processuale, che conserva il dominio delle udienze in capo all'organo giurisdizionale.

Pertanto, il legislatore della riforma Cartabia ha preferito parlare di audizione, in modo che al professionista delegato sia data la possibilità di ricevere le dichiarazioni delle parti rese davanti a lui contestualmente procedendo al riparto della somma non contestata, ordinando il pagamento delle quote di spettanza dei creditori e contemporaneamente affidando al giudice dell'esecuzione il compito di risolvere le eventuali contestazioni ai sensi dell'art. 512 c.p.c.

La norma (che costituisce l'ennesima conferma per la quale il professionista nel nuovo assetto normativo delineato dalle recenti riforme rappresenta non tanto un ausiliare del giudice, quanto un vero e proprio sostituto dell'ufficio giudiziario) pone però il problema di ammettere la possibilità che questo incontro si svolga tramite il novello sistema della trattazione scritta per come disciplinata dall'art. 127-ter c.p.c.

Sul punto, però, pare che il dettato dell'articolo in questione non lasci adito a grossi dubbi: il deposito delle note scritte può sostituire l'udienza; l'art. 596 c.p.c., invece, nomina l' «audizione», lasciando intendere che si sia in presenza di qualcosa di diverso. In conclusione, il professionista delegato sarà sempre tenuto ad incontrare le parti di persona, prevedendo la loro comparizione presso il suo studio professionale o nei locali adibiti allo scopo all'interno del tribunale.

Infine, vi è da chiedersi cosa accada qualora, all'esito dell'audizione delle parti, il professionista delegato accerti che sono state sollevate contestazioni riguardo il progetto di distribuzione.

Ai sensi dell'art. 598, comma 2, c.p.c. «se vengono sollevate contestazioni innanzi al professionista delegato, questi ne dà conto nel processo verbale e rimette gli atti al giudice dell'esecuzione, il quale provvede ai sensi dell'articolo 512».

Vi è allora da chiedersi se, una volta che il professionista abbia verbalizzato le contestazioni svolte dalle parti innanzi a lui, il giudice dell'esecuzione debba fissare una nuova udienza innanzi a sé stesso oppure possa decidere direttamente le contestazioni tramite ordinanza impugnabile ex art. 617, comma 2 c.p.c.

Al riguardo, sembra preferibile questa seconda opzione, la quale non sacrifica in nessun modo il principio del contraddittorio, il quale, come è noto, nel processo esecutivo viene declinato in una forma più elastica ed attenuata, tramite il potere del giudice di disporre l'audizione delle parti e degli interessati ai sensi dell'art. 485 c.p.c.

Riferimenti

  • ARIETA, DE SANTIS, L'esecuzione forzata, in Tratt. Montesano-Arieta, III, 2, Padova, 2007;
  • BONSIGNORI, Assegnazione forzata e distribuzione del ricavato, Milano, 1962;
  • CASTORO, Il processo d'esecuzione nel suo aspetto pratico, Milano, 1998;
  • LEUZZI, Il controllo dell'attività del delegato e il nuovo meccanismo della reclamabilità “diffusa”, in Inexecutivis.it, 2022;
  • MANNA, La delega ai notai delle operazioni di incanto immobiliare, Milano, 1999;
  • ORIANI, Il regime degli atti del notaio delegato alle operazioni di vendita nell'espropriazione immobiliare (art. 591 ter c.p.c.), in Foro it., 1998;
  • SENSALE, L'espropriazione immobiliare e la delega ai notai degli incanti, in Riv. es. forz., 2003;
  • VINCRE, Profili delle controversie sulla distribuzione del ricavato, Padova, 2010.

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