Responsabilità sanitaria e liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale
30 Agosto 2024
Nel caso in commento la Corte territoriale riformando parzialmente la sentenza di primo grado, condannava l'azienda sanitaria al pagamento in favore dell'appellante (madre di Tizio nato morto in ospedale a causa della mancata esecuzione del taglio cesareo) di euro 140mila detratto dall'importo quanto eventualmente già corrisposto. Sottolineava nello specifico che la liquidazione effettuata dai giudici di appello fosse inadeguata, non consentisse «il ristoro integrale del danno non patrimoniale», non indicasse «i parametri e i criteri utilizzati», e sostanzialmente confermasse «la sentenza del primo grado, applicando la decurtazione rispetto agli eventuali importi già percepiti». Ricorda La Cassazione che in materia di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale «la lesione va calcolata in ragione della qualità e quantità della relazione affettiva con la persona perduta che, nella peculiarità del caso in esame, trattandosi di un figlio nato morto, tale relazione è solo potenziale (Cass. civ., sez. III, 19 giugno 2015 n. 12717) e affermando, pertanto, che tra la madre e il figlio ancora in grembo si instauri comunque un rapporto affettivo che si rafforza nel corso della gravidanza, ragion per cui i criteri tabellari possono costituire ad ogni modo un punto di partenza per la liquidazione, pur sempre equitativa, del danno non patrimoniale subito dalla madre». La Corte di Appello richiamando i principi sopra esposti, tuttavia, al momento della liquidazione, pur accennando alle peculiari circostanze della vicenda come «altamente drammatiche» ha liquidato, parendogli congrua, la somma di euro 140mila senza dare conto del percorso logico-giuridico seguito con riferimento specifico «ai parametri e ai criteri utilizzati per giungere ad indicare il complessivo importo liquidato a tale titolo». La Suprema Corte accoglie quindi il motivo di ricorso e cassa la sentenza impugnata. |