Contratto a tempo parziale: per il datore vige l’obbligo della predeterminazione dell’orario di lavoro del turnista
04 Settembre 2024
Massima Nel rapporto di lavoro a tempo parziale - che si distingue da quello a tempo pieno per il fatto che, in dipendenza della riduzione quantitativa della prestazione lavorativa (e, correlativamente, della retribuzione), è lasciato al lavoratore un largo spazio per altre eventuali attività che gli consentano di percepire una retribuzione sufficiente a realizzare un'esistenza libera e dignitosa, nonché per coltivare la propria dimensione esistenziale extra-lavorativa – è necessario che la collocazione oraria della prestazione sia predeterminata in modo tale che al lavoratore sia dato conoscere con esattezza il tempo del suo impegno lavorativo, dovendosi escludere la legittimità di pattuizione che, di fatto, assegnino al datore di lavoro uno jus variandi sulla collocazione temporale della prestazione. Il caso L'individuazione della collocazione temporale della prestazione del lavoratore turnista La vicenda concreta ha ad oggetto il regolamento contrattuale di un dipendente part-time le cui clausole, in merito alla collocazione oraria della prestazione, in una prima fase del rapporto si limitavano a segnalare “tempo parziale verticale ore settimanali medie 19” e, successivamente, ad indicare l'assegnazione al turno diurno dalle 8.30 alle12.30 e dalle 13.30 alle 17.30, con rinvio, per migliori precisazioni, alle programmazioni semestrali, prima, e annuali, poi. Tanto il Tribunale, quanto la Corte d'appello competente, avevano accolto la domanda del lavoratore tesa all'accertamento dell'illegittimità delle clausole e alla determinazione specifica della collocazione oraria della prestazione. Con il suo ricorso per cassazione, la società ha dedotto la violazione o falsa applicazione dell'art. 2, comma 2, d.lgs. n. 61/2000 e dell'art. 5, d.lgs. n. 81/2015, nonché delle disposizioni della contrattazione collettiva di settore dedicate alla predeterminazione dei turni nel caso di lavoro a tempo parziale. Sotto un primo profilo, la società ha censurato la pronuncia della Corte d'appello nella parte in cui ha ritenuto che al contratto si applicasse la disciplina di cui al d.lgs. n. 61/2000 anziché quella del d.lgs. n. 81/2015, rilevante perché, a suo dire, sarebbe questo il corpus normativo applicabile dal giugno 2015 rispetto a tutti i contratti a tempo parziale, benché conclusi in epoca anteriore. La nuova disciplina consentirebbe la collocazione temporale della prestazione attraverso un «rinvio a turni programmati di lavoro articolati su fasce prestabilite», ciò che, peraltro, doveva ritenersi consentito anche in passato in mancanza d'un divieto espresso in tal senso. Sotto un secondo profilo, ha dedotto che l'accordo collettivo applicabile non imporrebbe una rigida predeterminazione dell'orario part-time, consentendo, nel caso di lavoro a turni, il rinvio a programmazioni da determinarsi anche in un momento successivo alla stipulazione del contratto. Le questioni giuridiche La ratio del lavoro a tempo parziale e la programmazione dell'orario utile ad assecondarla La pronuncia della Corte di cassazione ha respinto il ricorso proposto dalla società. Nel far ciò ha ribadito la ratio del lavoro a tempo parziale nell'ottica del lavoratore e ha segnalato le modalità con cui, onde evitare di frustrarne gli interessi, deve procedersi all'indicazione della collocazione oraria della prestazione di lavoro. Le soluzioni giuridiche La ratio del lavoro a tempo parziale e la programmazione del lavoro a turni A premessa della propria motivazione, la Suprema Corte ha ricordato quanto già espresso in numerosi precedenti, ossia che il rapporto di lavoro a tempo parziale si distingue da quello a tempo pieno per il fatto che, in dipendenza della riduzione quantitativa della prestazione lavorativa (e, correlativamente, della retribuzione), lascia al lavoratore un largo spazio per altre eventuali attività, la cui programmabilità, da parte del medesimo, deve essere salvaguardata, anche all'ovvio fine di consentirgli di percepire, con più rapporti a tempo parziale, una retribuzione complessiva che sia sufficiente (art. 36, primo comma, della Costituzione) a realizzare un'esistenza libera e dignitosa (Cfr. Cass. n. 2382/1990; Cass., n. 17009/2014). Ha quindi ricordato l'insegnamento della Corte costituzionale secondo cui la disciplina del part-time è finalizzata a garantire al lavoratore una duplice possibilità: sia di programmare e conciliare più lavori a orario ridotto, allo scopo di ottenere una retribuzione complessiva sufficiente a realizzare un'esistenza libera e dignitosa e precostituire un'adeguata posizione pensionistica, ai sensi degli artt. 36 e 38 Cost., sia di conciliare il lavoro con la dimensione esistenziale extra-lavorativa, in modo da avere disponibilità del proprio tempo di vita. In tal guisa, la Corte costituzionale è giunta ad escludere un'interpretazione tale da consentire la pattuizione di contratti di lavoro a tempo parziale nei quali la collocazione temporale della prestazione lavorativa nell'ambito della giornata, della settimana, del mese e dell'anno non sia determinata – o non sia resa determinabile in base a criteri oggettivi – ma sia invece rimessa allo jus variandi del datore di lavoro (Corte cost., n. 210/1992). In merito alla programmazione dell'orario in caso di lavoro a turni, la Suprema Corte ha richiamato un proprio precedente con cui ha affermato che è legittima la proposta contrattuale che fin dall'origine determini su turni l'articolazione dell'orario, entro coordinate temporali contrattualmente predeterminate od oggettivamente predeterminabili, con la conseguenza che il contratto è validamente stipulato qualora il rapporto di lavoro part-time preveda una precisa e predeterminata articolazione della prestazione su turni, sì che il lavoratore sia posto in grado di conoscere con esattezza il tempo del suo impegno lavorativo, rimanendo escluso il potere del datore di lavoro di variare l'orario lavorativo a suo arbitrio, senza alcuna preventiva concertazione, ovvero al di fuori delle modalità fissate dal d.lgs. n. 61/2000, art. 3 (Cfr. Cass., n. 17009/2014). La selezione della disciplina normativa applicabile al rapporto. Nello scrutinare il primo profilo di censura formulato dalla società ricorrente, la Corte ha chiarito l'infondatezza della tesi difensiva per cui la disciplina recata dal d.lgs. n. 81/2015 troverebbe generale applicazione a partire dalla data della sua entrata in vigore, e dunque anche rispetto a contratti conclusi in epoca precedente a quella stessa data. A questo riguardo, il Giudice di legittimità ha ribadito che, in caso di successione di leggi non espressamente dichiarate retroattive, trova applicazione la regola generale dettata dall'art. 11 delle preleggi e, pertanto, occorre fare riferimento alla normativa vigente alla data della stipulazione del contratto e non a quella in vigore al momento della decisione. Nel caso specifico di lavoro a tempo parziale, ai fini della decisione sui requisiti di legittimità della clausola e sugli effetti che dal mancato rispetto degli stessi derivano, occorre fare riferimento alla legge applicabile all'epoca di conclusione per iscritto del contratto. Alla luce della data di instaurazione del rapporto di lavoro dedotto in giudizio, la Cassazione ha quindi individuato la legge applicabile nella d.lgs. n. 61/2000, il cui art. 2, comma 2, in particolare, prescrive che «nel contratto di lavoro a tempo parziale è contenuta puntuale indicazione della durata della prestazione lavorativa e della collocazione temporale dell'orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all'anno». La valutazione del caso concreto. Il contratto individuale di lavoro ha previsto, nel testo originario, l'indicazione “tempo parziale verticale ore settimanali medie 19 ore” e, successivamente, la specificazione del numero di ore mensili (80 poi divenute 96) e la tipologia del turno (diurno: 8.30/12.30 – 13.30/17.30). La Cassazione ha avallato la statuizione della Corte d'appello secondo cui la formulazione contenuta nella lettera d'assunzione non è conforme al parametro legale, dal momento che si limita a precisare il numero complessivo di ore settimanali, senza collocarle con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all'anno. Parimenti non conforme al dettato normativo è anche la successiva integrazione contrattuale, dal momento che la mera indicazione generica dei possibili turni da osservare non è idonea a soddisfare le esigenze di programmazione specifica espresse dal versante normativo. In consonanza con la decisione di merito, la Corte ha altresì rilevato che l'accordo individuale è difforme anche rispetto alla disciplina contrattualcollettiva. Sebbene il Ccnl renda compatibile il lavoro part-time con il lavoro a turni, nel far ciò, oltre a ribadire l'esigenza di programmazione giornaliera, settimanale, mensile e annuale del lavoro a tempo parziale, stabilisce che «nel caso di prestazioni lavorative in turni tale indicazione riguarderà la collocazione dell'orario nell'ambito del turno e secondo l'andamento dello stesso, ovvero gli schemi di turno in cui verrà programmata, ai sensi del punto quattro dell'art 9, la prestazione al tempo parziale». L'art. 9, a sua volta, nell'occuparsi del “personale turnista” che “svolge di norma le proprie prestazioni in turni continui ed avvicendati” indica che per essi l'«orario contrattuale di 40 ore settimanali viene realizzato come segue: quattro giorni lavorativi e riposo al quinto e al sesto (4+2) con prestazione di 8 ore giornaliere, secondo il seguente orario: 22-06; 06-14; 14-22». Secondo la Corte, se è quindi legittimo, in base alle disposizioni finora richiamare, l'impiego del personale part-time secondo turni, tuttavia, occorre che nella lettera di assunzione sia contenuta puntuale indicazione della “collocazione dell'orario nell'ambito del turno […] ovvero gli schemi di turno in cui verrà programmata, ai sensi del punto quattro dell'art. 9, la prestazione al tempo parziale”. Poiché nel contratto individuale non sono contenute indicazioni che consentano di identificare una programmazione dell'orario idonea ad inserirsi entro questo schema, la Corte ha ritenuto di respingere integralmente l'impugnazione proposta dal datore di lavoro. Osservazioni La pronuncia in commento, benché si riferisca direttamente alla disciplina previgente, offre coordinate interpretative utili per anche l'interpretazione dell'attuale disciplina relativa al lavoro a tempo parziale. Restando ferma la ratio di questa tipologia negoziale, occorre evidenziale che la disposizione sopra richiamata di cui all'art. 2, comma 2, d.lgs. n. 61/2000 - «nel contratto di lavoro a tempo parziale è contenuta puntuale indicazione della durata della prestazione lavorativa e della collocazione temporale dell'orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all'anno» - viene ribadita, testualmente, dal vigente art. 5, comma 2, d. lgs. n. 81/2015. Nondimeno, il successivo comma 3 di quest'ultima disposizione, aggiunge, rispetto alla disciplina precedente, che «quando l'organizzazione del lavoro è articolata in turni, l'indicazione di cui al comma 2 può avvenire anche mediante rinvio a turni programmati di lavoro articolati su fasce orarie prestabilite». Quest'innovazione sancisce espressamente la compatibilità del lavoro part-time con il lavoro a turni. Da ciò, tuttavia, non è dato individuare profili che scalfiscano le intatte esigenze di programmazione che ammantano la disciplina di questa forma contrattuale. Invero, la pronuncia in commento, nell'analizzare la vicenda alla luce della disciplina del Ccnl che consentiva l'impiego dei lavoratori part-time nel lavoro a turni, ha fornito un'indicazione nitida per cui l'abbinamento di questi due elementi – lavoro a tempo parziale e lavoro a turni – deve comunque preservare l'esigenza di programmazione e predeterminazione della collocazione oraria della prestazione lavorativa. Si tratta d'un'indicazione da cui trarre un principio generale, senz'altro rilevante anche per le fattispecie rientranti nel solco del d.lgs. n. 81/2015: la fisiologica pluralità di turni, una volta calata nell'accordo contrattuale individuale di lavoro a tempo parziale, dovrà ricomporsi fino alla selezione di quali specifici turni il prestatore dovrà osservare. Una conclusione che risulta del tutto coerente non solo con lo spirito del lavoro part-time, ma anche con la disposizione di cui all'art. 5, comma 3, d.lgs. cit., che, non a caso, fa riferimento «a turni programmati di lavoro articolati su fasce orarie prestabilite». In definitiva, resta fermo il dato per cui la disciplina individuale del lavoro a tempo parziale in tanto sarà legittima, in quanto consenta al lavoratore di conoscere con esattezza il tempo del suo impegno lavorativo. Esso, in particolare, deve essere specificamente determinato o comunque determinabile sulla base di elementi obiettivi, utili ad escludere che la collocazione temporale della prestazione possa formare oggetto d'una postuma revisione datoriale fondata sull'unilaterale esercizio dello jus variandi. |