Licenziamento e utilizzo dei permessi ex L. 104/1992: fruibili anche in funzione compensativa delle energie fisiche e mentali impiegate dai dipendenti caregiver
05 Settembre 2024
Massima È illegittimo il licenziamento della lavoratrice che, nelle giornate di fruizione di permessi concessi ai sensi dell'art. 33 L. 104/1992, si dedica non solo a svolgere incombenze e attività in favore del familiare disabile, senza essere in compagnia dello stesso, ma anche ai propri bisogni ed esigenze personali. (Nel caso concreto, la dipendente aveva effettuato commissioni, fuori casa, in favore della madre nonché preparato i pasti per la genitrice e lavatone il bucato presso la propria abitazione). Il caso Licenziamento della lavoratrice per abuso permessi ex L. 104/1992 Una lavoratrice viene licenziata per aver usufruito di permessi ex art. 33 l. n. 104/1992 trascorrendo la maggior parte del tempo presso la propria abitazione personale o al di fuori di essa, fuori dall'abitazione della madre disabile e comunque senza essere fisicamente in compagnia della stessa. La lavoratrice impugna il licenziamento e ricorre in giudizio deducendo quanto segue:
La società si costituisce in giudizio sostenendo che i permessi di cui alla L. 104/1992 vengono concessi in ragione dell'assistenza del disabile e non integrano funzione compensativa delle energie del lavoratore. Il Tribunale accoglie le domande della ricorrente: annulla il licenziamento e condanna la società alla reintegrazione nonché alla corresponsione di indennità risarcitoria. Le questioni La funzione dei permessi di cui alla L. 104/1992 Quali funzioni svolgono i permessi ex art. 33 L. 104/1992? Le soluzioni giuridiche La ratio della L. 104/1992 Il Tribunale di Ancona esamina il contrasto giurisprudenziale in tema di abuso dei congedi previsti dalla L. 104/1992 e conclude propendendo per la tesi maggiormente garantista per il lavoratore. Come evidenziato dalla sentenza, si contrappongono difatti due indirizzi giurisprudenziali in relazione alla finalità perseguita dall'istituzione dei permessi ex L. 104/1992 nonché alle attività compatibili con tali congedi. Secondo la tesi seguita dalla società e richiamata in sentenza, i permessi previsti dalla L. 104 sono concessi ai fini dell'assistenza al disabile: il loro utilizzo, dunque, è effettuato esclusivamente in relazione causale diretta con l'esigenza per il cui soddisfacimento il diritto stesso ad usufruire dei permessi è riconosciuto. Non è possibile fruirne, dunque, non solo per svolgere attività del tutto estranee alla cura del familiare ma nemmeno per recuperare le energie psicofisiche impiegate dal lavoratore per assistere il parente bisognoso: si esclude, dunque, un loro utilizzo in funzione meramente compensativa delle energie spese dal lavoratore solitamente in orario extralavorativo. Come evidenziato anche dalla pronuncia direttamente menzionata dal Tribunale di Ancona, la sentenza n. 1349/2020 della Corte di Cassazione, il dipendente che gode dei congedi di cui alla L. 104/1992, nel lasso di tempo coperto dal permesso, deve necessariamente adempiere ai doveri di cura e assistenza del familiare disabile, che ad ogni modo possono essere espletati con modalità e forme diverse, anche attraverso lo svolgimento di incombenze amministrative, pratiche o di qualsiasi genere purché nell'interesse del disabile. Ogni utilizzo diverso del permesso ex L. 104/1992 integra un abuso del diritto nonché un nocumento nei confronti dello Stato (che li eroga) e della collettività nonché del datore di lavoro (la cui organizzazione viene sacrificata in nome di esigenze sociali meritevoli di maggior tutela), con conseguente legittimità del licenziamento comminato per tale motivo. Di contro, la tesi seguita dalla sentenza in commento evidenzia che la L. 104/1992 non specifica che l'attività di assistenza al parente disabile debba essere prestata esclusivamente in concomitanza con l'orario nel quale il lavoratore avrebbe dovuto prestare attività lavorativa; si osserva che, nei giorni non coperti da permesso, il lavoratore presta assistenza considerata comunque “continua” sebbene effettuata al di fuori dell'orario di lavoro e che, per tale ragione, nelle giornate di fruizione di permesso, non deve necessariamente sussistere un nesso temporale fra il godimento del permesso e l'orario di lavoro, ma un nesso esclusivamente funzionale fra la fruizione del congedo e le attività e gli oneri che caratterizzano l'assistenza di una persona disabile. Se così non fosse, si figurerebbe addirittura il rischio di danneggiare gli interessi del familiare, ad esempio nel caso in cui lo stesso avrebbe maggior necessità di cura in orari differenti rispetto a quelli lavorativi osservati dal caregiver. Tale orientamento, dunque, riconosce ai permessi L. 104/1992 anche la cd. funzione compensativa delle energie fisiche e mentali impiegate dal lavoratore impegnato nella cura e nella gestione del parente invalido: in tal modo il dipendente quotidianamente onerato della cura e assistenza di un familiare disabile non deve sacrificare totalmente le proprie esigenze personali e familiari. Il Tribunale di Ancona, dopo aver brevemente rammentato il contrasto giurisprudenziale, prosegue sottolineando che alla base dell'istituto dei permessi ex L. 104, vi sono non solo gli interessi dei familiari invalidi a ricevere l'assistenza necessaria alla propria salute e del datore di lavoro alla libera organizzazione della propria attività, ma anche quelli dei lavoratori preposti alla cura dei familiari, al riposo e al diritto di esprimere la propria personalità anche nella società (compresa la famiglia). Per di più, nel caso concreto, vista la mancanza di codice disciplinare volto a regolamentare l'utilizzo dei permessi, vista l'insussistenza di artifizi e raggiri che suggerirebbero la tenuta di una condotta truffaldina da parte della ricorrente, visto che la datrice di lavoro riconosce l'invalidità della madre della lavoratrice e che non contesta che l'assistenza sia stata svolta nelle ore e nelle giornate attigue a quelle coperte da permessi, secondo il giudice il comportamento della lavoratrice non avrebbe alcuna rilevanza disciplinare. Osservazioni Ragionevolezza della decisione A parere di chi scrive, considerato il caso concreto, le argomentazioni e, soprattutto, i riconoscimenti operati dalla società resistente in punto di fatto, la decisione in commento è condivisibile. Pacifico che nei giorni di congedo, ancorché non in coincidenza con l'orario di lavoro, la lavoratrice abbia prestato assistenza alla madre disabile; pacifico, altresì, che tale assistenza fosse di carattere quotidiano e non limitata, dunque, ai periodi contingentatissimi coperti da permesso ex lege 104, non si vede proprio come la condotta della ricorrente potesse considerarsi in violazione di legge, in buona sostanza truffaldina. È chiaro beninteso che in astratto la pedissequa applicazione di tale principio potrebbe, nei singoli casi concreti, condurre alla legittimazione di possibili abusi. È necessario, dunque, un compiuto esame del fatto al fine di ottenere conferma della effettività dell'attività di assistenza prestata in favore del disabile. È però, altresì vero che la pedissequa applicazione del principio contrario e più rigoroso colpirebbe con la più grave delle sanzioni lavoratori che abbiano comunque utilizzato i permessi di legge al fine deputato. Del resto, anche l'orientamento più garantista (ex multis, Cass. civ., sez. lav., 13 marzo 2023, n. 7306), esclude che i permessi possano essere impiegati al solo esclusivo fine di “ristoro” e, in definitiva, i due principi non paiono in totale contrasto l'uno con l'altro. |