Il recupero di somme da parte dell’amministratore ad acta nei confronti dei comproprietari richiede la preventiva autorizzazione assembleare
05 Settembre 2024
Il caso Nel presente giudizio, l'avvocato Caio era stato nominato dal Tribunale "amministratore della cosa comune”, con il compito di svolgere tutte le attività relative all'incarico di progettazione delle opere di ricostruzione e restauro del palazzo, l'espletamento della gara di appalto delle opere progettate e alla cura delle pratiche amministrative, urbanistiche e di finanziamento per portare a compimento l'opera. A seguito della morosità di Tizio, l'avvocato senza alcuna convocazione dell'assemblea e autorizzazione da parte della stessa, aveva chiesto emettersi decreto ingiuntivo nei confronti di questo per il pagamento delle somme indicate nel piano di riparto. Alla notifica dello stesso, in uno all'atto di precetto, l'odierno opponente, al fine di scongiurare la minacciata azione esecutiva, procedeva al pagamento a mezzo bonifico, tuttavia, con la presente opposizione, non rinunciava alla contestazione e, quindi, alla ripetizione delle somme corrisposte. In particolare, l'opponente, lamentava la carenza di legittimazione attiva dell'avvocato in quanto il rapporto tra amministratore ad acta e i singoli comproprietari andava ricondotto alla fattispecie del mandato ai sensi dell'art. 1709 c.c.; quindi la preventiva autorizzazione da parte dell'assemblea. Le contestazioni nei confronti dell'amministratore ad acta Nel caso in esame, l'amministratore aveva agito per il pagamento del terzo piano di riparto nei confronti dell'opponente, immotivatamente individuato, invece che anche contro gli altri comproprietari che non avevano pagato il piano. L'amministratore ad acta, inoltre, aveva omesso del tutto di depositare il computo metrico e il relativo rendiconto di spesa al fine di consentire il riscontro dei lavori da eseguirsi ed i relativi costi, e di non aver mai investito l'assemblea di tali tematiche. Invero, il professionista si era limitato a richiedere, con i piani di riparto inviati a mezzo PEC e mai sottoposti all'assemblea, i pagamenti di ingenti somme del tutto generiche, senza mai presentare rendiconti di spesa, né tanto meno fatture a fronte dei pagamenti avvenuti. La mancanza di un verbale di assemblea in cui erano stati portati all'attenzione dei comproprietari i piani di riparto, così come di una delibera di approvazione delle stesse, costituivano prove scritte indispensabili per ottenere non soltanto l'ingiunzione di pagamento ma l'ottenimento della provvisoria esecutività del titolo a sensi dell'art. 63 dip. att. c.c. in assenza dei quali l'avvocato non poteva promuovere il procedimento monitorio. La carenza di legittimazione dell'amministratore ad acta A parere del giudicante, l'amministratore era carente di legittimazione in quanto il professionista, nominato amministratore ad acta ai sensi dell'art. 1105, comma 4 c.c., si era attivato per la emissione dell'opposto titolo senza preventivamente richiedere l'autorizzazione dell'assemblea dei condomini. Invero, costituisce orientamento consolidato quello secondo cui l'amministratore della comunione non può agire in giudizio in rappresentanza dei partecipanti contro uno dei comunisti in rappresentanza degli altri, mancando, in materia di comunione, una disposizione analoga a quella posta, per l'amministratore del condominio, dall'art. 1131 c.c., che, in via eccezionale, attribuisce a questi il potere di agire in giudizio sia contro i terzi che nei confronti dei condomini (Cass., sez. II, n. 4209/2014; Cass., sez. II, n. 15684/2006). Nel caso di specie non risultava che l'amministratore fosse stato investito del detto potere da parte dei comunisti. In conclusione, è stata dichiarata la insussistenza del diritto dell'amministratore di procedere in via esecutiva nei confronti dell'odierno opponente ad esecuzione forzata. (fonte: dirittoegiustizia.it) |