“COMI” e trasferimento fittizio della sede

La Redazione
06 Settembre 2024

Il tribunale di S.M. Capua Vetere dichiara la propria incompetenza in ragione del ritenuto carattere fittizio del trasferimento di sede della debitrice. Centrale nello sviluppo argomentativo è la questione dell’operatività delle presunzioni contenute nell’art. 27, comma 3, c.c.i.i. rispetto al concetto di “COMI” accolto dal codice della crisi.

Viene avanzato ricorso per l'apertura della liquidazione giudiziale di una società in liquidazione la cui sede era stata spostata dal circondario del tribunale di Roma a quello di S.M. Capua Vetere con delibera adottata contestualmente a quella di scioglimento e messa in liquidazione; società risultata peraltro inattiva successivamente a detto trasferimento.

Preliminarmente, il tribunale rileva la sostanziale identità tra i concetti di “sede principale dell'impresa” impiegata dalla legge fallimentare e di “centro degli interessi principali del debitore” di cui al codice della crisi; identità attestante una continuità della disciplina contenuta nei due corpi normativi.

Si evidenzia altresì che:

- nel regolamento (EU) 2015/848 relativo alle procedure di insolvenza transfrontaliere [da cui il c.c.i.i., all'art. 2, comma 1, lett. m) mutua il concetto stesso di “COMI”] operano presunzioni di competenza ancorate ad un unico criterio di collegamento: la sede legale per le società e le persone giuridiche;

- nel codice della crisi le presunzioni previste fanno riferimento, per ciascuna tipologia di debitore, ad una pluralità di criteri di collegamento: per le persone giuridiche e gli enti, la sede legale risultante dal registro delle imprese, o, in mancanza, la sede dell'attività abituale o, se sconosciuta, il luogo di residenza, domicilio, dimora o nascita del legale rappresentante.

Se le presunzioni contenute nel Regolamento hanno carattere relativo, essendo prevista la prova contraria riferita al COMI come «luogo in cui il debitore esercita la gestione dei suoi interessi in modo abituale e riconoscibile dai terzi», nel codice della crisi, mancando disposizione analoga, si fa riferimento alla Relazione al codice che indica «in una prospettiva di semplificazione» che le presunzioni dell'art. 27 sono «assolute».

Il tribunale contesta, tuttavia, tale qualificazione rilevando che:

  • in primo luogo «la qualificazione della natura della presunzione così operata, pur espressione dell'intenzione apparente del legislatore, non può ritenersi vincolante in sede interpretativa»;
  • la qualificazione delle presunzioni come assoluta «appare contrastare con la pluralità dei criteri di collegamento dettati dall'art. 27, comma 3»
  • tale qualificazione, ove condivisa, sarebbe «idonea ad annullare l'ambito applicativo della definizione stessa del COMI di cui all'art. 2 come “luogo in cui il debitore gestisce i suoi interessi in modo abituale e riconoscibile dai terzi” ovvero il luogo ove l'imprenditore organizza e dirige l'attività commerciale».
  • infine «La conclusione che precede, di attribuire valenza di presunzione assoluta ai criteri dettati dall'art. 27 e così di mettere in non cale la regola di cui all'art. 2, sarebbe inoltre in aperto contrasto con l'art. 2, comma 1, lett. f) della l. n. 155/2017 che, nel delegare l'adozione del codice della crisi, espressamente disponeva di “recepire, ai fini della disciplina della competenza territoriale, la nozione di 'centro degli interessi principali del debitore definita dall'ordinamento dell'Unione europea”».

Ritiene il Tribunale, quindi, che «in definitiva quelle previste dall'art. 27, comma 3, c.c.i.i. siano in realtà presunzioni relative, vincibili con prova contraria con riferimento al concetto di COMI dettato dall'art. 2, comma 1, lett. m) del codice» e che «al di là dell'ipotesi declinata espressamente dall'art. 28 c.c.i.i. (…) per valorizzare correttamente il dato testuale dell'art. 2, comma 1, lett. m) c.c.i.i., secondo cui il “centro degli interessi principali del debitore” è il luogo in cui il debitore gestisce i suoi interessi in modo abituale e riconoscibile dai terzi, l'operatività delle presunzioni di cui all'art. 27, comma 3, c.c.i.i. debba ritenersi non operante ove si sia in presenza di un trasferimento solo fittizio del luogo costituente il criterio di collegamento per l'individuazione del giudice competente».

Accertato, dunque, il carattere fittizio dello spostamento di sede nel circondario del tribunale, non avendo la società ivi posto un luogo di gestione dei suoi interessi in modo abituale e riconoscibile ai terzi, i giudici campani ritengono competente il tribunale di Roma, nel cui circondario si trovava la sede di provenienza.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.