Danno da usura psico-fisica: per la determinazione del risarcimento si applicano le Tabelle milanesi per la liquidazione del danno non patrimoniale

11 Settembre 2024

La sentenza in commento introduce un innovativo criterio di quantificazione del danno da usura psico-fisica, ancorandolo per la prima volta ai parametri indicati dalle Tabelle milanesi per la “sofferenza soggettiva” da inabilità temporanea. Il risarcimento del danno, in re ipsa per la violazione del fondamentale diritto costituzionale al riposo delineato dall'art. 36 Cost., risulta in questo modo molto più aderente all'effettivo pregiudizio alla vita personale, familiare e sociale patito dal dipendente a causa degli esorbitanti ritmi lavorativi.   

Il caso

Un dipendente conveniva in giudizio il datore di lavoro (e il suo committente) svolgendo una pluralità di richieste retributive, oltre alla domanda di risarcimento del danno da usura psico-fisica per l'eccessivo lavoro svolto nell'ambito di un appalto per l'esecuzione dei servizi di portierato.

Più precisamente, il lavoratore denunciava di aver svolto un numero esorbitante di ore di lavoro straordinario, di gran lunga superiore al limite di 48 ore fissato dalla normativa di settore, quantificando in modo innovativo il danno da usura psico-fisica per la lesione del diritto fondamentale al riposo statuito dall'art. 36 Cost. La difesa di parte ricorrente, infatti, evocava le tabelle del Tribunale di Milano in relazione al danno da inabilità temporanea al 100%, per un valore economico pari a 99 euro al giorno da moltiplicarsi per tutte le settimane in cui risultava superato il limite orario di legge.

Le risultanze documentali derivanti dalle buste paga acquisite in atti consentivano al giudice milanese di accertare lo spropositato numero di ore di lavoro straordinario, per una media di circa 21-22 ore settimanali; a tal fine, veniva utilizzato quale parametro di riferimento il CCNL applicato al rapporto, che fissa in 40 ore settimanali l'orario di lavoro ordinario, con una durata massima non superiore a 48 ore ogni sette giorni, calcolate come media riferita ad un periodo di 12 mesi (cfr. art. 10 CCNL per i dipendenti da istituti e imprese di vigilanza privata).

Accertato quindi per tabulas il superamento dei limiti orari massimi prescritti dalla contrattazione collettiva e, conseguentemente, la violazione dell'art. 36 Cost., il Tribunale di Milano riconosceva ipso iure l'esistenza del danno da usura-psico fisica, liquidando la somma complessiva di € 4.493,80 a favore del ricorrente e a carico del solo datore di lavoro (escludendo quindi la convenuta società committente, essendo applicabile la responsabilità solidale ex art. 29 comma 2 d.lgs. 276/2003 ai soli crediti retributivi e non a quelli di natura risarcitoria).

Le questioni

I principi di diritto

La pronuncia si inserisce nell'alveo tracciato dalla giurisprudenza di legittimità in materia, basandosi sui seguenti principi di diritto:

  •  Il danno da usura psico-fisica si configura allorché la prestazione lavorativa sia “eccedente”, ovverosia superi di gran lunga i limiti previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva e si protragga per diversi anni, avendo quindi quali elementi costitutivi i) la quantità della prestazione e ii) la sua durata (cfr. Cass. 10 maggio 2019, n. 12538);
  • è irrilevante la disponibilità allo svolgimento della prestazione lavorativa data volontariamente dal lavoratore, non potendo dunque configurarsi alcun concorso di colpa poiché, a fronte del cogente dovere di protezione ex art. 2087 c.c. a carico del datore di lavoro, la spontanea esposizione del dipendente al rischio non determina una condotta né causalmente né giuridicamente rilevante (cfr. Cass., 10 maggio 2019, n. 12538, cit.; conf. Cass., 28 novembre 2022, n. 34968; contra, sebbene ormai minoritaria nell'affermare il principio volenti non fit iniuria, Cass. 2 settembre 2015, n. 17438);
  • il danno da usura psico-fisica ha natura non patrimoniale ed è distinto dal danno biologico, poiché la sua esistenza si presume nell'an in quanto lesione al diritto fondamentale garantito dall'art. 36 Cost. (cfr. Cass., 14 luglio 2015, n. 14710);
  • la liquidazione del danno da usura psico-fisica deve essere determinata in via equitativa dal Giudice, tenendo conto della gravosità della prestazione e delle indicazioni della disciplina collettiva intesa a regolare il risarcimento de qua, da non confondere però con le maggiorazioni contrattualmente previste per la maggiore onerosità del lavoro festivo o straordinario (cfr. Cass. 14 luglio 2015, n. 14710, cit.).

Partendo da queste coordinate, il tribunale ambrosiano ribadisce che il danno da usura psico-fisica “configura un inadempimento datoriale che trova diretta copertura costituzionale nelle previsioni dell'art. 36 Cost., (trattandosi di violazione del diritto al riposo costituzionalmente protetto che per l'effetto comporta un aumento della penosità del lavoro, rilevante tanto più in quanto protrattasi per lungo tempo) con la conseguenza che in tali ipotesi sussiste una presunzione sull'an della pretesa (in quanto la valutazione della gravità dell'offesa e della serietà del pregiudizio, e quindi della sua risarcibilità, è già operata dall'ordinamento) e, semmai, la necessità di una determinazione secondo equità del danno non patrimoniale patito”.

L'aspetto innovativo della pronuncia in commento, come accennato, si rivela nella parte relativa alla determinazione del quantum risarcitorio.

Più precisamente, si applicano – a quanto consta per la prima volta nella giurisprudenza – i parametri indicati dalle Tabelle Milanesi per il danno da inabilità temporanea, con riferimento alla voce della “sofferenza soggettiva” (quantificata in 27 euro nelle Tabelle milanesi del 2021). L'importo viene applicato senza riduzioni al caso di specie, considerato che “la misura della violazione accertata è assolutamente significativa e di per sé idonea a pregiudicare i contesti di vita personale, sociale e familiare del lavoratore”.

Di particolare interesse è anche la modalità di calcolo utilizzata dal giudice meneghino: il risarcimento pari a 27 euro è riconosciuto per ogni giornata lavorativa eccedente il limite massimo delle 48 ore settimanali; ne deriva che, anno per anno, viene prima calcolata l'eccedenza settimanale, moltiplicandola poi per le 52 settimane lavorative annue. Ottenuta così l'eccedenza complessiva annua, essa viene infine moltiplicata per il valore giornaliero indicato dalle Tabelle Milanesi con riguardo alla sofferenza soggettiva (es. anno 2022, orario eccedente pari a 13,63 ore, ovverosia 1,70 giornate di eccedenza settimanale rispetto alle 48 ore massime previste dal CCNL che, moltiplicato per 52 settimane lavorative dà il risultato di 88,40 giornate annue di eccedenza lavorativa; il valore finale di 2.386,80 euro è quindi il prodotto di 88,40 giornate di eccedenza per il valore unitario pari a 27 euro di “sofferenza soggettiva” giornaliera).

L'indicazione è chiara: in mancanza di una specifica quantificazione del danno da usura psico-fisica da parte del CCNL di settore, l'utilizzo in via analogica delle maggiorazioni contrattuali previste ad altro titolo (es. lavoro festivo, lavoro straordinario, lavoro domenicale etc.) non appare adeguato alla gravità del danno da usura psico-fisica. Al contrario, l'ancoraggio alle tabelle milanesi (sul piano della voce relativa alla sofferenza soggettiva per l'inabilità temporanea) sembra più conforme all'effettivo pregiudizio derivante all'esistenza personale, familiare e sociale del dipendente sottoposto per lungo tempo a ritmi lavorativi di gran lunga superiori ai limiti massimi previsti dall'ordinamento.

La soluzione giuridica

Il contesto sistematico: il danno in re ipsa

Come accennato, la sentenza del Tribunale di Milano si colloca nel solco di un consolidato e risalente orientamento giurisprudenziale che, dopo aver preso avvio da un noto arresto delle Sezioni Unite in materia di riconoscimento del diritto al riposo settimanale (cfr. Cass., uez. un. 3 aprile 1989, n. 1607), ha progressivamente dilatato il concetto di usura psico-fisica fino ad arrivare all'affermazione di una responsabilità contrattuale da carattere usurante della prestazione lavorativa quale effetto di per sé (in re ipsa) del solo superamento delle specifiche norme costituzionali, di legge o di contrattazione collettiva relative:

i) alle ferie annuali e al riposo settimanale (cfr. Cass. 1° dicembre 2016, n. 24563; Cass. 3 settembre 2015, n. 17510);

ii) ai riposi giornalieri (cfr. Cass. 15 luglio 2019, n. 18884; Cass., 1° dicembre 2016, n. 24563; Cass., 14 luglio 2015, n. 14710);

iii) alla sistematica violazione dei limiti massimi previsti per il lavoro straordinario (Cass., 10 maggio 2019, n. 12538);

iv) allo svolgimento esorbitante dei turni di reperibilità o disponibilità (Cass., 4 gennaio 2024, n. 244; Cass., 21 luglio 2023, n. 21934; Cass. 15 dicembre 2022, n. 36839; Cass. 13 gennaio 2021, n. 436; Cass., 8 novembre 2019, n. 28938).

L'aspetto rilevante, come detto, è il fatto che in questa specifica fattispecie di responsabilità contrattuale il danno sussiste “automaticamente” sulla base della semplice violazione della norma violata (cfr., ex multis, Cass. 21 luglio 2023, n. 21934; Cass. 15 luglio 2019, n. 18884; Cass. 1° dicembre 2016, n. 24563; Cass. 4 agosto 2015, n. 16665; Cass. 25 ottobre 2013, n. 24180; nel merito, Trib. Milano, sez. lav., 8 agosto 2022, n. 1764; contra, per la necessità di allegare e provare anche le conseguenze pregiudizievoli concretamente derivate – c.d. danno conseguenza – seppure attraverso l'utilizzo delle presunzioni semplici e del fatto notorio, cfr. ex multis, Cass. 28 marzo 2017, n. 7921; Cass. 23 maggio 2014, n. 11581; Cass. 10 febbraio 2014, n. 2886; Cass. 15 maggio 2013, n. 11727; Cass. 28 giugno 2011, n. 14288; Cass. 3 luglio 2001, n. 9009).

Al netto dei citati contrasti giurisprudenziali, siamo di fronte a una particolare fattispecie di danno-evento (costruita in analogia alla disciplina antidiscriminatoria), accertabile a seguito dell'inosservanza del cogente precetto costituzionale relativo al diritto alle ferie annuali e al riposo settimanale (art. 36 comma 3 Cost.) o delle norme di legge volte a tutelare diritti fondamentali del prestatore di lavoro di rango comunque costituzionale (quali la durata massima della prestazione lavorativa ex art. 36 comma 2 Cost. o la garanzia dalle interferenze nella vita privata ex art. 2 Cost.).

In questo modo, la giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto ipso iure la tutela risarcitoria al verificarsi della lesione di qualsiasi bene giuridico personalissimo oggetto di protezione costituzionale, eurounitaria o internazionale (cfr. Cass. 21 luglio 2023, n. 21934), affermando in particolare con riferimento alla richiesta di turni di reperibilità esorbitanti che “non vi era dunque necessità che il ricorrente allegasse alcunché di specifico, perché quella misura dell'impegno di disponibilità è la negazione in sé di un tratto della vita personale e dunque un danno alla personalità morale del lavoratore, per essersi perduto il riposo ed essersi in tal modo realizzata un'interferenza illecita nella sfera giuridica inviolabile altrui (Cost., art. 2) munita in questo di specifico riconoscimento costituzionale (artt. 35, comma 1, e nei principi sottesi alla Cost., art. 36, comma 2 e 3), oltre che di riconoscimento in fonti eurounitarie (direttiva 2003/88/Ce) ed internazionali (Convenzioni OIL sull'orario di lavoro, a partire dalla n. 1 del 1919, resa esecutiva dal R.d.l. n. 1429/1923); tale lesione, come è per altri beni personalissimi, è in quanto tale perdita risarcibile, potendo anzi risultare fuorviante pretendere necessariamente l'esistenza di perdite-conseguenze diverse” (Cass. 21 luglio 2023, n. 21934, cit.).

Si tratta di una lettura evolutiva che ha un saldo ancoraggio normativo nel testo dell'art. 2087 c.c. che, come rilevato dalla stessa giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. 5 agosto 2020, n. 16711), tende a tutelare non solo l'integrità fisica del prestatore ma anche la personalità morale, con ciò facendo riferimento alla necessaria garanzia tanto del diritto alla salute (cfr. Corte Cost. 7 maggio 1975, n. 101) quanto del diritto all'esecuzione della prestazione in condizioni rispettose della dignità del lavoro.

Osservazioni

Il contesto sistematico: parametri di liquidazione del danno da usura psico-fisica in via equitativa

Come detto, la sentenza del Tribunale di Milano si distingue per l'inedito criterio utilizzato nella liquidazione in via equitativa del danno da usura psico-fisica, che si discosta totalmente dalla – seppur multiforme – prassi giurisprudenziale.

Da questo punto di vista un rapido sguardo alle numerose pronunce in materia evidenzia come le stesse, seppur caratterizzate da un'ampia discrezionalità, abbiano costantemente considerato le indicazioni della disciplina contrattuale collettiva, utilizzando in concreto i parametri più disparati.

Si è passati dal compenso previsto dalla contrattazione collettiva per il lavoro straordinario (Cass. 26 agosto 2015, n. 17154), alla maggiorazione stabilita per il lavoro notturno e festivo (Cass., 14 luglio 2015, n. 14710, cit.; Trib. Firenze, sez. lav., 11 marzo 2022, n. 179), alla retribuzione fissata per la prestazione ordinaria feriale (Trib. Bari, sez. lav., 11 gennaio 2022, n. 31), al doppio dell'indennità di reperibilità (Cass. 23 maggio 2022, n. 16582; Corte di Appello Milano, sez. lav., 10 novembre 2015, n. 959).

L'ancoraggio del risarcimento del danno da usura psico-fisica ai parametri indicati dalle Tabelle Milanesi per la “sofferenza soggettiva” derivante dall'inabilità temporanea, è quindi un unicum che – a giudizio di chi scrive – si caratterizza per la maggiore aderenza all'effettivo pregiudizio subito dal dipendente a causa dei ritmi lavorativi quantitativamente esorbitanti.   

Il contesto sistematico: differenza tra danno da usura psico-fisica e superlavoro

La pronuncia in commento è di notevole interesse anche sotto un altro profilo: essa fa riferimento al consolidato orientamento di legittimità che distingue nettamente, nell'ambito del danno non patrimoniale, l'usura psico-fisica dal superlavoro (cfr. Cass., 14 luglio 2015, n. 14710).   

In particolare, la giurisprudenza della Corte di cassazione ha ripetutamente affermato che, mentre il danno da usura psico-fisica conseguente alla violazione dell'art. 36 Cost. deve ritenersi presunto nell'an, al contrario il danno da superlavoro alla salute (o biologico) subito a causa dell'attività lavorativa usurante “in nessun caso può essere ritenuto presuntivamente sussistente e deve essere dimostrato sia nella sua sussistenza sia nel suo nesso eziologico” (cfr. Cass. 29 dicembre 2021, n. 41889; conf. Cass. 13 settembre 2016, n. 17966; Cass. 1° dicembre 2016, n. 24563, cit.; Cass. 25 ottobre 2013, n. 24180).

In concreto, dunque, può darsi il caso in cui un lavoratore, sottoposto al lavoro continuativo 7 giorni su 7 senza riposo compensativo, possa vantare – e richiedere in via giudiziale – sia il risarcimento del danno da usura psico-fisica (che si presumerà sussistente sulla base del semplice accertamento della violazione dell'art. 36 Cost.) sia il risarcimento dell'eventuale danno da superlavoro alla saluteex art. 2087 c.c. per la medesima prestazione lavorativa, ferma restando in quest'ultimo caso la necessità della rigorosa prova medico-legale del danno biologico effettivamente patito e della sua riferibilità eziologica all'inadempimento datoriale.    

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.