Beni estranei ai «bisogni della famiglia» ex art. 170 c.c.: la prova può fondarsi su presunzioni?
12 Settembre 2024
Massima La non uniformità delle decisioni di legittimità in ordine alla configurabilità di presunzioni volte a facilitare la dimostrazione degli elementi costitutivi del divieto previsto dall'art. 170 c.c. rende opportuno il rinvio della trattazione della causa alla pubblica udienza. Il caso A seguito del mancato rimborso delle rate di un mutuo, un istituto di credito iscriveva ipoteca sui beni che il debitore, unitamente al coniuge, aveva costituito in un fondo patrimoniale. A fronte di ciò, il debitore proponeva domanda contro il creditore per ottenere la cancellazione dell'ipoteca giudiziale iscritta da quest'ultimo e il risarcimento del conseguente danno, sostenendo che l'iscrizione ipotecaria, prodromica all'esecuzione forzata, era illegittima perché i beni colpiti dovevano, in virtù dell'art. 170 c.c., ritenersi sottratti all'espropriazione. Respinta la domanda così proposta, sull'assunto che l'attore non aveva provato che i debiti contratti erano estranei ai bisogni della famiglia, veniva interposto appello dal soccombente, all'esito del quale veniva ordinata, in riforma della decisione di primo grado, la cancellazione dell'ipoteca giudiziale iscritta sui beni costituiti nel fondo patrimoniale. Avverso tale decisione veniva proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo. La questione Viene sottoposta alla Suprema Corte la questione relativa alla corretta interpretazione dell'art. 170 c.c. in rapporto all'art. 2697 c.c., ritenendo il ricorrente erronea la decisione della Corte d'appello secondo la quale, poiché di norma i debiti assunti nell'esercizio dell'attività d'impresa o di quella professionale non assolvono ai bisogni della famiglia, si configura una presunzione in base alla quale detti debiti non assolvono di norma a tali bisogni, salvo prova contraria. Le soluzioni giuridiche La Suprema Corte, così investita del problema, osserva che la decisione impugnata si era fondata su un indirizzo minoritario patrocinato da alcune decisioni della giurisprudenza di legittimità; poiché siffatto orientamento si pone in contrasto con l'orientamento maggioritario sostenuto presso la stessa Suprema Corte, secondo cui «spetta al debitore dimostrare l'estraneità del debito rispetto ai bisogni della famiglia e la consapevolezza da parte del creditore, circostanze che non possono ritenersi dimostrate, né escluse, per il solo fatto dell'insorgenza del debito nell'esercizio dell'impresa», la decisione in commento afferma che «la rilevanza particolare … se non proprio nomofilattica» della questione rende necessario il rinvio del ricorso a nuovo ruolo affinché lo stesso sia deciso previa discussione in udienza pubblica. Osservazioni Da sempre l'istituto del fondo patrimoniale di cui all'art. 170 c.c. è stato prevalentemente utilizzato quale strumento di segregazione in frode ai creditori. Questa circostanza ha indotto i giudici a fornire interpretazioni della norma estremamente favorevoli ai creditori, finalizzate a permettere l'espropriabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale. Pertanto, un nutrito filone giurisprudenziale ha interpretato estensivamente la nozione di «bisogni della famiglia» fino ad ammettere che in esso «vanno incluse anche le esigenze volte al pieno mantenimento ed all'armonico sviluppo della famiglia ovvero al potenziamento della capacità lavorativa di uno dei coniugi, e vanno invece escluse solo le esigenze di natura voluttuaria o caratterizzate da interessi meramente speculativi» (si v. Cass. civ., sez. I, 25 ottobre 2021, n. 29983; Cass. civ., sez. III, 28 ottobre 2016, n. 21800; Cass. civ., sez. VI, 24 febbraio 2015, n. 3738), al punto da ritenere che anche il reddito da evasione fiscale può essere destinato al soddisfacimento dei bisogni della famiglia (Cass. civ., sez. trib., 22 febbraio 2017, n. 4593). Come è noto, l'art. 170 c.c. esclude l'espropriabilità dei beni del fondo al ricorrere di due presupposti:
Con riguardo a questi due criteri vanno poi fissati i criteri di ripartizione dell'onere probatorio. Il discorso intorno all'art. 170 c.c. richiede, infatti, di focalizzare l'attenzione, da un lato, sulla posizione da esso assegnata a debitore e creditore procedente e, dall'altro, sui limiti all'espropriabilità dei beni; limiti che, nel silenzio del legislatore, non possono che risultare dall'interpretazione dei requisiti - oggettivo e soggettivo - posti dal medesimo articolo. Come si è appena notato, la giurisprudenza maggioritaria interpreta assai estensivamente la nozione di bisogni della famiglia, al punto da non ammettere di fatto la configurabilità di debiti estranei ad essi; al contempo riconosce al debitore che si oppone all'esecuzione promossa dal creditore sui beni del fondo la possibilità di dimostrare la sussistenza del requisito soggettivo (i.e. la malafede del creditore) anche sulla base di presunzioni semplici (cfr., tra le altre, Cass. civ., sez. III, 28 dicembre 2023, n. 36312; Cass. civ., sez. III, 13 novembre 2023, n. 31575, in REF, 2024, 200; Cass. civ., sez. III, 8 febbraio 2021, n. 2904). Assai di recente, detto orientamento è stato ribadito dalla Cass. civ., sez. III, 11 aprile 2024, n. 9789 (in questa Rivista, con nota di G. Cicalese), la quale ha peraltro tentato di sminuire il contrasto venutosi a creare in seno alla stessa giurisprudenza di legittimità per effetto dei due precedenti, rappresentati:
In particolare Cass. civ., sez. III, 11 aprile 2024, n. 9789, consapevole che l'interpretazione patrocinata dalle sentenze appena citate è in grado di aggravare la posizione processuale del creditore opposto, il quale è costretto a dimostrare un fatto attinente alla sfera personale del debitore, tenta di dare una lettura di detti precedenti il più possibile conforme all'indirizzo prevalente seguito dalla giurisprudenza di legittimità, negando che essi abbiano potuto mettere effettivamente in discussione i consolidati indirizzi tradizionali secondo i quali l'estraneità dell'obbligazione ai bisogni della famiglia non può dirsi sussistente per il solo fatto che il debito derivi dall'attività professionale o d'impresa del coniuge, spettando in ogni caso al debitore l'onere di dimostrare che siffatte obbligazioni non siano state contratte per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia, ma per esigenze meramente "voluttuarie" o "speculative". La decisione in commento, invece, riconosciuta «la non uniformità delle decisioni di legittimità in ordine alla configurabilità di presunzioni volte a facilitare la dimostrazione degli elementi costitutivi del divieto previsto dall'art. 170» ha, più prudentemente, deciso di rinviare la trattazione della causa alla pubblica udienza, onde permettere l'emersione del contrasto. Siffatta scelta, a parere di chi scrive, appare condivisibile, anche per permettere un'adeguata riflessione sul tema dell'espropriabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale: è evidente che, se si fornisce un'interpretazione lata della locuzione «bisogni della famiglia», tale da farvi rientrare ogni vincolo obbligatorio idoneo a determinare un arricchimento indiretto del nucleo familiare, la prova della consapevolezza - in capo al creditore - dell'estraneità del debito per cui si procede a quelli contratti per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia risulta non solo impossibile, ma anche inutile. Ciò in quanto, anche se effettivamente può risultare che il creditore sia consapevole che il coniuge debitore sta contraendo un'obbligazione nell'ambito della sua attività professionale imprenditoriale, se poi detto debito viene considerato volto al soddisfacimento dei bisogni della famiglia, in quanto utile all'incremento della capacità lavorativa e del reddito complessivo del nucleo familiare, viene a mancare il presupposto oggettivo dell'estraneità del debito a quelli contratti per soddisfare i bisogni della famiglia, con la conseguenza che il bene è pignorabile. La Cassazione riconnettendo alla idoneità all'incremento della capacità lavorativa, del reddito e del complessivo tenore di vita della famiglia la possibilità di far rientrare i debiti contratti nell'esercizio dell'attività imprenditoriale tra quelli per i quali il creditore è ammesso a procedere esecutivamente sui beni del fondo, in quanto idonei a soddisfare indirettamente i bisogni della famiglia, fissa infatti un criterio (quello dell'idoneità a incrementare il tenore di vita della famiglia, soddisfacendo indirettamente i suoi bisogni) che, messo nelle mani del creditore procedente, diviene un vero e proprio grimaldello per scardinare il già flebile schermo di segregazione patrimoniale che caratterizza il fondo patrimoniale. Dando seguito ai principi affermati dalla giurisprudenza si finisce per sovvertire la ratio ispiratrice dell'introduzione dell'istituto del fondo patrimoniale, a mezzo del quale si intendeva perseguire un bilanciamento degli interessi, da un lato, del costituente (coniuge, terzo, ovvero - ex art. 1, comma 13, l. n. 76/2016 - unito civilmente) a non veder aggrediti determinati beni destinati al soddisfacimento dei bisogni della famiglia per effetto delle alterne fortune della propria attività lavorativa, specie se imprenditoriale; dall'altro, dei creditori. Sul piano pratico, ciò si traduce in un rischio di concreta inutilizzabilità dello strumento di segregazione in discorso. |