P.M.A. eterologa e superiore interesse del minore: quale status del figlio nato da due donne?Fonte: Trib. Lucca , 25 giugno 2024
12 Settembre 2024
Massima È rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 8 e 9, l. n. 40/2004 e dell'art. 250 c.c., in riferimento agli artt. 2,3,30,31 e 117, comma 1, Cost., nella parte in cui non consentono l'iscrizione negli atti di stato civile e, quindi, non riconoscono lo stato giuridico di figli ai bambini nati da una coppia di due donne che abbia fatto ricorso alle tecniche di P.M.A. all'estero (laddove è consentito) ovvero in Italia, pur in palese violazione del divieto di cui agli artt. 4 e 5, l. 40/2004 Il caso La vicenda trae origine dalla impugnazione da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Lucca dell'iscrizione dell'atto di nascita di un minore, nato in Italia a seguito di tecniche di procreazione medicalmente assistita (di seguito anche solo “P.M.A.”) eseguite all'estero; iscrizione che, così come effettuata dall'Ufficiale dello Stato Civile, riportava oltre al nominativo della madre che l'aveva partorito, anche quello della c.d. madre intenzionale. Il Tribunale, in particolare, ritenendo insuperabile il dato normativo, che permette il ricorso alle tecniche di P.M.A. alle sole persone «di sesso diverso», con corposa ordinanza, ravvisando un possibile vulnus di tutela del minore, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 8 e 9 l. n. 40/2004 e dell'art. 250 c.c., in riferimento agli artt. 2,3,30,31 e 117, comma 1, della Costituzione. La questione Il Collegio giudicante (con tutti e tre i giudici in funzione di relatore e ben due estensori), nelle 39 pagine di ordinanza (nella versione originale) che accompagnano il lettore verso l'inevitabile trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale, ricostruendo analiticamente il quadro normativo e giurisprudenziale, pone una domanda che, pur affondando le radici nel passato, coglie uno degli aspetti decisivi della tutela dei minori, specialmente nell'attuale momento storico. Con estrema serietà ed interesse tanto dei teorici quanto dei pratici del diritto, e nella pur immancabile diversità di approcci (anche culturali), ci si chiede: quale è lo stato giuridico dei figli nati da una coppia di due donne che abbia fatto ricorso alle tecniche di P.M.A. all'estero (laddove è consentito) ovvero in Italia, pur in palese violazione del divieto previsto dagli artt. 4 e 5, l. 40/2004 (e, segnatamente, nella parte in cui prevedono che la coppia debba essere formata da persone «di sesso diverso, coniugate o conviventi»)? E, in simili casi, l'istituto dell'adozione in casi particolari risponde alle esigenze del minore? Le soluzioni giuridiche La pronuncia tocca uno dei temi maggiormente delicati nell'ambito del diritto delle famiglie. Delle famiglie (al plurale) perché possono individuarsi una «pluralità di modelli familiari socialmente tipizzati e giuridicamente tutelati» (M. Sesta, Manuale di diritto di famiglia, Milano, 2023, p. 6); e particolarmente delicato in quanto relativo alle scelte più intimamente personali ed insindacabili dell'essere umano. Si tratta di scelte che, pur se individualmente sofferte e sicuramente in contrasto con i limiti individuati dal legislatore (così come successivamente integrati dalla Consulta: Corte cost., 10 giugno 2014, n. 162; Corte cost., 5 giugno 2015, n. 96), giammai potrebbero pregiudicare una effettiva tutela del minore. È qui che si palesa la ricchezza (senz'altro presente anche nei riferimenti giurisprudenziali) e la complessità contenutistica delle argomentazioni svolte, capaci di tracciare un lineare percorso tra le tesi ermeneutiche variamente sostenute nel corso del tempo e di cui, in questa sede, si proveranno a segnalare i più significativi aspetti. Punto di partenza, vera e propria premessa del discorso, è che «la l. n. 40/2004 non consente alle coppie omosessuali di ricorrere alle tecniche di P.M.A. eterologa», cui, infatti, possono ricorrere «le sole coppie eterosessuali, in presenza di patologie che determinino una sterilità o una infertilità assolute e irreversibili» (Trib. Lucca, ord., 25 giugno 2024). Ed invero, secondo l'art. 5, l. 40/2004, il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita è consentito esclusivamente alle «coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi», mentre l'art. 12 prevede una serie di sanzioni a carico di chi, tra l'altro, applica tecniche di P.M.A. «a coppie composte da soggetti dello stesso sesso»; la punibilità, invece, è esclusa per i soggetti – uomo o donna – ai quali le predette tecniche sono applicate. Gli artt. 8 e 9, poi, prevedono rispettivamente che «i nati a seguito dell'applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita hanno lo stato di figli nati nel matrimonio o di figli riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime» e che il «donatore di gameti non acquisisce alcuna relazione giuridica parentale con il nato e non può far valere nei suoi confronti alcun diritto né essere titolare di obblighi», sancendo altresì il divieto del disconoscimento della paternità e dell'anonimato della madre. Al riguardo, al fine di delimitare l'ambito della questione trattata, occorre precisare come il problema si pone solamente nel caso in cui il bambino sia nato in Italia; viceversa, la giurisprudenza, sulla scorta della nozione di «ordine pubblico internazionale», ritiene che possa essere trascritto nei registri degli atti dello stato civile «l'atto di nascita straniero dal quale risulti che un bambino, nato [all'estero] da un progetto genitoriale di coppia, è figlio di due madri» (Cass., sez. I, 30 settembre 2016 n. 19599; cfr. altresì Cass., sez. I, 15 giugno 2017, n. 14878; Cass., sez. I, 23 agosto 2021, n. 23319; Cass., sez. I, 23 novembre 2023, n. 32527; G. Montalcini, Genitore sociale: sì alla trascrizione dell'atto straniero di riconoscimento di un minore da parte della madre intenzionale, in IUS Famiglie, 2021). Ebbene, la questione sorge poiché i Sindaci, quali Ufficiali dello Stato civile – attenendosi alla Circolare DAIT n. 3 del 19 gennaio 2023 – in alcuni casi hanno rifiutato l'iscrizione anagrafica anche della madre intenzionale nell'atto di nascita dei minori nati in Italia (dando conseguentemente origine ai giudizi di impugnazione del diniego da parte della madre intenzionale), mentre in altri casi hanno ritenuto legittima l'iscrizione (onde, come nel caso di specie, i giudizi di impugnazione da parte della Procura della Repubblica). E, tuttavia, come emerge agevolmente dalla ordinanza in epigrafe, allo stato, appare prevalente e costante l'orientamento contrario al riconoscimento della c.d. “maternità intenzionale”; vi sarebbe, infatti, nell'univoco tenore letterale dell'enunciato normativo, letto anche in una logica sistematica, un insormontabile ostacolo non suscettibile di letture costituzionalmente orientate (le quali, in ogni caso, si esporrebbero al grave rischio di riforma in sede di gravame), onde l'impossibilità di scindere il profilo dei limiti soggettivi del ricorso alle tecniche di P.M.A. da quello della tutela giuridica del nato. In tale prospettiva, si è ulteriormente detto che il rifiuto dell'Ufficiale dello stato civile di ricevere la dichiarazione congiunta di riconoscimento del bambino nato in Italia prescinde dal luogo (vale a dire lo Stato estero) in cui sia avvenuta la pratica di fecondazione eterologa (Cass., sez. I, 3 aprile 2020, n. 7668) in quanto «il solo fatto che un divieto possa essere eluso recandosi all'estero non può costituire una valida ragione per dubitare della sua conformità a Costituzione» (Corte Cost., 23 ottobre 2019, n. 221). Ne deriva, seguendo tale ordine di idee, che il riconoscimento di un minore concepito mediante il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo da parte di una donna legata in unione civile con quella che lo ha partorito si pone in contrasto con la l. n. 40/2004, «non essendo consentita, al di fuori dei casi previsti dalla legge, la realizzazione di forme di genitorialità svincolate da un rapporto biologico, con i medesimi strumenti giuridici previsti per il minore nato nel matrimonio o riconosciuto» (Cass., sez. I, 22 aprile 2020, n. 8029). Si tratta, come risaputo, di un indirizzo formatosi con riguardo alle ipotesi in cui la madre intenzionale non aveva alcun legame biologico con il minore (Cass., sez. I, 7 marzo 2022, n. 7413; Cass., sez. I, 4 aprile 2022, n. 10844; Cass., sez. I, 13 luglio 2022, n. 22179; Cass., sez. I, 2 agosto 2023, n. 23527; Cass., sez. I, 8 agosto 2024, n. 511; Cass., sez. I, 20 febbraio 2024, n. 4448), ma che ben presto è stato esteso all'ipotesi in cui un tale legame genetico poteva comunque dirsi sussistente perché alla donna «è appartenuto l'ovulo che, fecondato, è stato impiantato nell'utero della partoriente» (Cass., sez I, 25 febbraio 2022, n. 6383, con nota di A. Di Lallo, Figlia di due donne: no alla rettifica dell'atto di nascita perché la soluzione, attualmente, è l'adozione in casi particolari, in IUS Famiglie, 2022); ciò significa (Cass., sez. I, 5 aprile 2022, n. 11078) che le concrete modalità con cui è stata eseguita la P.M.A. e, specialmente, il legame biologico di entrambe le madri con il bambino non sono idonee a scalfire il dettato normativo e ad indurre ad una diversa interpretazione, non essendo detto elemento un criterio informatore della legge. La eventuale «svolta», quindi, anche e soprattutto per i contenuti etici ed assiologici che la connotano, «non è costituzionalmente imposta, ma propriamente attiene all'area degli interventi, con cui il legislatore, quale interprete della volontà della collettività, è chiamato a tradurre il bilanciamento tra valori fondamentali in conflitto, tenendo conto degli orientamenti e delle istanze che apprezzi come maggiormente radicati, nel momento dato, nella coscienza sociale» (Cass., sez. I, 23 agosto 2021, n. 23320 e n. 23321). In definitiva, la giurisprudenza di legittimità, al pari di quella di merito (App. Milano, sez. fam., 23 gennaio 2024) si presenta senz'altro chiusa, ancorata alle più tradizionali e restrittive interpretazioni, non ritenendo che l'indicazione della doppia genitorialità sia necessaria a garantire al minore la migliore tutela possibile, atteso che l'adozione in casi particolari si presta a realizzare appieno il preminente interesse del minore alla creazione di legami parentali con la famiglia del genitore adottivo, senza che siano esclusi quelli con la famiglia del genitore biologico (Cass., sez. I, 20 febbraio 2024, n. 4448). In tale contesto, allora, si rende opportuno valutare, ancora una volta (cfr. Corte Cost., 9 marzo 2021, n. 33), se l'istituto dell'adozione in casi particolari costituisca o meno una forma di tutela adeguata ed effettiva per il minore. Al riguardo, il Tribunale, nel rimettere la questione alla Consulta ha espressamente ritenuto che l'invocato strumento, pur consentendo l'instaurazione di rapporti civili tra l'adottato ed i parenti dell'adottante (a seguito di Corte cost., 28 marzo 2022, n. 79), «non consente di assicurare al minore una tutela adeguata, in termini di effettività e celerità» (Trib. Lucca, ord., 25 giugno 2024). In particolare, non lo consentirebbe perché «non attribuisce la genitorialità all'adottante», al quale spetterebbe l'iniziativa, non potendo, viceversa, né il minore né la madre biologica rivendicare la costituzione del rapporto genitoriale tramite l'adozione; inoltre «richiede il necessario assenso del genitore biologico» (seppure con la precisazione che il genitore biologico potrebbe negare l'assenso all'adozione del partner solo nell'ipotesi in cui quest'ultimo non abbia intrattenuto alcun rapporto di affetto e di cura nei confronti del nato, oppure abbia partecipato solo al progetto di procreazione ma poi si sia disinteressato del minore: Cass., sez. un., 30 dicembre 2022, n. 38162) e pone delicati problemi di revoca del consenso al procedimento adottivo (da parte dell'adottante e del genitore biologico o del figlio ultraquattordicenne), impedendo tra l'altro la «creazione del legame tra fratelli». Se ne deduce (Trib. Lucca, ord., 25 giugno 2024), pertanto, che verrebbe leso il «diritto alla bigenitorialità» (ossia il diritto di ogni bambino ad avere due persone che si assumono sin dalla nascita la responsabilità di provvedere al suo mantenimento, alla sua educazione e istruzione, nei confronti delle quali poter vantare diritti successori, ma soprattutto poter agire in caso di inadempimento e di crisi della coppia) e che sarebbe «frustrato il diritto del minore di vedersi riconosciuta e di conservare un'identità familiare e sociale corrispondente al progetto di genitorialità realizzato» e che si consentirebbe – rischio assai grave – una inammissibile forma di discriminazione, con un inevitabile balzo nel passato. A tal fine si richiama l'attenzione sul fatto che un tempo i figli adulterini non fossero riconoscibili, al pari di quelli incestuosi e che bisognerà attendere, rispettivamente, la riforma del diritto di famiglia del 1975 e la riforma della filiazione del 2012 per far venire meno (o, comunque, vedere significativamente attenuata «avuto riguardo all'interesse del figlio e alla necessità di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio»: art. 251 c.c.) anche tale ultima forma di discriminazione; va del resto ricordato che, allo stato, l'incesto, se dà pubblico scandalo, costituisce sì reato, ma ciononostante è prevista la possibilità di azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità, nonché di riconoscimento da parte del genitore, previa autorizzazione del giudice: la nuova concezione, dunque, implica che «il riconoscimento dev'essere precluso, non in ragione di una condizione giuridica di irriconoscibilità del figlio, ma in ragione del pregiudizio che in concreto egli possa subire dal riconoscimento» (C.M. Bianca, La legge italiana conosce solo i figli, in Riv. dir. civ., 2013). Tali accorgimenti, viceversa, non sarebbero previsti per i figli di due mamme, con una lacuna che, in nome del preminente interesse del minore, chiede di essere colmata; l'interpretazione dell'art. 8 CEDU è invero nel senso che l'assenza di riconoscimento di un legame tra il bambino e la madre intenzionale è fonte di pregiudizio, lasciando il minore in una situazione di incertezza giuridica quanto alla sua identità nella società. Alcuni Autori, con maggiore impegno, si interrogano, a monte, se «l'accesso alla fecondazione assistita, ammessa soltanto per le coppie eterosessuali» possa perfino determinare «una profonda discriminazione sulla base del sesso» (M. Dogliotti, Ancora sui figli di coppie dello stesso sesso: l'autorevolezza della Cassazione, la forza della giurisprudenza di merito e la speranza... nella Corte costituzionale, in Fam. dir., n. 7/2024). Eppure, alcune aperture e sentenze precorritrici per il vero vi sono state (Trib. Padova, 5 marzo 2024; App. Brescia, 30 novembre 2023; Trib. Brescia, 16 febbraio 2023; Trib. Taranto, sez. I, 31 maggio 2022; App. Cagliari, 28 aprile 2021), riconoscendo al nato nell'ambito di un progetto di procreazione medicalmente assistita (ovviamente praticata da una coppia di donne, in quanto «per le coppie omosessuali maschili la genitorialità artificiale passa necessariamente attraverso la maternità surrogata»: Trib. Lucca, ord., 25 giugno 2024) l'attribuzione dello status di figlio di entrambi i genitori. In modo decisamente più penetrante si era già espressa la Corte Costituzionale, nonostante il dispositivo di inammissibilità della questione che, del resto, era stato subito sapientemente preceduto da un monito (o da una «incostituzionalità accertata ma non dichiarata»: A.G. Grasso, Oltre l'adozione in casi particolari, dopo il monito al legislatore. Quali regole per i nati da pma omosex e surrogazione?, in NLCC, n. 3/2021) assai intenso: la «Corte non può esimersi dall'affermare che non sarebbe più tollerabile il protrarsi dell'inerzia legislativa, tanto è grave il vuoto di tutela del preminente interesse del minore» (Corte Cost., 28 gennaio 2021, n. 32). Ma l'esperienza pratica, in disparte le timide (e senz'altro coraggiose) aperture cui si è fatto cenno, non ha saputo (o non ha potuto) fornire soluzioni generalmente condivise. Il dato testuale («possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi»: art. 5) si presenta, per l'interprete, insuperabile. E, così, nel descritto panorama, l'unico rimedio non poteva che apparire una ulteriore remissione della questione alla Corte Costituzionale, la quale sola potrà offrire un sicuro punto di riferimento, consentendo di «leggere la Carta costituzionale non come testo “separato” bensì come parte irradiante di un più ampio “ordinamento costituzionale”; ordinamento alimentato dalla “base materiale” su cui il testo poggia e che è in continua evoluzione» (così la Relazione per l'anno 2023 del Presidente della Corte costituzionale). Osservazioni Come si è visto, se il bambino nasce in Italia si esclude (indipendentemente dal legame biologico) la piena genitorialità della madre intenzionale, mentre ove dovesse nascere all’estero, si sostiene che potrebbe essere trascritto l’atto di nascita o il provvedimento giudiziale straniero, sulla base dei criteri dell’ordine pubblico internazionale. Il diritto di famiglia, però, ha conosciuto una radicale trasformazione, «una vera metamorfosi», ove «l’elemento biologico ha perduto quella primaria rilevanza che gli era stata attribuita ed è stato sostituito dall’interesse del figlio alla stabilità della relazione con chi risulti suo genitore», tanto che «ha assunto ampio rilievo la disciplina della procreazione medicalmente assistita» in cui, evidentemente, «lo stato del nato dipende non tanto dalla verità biologica quanto piuttosto dalla assunzione di responsabilità della coppia che accede alle tecniche» (M. Sesta, Ultima lezione del corso di diritto di famiglia, in Jus Civile, n. 3/2020). Leggendo l’ordinanza in commento, il giurista, tra curiosità e animate discussione dottrinali – che cattureranno l’attenzione (almeno) fino alla pronuncia della Consulta – non dovrebbe faticare, quindi, a trovare da sé la soluzione maggiormente rispondente alle esigenze del superiore interesse del minore, riconoscendo (anche in materia di P.M.A. eterologa praticata da due donne) il “diritto alla bigenitorialità”. |