Qualche timido passo verso la consolidazione sostanziale nell’ambito del piano di concordato di gruppo

Paolo Bosticco
16 Settembre 2024

La pronuncia in commento affronta alcune questioni relative al concordato preventivo di gruppo, avallando una originale soluzione per la soddisfazione dei creditori: attribuire a questi ultimi (ivi compreso l’Erario), quale alternativa al soddisfo in monetario, la titolarità di quote di una Newco costituita dagli attivi delle società in crisi.

Massime

i. Ai fini dell’ammissibilità di un concordato di gruppo non è necessario che l’attività di direzione e coordinamento permanga nel corso della procedura, essendo sufficiente che il piano preveda una strategia unitaria di soluzione della crisi.

ii. È ammissibile la proposta concordataria di gruppo che preveda il soddisfo di debiti erariali mediante l’assegnazione ai creditori di quote di una Newco costituita tra le società in crisi in base a quote proporzionali al contributo delle singole imprese del gruppo, in termini di conferimento della propria azienda, alla realizzazione del piano industriale.

iii. Il vantaggio per i creditori delle singole imprese nel concordo di gruppo può essere costituito anche dalla considerazione per le difficoltà finanziarie che incontrerebbe la singola impresa interessata nell’ambito di una procedura monistica.

Il caso

La sentenza in commento affronta alcune problematiche nel contesto di una delle più innovative soluzioni della crisi che il legislatore abbia introdotto con il codice della crisi e dell’insolvenza, ovvero il concordato preventivo di gruppo, proponendo soluzioni giustamente volte a favorire la soluzione unitaria che risponde allo spirito della nuova disciplina, fondata sulla constatazione che le sinergie di gruppo costituiscano un vantaggio non solo per le imprese nel corso della vita del gruppo, ma anche ai fini della tutela dei creditori nella fase concorsuale.

Il Tribunale felsineo, in particolare, muove da una considerazione che discende dalla stessa nozione di gruppo accolta dal legislatore, che si incentra sull’individuazione di una fattispecie di direzione e coordinamento, al fine di precisare che tale presupposto non deve necessariamente persistere per tutto il corso della procedura, essendo bastevole che il piano concordatario muova da una strategia unitaria.

La pronunzia, inoltre, fornisce un’interpretazione ampia dell’ulteriore presupposto che il legislatore ha imposto come imprescindibile ai fini dell’ammissibilità della procedura di gruppo, sancendo che ai fini dell’individuazione di un vantaggio per i creditori di ciascuna impresa concretizzato dalla scelta per la procedura unitaria, sarà anche semplicemente bastevole che questa consenta un più agevole accesso al supporto finanziario necessario per il perseguimento del risanamento.

La pronunzia, infine, nel merito della proposta concordataria viene chiamata a valutare una soluzione satisfattiva peculiare per i debiti istituzionali e conclude ammettendo che la proposta possa offrire anche a tale tipologia di creditori, quale alternativa al soddisfo in monetario (comunque proposta come prima opzione, ritenuta peraltro difficilmente realizzabile in concreto dal tribunale), una datio in solutum rappresentata dall’attribuzione di quote societarie di una newco che presenta la caratteristica peculiare di essere il prodotto del conferimento degli attivi delle imprese coinvolte nella procedura di gruppo.

Le questioni giuridiche e la soluzione

La prima questione interpretativa che si pone il tribunale felsineo trae origine dalla stessa definizione di gruppo dettata dall'art. 2 del codice della crisi che il legislatore ha voluto incentrare sulla sussistenza di un vincolo di direzione e coordinamento: trattandosi di un requisito necessario per ravvisare la presenza di un gruppo (tanto che si esclude l'applicazione del titolo VI del codice ai gruppi “paritari”: v. Cagnasso, Le modificazioni statutarie funzionali al buon esito della ristrutturazione, in Soc., 2023, 239), era legittimo chiedersi se il legislatore intendesse imporre anche la conservazione del gruppo, inteso come struttura caratterizzata dalla direzione unitaria, anche nel corso delle procedure di soluzione della crisi.

Il tribunale bolognese, sul punto, conclude che il piano non deve necessariamente prevedere il protrarsi della direzione unitaria, dovendosi dare semmai rilevanza al perseguimento nell'ambito della soluzione della crisi di una strategia di gruppo.

E forse proprio muovendo dalla valorizzazione della valenza strategica delle soluzioni unitarie della crisi, la sentenza in commento, d'altro canto, interpreta in senso estensivo l'ulteriore presupposto indispensabile per l'avvio di una procedura di gruppo, ovvero la precipua individuazione di un concreto vantaggio per i creditori della singola impresa coinvolta nella procedura unitaria rispetto al risultato ottenibile da procedure autonome.

Sul punto, i giudici felsinei ammettono che tale vantaggio possa essere rappresentato anche solo dalla considerazione per il più agevole accesso al finanziamento derivante dagli effetti sinergici del piano di gruppo ai fini della prosecuzione dell'attività, rispetto alla quale le singole imprese si troverebbero altrimenti in situazione di asfissia finanziaria. In realtà, poi, il tribunale dà atto della comparazione con varie alternative ritenute meno convenienti (ossia la liquidazione giudiziale di gruppo e la presentazione di piani separati) compiuta dalla società, ma non si evincono dal provvedimento quali siano gli aspetti di precipuo vantaggio rispetto a tali altre soluzioni.

La terza questione è quella più interessante: sin dalla riforma fallimentare del 2006 (in realtà anticipata per i concordati dal d.l. 35/2005), invero, il legislatore ha svincolato la proposta concordataria dalla rigidità di struttura che in precedenza caratterizzava l'istituto (fondata in alternativa sulla garanzia di pagamento di una percentuale superiore al 40% o sulla cessione integrale dei beni ai creditori ai fini della liquidazione, salvo l'uso di forme miste), consentendo al debitore un'ampia libertà nelle forme di soddisfo dei creditori, con l'utilizzo anche di modalità alternative al pagamento in monetario e, tra queste, l'offerta di partecipazioni in società anche di nuova costituzione e l'esecuzione di operazioni straordinarie.

Tale libertà di forme – ulteriormente sviluppata a seguito della introduzione dell'istituto del concordato in continuità – permane nel codice della crisi e trova un'ulteriore evoluzione nelle procedure di gruppo, nelle quali possono convivere esiti liquidatori con procedure conservative della continuità aziendale e nelle quali sono ammesse operazioni intra-gruppo; il tribunale felsineo è stato qui chiamato a decidere su una peculiare modalità di soddisfo, nella quale non solo ad alcune categorie di creditori “degradati” (per i privilegiati, infatti, viene previsto il pagamento nelle forme ordinarie) viene offerta una partecipazione societaria in luogo del danaro, ma questa rappresenta una quota del capitale di una newco alla cui formazione concorrono apporti provenienti da più entità del gruppo in crisi e che quindi verrà suddiviso tra più masse passive. Vero è che tale modalità di soddisfo viene indicata come alternativa rispetto ad un best case nel quale i flussi generati da un primo periodo di continuità diretta e dalla continuità indiretta, realizzata appunto tramite la newco “di gruppo”, dovrebbe consentire di pagare in danaro una percentuale ai creditori, ma è lo stesso tribunale a ritenere tale ipotesi improbabile, dovendo perciò valutare i giudici se sia ammissibile la soluzione alternativa rappresentata dall'offerta a creditori istituzionali delle quote della newco.

Sul punto il tribunale bolognese opina che la possibilità concessa dal legislatore di creare modalità di soddisfo alternativo non trovi un limite in relazione alla tipologia dei crediti per i quali viene proposta – nella fattispecie, appunto, una datio in solutum – e nulla eccepisce sul fatto che nella fattispecie la partecipazione societaria offerta derivi dall'aggregazione degli attivi di tre società e dalla successiva ripartizione del capitale della newco in funzione del valore stimato dell'apporto, modalità di indiretta separata valorizzazione dell'attivo di ogni realtà del gruppo che di fatto sembrerebbe ritenuta sufficiente dai giudici a garantire la separazione “virtuale” delle masse ai fini del soddisfo dei creditori delle singole imprese.

Osservazioni

Andando ad esaminare le problematiche affrontate dalla sentenza in commento, ci pare di dover anzitutto convenire con il tribunale felsineo nel ritenere che la sussistenza di un gruppo nell'accezione accolta dall'art. 2 del codice della crisi costituisce un presupposto per l'ammissione, ma non anche uno status che necessariamente deve permanere nel corso della procedura.

Prova ne sia il fatto stesso che l'art. 284 c.c.i.i. ammette espressamente che all'interno del concordato preventivo di gruppo possano convivere soluzioni in continuità con soluzioni liquidatorie: ciò comporta che il gruppo possa quantomeno mutare la sua composizione e nulla vieta che ne possa venir meno anche la caratteristica primaria della soggezione ad una direzione unitaria; in tal senso, taluno (v. Vattermoli (a cura di), I gruppi nel Codice della crisi, Pisa, 2020, 57) ha ritenuto che dall'avvio di una procedura possa anche scaturire la cessazione del gruppo stesso, intesa appunto come assoggettamento ad una direzione unitaria. In questo senso, ci pare ineccepibile sancire che la direzione apicale possa indebolirsi nell'ambito della procedura, riducendosi al perseguimento di una strategia comune che, del resto, mi pare per certi versi un presupposto affinché si possa concretizzare l'unitarietà del piano o l'interferenza (o il coordinamento, per usare la forma oggi suggerita dal terzo correttivo in itinere) tra piani collegati sulla quale si fonderà il vantaggio per i creditori della scelta per la procedura unica in luogo della soluzione della presentazione di procedure separate.

Interessante risulta anche l'analisi del presupposto irrinunciabile per l'ammissibilità di un concordato di gruppo (v. Trib. Treviso, 16 marzo 2023, in Fallim., 2023, 1142), costituito dalla individuazione e dalla precipua – ed attestata – quantificazione di un vantaggio specifico che i creditori di ciascuna impresa del gruppo trarranno dalla soluzione unitaria rispetto all'esito previsto nel caso di avvio di procedure distinte per ogni impresa del gruppo: la pronunzia in commento, sul punto, accoglie una nozione piuttosto elastica di vantaggio, ammettendo che possa rilevare per la singola impresa anche il più agevole accesso al supporto finanziario; vantaggio che, si noti, ha natura diversa e più indiretta rispetto alla valutazione di veri e propri apporti finanziari (ritenuti un fattore di convenienza da Trib. Bergamo 26 aprile 2023, in Fallim., 2023, 1553, con nota di Panzani).

Si tratta di una commendevole interpretazione estensiva, del resto, in linea con la nuova formulazione dei “Principi di attestazione dei piani di risanamento”) rilasciata dal Consiglio Nazionale dei dottori commercialisti nel marzo 2024, che, in tema di procedure di gruppo, ha indicato al punto 10.8.3 molteplici ragioni di maggior convenienza della soluzione aggregata che, accanto alla vantaggiosità derivante dalla continuità del gruppo ed al supporto patrimoniale per appartenenza al gruppo, elencano anche proprio il beneficio insito nel «mantenimento e/o ottenimento di mezzi finanziari da parte della capogruppo o altre società del gruppo, anche non incluse nel perimetro della ristrutturazione». D'altro canto, se si muove dalla considerazione che la nuova disciplina è mirata a preservare la valenza strategica delle sinergie connesse con l'appartenenza ad un gruppo, pur non potendosi indulgere alla generica assunzione della sussistenza di un vantaggio insito nella conservazione della struttura ed avendo voluto il legislatore sancire esplicitamente la necessità di far prevalere anche sotto tale aspetto il principio di separazione delle masse (in questo caso imponendo di individuare un precipuo beneficio che la singola impresa trae da una procedura aggregata), pare tuttavia corretto opinare che l'opzione per la procedura di gruppo possa essere supportata in funzione di un ampio ventaglio di benefici, non necessariamente monetari.

A questo rilievo sulla finalità delle procedure di gruppo si collega l'aspetto, a mio avviso, più innovativo della struttura concordataria ritenuta ammissibile dalla sentenza annotata, laddove viene concesso l'avallo ad una soluzione che consente per certi versi una – seppure forse solo apparente o comunque preordinata ad una separazione dichiarata delle masse - commistione dei patrimoni ai fini di una opzione satisfattiva dei creditori che prescinde del realizzo dell'attivo delle singole imprese del gruppo.

Sul punto, si è osservato che il legislatore della riforma concorsuale ha incentrato le procedure di gruppo sulla previsione di una procedural consolidation, ma ha ribadito la inderogabilità del principio di separazione degli attivi e delle masse passive, concedendo pochi spiragli ad una – pur invocata in passato (v. Poli, Ammissibilità e tecniche di proposizione del “concordato di gruppo” dopo l'intervento della S.C., in Fallim., 2016, 142 ss.), ma non realizzata nella riforma concorsuale (v. Vattermoli (a cura di), I gruppi nel Codice della Crisi, cit., 68) – consolidazione sostanziale, rispetto alla quale l'unica apertura sarebbe quella prevista dall'art. 285 c.c.i.i. che legittima operazioni infra-gruppo anche in ipotesi sperequate, in funzione di effettivi vantaggi compensativi.

Orbene, nella fattispecie esaminata dal tribunale bolognese questa facoltà concessa nella costruzione del piano viene sfruttata al massimo, laddove viene proposta ai creditori una soluzione della crisi che si fonda sulla creazione di una nuova entità – con sfaldamento, quindi, del gruppo preesistente – alla quale vengono conferiti gli attivi di più imprese del gruppo, per poi attuare il soddisfo dei creditori di tutte le entità del gruppo mediante i flussi generati da tale unica fonte di realizzo o, in alternativa – per l'ipotesi che risulti impossibile conseguire tale risultato in un termine fissato – direttamente con l'attribuzione a costoro delle quote della newco.

Da quanto si evince dalla pronunzia, invero, viene formalmente confermata la prescritta separazione delle masse, ma essa è rispettata solo in forma “virtuale” sulla base di una attribuzione alla massa attiva afferente a ciascuna impresa del gruppo di un valore che non corrisponde ad un esito liquidatorio diretto, bensì alla quantificazione - basata su una proporzione aritmetica – di un valore percentuale di apporto al capitale di una newco, che si tramuta solo indirettamente in un soddisfo per il ceto creditorio della singola impresa, dato dall'attribuzione di quella quota come alternativa ad un pagamento in monetario.

Pare allo scrivente che l'avallo a tale forma peculiare di soddisfo possa essere collegato proprio a quanto pocanzi si osserva in merito alla natura del vantaggio che la procedura deve rappresentare per i creditori di ciascuna impresa: apparentemente, la commistione degli attivi potrebbe apparire come un vulnus per le aspettative che, a norma dell'art. 2740 c.c., spetterebbero ai creditori sul patrimonio della loro debitrice, ma – come accennavamo – qui il meccanismo proposto per la valorizzazione dell'apporto di ciascuna entità che porta alla quantificazione della quota ad essa attribuita nel capitale della newco sembra un valido metodo per conservare in modo indiretto il valore del patrimonio e, per contro, pare credibile che lo svolgimento di un'attività mediante una nuova società che ingloba risorse prima “disperse” in tre imprese distinte possa rappresentare un risparmio di costi ed altresì garantire quella più agevole acquisizione di supporto finanziario che il tribunale felsineo ha individuato a monte come vantaggio indiretto della procedura di gruppo, che è presumibile si consolidi anche nell'ambito dell'attività svolta dalla newco.

Qualche questione irrisolta

Pur se condivisibile il ragionamento ora svolto, resta qualche dubbio legato alla difficoltà di verificare la correttezza di una valorizzazione degli apporti delle singole imprese del gruppo al risanamento che pare legato principalmente a profili reddituali futuri.

Vi è, infatti, il rischio di superare in tal modo – ed è lecito chiedersi se questa estensione fosse nelle intenzioni del legislatore – la visione sostanzialmente “statica” della valutazione comparativa con gli esiti liquidatori, che nel caso della procedura di gruppo assumono un'ulteriore non agevole connotazione, laddove occorre a monte comparare l'alternativa dell'esito satisfattivo di una procedura separata sulla singola impresa del gruppo, senza possibilità di far prevalere un interesse del gruppo – e quindi il vantaggio complessivo dei creditori – sulla tutela della massa creditoria della singola entità che esplicitamente il legislatore ha ritenuto di dover far prevalere.

Tuttavia, dal sistema introdotto con il codice della crisi pare comunque emergere un – moderato e disciplinato in modo rigoroso (si pensi alla disciplina delle maggioranze) – favor per le soluzioni in continuità e quindi non pare così astruso optare per soluzioni conservative anche ai fini di far prevalere soluzioni di gruppo della crisi, seppure basate su una disgregazione dell'attivo tradizionalmente offerto ai creditori.

Altro profilo appena accennato dalla sentenza in commento che meriterebbe uno specifico approfondimento è quello dell'impatto sul soddisfo dei creditori e dell'attribuzione ai medesimi del ricavato di azioni di responsabilità (arg. da Trib. Santa Maria Capua Vetere, 13 febbraio 2024), posto che la considerazione per tali poste ipotetiche - intese non solo come potenziali azioni verso gli organi della singola impresa, bensì anche in funzione di possibili iniziative per responsabilità intra-gruppo consentite a norma dell'art. 291 c.c.i.i. - ben potrebbe spostare economicamente gli equilibri di ogni soluzione concordataria basata sull'aggregazione degli attivi e sull'attribuzione alle singole masse creditorie di un valore determinato dalle potenzialità delle azienda.

In particolare, sotto tale profilo, sulla stessa struttura concordataria basata sugli apporti del patrimonio delle singole entità in un unico collettore, non è escluso si debba tener conto della possibile esistenza di posizioni attive per crediti risarcitori verso gli organi societari: tali posizioni, infatti, potrebbero aver influito sulla stessa residua valorizzazione degli attivi delle singole imprese, laddove in ipotesi si ravvisino crediti intra-gruppo derivanti dall'abuso di direzione unitaria che abbia danneggiato talune di esse (non senza tener conto della possibilità di inscrivere in tale ambito – quale contraltare della considerazione per il vantaggi legati ad apporti finanziari delle altre imprese del gruppo -  anche l'eventualità che questi in parte derivino dalla violazione dell'obbligo di postergazione nella gestione dei finanziamenti infra-gruppo: v. Maugeri, Finanziamenti infragruppo e codice della crisi, in Fallim., 2021, 1298, al di là della sanzione dell'inefficacia prevista dall'art. 292 c.c.i.i.: v. Miola, Crisi dei gruppi e finanziamenti infragruppo nel Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, in Riv.soc., 2019, 306).

D'altro canto, il “nuovo” art. 115 c.c.i.i. prevede il trasferimento al liquidatore giudiziale del concordato della legittimazione all'azione di responsabilità solo nel caso del concordato per cessione – e quindi non anche nei concordati in continuità –, ma consente, soprattutto, al singolo creditore di esercitare l'azione prevista dall'art. 2394 c.c., di modo che la scelta di non prevedere tra gli asset del concordato il ricavato delle azioni di responsabilità non è, in realtà, sufficiente ad escludere che taluni creditori più solerti possano esercitare l'azione a loro riservata e così acquisire un vantaggio indiretto che, pervero, equivarrebbe ad un trattamento differenziato “involontario” non considerato nella formazione delle classi.

Conclusioni

La sentenza del Tribunale di Bologna, in ogni caso, costituisce una interessante lettura evolutiva del fenomeno di gruppo, a salvaguardia delle potenzialità conservative di quelle soluzioni che sulle sinergie di gruppo siano fondate.

Per altro verso, l’opzione per l’attribuzione ai creditori – in alternativa al soddisfo monetario – di porzioni di patrimonio, mediante la costituzione di nuove realtà imprenditoriali, potrà rivelarsi assai utile nei casi in cui non vi sia la possibilità immediata di realizzare l’attivo dell’impresa in crisi e, per contro, questa non sia in grado di coalizzare garanzie idonee a supportare una previsione di pagamento dilazionato dei creditori: questi, infatti, ricevono di fatto nell’immediato il loro soddisfo sotto forma di quota partecipativa; semmai, su tale tipologia di proposta satisfattiva si dovrà esercitare un controllo approfondito di fattibilità da parte del tribunale, che dovrà estendersi anche alla ragionevole previsione in merito alla successiva “trasformazione” della quota in un effettivo valore spendibile dal creditore, ai fini di accertare la reale sussistenza e la quantificazione del soddisfo a questi destinato.

Guida all’approfondimento

Sulla rilevanza della conservazione di una struttura di gruppo all’interno della procedura unitaria, in giurisprudenza, v. Trib. Ravenna 24 febbraio 2023, e Trib. Milano 29 febbraio 2024, che ha ritenuto preclusa la soluzione concordataria in un caso in cui la “frammentazione” del gruppo scaturiva dall’assoggettamento di talune imprese ad amministrazione straordinaria. Sui presupposti per l’ammissione al concordato di gruppo, Trib. Treviso 9 marzo 2023.

In dottrina, sulla centralità del presupposto della direzione unitaria, v. Scognamiglio, I gruppi di imprese nel c.c.i.i.: fra unità e pluralità, in Soc., 2019, 413; Racugno, I gruppi di imprese nella regolazione della crisi e dell'insolvenza. Appunti, in DF, 2020, I, 1269; v. anche Minervini, La direzione unitaria nel trattamento della crisi dell’impresa di gruppo (tra Codice Civile e nuovo Codice della Crisi), in ilcaso.it, 2023.

Sulla struttura del piano concordatario di gruppo, v. AA.VV, I gruppi di imprese, in Sanzo (a cura di), Il codice della crisi dopo il d.lgs. 17 giugno 2022, n. 83, Bologna, 2022, 588 e sulla limitata consolidazione sostanziale legata all’ammissibilità di operazioni intra-gruppo, nonché sulla rilevanza della valutazione di vantaggi compensativi nell’art. 285 c.c.i.i., visto come l’unica apertura verso una substantial consolidation: Arato, La conservazione dei valori aziendali e le liquidazioni nelle procedure di gruppo, in Fallim., 2023, 1477; Galletti, Regolazioni concordatarie di gruppo e tutele giurisdizionali, in Fallim., 2022, 1494; Spiotta, La solidarietà dei “vantaggi compensativi” alla luce della normativa emergenziale e della L. n. 147/2021, in ilcaso.it, 2021; Nigro, I gruppi nel codice della crisi di impresa e dell’insolvenza: notazioni generali, in ilcaso.it, 2020.

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