L’efficacia vincolante delle sentenze penali di assoluzione nel processo tributario e nel giudizio in Cassazione

Giuseppe Durante
18 Settembre 2024

Il contributo esamina gli effetti del nuovo art. 21-bis del d.lgs. n. 74 del 2000, il quale conferisce alla sentenza irrevocabile di assoluzione pronunciata in sede penale, efficacia di giudicato nel processo tributario a carico del medesimo soggetto e riguardante gli stessi fatti materiali oggetto di valutazione.

Il nuovo rapporto tra processo tributario e processo penale ex art. 21-bis del d.lgs. n. 74/2000

Tra i principi cardine fissati dal legislatore nella legge delega per la riforma fiscale (l. n. 111/2023) in relazione alla revisione del sistema sanzionatorio penale tributario sicuramente rileva l'obiettivo di «razionalizzare il sistema sanzionatorio amministrativo e penale attraverso una maggiore integrazione tra i diversi tipi di sanzione ai fini del completo adeguamento al principio del ne bis in idem». Modifiche sostanziali che quelle riferite al nuovo sistema sanzionatorio che hanno riguardato anche il rapporto tra processo penale e processo tributario rimodulato rispetto alla situazione preesistente, sia pure solo per certi aspetti e comunque degni di nota poiché ridisegnano finalmente una possibile interazione tra il processo penale e quello tributario.

Il sistema sanzionatorio penale tributario disciplinato dal d.lgs. n. 74/2000 si fonda su un presupposto di completa autonomia e separazione tra i due procedimenti, penale e amministrativo — tributario che, come due treni che percorrono binari paralleli, sono destinati a non incontrarsi mai, pur trattandosi di giudizi riguardanti fatti comuni. Tale circostanza, che si concretizza nel divieto di sospensione di uno dei due procedimenti in pendenza dell'altro ex art. 20 d.lgs. n. 74/2000, ha inevitabilmente implicato la possibilità che i provvedimenti conclusivi dei due procedimenti possano essere tra loro contraddittori, stabilendo, da un lato nel giudizio penale, la responsabilità penale per il reato tributario e, dall'altro lato, ossia, nel giudizio amministrativo-tributario, l'annullamento della pretesa erariale oppure l'esatto contrario. La completa autonomia dei due procedimenti ha dato adito per molti anni alla cosiddetta teoria del “doppio binario”, per cui, ciascuno dei giudizi ha un suo percorso autonomo e ben definito che per nessuna ragione può influenzare la definizione dell'altro giudizio. In altre parole, come già segnalato, una presunta violazione tributaria può configurare una responsabilità tributaria del soggetto che l'ha commessa, ma non anche una responsabilità penale avendo i giudici aditi piena autonomia decisionale. Tuttavia, il cosiddetto Decreto sanzioni in attuazione della legge delega per la riforma fiscale ex l. n. 111/2023 ha cambiato lo scenario normativo sanzionatorio, disponendo una nuova possibilità di interazione tra i due procedimenti in questione.

Efficacia “vincolante” delle sentenze penali di assoluzione “piena” nel processo tributario e nel giudizio innanzi alla Corte di Cassazione

Nell'ottica di una possibile interazione tra i due procedimenti, assume speciale rilievo il nuovo articolo 21-bis del d.lgs. n. 74/2000 previsto dallo schema del c.d. Decreto Sanzioni il quale dispone in ogni stato e grado del processo tributario efficacia di giudicato alla sentenza irrevocabile di assoluzione pronunciata con le formule «perché il fatto non sussiste» o «l'imputato non lo ha commesso». Conditio imprescindibile affinché la sentenza che ha definito il giudizio penale possa diventare vincolante per il giudice tributario è che le sentenze pronunciate dal giudice penale siano divenute definitive e pertanto passate in giudicate. Ne deriva che una pronuncia di prime cure di assoluzione dell'imputato poiché il fatto non sussiste prontamente appallata nei termini di legge in sede di gravame, non può evidentemente incidere sull'andamento del processo tributario. Pertanto, solo il giudicato di assoluzione penale irrevocabile, quando pronunciato con le formule più ampie diventa vincolante per il Giudice tributario. È questa una novità di indubbio rilievo che modifica sicuramente la situazione preesistente di completa autonomia tra i due procedimenti. È importante ricordare che, secondo la giurisprudenza prevalente espressasi sul punto in base alla legislazione attualmente in vigore (Cass., 27 aprile 2019, n. 30941; Cass., 24 maggio 2024, n. 14618; Cass., n. 2051/2024) la sentenza di assoluzione penale non spiega automaticamente efficacia di giudicato nel giudizio tributario. Con la conseguenza che l'imputato assolto in sede penale potrebbe essere ritenuto responsabile fiscalmente qualora l'atto impositivo risultasse fondato sulla base di indizi validi nel giudizio tributario, seppur eventualmente insufficienti per fondare una responsabilità penale. A ciò deve aggiungersi altresì che il comma 2 del nuovo art. 21-bis, d.lgs. n. 74/2000 prevede la possibilità di depositare con memoria illustrativa anche nel giudizio davanti alla Suprema Corte di Cassazione la sentenza penale irrevocabile di assoluzione. In particolare, la previsione normativa sopra richiamata dispone testualmente: «La Corte di Cassazione assegna al pubblico ministero un termine non superiore a sessanta giorni dalla comunicazione per il deposito di osservazioni. Trascorso tale termine, se non accoglie le osservazioni, decide la causa conformandosi alla sentenza penale qualora non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto». Il comma 3 sempre dell'art. 21-bis prevede altresì che la sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste abbia efficacia vincolante per il Giudice tributario anche nei confronti di:

— persona fisica nel cui interesse ha agito il dipendente, il rappresentante legale o negoziale;

— l'ente o la società, con o senza personalità giuridica, nel cui interesse ha agito il rappresentante o l'amministratore anche di fatto;

— i singoli soci o associati delle medesime società.

Tuttavia, la portata innovativa della norma sopra richiamata impone indubbiamente di verificare l'effettivo raggiungimento degli obiettivi della legge delega. Non può non rilevarsi, innanzitutto, come le sentenze penali assolutorie emesse con formule diverse dalle due formule “piene” sopra richiamate continueranno a non esplicare, anche dopo l'entrata in vigore della riforma, efficacia di giudicato nel processo tributario. Ciò, in quanto tali formule assolutorie sono da ritenersi inidonee ad escludere ex se i fatti fiscalmente rilevanti . In secondo luogo, è importante evidenziare che la sentenza assolutoria pronunciata a seguito di giudizio abbreviato non avrebbe, stando al tenore letterale del nuovo art. 21-bis, la medesima efficacia vincolante dell'analoga sentenza emessa all'esito del giudizio ordinario di cognizione piena nel caso in cui l'imputato decide di andare a dibattimento. La differenza sostanziale, in questo caso, risiede nel fatto che la sentenza emessa all'esito del rito abbreviato, si fonda sulla valutazione delle sole prove raccolte nel corso delle indagini e non invece sulla prova formata oralmente in dibattimento. Tale soluzione sicuramente non convince in quanto determina un'ingiusta disparità di trattamento legata alla scelta del tutto discrezionale concessa all'imputato il quale ha la possibilità di decidere se procedere con il giudizio ordinario e, quindi, affrontare il dibattimento o se invece optare per uno dei riti cosiddetti alternativi (rispetto a quello ordinario). Il superamento di tale disparità potrebbe ottenersi attraverso una riformulazione della norma che, prendendo spunto dall'art. 652, comma 2, c.p.p. in tema di efficacia della sentenza penale di assoluzione nel giudizio civile o amministrativo di danno, valorizza anche la sentenza assolutoria resa nel giudizio abbreviato. Rileva segnalare altresì che il vincolo per il collegio tributario sussiste anche nel caso in cui l'Amministrazione finanziaria non si è costituita parte civile nel processo penale definito con sentenza assolutoria nei confronti dell'imputato. Lo schema del Decreto Sanzioni prevede altresì l'introduzione del nuovo comma 1-bis dell'art. 20 del d.lgs. n. 74/2000. Tale comma, rubricato «Rapporti tra procedimento penale e processo tributario» prevede la possibilità per il giudice penale di acquisire, ai fini della prova, le sentenze irrevocabili rese nel processo penale e gli atti di definitivo accertamento delle imposte in sede amministrativa, anche a seguito di adesione, laddove la contestazione penale inerisca al medesimo soggetto e ai medesimi fatti accertati in sede tributaria. È importante notare che la disposizione di nuova introduzione è tendenzialmente finalizzata:

— ad evitare l'adozione di provvedimenti discordanti tra la sede penale e la sede tributaria in relazione ai medesimi fatti e ai medesimi soggetti;

— a riconoscere una rilevanza in sede penale ai comportamenti del contribuente finalizzati a estinguere il proprio debito nei confronti dell'Erario.

Già l'attuale impianto codicistico, ovvero, l'art. 238-bis c.p.p., disciplina l'utilizzabilità della decisione definitiva del giudice tributario nell'ambito del processo penale richiedendo che la stessa venga valutata ai sensi degli artt. 187 e 192 comma 3 c.p.p. Tuttavia, la disposizione di nuova introduzione sembra essere destinata ad avere particolare rilevanza in punto di determinazione dell'imposta evasa con particolare riferimento agli illeciti previsti dal d.lgs. n. 74/2000 in relazione ai quali il quantum dell'imposta evasa segna il discrimine imprescindibile tra l'illecito penale e l'illecito amministrativo. Proprio per questo appare problematica l'attuale formulazione della norma, laddove stabilisce che sono acquisibili a fini probatori, oltre alle sentenze tributarie irrevocabili, gli atti di accertamento definitivi «anche a seguito di adesione». Da una parte, la volontà del legislatore delegato di riconoscere valenza probatoria agli accertamenti definitivi rende pleonastiche specificazioni come quella recata dall'inciso ora richiamato. È infatti irrilevante che l'accertamento sia divenuto definitivo «anche a seguito di adesione» senza contare che tale puntualizzazione si presta ad una lettura testuale che ci porta ad escludere altri istituti che hanno analoga efficacia in termini di cristallizzazione del provvedimento. Se è vero, infatti, che la norma fa riferimento agli atti resi definitivi «in sede amministrativa» e contempla espressamente l'avverbio “anche”, è altrettanto vero che l'inciso appare superfluo ben potendo una formulazione più generica ricomprendere gli atti resi definitivi, a seguito di accertamento con adesione evitando che la disposizione di nuova introduzione presti il fianco ad interpretazioni finalizzate a limitare l'efficacia probatoria dei provvedimenti in questione in ambito penale, anziché ad ampliarla il più possibile, tutto ciò, nell'ottica di un dialogo più proficuo tra i procedimenti paralleli. Il caso forse più evidente è quello della conciliazione giudiziale, istituto i cui esiti “definitori” si concretizzano in un verbale che ha lo stesso scopo che si prefigge l'atto di adesione. Ciò rileva anche in considerazione del momento preciso nel quale viene ad innestarsi la conciliazione; vale a dire in pieno processo tributario e non, come nel caso dell'adesione, in una fase antecedente ed extragiudiziale. Sarebbe pertanto auspicabile una riformulazione onnicomprensiva della norma sopra richiamata che tenga conto di tutti gli «atti di definitivo accertamento delle imposte» a prescindere dalla sede amministrativa o processuale di formazione degli stessi. Tuttavia, al netto delle incertezze sopra richiamate che implicano, ad avviso di chi scrive una rivisitazione delle nuove norme così come previste dal decreto sanzioni sugli aspetti evidenziati, è sicuramente lodevole la posizione del legislatore in attuazione della delega fiscale ex l. n. 111/2023 di avere posto finalmente le basi normative per legittimare una inevitabile interazione tra il processo penale e quello tributario.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario