Sottoscrizione digitale: se apposta è indifferente lo strumento prescelto
18 Settembre 2024
Nel caso in esame, il ricorso per cassazione, depositato a mezzo PEC presso la cancelleria della Corte di appello competente, è stato dichiarato inammissibile ai sensi dell'art. 24, comma 6-bis e comma 6-sexies, lett. a) d.l. 28 ottobre 2020, n. 137 (convertito con modificazioni dalla l. 18 dicembre 2020, n. 176) perché non firmato digitalmente dal difensore. Il legale proponeva, dunque, ricorso per cassazione avverso l'ordinanza pronunciata dalla Corte di appello, con la quale veniva dichiarata l'inammissibilità. Due i motivi di doglianza. Interessanti le statuizioni fornite dalla Suprema Corte, sotto il profilo processuale, relative al primo motivo circa la violazione dell'art. 24, comma 6-bis e comma 6-sexies, lett. a) d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, quanto alla ritenuta assenza della sottoscrizione digitale del ricorso proposto contro la sentenza di condanna. Il legale sostiene infatti: «che il file contenente l'atto di impugnazione fu redatto in formato pdf e sottoscritto con firma PAdES utilizzando il software “Arubasig n”; che all'esito della procedura di firma fu regolarmente generato un documento pdf con il suffisso “signed”; che tale documento, unitamente al mandato ad impugnare ex art. 581, comma 1-quater, c.p.p. (anch'esso sottoscritto digitalmente), fu inviato alla cancelleria della Corte di appello a mezzo PEC; che la PEC fu regolarmente ricevuta dalla cancelleria competente e tuttavia negli allegati era leggibile la firma digitale relativa alla procura, ma non quella relativa al ricorso». Secondo il difensore, infatti, «la circostanza che la firma digitale compaia nel documento generato dal sistema (che infatti reca l'estensione “_signed. pdf”), ma non sia visualizzabile nel documento pervenuto in cancelleria, rende evidente che vi è stato un malfuzionamento del software, sicché non può dirsi che la firma sia mancante e il ricorso non avrebbe potuto essere dichiarato inammissibile». Prima di esporre le riflessioni fornite dal Collegio in materia, è necessario premettere che, a far data dal 31 dicembre 2022, il quadro normativo cui si deve fare riferimento non è più quello rappresentato dall'art. 24 d.l. n. 137/2020 (citato nell'ordinanza impugnata e nei motivi di ricorso), ma quello fornito dall'art. 87-bis d.lgs. n. 150/2022 che, a tutt'oggi, consente il deposito con valore legale di atti, documenti e istanze «mediante invio dall'indirizzo di posta elettronica certificata inserito nel registro generale degli indirizzi elettronici di cui all'art. 7 del regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia 21 febbraio 2011 n. 44», purché effettuato presso gli uffici di posta elettronica certificata degli uffici giudiziari destinatari indicati in apposito provvedimento del Direttore generale per i sistemi informativi automatizzati pubblicato nel portale dei servizi telematici del Ministero della giustizia. Ciò premesso, la Suprema Corte ritiene fondato il ricorso poiché il sistema di controllo non ha rilevato un'anomalia nella sottoscrizione digitale, né ha attestato che la sottoscrizione, pur esistente, non fosse verificata o verificabile. Ha attestato, invece, che il file contenente l'atto di ricorso non era firmato. Dunque, da valutare, secondo i giudici se tale certificazione possa essere considerata frutto di un errore del sistema che ha generato l'atto o del sistema di verifica e se, nel caso di specie, ci si trovi in presenza di una sottoscrizione esistente, ma irregolare, o di una sottoscrizione mancante. Si ricordi che la possibilità di ritenere esistente una sottoscrizione digitale non riconosciuta dal sistema di verifica è stata ammessa dalla giurisprudenza recente. La quale, in un caso analogo, a fronte di documentazione dalla quale risultava che la sottoscrizione digitale era stata apposta ha ritenuto indifferente il sistema prescelto per effettuarla, rilevando che la causa di inammissibilità dell'impugnazione di cui all'art. 24 comma 6-sexies, d.l. n. 137/2020 ricorre solo quando deve escludersi che l'atto sia stato sottoscritto digitalmente. In armonia, dunque, con l'orientamento dominante il difensore sosteneva che il ricorso proposto contro la sentenza di condanna della Corte di appello sia stato sottoscritto in formato PAdES, così come il mandato ad impugnare e, a sostegno di tale affermazione, produceva una copiosa documentazione. Dall'esame degli atti e dalla consulenza tecnica, il Collegio osserva che l'affermazione contenuta nell'ordinanza impugnata, secondo la quale «il ricorso per cassazione e l'annessa procura non sono firmati digitalmente», non è corretta per quanto riguarda il file contenente la procura speciale. La mancanza della firma digitale, infatti, è stata attestata solo per quanto riguarda il file pdf contenente il ricorso, ma dalla documentazione nulla emerge circa il mandato a impugnare. Per i giudici questa è una circostanza non priva di significato poiché, spiegano, «sarebbe singolare, infatti, che, avendo sottoscritto digitalmente il mandato ad impugnare, il difensore abbia poi omesso di sottoscrivere il ricorso proposto in forza di quel mandato e tale circostanza, unitamente alla documentata presenza del logo contenente la firma digitale nei documenti visualizzati sul computer del difensore, consente di ritenere verosimile un errore del sistema che ha certificato come «non firmato» il file. Rileva in tal senso la circostanza che la mail cui erano allegati il ricorso e il mandato ad impugnare proveniva dall'indirizzo di posta certificata deI difensore di fiducia, e depone nel medesimo senso la constatazione che la firma digitale apposta in calce alla procura speciale allegata alla mail è certamente a questi ascrivibile, sicché non v'è ragione di supporre che non sia attribuibile a lui anche l'atto di ricorso». Concludono, dunque, i giudici, che il quadro indiziario fornito dalla difesa è idoneo a porre in dubbio l'effettiva mancanza della sottoscrizione digitale. Non è infatti, certo che la causa di inammissibilità prevista dall'art. 87-bis, comma 7, lett. a), d.lgs. n. 150/2022 si sia verificata. In tale situazione, appunto, la Corte, nel pieno rispetto del principio del favor impugnationis, ha annullato senza rinvio l'ordinanza che ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso. (tratto da: dirittoegiustizia.it) |