L’esdebitazione delle società di capitali
18 Settembre 2024
Ha partecipato alla stesura dell'articolo la Dott.ssa Irene Gobbo. Inquadramento L'istituto dell'esdebitazione, volto a favorire il re-inserimento dell'imprenditore insolvente e a consentirgli il c.d fresh start (S. Ambrosini, Crisi e insolvenza nuovo codice, 2022, 1041), costituisce ad oggi uno degli istituti del diritto della crisi maggiormente influenzati da scelte di politica sociale ed economica (R. Brogi, Le esdebitazioni tra legge fallimentare e Codice della crisi, in Fall. 3/2021, 293). L'esdebitazione è oggi regolata nel Capo X del Titolo V (artt. 278-283) del codice della crisi, nell'ambito della liquidazione giudiziale e della liquidazione controllata, ed è volta alla liberazione dei debiti residui del soggetto già sottoposto a procedura liquidatoria, contratti nei confronti di quei creditori che abbiano ritenuto insoddisfacente l'esito della medesima liquidazione (S. Della Rocca e F. Grieco, Il nuovo codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, Padova, 2022, 263). L'istituto è stato introdotto nel nostro ordinamento dal d.lgs. n. 5/2006 e, in quell'occasione, sono stati inseriti nella legge fallimentare gli artt. 142-144 – precedentemente occupati dalla disciplina della riabilitazione civile, abrogata da quella data –, con concessione del beneficio al solo fallito persona fisica (e non anche al fallito persona giuridica, sul presupposto che la liquidazione del patrimonio era, di regola, in contrasto con la continuità aziendale della società). Nella relazione ministeriale di accompagnamento al d.lgs. n. 5 del 2006 era espressamente sancito che «l'obiettivo è quello di recuperare l'attività economica del fallito per permettergli un nuovo inizio, una volta azzerate tutte le posizioni debitorie»; finalità, questa, derivata dalla letteratura giuridica di origine anglo-americana, la quale, definendo la ratio della bankruptcy discharge (cancellazione dei debiti pregressi), utilizza l'espressione «to make a fresh-start life». L'introduzione dell'istituto nella legge fallimentare ha rappresentato una vera e propria rivoluzione rispetto alla regola della integrale e perpetua responsabilità del debitore per la parte non soddisfatta dei debiti ai sensi dell'art. 120 l. fall., costituendo, su un piano tecnico, un vero e proprio beneficio per il debitore, tenuto conto del fatto che, escluse le cause di estinzione dell'obbligazione, egli resta tale fino a quando il debito non è integralmente pagato e ai sensi dell'art. 2740 c.c. è responsabile non soltanto con il proprio patrimonio presente ma anche con quello futuro (F. Di Marzio, Diritto dell'Insolvenza, Milano, 2023, 187). Se, da un lato, il nostro ordinamento si fonda su una regola molto stringente, quale l'art. 2740 c.c., che nel corso del tempo è apparsa eccessivamente rigorosa in quanto appartenente ad un passato volto a colpevolizzare la figura dell'imprenditore fallito [S. Della Rocca e F. Grieco, Il nuovo codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, op. cit., 264, secondo cui: «il legislatore delegante porta, così, a compimento il disegno di rottura con la concezione sanzionatoria ed individualizzante precedentemente assunta dal fallimento (segnata, anche da un punto di vista sistematico, dalla sua ridenominazione in liquidazione giudiziale) in piena continuità con i profondi mutamenti di disciplina preannunciati dai principi contenuti nell'art. 7, l. n. 155/2017»]; dall'altro lato, è stato dimostrato che il recupero del patrimonio e della dinamicità commerciale di un soggetto fallito mediante il reinserimento nel mercato economico senza i debiti residui di una precedente insolvenza avrebbe prodotto effetti economici complessivamente favorevoli. Si può ragionevolmente affermare che il debito, nel nostro ordinamento, non sia più un'eccezione ma una regola. Il legislatore europeo, da ultimo, nella Direttiva Insolvency n. 1023/2019, con riferimento all'istituto dell'esdebitazione ha richiamato espressamente la possibilità di concedere agli imprenditori onesti ma insolventi di poter beneficiare di una seconda opportunità mediante l'esdebitazione dopo un ragionevole periodo di tempo. È quindi avanzata l'opportunità di prevedere un meccanismo di discharge a fronte dell'evidenza per cui «gli imprenditori dichiarati insolventi hanno maggiori probabilità di riuscire una seconda volta» (considerando n. 72, dir. n. 1023/2019). Al fine di consentire a tali soggetti, insolventi ma onesti, di poter rientrare nel circuito del mercato economico, è stato pertanto necessario prevedere espressamente un'efficacia maggiormente estesa, rispetto al passato, dell'esdebitazione: non solo nei contratti e concordati, ma anche nelle procedure di liquidazione concorsuale. Le soluzioni negoziali che offre la disciplina relativa alla crisi d'impresa, contrattuali e deliberative, poiché si basano sulla adesione dei creditori possiedono una efficacia esdebitativa. Nelle procedure di liquidazione, invece, mancando una qualsiasi forma di rapporto contrattuale fra debitore e creditori, l'esdebitazione non può discendere, come effetto automatico, dalla chiusura della procedura. Per queste ragioni, nella procedura di liquidazione giudiziale e di liquidazione controllata l'esdebitazione diviene oggetto di una specifica procedura, in cui la decisione sulla liberazione dai crediti spetta al giudice (F. Di Marzio, Diritto dell'Insolvenza, op. cit., 188-189). Ed è su queste basi che si fonda la nuova disciplina sancita dal codice della crisi, che ha esteso, sotto più profili, l'applicazione dell'istituto:
L'estensione dell'istituto si inserisce in un più ampio contesto che ha portato ad un deciso favor verso il c.d fresh start e che trova la propria espressione non solo sul piano economico ma anche reputazionale dei soggetti coinvolti (ciò trova piena conferma anche nella previsione indicata al comma 1 dell'art. 278 c.c.i.i., secondo cui «con l'esdebitazione vengono meno le cause di ineleggibilità e di decadenza collegate all'apertura della liquidazione giudiziale»). I principi Sotto il profilo strutturale, il codice della crisi dedica all'istituto l'intero Capo X, costituito da due sezioni delle quali la prima è dedicata alla disciplina delle condizioni di accesso al beneficio (art. 280 c.c.i.i.) e del relativo procedimento (art. 281 c.c.i.i.) nella liquidazione giudiziale e nella liquidazione controllata, mentre la seconda è dedicata alla esdebitazione del soggetto sovraindebitato e, in particolare, al soggetto sottoposto a liquidazione controllata (art. 282). Il codice della crisi non fornisce, all'art. 278 c.c.i.i., una definizione di esdebitazione ma si limita ad indicarne il suo effetto principale, ossia la liberazione dai debiti (discharge) che si produce con l'inesigibilità dei crediti rimasti insoddisfatti nell'ambito di una procedura di liquidazione giudiziale o di liquidazione controllata. Per riprendere il linguaggio tecnico della direttiva, l'esdebitazione consiste nell'impossibilità giuridica di far valere le pretese creditorie nei confronti del debitore [C. Camardi, Il sovraindebitamento del consumatore e il diritto delle obbligazioni. Alcune riflessioni ai confini del sistema del diritto civile, in G. D'Amico (a cura di), Sovraindebitamento e rapporto obbligatorio, Torino, 2018]. Ci troviamo di fronte ad una causa soggettiva di inesigibilità del credito, in quanto l'esdebitazione non costituisce una causa di estinzione dell'obbligazione (M. Salerno, La riforma della crisi d'impresa, Milano, 2019, 65, per l'orientamento prevalente, che propende per la riconducibilità dell'obbligazione colpita dall'esdebitazione tra quelle naturali exart. 2034 c.c.; D. Vattermoli, L'esdebitazione tra presente e futuro, in Riv. Diritto commerciale, 2018, 3, 485, il quale afferma che «si tratta più in particolare, di un'ipotesi di obbligazione naturale atipica sopravvenuta, che presenta più di un punto di contatto con il pagamento del debito prescritto»), ma determina appunto solo l'effetto dell'inesigibilità del credito nei confronti del debitore: restano fermi – nonostante l'esdebitazione – i diritti dei creditori nei confronti di eventuali coobbligati, obbligati in via di regresso o fideiussori del debitore (art. 278, comma 4, c.c.i.i.). Ne consegue però che, in mancanza di coobbligati, fideiussori e coobbligati di regresso, l'effetto dell'esdebitazione comporta di fatto un effetto molto simile all'estinzione dell'obbligazione (R. Brogi, Le esdebitazioni tra legge fallimentare e Codice della crisi, in Fall., 2021, 293). Presupposti soggettivi L'estensione alle società di capitali La novità più rilevante introdotta dal codice della crisi è costituita, come detto, dal superamento della linea sinora invalicabile della persona fisica e dell'introduzione dell'esdebitazione anche per le società e altri enti (S. Della Rocca e F. Grieco, Il nuovo codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, cit., 263: «l'esdebitazione, pur mantenendo un necessario ancoraggio ad aspetti soggettivi positivi della figura dell'imprenditore, supera la visione individualistica in cui era stata tradizionalmente calata per ergersi in un contesto più ampio, arricchito da istanze di natura sociale e di obiettivi di politica economica finalizzati non più ad emarginare l'imprenditore insolvente, ma a renderne possibile il rinserimento nel circuito economico»). Come anticipato, si tratta di una novità rispetto al regime previgente di cui all'art. 142 l. fall., ove il beneficio dell'esdebitazione era limitato al debitore persona fisica: oggi, invece, in applicazione dei principi direttivi contenuti all' art. 8 della legge-delega 19 ottobre 2017, n. 155, il codice della crisi prevede anche l'applicabilità all'imprenditore che opera come persona giuridica o altro ente collettivo o società pubblica. Se da una semplice lettura dell'articolo parrebbe che tutti i debitori possano avvalersi dell'esdebitazione, merita precisare che essa, presupponendo o la liquidazione giudiziale o la liquidazione controllata, risulta fruibile soltanto da quei debitori che possono avvalersi delle predette procedure. Dunque, al fine di comprendere quali siano i debitori “esdebitabili” occorre guardare non soltanto all'art. 1, comma 1, c.c.i.i., ma anche all'art. 121 c.c.i.i. e all'art. 268 c.c.i.i., i quali individuano i debitori a cui si applicano, rispettivamente, la procedura di liquidazione giudiziale e quella di liquidazione controllata, finendo così per delimitare la portata dell'art. 1, comma 1, c.c.i.i. rispetto all'istituto in esame (in particolare, con riferimento alla disciplina prevista per la liquidazione giudiziale, restano escluse le imprese minori, le imprese agricole e le start up innovative). Le condizioni per l'esdebitazione Il riconoscimento del beneficio dell'esdebitazione viene accordato dal codice della crisi in ragione all'esito di un procedimento di valutazione di meritevolezza del debitore da eseguire in base ai requisiti stabiliti all'art. 280 c.c.i.i. (M. Fabiani e G.B. Nardecchia, Codice della crisi d'Impresa e dell'insolvenza, Milano, 2023, 2811: «l'esdebitazione assume un chiaro valore premiale e dunque merita di essere concessa soltanto a quei debitori che prima e durante la liquidazione giudiziale abbiano tenuto un comportamento che potremmo genericamente definire “corretto e collaborativo”»). Dalla comparazione testuale con la precedente normativa, la linea assunta dal codice della crisi non appare divergere dall'art. 142 l. fall. se non per la scomparsa della condizione oggettiva del pagamento, almeno parziale, dei creditori (art. 142, comma 2, l. fall), posto che tale condizione era già stata ridimensionata dalla giurisprudenza, che la riteneva di ostacolo alla concessione del beneficio solo laddove il soddisfacimento dei creditori fosse stato del tutto minimale [Cass. civ., sez. I, 12 maggio 2022, n. 15246: «in tema di esdebitazione, il beneficio della inesigibilità verso il fallito persona fisica dei debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti richiede, ai sensi della L. Fall., art. 142, comma 2, che vi sia stato il soddisfacimento, almeno parziale, dei creditori concorsuali. Tale condizione si intende realizzata, in un'interpretazione costituzionalmente orientata e coerente con il favor per l'istituto già formulato dalla legge delegante (della L. 14 maggio 2005, n. 80, art. 1, comma 6, lett. a), n. 13), anche quando taluni di essi non siano stati pagati affatto. È invero sufficiente che, con i riparti almeno per una parte dei debiti esistenti, oggettivamente intesi, sia consentita al giudice del merito, secondo il suo prudente apprezzamento, una valutazione comparativa di tale consistenza rispetto a quanto complessivamente dovuto (Cass., sez. un., 18 novembre 2011, n. 24214)»]. Difatti, secondo il precedente dettato normativo, la domanda di esdebitazione poteva essere avanzata solo dopo la chiusura della procedura concorsuale, e a condizione che tutti i creditori concorsuali fossero stati pagati almeno in parte (G. Scarselli, La esdebitazione della nuova legge fallimentare, in Dir. fall., 2007, I, 30). A fronte di quanto sopra, il pagamento, anche solo parziale, e non necessariamente di tutti i creditori concorsuali, costituiva, dunque, una condizione oggettiva di ammissibilità per coloro i quali erano intenzionati ad accedere al beneficio dell'esdebitazione (M. Ferro, La legge fallimentare. Commentario teorico pratico, Padova, 2014, 1860). Oggi, ai sensi dell'art. 280 c.c.i.i., per considerare il debitore meritevole di accedere all'istituto in commento, occorre che il medesimo:
Autorevole dottrina si è lungamente interrogata sull'applicazione di tali requisiti alle società e in particolar modo ci si è chiesti se gli stessi dovessero essere accertati, come oggi sancito dall'art. 278, comma 4, c.c.i.i., solo nei confronti dei soci illimitatamente responsabili e nei confronti dei legali rappresentanti della società, ovvero anche di altri soggetti in grado di impegnare l'ente o comunque collocati in funzione apicale nell'ambito della sua organizzazione, la cui condotta fosse imputabile alla società stessa: «Si pensi al caso in cui autore di una delle condotte stigmatizzate dall'art. 280 sia il direttore generale, e non il legale rappresentante, ovvero sia altro funzionario apicale di società (il direttore finanziario, rispetto alle irregolarità o lacune contabili), oppure l'organo amministrativo nel suo complesso (si pensi all'approvazione del bilancio irregolare)» (M. Centonze, L'esdebitazione di società nel codice della crisi, in Nuove Leggi Civili Commentate, n. 6, novembre 2021, 1324; v. anche G. Bettazzi, La “liberazione” dai debiti nella liquidazione giudiziale e nella liquidazione controllata, cit., 1320]. Ulteriore punto di riflessione da parte della dottrina, collegato al primo, consiste nel valutare se la "meritevolezza" debba essere effettivamente accertata, ai sensi dell'art. 278, comma 4, facendo riferimento a uno specifico referente soggettivo interno all'ente società (legale rappresentante) ovvero se tale valutazione possa essere compiuta direttamente in capo alla società (M. Centonze, op. cit., 1324; R. Brogi, Le esdebitazioni tra legge fallimentare, cit., 293). Da una semplice lettura dell'art. 280 c.c.i.i., è ragionevole poter ritenere che l'unico requisito non riferibile ad una società è quello indicato sub-a), che presuppone una condanna penale. I restanti requisiti, invece, sono agevolmente accertabili in capo ad una società, senza ricorrere al disposto dell'art. 278, comma 4. Su tale assunto, un'interpretazione letterale dell'art. 278, comma 4, c.c.i.i. avrebbe quale conseguenza una notevole estensione del novero delle società meritevoli di ottenere il beneficio dell'esdebitazione; difatti, sulla base di questo assunto, una società, oggettivamente carente di uno dei requisiti dell'art. 280 c.c.i.i., sarebbe comunque soggettivamente meritevole di ottenere l'esdebitazione, ove il fatto fosse commesso non dal socio illimitatamente responsabile o dal legale rappresentante, ma da altri soggetti pur facenti parte dell'organizzazione. Ne consegue che l'esclusione della norma circa la valutazione del comportamento della società, derivante da un'interpretazione strettamente letterale, finirebbe per includere nel giudizio di meritevolezza requisiti non attinenti con lo scopo della norma, e per questo discutibili, in quanto neutrali in termini di disvalore della situazione che la legge vuole tutelare. I creditori concorsuali ed i creditori concorrenti L'esdebitazione non coinvolge tutti i crediti concorsuali, ma soltanto quelli vantati dai creditori concorrenti (aventi diritto per causa o titolo anteriore all'apertura della procedura) che hanno partecipato al concorso presentando domanda di insinuazione al passivo. Gli altri creditori, concorsuali ma non concorrenti, così come previsto all'art. 278, comma 4, c.c.i.i., in linea con il previgente art. 144 l. fall., subiscono l'esdebitazione solo per la percentuale del credito che eccede quella di soddisfacimento dei creditori concorrenti (F. Di Marzio, Diritto dell'Insolvenza, cit., 189). Dal momento che la partecipazione al concorso non è oggetto di un obbligo, ma costituisce una semplice facoltà, affinché sia ristabilita una condizione di eguaglianza tra i creditori concorsuali i creditori non concorrenti possono richiedere l'adempimento al debitore, nella misura indicata, dopo la chiusura della procedura. E, chiaramente, su un patrimonio diverso e ulteriore da quello costituente la massa attiva attratta alla procedura (proprio perché creditori non concorrenti): quindi, in definitiva, sul patrimonio del debitore di nuova formazione, ossia formato per l'effetto dell'esercizio di una nuova attività (M. Centonze, ibidem). L'obiettivo della norma, difatti, è sia quello di consentire al debitore di realizzare il c.d. fresh start, sia quello di proteggere il debitore da iniziative di creditori che intenzionalmente rimangano fuori dalla procedura e vogliono approfittarne per ottenere un soddisfacimento magari anche superiore a quello ottenibile in moneta concorsuale. Rimangono invece esclusi dall'esdebitazione, in linea con la disciplina previgente, le obbligazioni aventi particolare natura: gli obblighi di mantenimento e alimentari e i debiti per il risarcimento dei danni extracontrattuali, nonché le sanzioni penali e amministrative di carattere pecuniario che non siano accessorie a debiti estinti, ex art. 278, comma 7, c.c.i.i.. Termini e procedimento Un'altra delle novità più significative introdotte dalla nuova disciplina del codice della crisi è la previsione, sancita all'art. 279, comma 1, che conferisce al debitore il diritto a conseguire l'esdebitazione decorsi tre anni dall'apertura della procedura[1] (quindi anticipatamente rispetto alla previgente normativa) o al momento della chiusura della stessa (R. Brogi, Le esdebitazioni, cit., 293), ove antecedente. Il contenuto del nuovo art. 279 c.c.i.i. è ispirato al recepimento nel nostro ordinamento dell'art. 21 dir. 2019/1023/UE, che nella sua prima parte, stabilisce: «...Gli Stati membri provvedono affinché il periodo trascorso il quale l'imprenditore insolvente può essere liberato integralmente dai propri debiti non sia superiore a tre anni a decorre al più tardi: a) nel caso di una procedura che comprende un piano di rimborso, dalla data della decisione adottata da un'autorità giudiziaria o amministrativa per l'omologazione del piano o dalla data d'inizio dell'attuazione del piano; oppure b) nel caso di qualsiasi altra procedura, dalla data della decisione adottata dall'autorità giudiziaria o amministrativa per l'apertura della procedura o dalla determinazione della massa fallimentare per l'imprenditore...». Il legislatore ha quindi cercato di creare un percorso facilitato per il debitore anche quando la procedura di liquidazione ha una durata superiore, permettendogli di ricorrere al c.d fresh start senza attendere i tempi di durata delle procedure concorsuali. Difatti, la durata, molto spesso eccessiva, potrebbe rappresentare una limitazione per il debitore a porre in essere una nuova attività economica, precludendogli così il ritorno nel mercato, quanto meno nel lungo periodo. Si tratta della cosiddetta esdebitazione anticipata, che ha già raccolto in dottrina numerose opinioni contrastanti ed è destinata a comportare rilevanti criticità sul piano applicativo. La dottrina, in tema di esdebitazione anticipata, si è interrogata su quali potrebbero essere gli effetti dell'istituto e se questo possa comportare una separazione tra la massa attiva acquisita alla procedura ed i beni sopravvenuti. Il legislatore, sul punto ed in maniera del tutto generica, lasciando ampio spazio anche all'interpretazione, ha previsto solamente poche disposizioni (art. 281, comma 5, c.c.i.i.), che prevedono che l'esdebitazione non abbia effetti sui giudizi in corso e sulle operazioni liquidatorie, che dunque proseguono anche successivamente alla chiusura. Sotto altro profilo, la dottrina si è interrogata sulla possibilità che il debitore non sia a conoscenza della presentazione dell'istanza di chiusura della procedura da parte del curatore. Su questo punto, l'unico elemento di certezza sembrerebbe quello che ritiene necessaria la domanda del debitore in ogni ipotesi di esdebitazione conseguente all'apertura della liquidazione giudiziale (sia quella pronunciata dopo tre anni dall'apertura della procedura, sia quella pronunciata al momento della chiusura). Sul punto, l'art. 8, lett. a), della legge-delega n. 155/2017, prevedeva chiaramente la possibilità di presentare domanda di esdebitazione subito dopo la chiusura della procedura, con la precisazione che non potevano essere ritenute sussistenti preclusioni ancorate a quest'ultima per la presentazione della domanda di esdebitazione. Diversamente, la scarsa precisione degli artt. 279, comma 1, e 281, comma 1, c.c.i.i. rispetto al principio sancito dalla legge delega è destinata a creare non poche incertezze sul piano interpretativo e applicativo. Quanto agli aspetti procedimentali, ai sensi dell'art 281 c.c.i.i., la pronuncia dell'esdebitazione nella liquidazione giudiziale può intervenire: o contestualmente al decreto di chiusura della procedura, se non sono ancora decorsi tre anni dalla data in cui è stata aperta, oppure, se tale lasso di tempo è già trascorso e la procedura è ancora pendente, quando il debitore ne fa istanza. Nonostante l'equivoco tenore della disposizione di cui al comma 1 dell'art. 281 c.c.i.i., il provvedimento dell'esdebitazione concesso in fase di chiusura, secondo la dottrina prevalente, non viene emesso d'ufficio (G. Bettazzi, La “liberazione” dai debiti nella liquidazione giudiziale e nella liquidazione controllata, cit., 1320). A tal proposito, sono numerosi gli interrogativi riguardo al se lo stesso potesse essere pronunciato d'ufficio (in senso favorevole, L. Botti, L'esdebitazione nella nuova liquidazione giudiziale, cit., 6: «In ogni caso il debitore deve essere ritenuto come l'unico soggetto che può avere interesse prima, ovvero contestualmente alla chiusura della procedura, a fa valutare il proprio comportamento per poter accedere al beneficio dell'esdebitazione”»): alcuni in dottrina ritengono che, in continuità con il regime processuale della precedente disciplina, occorra apposita istanza del debitore (L. Botti, L'esdebitazione, cit., 6), ovvero degli eredi. Pertanto, in base a tale assunto, la domanda di esdebitazione presentata dal debitore dovrà essere fornita di prove che dimostrino il requisito di meritevolezza alla base dell'istituto dell'esdebitazione. Per tale ragione risulta opportuna la previsione, di cui all'art. 281, comma 3, c.c.i.i., che evidenzia come il curatore nei rapporti riepilogativi di cui all'art. 130 c.c.i.i. debba dare conto dei fatti e delle condotte rilevanti per la concessione o il diniego del beneficio, che dovranno essere oggetto di previa valutazione da parte del tribunale. La decisione sulla domanda di esdebitazione dovrà essere assunta dopo aver sentito gli organi della procedura: tale audizione ha finalità istruttorie e non è indirizzata all'instaurazione di un effettivo contraddittorio tra le parti e, già nella precedente disciplina, veniva considerata come obbligatoria ma non vincolante [Ferro, La legge fallimentare. Commentario teorico pratico, cit., 1880; L. Panzani, Esdebitazione, in A. Jorio, M. Fabiani (diretto da), Il nuovo diritto fallimentare, Bologna, 2010, 837]. Il decreto di concessione dell'esdebitazione deve essere comunicato al pubblico ministero, agli organi della procedura e ai creditori, e, ai sensi dell'art. 281, comma 4, c.c.i.i., vi è la possibilità per tali soggetti di presentare reclamo ai sensi dell'art. 124 c.c.i.i. nel termine di trenta giorni. La forma della dichiarazione di inesigibilità dei crediti è un decreto motivato, avente natura costitutiva, ed è pronunciato dal tribunale in composizione collegiale nelle forme del rito camerale. Con la pronuncia si modifica una situazione giuridica preesistente rendendo inesigibili i crediti insoddisfatti, con conseguente efficacia non meramente dichiarativa del relativo provvedimento, bensì di carattere costitutivo. Conclusioni La riforma del codice della crisi ed in particolar modo della disciplina dell'esdebitazione risulta essere in linea con gli obiettivi, enunciati anche a livello comunitario, di proteggere il diritto del debitore onesto ma sfortunato e di agevolare un suo re-inserimento nel circuito economico, così da assumere nuovamente un ruolo attivo nell'economia, incrementando l'utilità sociale. Il legislatore ha quindi deciso di concedere il beneficio anche alla persona giuridica perché intende preservarne la ripartenza, il c.d fresh start, nella convinzione che, in assenza dell'esdebitazione, il mercato sarebbe privato di soggetti economici, ancora efficienti, che possono contribuire allo sviluppo del mercato e dell'economia. In ogni caso, stante la recente modifica della normativa, solo con l'applicazione pratica si potrà verificare se le nuove disposizioni del codice della crisi in materia di esdebitazione, ed in particolar modo con riferimento all'applicazione alle persone giuridiche nell'ambito della liquidazione giudiziale, contribuiranno ad un benessere economico collettivo ed al buon funzionamento del mercato. |