Bancarotta per distrazione e “stretto rapporto cronologico” tra condotta e fallimento
23 Settembre 2024
Massima La bancarotta fraudolenta patrimoniale ha natura di reato di pericolo concreto, la cui offensività è contraddistinta dall'effettiva possibilità che, ove per qualsiasi ragione si dia luogo ad una procedura concorsuale, l'esito della stessa venga condizionato da atti distrattivi che abbiano comunque ridotto il patrimonio disponibile con pregiudizio per la garanzia dei creditori. In questa prospettiva, ove vi sia uno stretto rapporto cronologico tra l'atto dispositivo che diminuisce la garanzia dei creditori rispetto alla successiva procedura concorsuale, la manifestazione dei presupposti storici di questa (nella forma della crisi di impresa o in quella della insolvenza o del dissesto) rende particolarmente agevole la ricostruzione della fattispecie normativa con riferimento al caso concreto, poiché diviene del tutto evidente la natura non solo pericolosa ma anche concretamente depauperativa dell'azione e la rimproverabilità soggettiva del suo autore che, della determinazione del pericolo, non può protestare un'imputazione a titolo di responsabilità oggettiva. Il caso La Corte d'appello di Caltanissetta, in parziale riforma della condanna pronunciata in primo grado, riteneva P., nella sua qualità di amministratore di fatto di G. (dichiarata fallita l'8 aprile 2014), responsabile, in concorso con F., amministratore di diritto della predetta società, dei reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale (per aver sottratto, in data 18 dicembre 2012, la complessiva somma di euro 23.000 dai conti correnti societari) e di bancarotta fraudolenta documentale (per aver sottratto o distrutto tutta la documentazione contabile allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, impedendo così la ricostruzione del patrimonio e del volume d'affari della società), assolvendoli dalla concorrente imputazione di bancarotta preferenziale perché il fatto non costituisce reato. Ha proposto ricorso P., articolando cinque motivi d'impugnazione: i) erronea qualificazione del ricorrente come amministratore di fatto; ii) insussistenza del reato di bancarotta per distrazione, non avendo natura distrattiva le due disposizioni di bonifico, che invece la Corte d’Appello ha ritenute tali senza esplicitare le ragioni per le quali le stesse sarebbero state idonee in concreto a pregiudicare la garanzia dei creditori, nonostante fossero irrilevanti sotto il profilo quantitativo e, comunque, effettuate in un periodo di normale operatività e regolare funzionamento dell'impresa; iii) e iv) insussistenza del reato di bancarotta documentale, non avendo la Corte motivato in ordine al dolo specifico proprio del reato; v) inutilizzabilità delle dichiarazioni rese de relato da un teste. La soluzione della Corte La Corte ha dichiarato inammissibile il primo motivo di ricorso, sul presupposto che il ricorrente si sarebbe limitato a sollecitare una nuova valutazione delle risultanze istruttorie (attività ermeneutica, come noto, sottratta alla competenza del Giudice di legittimità); nonché il quinto, non avendo il ricorrente assolto all'onere della c.d. “prova di resistenza”, in quanto non ha dato dimostrazione che, espunta la prova in tesi inutilizzabile, la decisione di condanna sarebbe stata tout court disarticolata. Ha invece ritenuto fondati i motivi formulati (terzo e quarto) riguardo alla bancarotta documentale fraudolenta: nella specie, in sentenza - dopo aver premesso che «il reato di bancarotta fraudolenta documentale si può manifestare nelle sue due alternative forme descritte (entrambe) al n. 2 dell'art. 216 l. fall.: l'occultamento delle scritture contabili, per la cui sussistenza è necessario il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, consistendo nella fisica sottrazione delle stesse alla disponibilità degli organi fallimentari, anche sotto forma della loro omessa tenuta, e la fraudolenta tenuta di tali scritture, che, invece, integra un'ipotesi di reato a dolo generico, che presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi» - ha sostenuto che la Corte d'Appello non avrebbe motivato in alcun modo sul dolo specifico del reato, addirittura assumendo che basterebbe la volontà di non tenere le scritture contabili per inferire, automaticamente, la volontà di recare pregiudizio ai creditori. Infine, la Suprema Corte ha ritenuto infondato il secondo motivo di ricorso. La Corte, in particolare, ha riconosciuto che il principio indicato dal ricorrente fosse corretto; ovvero che l'atto di disposizione del patrimonio dell'impresa, per assumere veste distrattiva, debba incidere, in modo concreto, sulle ragioni dei creditori. Ciò in virtù della natura di reato di pericolo concreto della fattispecie di cui all'art. 216 l. fall. La Quinta Sezione ha quindi specificato che la concretezza del pericolo, per il ceto creditorio, tanto più si può manifestare, quanto più stretto sia «il rapporto cronologico tra l'atto dispositivo che diminuisce la garanzia dei creditori rispetto alla successiva procedura concorsuale». Di conseguenza – continua la Suprema Corte – quando il rapporto cronologico si dilati, si pone un serio problema interpretativo, risultando più difficile dimostrare che il distacco patrimoniale possa aver inciso, in modo concreto, sulle legittime aspettative dei creditori ed essendo, di converso, l'imprenditore autorizzato a disporre dei beni sociali, anche in modo imprudente e/o distonico, rispetto all'interesse dell'impresa, qualora il complesso patrimoniale sia ancora in grado di farvi ragionevolmente fronte. In questi casi, dunque – si legge ancora in sentenza – il Giudice è tenuto a motivare adeguatamente sulla concretezza del pericolo per i creditori, avvalendosi dei c.d. indici di fraudolenza, ovvero elementi sintomatici che possano rappresentare, in termini di ragionevolezza, il rischio effettivo che il compimento dell'atto dispositivo avrebbe determinato per i creditori. Elementi che la Corte indica anche esemplificativamente: «Indici rinvenibili, ad esempio, nella disamina del fatto distrattivo o dissipativo alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell'impresa e della congiuntura economica in cui la condotta pericolosa per le ragioni del ceto creditorio si è realizzata; nel contesto in cui l'impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell'imprenditore o dell'amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte nei fatti depauperativi; nella "distanza" (e, segnatamente, nell'irriducibile estraneità) del fatto generatore di uno squilibrio tra attività e passività rispetto a qualsiasi canone di ragionevolezza imprenditoriale». Sulla base di queste premesse giuridiche, la Quinta Sezione ha ritenuto infondato il motivo di ricorso, assumendo che anche la distrazione di un bene irrisorio o di valore esiguo (nella specie 23.000 Euro), se vicina, cronologicamente, all'avvio della procedura fallimentare, possa risultare penalmente rilevante, se causa un depauperamento patrimoniale, in grado di incidere sugli interessi dei creditori (e dunque a prescindere dal confronto con le dimensioni dell'impresa). Nel caso scrutinato, quindi, la Corte ha rilevato che i giudici territoriali avessero correttamente evidenziato la natura distrattiva dei bonifici contestati, in ragione delle cointeressenze con i beneficiari, della loro estraneità, rispetto alle funzioni della società fallita e delle particolari condizioni nelle quali versava, al tempo, l'impresa. Osservazioni La decisione in commento appare, invero, senz'altro apprezzabile, rispetto alla ricognizione dei principi di diritto in materia di bancarotta per distrazione. Soprattutto è condivisibile il ragionamento svolto, quanto alla natura di reato di pericolo concreto e alla esigenza che il giudice valuti, approfonditamente, i c.d. indici di fraudolenza. La giurisprudenza di legittimità, infatti, al fine di adeguare la fattispecie in discorso ai principi costituzionali (ex multis, il principio di offensività), è giunta, ormai da tempo, a ritenere il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale prefallimentare reato di pericolo concreto (Cass., sez. V, 1.8.2017, n. 38396, Sgaramella; conf., Cass., sez. V, 30 aprile 2018, n. 18517, Lapis; Cass., sez. V, 7 aprile 2017, n. 17819, Palitta; Cass. sez. V, 2 novembre 2017, n. 50081, Zazzini; Cass., sez. V, 1 agosto 2017, n. 38396, Lapis; Cass., sez. V, 19 febbraio 2015, n. 33527, Giacomini; Cass., sez. V, 9 gennaio 2015, n. 19548, Merodi; Cass., sez. V, 24 febbraio 2015, n. 13590, Nardelli; Cass., sez. V, 13 marzo 2014, n. 33181, Gatti Kraus; Cass., sez. V, 3 ottobre 2013, n. 38325, Ferro. Si veda, inoltre, seppur senza la specifica indicazione di “pericolo concreto” ma con riferimenti alla effettività del pericolo, Cass., sez. V, 22 gennaio 2019, n. 2899, Signoretti; Cass., sez. V, 3 marzo 2015, n. 18210, Borella; Cass., sez. V, 14 dicembre 2012, n. 3229, Rossetto e altri; Cass., sez. V, 26 marzo 2012, n. 11633, Lombardi; Cass., sez. V, 23 marzo 2011, n. 16388, Barbato; Cass., sez. V, 23 ottobre 2007, n. 39043, Spitoni; Cass., sez. V, 11 novembre 1999, n. 12897, Tassan Din). La stessa Corte di legittimità, poi, nella sua più logica evoluzione, ha precisato che la concretezza del pericolo – derivante dall'ingiustificato distacco patrimoniale – debba essere apprezzata nella prospettiva della (prevedibile) futura insolvenza dell'impresa. La distrazione crea pericolo concreto per le ragioni creditorie, in sostanza, quando, in base della effettiva situazione aziendale, l'insolvenza appaia una prospettiva oggettivamente realistica (Cass., sez. V, 1° agosto 2017, n. 38396, Sgaramella). Inoltre è stato ulteriormente chiarito, al riguardo, che «Il pericolo previsto dalla bancarotta pre-fallimentare (…) non può che essere correlato alla idoneità dell'atto di depauperamento a creare un vulnus alla integrità della garanzia dei creditori in caso di apertura di procedura concorsuale (…) e che certamente deve poggiare su criteri "ex ante", in relazione alle caratteristiche complessive dell'atto stesso e della situazione finanziaria della società» (Cass., sez. V, 7 aprile 2017, n. 17819, cit.). La soluzione prospettata, invero, è in linea con le coordinate costituzionali (si veda l'ordinanza n. 268 del 1989, nonché le sentenze n. 265 del 2005 e n. 225 del 2008 della Corte Costituzionale), dal momento che solo il pericolo concreto di pregiudizio evita di rifluire nella ben più problematica categoria del “pericolo astratto o presunto” (si veda, in proposito, ex multis, Fiandaca, Musco, Diritto Penale, p.te generale, 173 – 178; Cass., sez. V, 7 aprile 2017, n. 17819, cit.); incompatibile, nella materia in esame, con la responsabilità penale personale, come declinata dalla Corte Costituzionale, nella nota sentenza n. 1085/1988, con riferimento all'art. 27 Cost. (Cass., sez. V, 7 aprile 2017, n. 17819, Palitta, cit.). Il pericolo astratto sarebbe, inoltre, incompatibile sia con la libertà di iniziativa economica, tutelata dall'art. 41 Cost., sia con il diritto di proprietà di cui all'art. 42 Cost. Ove, infatti, fosse sufficiente il compimento della mera condotta, per farne derivare, meccanicamente, la penale responsabilità ex art. 216 l. fall., non sarebbe più possibile operare un filtro tra scelte lecite (legittime in base alla libera disponibilità dei propri beni ed alla libertà di iniziativa economica) e scelte illecite dell'imprenditore (Cass., sez. V, 30 aprile 2018, n. 18517, Lapis, cit.). È per questo, quindi, che non ogni diminuzione di ricchezza può integrare distrazione, ma solo quella che, nel momento in cui il distacco patrimoniale avviene, sia idonea a mettere in pericolo le garanzie dei creditori in prospettiva della futura (e oggettivamente prevedibile) insolvenza. Non si tratta, invero, di una precisazione di poco momento, atteso che, come più volte evidenziato dal Giudice di legittimità, la distrazione che sia di ammontare inferiore agli utili conseguiti e non distribuiti dalla società, non configura il reato perché non espone a pericolo la garanzia dei creditori (salvo che essa sia effettuata senza il pagamento delle relative imposte) (Posto che gli utili sono destinati ai soci e non ai creditori: Cass., sez. V, 26 aprile 2011, n. 16388, PG, Barbato e altro; conf., Cass., sez. V, 7 maggio 2014, n. 32031, Daccò ; Cass., sez. V, 18 febbraio 2009, n. 12186, Ferrari). Questa conclusione resta valida, nel caso di imprese fortemente patrimonializzate, qualunque sia l'ammontare dei beni destinati a finalità diverse da quelle imprenditoriali, come rilevato dalla Corte di cassazione (Cass., sez. V, 18 settembre 2013, n. 38325, Ferro; conf., Cass., sez. V, 19 febbraio 2015, n. 33527, Giacomini5; Cass., sez. V, 9 gennaio 2015, n. 19548, Merodi7): ciò in quanto sono proprio le grandi disponibilità residue a rendere oggettivamente imprevedibile il successivo dissesto dell'impresa. L'impatto concretamente offensivo della distrazione, nei termini dianzi chiariti, infine, deve sussistere in due diversi momenti. In primo luogo, al tempo della realizzazione della condotta contestata. Occorre, cioè, attraverso il noto procedimento della c.d. “prognosi postuma” (si veda Cass., sez. V, 1 agosto 2017, n. 38396, Sgaramella, cit.), dimostrare, con valutazione ex ante, che il distacco patrimoniale sarebbe stato idoneo a penalizzare, in sede di eventuale successivo dissesto, la posizione dei creditori; già sussistendo, al momento della condotta – in ragione della effettiva situazione economica, patrimoniale e finanziaria dell'impresa – le condizioni per poter oggettivamente prevedere le future difficoltà dell'impresa medesima (con conseguente esclusione di “fattori non imputabili come un tracollo economico” o non prevedibili, interni o esterni all'impresa) (Cass., sez. V, 7 aprile 2017, n. 17819, cit.). In secondo luogo, la condotta deve mantenere intatta la propria valenza pericolosa, sino al diverso momento in cui sia stato dichiarato il fallimento (Cass., sez. V, 7 aprile 2017, n. 17819). Occorre dimostrare (Cass., sez. V, 23 ottobre 2007, n. 39043), in altre parole, che la condotta contestata abbia determinato uno squilibrio patrimoniale, tra attività e passività, perdurante e sussistente ancora al momento della dichiarazione di fallimento (come tale in grado di pregiudicare la consistenza della garanzia offerta, ai creditori, con i beni sociali. Cass., sez. V, 7 aprile 2017, n. 17819, cit.). In questo contesto, quindi, assume un rilievo essenziale anche la distanza tra il compimento dell'atto dispositivo patrimoniale e la successiva apertura della procedura concorsuale. Questo perché, quanto più ci si allontana dalla c.d. “zona di rischio penale”, rappresentata dalla prossimità della operazione al dissesto societario (Cass., sez. V, 24 marzo 2017, n. 17819, Palitta. Si veda anche Cass., sez. V, 30 aprile 2018, n. 18517); tanto più difficile diventa prevedere, oggettivamente, il successivo fallimento dell'impresa. Per effettuare il controllo sulla concretezza del pericolo, la giurisprudenza di legittimità ha fatto quindi leva sui c.d. indici di fraudolenza, elementi sintomatici della idoneità del distacco patrimoniale ad impattare, negativamente, sulle ragioni creditorie (Cass., Sez, V, 30 settembre 2022, n. 37109; Cass., sez. V, 9 dicembre 2021, n. 452304). Conclusivamente, sul punto, il distacco patrimoniale, in tanto può sussumersi nella fattispecie di distrazione pre-fallimentare, in quanto sia concretamente in grado di pregiudicare gli interessi dei creditori. Tale idoneità in concreto, deve essere indagata dal Giudice con profondità, avvalendosi degli elementi a sua disposizione e dei c.d. indici di fraudolenza, quali, esemplificativamente, la condizione patrimoniale e finanziaria dell'impresa, la congiuntura economica in cui la condotta pericolosa per le ragioni del ceto creditorio si è realizzata; il contesto in cui l'impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell'imprenditore o dell'amministratore in altre imprese coinvolte nei fatti depauperativi; l'estraneità del fatto generatore di uno squilibrio tra attività e passività rispetto a qualsiasi canone di ragionevolezza imprenditoriale; infine, ultimo ma non ultimo, la distanza cronologica tra l'atto che deprime il patrimonio e l'avvio della procedura concorsuale. Corretta l'impostazione giuridica, qualche perplessità desta, nondimeno, la decisione della Corte quando applica i principi richiamati nella vicenda posta al suo esame. L'affermazione che anche il distacco di un bene di valore irrisorio o esiguo (nel caso di specie 23.000 Euro) possa essere connotato da una concretezza del pericolo per i creditori, non appare, infatti, condivisibile; posto che proprio lo scarso contenuto patrimoniale del bene “distratto” pare in insanabile contraddizione con una idoneità concreta a danneggiare le loro aspettative. E ciò è poi tanto più vero, quando la Quinta Sezione arriva ad affermare che tale valore non debba essere messo in correlazione con le “dimensioni” patrimoniali dell'impresa: è indubbio, infatti, che la sottrazione di un bene di valore irrisorio o esiguo, dal patrimonio di una grande impresa, possa impattare in misura ancora minore sulle aspettative del ceto creditorio. Corretto appare, invece, il riferimento agli altri indici di fraudolenza – le interessenze dell'imprenditore, il contesto economico nel quale è maturata la condotta, la mancanza di valide ragioni economiche, la connessione cronologica (i fatti risalgono ad appena due anni prima della dichiarazione di fallimento) -, in quanto in linea con il consolidato orientamento di legittimità. Conclusioni In conclusione, la sentenza in commento appare apprezzabile con riguardo alla ricostruzione dei principi di diritto che sottendono alla natura della fattispecie distrattiva, quale reato di pericolo concreto; nonché con riferimento alle modalità con le quali il Giudice debba procedere al suddetto accertamento, avvalendosi dei c.d. indici di fraudolenza. Desta invece qualche perplessità il ragionamento seguito dalla Suprema Corte quando afferma che anche il distacco di un bene di valore irrisorio o esiguo possa integrare il pericolo concreto per i creditori, tanto più quando a tale affermazione faccia da pendant l’assunto che, in tali casi, si dovrebbe persino prescindere dalla consistenza patrimoniale dell’impresa. |