Rinvio al giudice civile ex art. 622 c.p.p.: la parte può proporre nuove prove e domande?
24 Settembre 2024
Massima Il giudizio innanzi alla corte d'appello civile, che si instaura a seguito di annullamento disposto dalla S.C. in sede penale ai soli effetti civili con rinvio ai sensi dell'art. 622 c.p.p., è un giudizio d'appello, con la conseguenza che non è consentito chiedere prove o formulare domande mai proposte dinanzi al giudice penale nel primo grado di giudizio, perché la scelta del danneggiato da un fatto illecito di esercitare l'azione civile nel processo penale non lo solleva dall'onere di indicare, in tale sede, il fatto costitutivo della pretesa, chiarire il petitum e formulare le istanze istruttorie. Il caso L'imputato era assolto perché il fatto non sussiste dai reati di cui all'art. 44, lettere (a) e (c), d.P.R. n. 380/2001 (Testo unico edilizia) e di cui all'art. 181, comma 1, d. lgs. n. 42/2004 (Codice dei beni culturali). La sentenza fu impugnata dalle parti civili e la Corte d'appello dichiarò prescritto il reato e condannò l'imputato al risarcimento del danno in favore delle parti civili, da liquidarsi in separata sede. La Corte di cassazione, investite dal ricorso dell'imputato, decidendo sulla domanda di risarcimento del danno, ritenne che il giudice d'appello non avesse motivato in modo sufficiente l'esistenza del reato ed in particolare l'illegittimità del contestato mutamento di destinazione d'uso; cassando con rinvio al giudice civile. La Corte d'appello rigettava la domanda risarcitoria, sul rilievo che la parti civili non avevano dimostrato di avere subito danni di sorta: non avevano infatti né dedotto, né dimostrato di avere una servitù di passaggio; né se questa fosse stata impedita dalle modifiche eseguite dal convenuto. Proposto ricorso in Cassazione, i giudici di legittimità rigettano la domanda sul rilievo che a fronte del deficit assertivo e probatorio in sede penale, era precluso alle parti colmarlo dinnanzi al giudice civile del rinvio ex art. 622 c.p.p. La questione La questione in esame è la seguente: in caso annullamento della sentenza penale ai soli effetti civili, le parti possono indicare prove o domande mai proposte dinanzi al giudice penale? Le soluzioni giuridiche L'art. 622 c.p.p. non rappresenta un elemento di novità nel panorama storico - legislativo. In effetti, assente nel codice del 1865 (che all'art. 675 prevedeva nel suddetto caso un rinvio al giudice penale), la previsione compare già nel codice Finocchiaro/Aprile del 1913, che, all'art. 525, così recitava: «Se la Corte di cassazione annulla solamente le disposizioni o i capi della sentenza che concernono l'azione civile, proposta a norma dell'art. 7 (relativo appunto all'azione civile esercitata nel processo penale), rinvia la causa al giudice civile competente per valore in grado di appello, anche se l'annullamento abbia per oggetto una sentenza della corte di assise»; mentre, nel codice del 1930, la previsione, che non ha formato oggetto di specifica considerazione nella relazione, è stata mantenuta nell'art. 541, che così recitava: «La Corte di cassazione, se annulla solamente le disposizioni o i capi della sentenza che riguardano l'azione civile proposta a norma dell'art. 23 (relativo all'esercizio dell'azione civile nel processo penale), rinvia la causa quando occorre al giudice civile competente per valore in grado di appello anche se l'annullamento ha per oggetto una sentenza inappellabile». La norma giuridica attualmente vigente, a sua volta, è del tutto corrispondente, anche formalmente, a quella che figurava nel Progetto preliminare del 1978 (sotto l'art. 586), e nella Relazione al Progetto preliminare del 1988, osservandosi (ripetendo quanto già contenuto della relazione al precedente progetto del 1978) che l'art. 622 c.p.p. detta disposizioni analoghe a quelle dell'attuale art. 541 c.p.p., aggiungendo il caso di accoglimento del ricorso della parte civile contro la sentenza di proscioglimento dell'imputato: «Quando la Corte di cassazione annulla la sentenza per i soli effetti civili, l'eventuale giudizio di rinvio - fermi restando gli effetti penali - si svolgerà davanti al giudice civile competente in grado di appello, anche se l'annullamento riguarda una sentenza inappellabile». Orbene, una volta compiuto questo breve excursus storico-normativo, si osserva che la Corte di cassazione in plurime occasioni ha precisato che, in caso di annullamento con rinvio ai soli effetti civili, il giudice civile del rinvio è tenuto a valutare la sussistenza della responsabilità dell'imputato secondo i parametri propri del giudizio civile (Cass. civ., sez. III, 14 ottobre 2021, n. 28011; Cass. civ., sez. VI, 12 giugno 2019, n. 15858; altre pronunce hanno affermato il principio opposto invocando l'applicazione delle regole del diritto penale: Cass. civ., sez. trib., 28 febbraio 2019, n. 5901; Cass. civ., sez. VI, 12 febbraio 2019, n. 4127; Cass. civ. n. 34878/2017). Per i giudici di legittimità in materia di rapporti tra processo penale e civile, la sentenza di proscioglimento dell'imputato per intervenuta prescrizione del reato, passata in giudicato, non esplica alcuna efficacia vincolante nel giudizio civile di danno, anche quando lo stesso si svolga nelle forme del giudizio di rinvio conseguente a quello penale, ex art. 622 c.p.p., giacché rispetto ad esso - sebbene regolato dagli artt. 392 - 394 c.p.c. - non è ipotizzabile un vincolo paragonabile a quello derivante dall'enunciazione del principio di diritto ex art. 384, comma 2 c.p.c. (Cass. civ., sez. III, 12 aprile 2017, n. 9358). E' indubitabile che, tecnicamente, il giudizio di rinvio sia regolato dagli artt. 392 - 394 c.p.c., ma è altrettanto evidente che non è per questo in alcun modo ipotizzabile un vincolo come quello che consegue all'enunciazione di un principio di diritto ai sensi dell'art. 384, comma 2 c.p.c.: con conseguente libertà del giudice civile nella ricostruzione dei fatti e nella loro valutazione. Tale orientamento segna il definitivo superamento dell'iniziale orientamento di legittimità (Cass. civ., sez. III, 19 gennaio 1996, n. 417; Cass. civ., sez. I, 8 aprile 2015, n. 7004) in merito al quesito se si formi o meno un giudicato interno in ordine all'azione civile in caso di condanna generica al risarcimento dei danni non impugnata dalla parte civile riguardo all'omessa liquidazione dei danni. Secondo tale orientamento, il giudicato interno formatosi nei vari gradi del processo penale deve ritenersi operante nel giudizio civile di rinvio: allorché nel giudizio penale di merito il giudice si sia limitato a pronunciare condanna generica al risarcimento e la mancata liquidazione del danno non abbia formato oggetto di impugnazione, non è consentito al giudice civile di appello, cui la causa sia stata rimessa a seguito di annullamento, ai soli effetti civili, da parte della Corte di cassazione, ampliare i limiti del decisum propri della sentenza impugnata, procedendo alla liquidazione del danno. Nell'ipotesi di annullamento ai soli effetti civili della sentenza penale contenente condanna generica al risarcimento del danno, si determina una piena translatio del giudizio sulla domanda risarcitoria al giudice civile competente per valore in grado di appello, il quale può procedere alla liquidazione del danno anche nel caso di mancata impugnazione dell'omessa pronuncia sul quantum ad opera della parte civile, atteso che, per effetto dell'impugnazione dell'imputato contro la pronuncia di condanna penale - la quale estende la sua efficacia a quella di condanna alle restituzioni ed al risarcimento del danno, ai sensi dell'art. 574, comma 4 c.p.p. - deve escludersi che si sia formato il giudicato interno sull'azione civile, sicché questa viene sottoposta alla cognizione del giudice del rinvio nella sua integrità, senza possibilità di scissione della decisione sull'an da quella sul quantum (Cass. civ., sez. III, 20 giugno 2017, n. 15182; Cass. civ., sez. III, 25 settembre 2018, n. 22570). Viene così valorizzato, in primo luogo, il fondamento dell'impostazione, nuova rispetto alla tradizione, adottata dal legislatore del 1988 ed orientata verso l'evidente valorizzazione dell'autonomia della giurisdizione civile rispetto a quella penale, specificandosi ancora che il contenuto del giudizio di rinvio non può essere compresso e/o ridotto dal giudice remittente in contrasto con il dettato normativo: il remittente indicherà al giudice del rinvio quel che ancora deve essere accertato, ma non potrà vietargli di pervenire alla decisione conclusiva sulla domanda civile, poiché l'art. 622 c.p.p. non gli attribuisce il potere di imporre a chi ha esercitato l'azione civile in sede penale in modo completo - e quindi non chiedendo soltanto una condanna generica - una obbligatoria scissione della decisione sull'an da quella sul quantum, costringendolo ad un processo ulteriore, e quindi ad un - incostituzionale, perché di per sé non necessario incremento del tempo necessario per far valere compiutamente il proprio diritto. La morfologia del giudizio di rinvio ex art. 394, comma 3 c.p.c., ricostruita in termini di autonomia strutturale e funzionale rispetto al processo penale ormai conclusosi, consente di ritenere legittima, oltre alla possibilità di formulazione di nuove conclusioni sorte in conseguenza di quanto rilevato dalla sentenza di cassazione penale, anche l'emendatio della domanda ai fini della prospettazione degli elementi costitutivi dell'illecito civile, sia pur nei limiti del sistema generale delle preclusioni fissato dall'art. 183 c.p.c., alla luce del recente insegnamento delle sezioni unite (Cass. civ., sez. un., 15 giugno 2015, n. 12310). Osservazioni La pronuncia in commento si occupa della disciplina, processuale e probatoria, applicabile nel giudizio di rinvio innanzi alla Corte d'appello civile a seguito di annullamento disposto dalla Corte di cassazione penale ai soli effetti civili ai sensi dell'art. 622 c.p.p., con specifico riferimento alla eventuale ineludibilità del vincolo posto al giudice civile dalla sentenza della Corte di cassazione penale in ordine ai criteri processuali e probatori applicabili, così come indicati nella sentenza rescindente, anche a prescindere dalla relativa conformità a diritto. E' noto che il sindacato della Corte di Cassazione sulla sentenza del giudice di rinvio, gravata di ricorso per infedele esecuzione dei compiti affidati con la precedente pronunzia di annullamento, si risolve nel controllo dei poteri propri di detto giudice per effetto di tale affidamento e dell'osservanza dei relativi limiti la cui estensione varia a seconda che l'annullamento stesso sia avvenuto per violazione di norme di diritto, ovvero per vizi della motivazione in ordine a punti decisivi della controversia:
Pertanto, quando il giudizio penale si conclude perché il giudice di legittimità annulla solamente le disposizioni o i capi che riguardano l'azione civile oppure accoglie il ricorso della parte civile contro la sentenza di proscioglimento dell'imputato (ricorso in tal caso proposto soltanto, è ovvio, dalla parte civile) - così si esprime il legislatore nell'art. 622 c.p.p. - la rimessione al giudice civile quale giudice di rinvio significa inevitabilmente conferirgli la cognizione di tutto quanto ancora non è stato deciso con pronuncia passata in giudicato a proposito della domanda civile che la parte civile aveva inserito nel giudizio penale. Non sussiste, quindi, una scissione paragonabile a quella dell'ipotesi di rimessione ex art. 539 c.p.p.: quel che residua della regiudicanda come riguardante la domanda civile viene tutto convogliato davanti «al giudice civile competente per valore in grado di appello». E, anche se il giudizio è di rinvio, il suo contenuto non può essere compresso e/o ridotto dal giudice remittente in contrasto con il dettato normativo. Il giudice remittente indicherà al giudice del rinvio quel che ancora deve essere accertato, ma non potrà vietargli di pervenire alla decisione conclusiva sulla domanda civile, poiché l'art. 622 c.p.p. non gli attribuisce il potere di imporre a chi ha esercitato l'azione civile in sede penale in modo completo - e quindi non chiedendo soltanto una condanna generica - una obbligatoria scissione della decisione sull'an da quella sul quantum, costringendolo ad un processo ulteriore, e quindi a un - incostituzionale, perché di per sé non necessario incremento del tempo necessario per far valere compiutamente il proprio diritto. Né, peraltro, è sostenibile che il danneggiato assuma una nuova posizione o apporti addirittura del novum qualora chieda anche il quantum: a parte, appunto, l'ipotesi in cui si sia costituito parte civile per ottenere solo una condanna generica, esercitando l'azione civile nell'ambito del giudizio penale persegue la completa tutela del suo diritto esattamente come l'avrebbe potuta perseguire in sede civile, con l'unica eccezione - giustificata dalla insufficienza probatoria della fattispecie di cui all'art. 539 c.p.p. (specchio che riflette l'ipotesi dell'art. 278 c.p.c., con la differenza che il giudice penale deferisce ad altro giudice, quello civile, la seconda fase accertatoria), non applicabile nel giudizio di legittimità, dove sussiste una norma specifica, che è appunto l'art. 622 c.p.p. E tantomeno non può sostenersi l'esistenza di una lesione del diritto di difesa della controparte del danneggiato, essendo stata anch'essa parte nel giudizio penale in cui il danneggiato ha - in toto, si ripete, tranne espressa sua limitazione alla condanna generica - esercitato l'azione ed essendo quindi stata ritualmente posta nelle condizioni di difendersi dall'integrale domanda della parte civile. Si è dunque al cospetto, giusta il disposto dell'art. 622 c.p.p. così correttamente interpretato, di una sostanziale, definitiva ed integrale translatio iudicii dinanzi al giudice civile, con la conseguenza che rimane del tutto estranea all'assetto del giudizio di rinvio la possibilità di applicazione di criteri e regole probatorie, processuali e sostanziali, tipiche della fase penale esauritasi a seguito della pronuncia della Cassazione, atteso che la funzione di tale pronuncia, al di là della restituzione dell'azione civile all'organo giudiziario a cui essa naturaliter appartiene, è limitata a quella di operare un trasferimento della competenza funzionale dal giudice penale a quello civile, essendo propriamente rimessa in discussione la res in iudicium deducta, nella specie costituita da una situazione soggettiva ed oggettiva del tutto autonoma (il fatto illecito) rispetto a quella posta a fondamento della doverosa comminatoria della sanzione penale (il reato), attesa la limitata condivisione, tra l'interesse civilistico e quello penalistico, del solo punto in comune del "fatto" (e non della sua qualificazione), quale presupposto del diritto al risarcimento, da un lato, e del dovere di punire, dall'altro. Tuttavia, l'oggetto della domanda risarcitoria ex art. 185 c.p. avanzata al momento della costituzione di parte civile è il medesimo che sarà conosciuto dal giudice civile cui la cassazione penale rinvia la causa ai sensi dell'art. 622 c.p.p. La Corte di cassazione penale nel momento in cui, su accoglimento del ricorso di volta in volta presentato dalla parte civile oppure dall'imputato, dispone il rinvio della causa agli effetti civili di fronte al giudice civile, sposta la causa risarcitoria, nel senso che la trasferisce, già pendente di fronte al giudice penale, di fronte al giudice civile. Il giudizio di rinvio è dunque la fase rescissoria del giudizio di Cassazione. La conclusione del discorso è pertanto che il giudizio di fronte al giudice civile è autonomo dalla causa penale, ma non anche dal processo penale, non è una sorta di primo e unico grado, ma rappresenta appunto la traslatio e quindi la prosecuzione dell'azione civile già proposta in sede penale. Dal momento in cui si ha la translatio della domanda risarcitoria, è evidente che quella causa sia già pendente; da ciò si debbono trarre le conseguenze comuni a tutti i casi in cui il processo trasmigra da un giudice all'altro, continuando, ovvero che di fronte al giudice ad quem, nel caso di specie il giudice civile, arriva una domanda con riferimento alla quale c'è già la litispendenza, o meglio che già produce tutti i suoi effetti sostanziali e processuali. In dottrina si è comunque evidenziata la necessità che i principi del diritto di azione e di difesa impongano la piena apertura allo svolgimento non solo delle attività assertive e dunque di allegazione dei fatti, ma anche all'esercizio del potere di contestazione oltre che dei poteri istruttori, diretti e contrari: la regola della piena apertura all'esercizio dei poteri assertivi e probatori è l'unica condizione per superare i dubbi di costituzionalità paventati da quanti avevano rilanciato la tesi favorevole ad un'interpretazione restrittiva dell'art. 622 c.p.p. allo scopo precipuo di evitare che nel passaggio di fronte al giudice civile si possa verificare una menomazione del diritto di difesa delle parti. Deve però evidenziarsi che si tratta di una figura di rinvio prosecutorio al quale si applica l'art. 392 c.p.c. circa i tempi e modi della riassunzione che dovrà essere effettuata entro tre mesi dall'emanazione della sentenza della cassazione con atto di citazione. Al contrario, il disposto di cui all'art. 393 c.p.c. deve essere almeno in parte essere derogato, dal momento in cui la Corte di cassazione penale, nel disporre il rinvio, non enuncia il principio di diritto per cui in ipotesi di estinzione non sopravvive niente. Il danneggiato, se vuole, potrà esercitare autonomamente l'azione risarcitoria innanzi al giudice civile di primo grado. Invero se il giudice del rinvio applica le norme che regolano l'illecito civile, tuttavia non può non tenersi conto di eventuali vincoli che provengono dal processo penale, circostanza che rende incompatibile la configurabilità di una fase processuale necessariamente aperta allo svolgimento di nuove attività assertive e probatorie, con la conseguenza che le parti non possono assumere conclusioni diverse da quelle prese nel giudizio in cui è stato emessa la sentenza cassata. Riferimenti
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