Decreto salva infrazioni: gli interventi di modifica alla disciplina dei contratti di lavoro a tempo determinato

25 Settembre 2024

Sulla G.U. del 16 settembre 2024, n. 217 è stato pubblicato il d.l. 16 settembre 2024, n. 131 c.d. Decreto salva infrazioni, che interviene sulla disciplina dei contratti a termine. Il Decreto modifica la disciplina della determinazione dell'indennità oggi riconosciuta dalla legge in caso di applicazione illegittima del termine, dando seguito alle indicazioni dell'Unione europea che ha invitato l'Italia a recepire correttamente le disposizioni contenute nella Direttiva 1999/70/CE in materia di contratti di lavoro a tempo determinato.

Nella Gazzetta Ufficiale del 16 settembre 2024, n. 217, è stato pubblicato il d.l. 16 settembre 2024, n. 131 c.d. Decreto salva infrazioni, recante Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi derivanti da atti dell'Unione europea e da procedure di infrazione e pre-infrazione pendenti nei confronti dello Stato italiano.

Tra i vari interventi apprestati dal Decreto al fine di adeguare la normativa interna alle disposizioni comunitarie, è stata attuata una sensibile modifica alla disciplina dei contratti di lavoro a tempo determinato, sia nel settore pubblico, sia privato, con riguardo alla definizione dell'indennità riconosciuta al lavoratore in caso di illegittima apposizione del termine al proprio contratto di lavoro.

Tale emendamento si è reso necessario a seguito delle numerose procedure di infrazione e preinfrazione pendenti nei confronti dell'Italia in relazione al mancato corretto recepimento delle disposizioni contenute nella Direttiva 1999/70/CE in materia di contratti di lavoro a tempo determinato, con particolare riguardo alla dissuasione dell'utilizzo abusivo di tale forma contrattuale.

Nello specifico, il regime in vigore sino all'approvazione del Decreto prevedeva quale conseguenza dell'illegittimità del termine apposto dalle parti al contratto di lavoro, in aggiunta alla conversione a tempo indeterminato del rapporto, la condanna del datore di lavoro al pagamento nei confronti del lavoratore di un'indennità compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR.

Tale indennità, definita espressamente dalla norma quale “onnicomprensiva”, costituiva l'ammontare massimo risarcitorio che il dipendente potesse ottenere quale compensazione del complessivo pregiudizio retributivo e contributivo sofferto durante il periodo intercorrente tra la cessazione del contratto a termine illegittimo e la pronuncia giudiziale costitutiva del rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

Di seguito, analizziamo le previsioni inerenti alle novità in tema di contratti a termine nel settore pubblico e privato introdotte dal Decreto.

Settore privato

Art. 11. Il Decreto introduce due modifiche all'art. 28 del d.lgs. n. 81/2015, rispettivamente ai commi 2 e 3, riguardanti la quantificazione del risarcimento dovuto ai lavoratori in caso accertamento giudiziale dell'illegittima apposizione del termine al contratto stipulato tra le parti, con conseguente conversione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

In particolare, è abrogato il comma 3 del predetto decreto legislativo che stabiliva che la soglia massima dell'indennizzo sopra menzionata (pari a 12 mensilità), fosse dimezzata in presenza di contratti collettivi che prevedessero l'assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con contratto a termine nell'ambito di specifiche graduatorie.

Quanto al comma 2 del medesimo decreto legislativo, invece, l'art. 11, comma 1, lett. a) del Decreto, ha introdotto la possibilità per il Giudice di riconoscere al lavoratore un indennizzo anche superiore a 12 mensilità laddove il dipendente sia in grado di dare prova del maggior danno subito.

Pubblico Impiego

Art. 12.  L'articolo 12 del Decreto modifica l'art. 36 della legge n. 165/2001, che prevede che la violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con la Pubblica Amministrazione, determinando espressamente l'entità del risarcimento da riconoscere al lavoratore in caso di abuso nell'utilizzo del contratto a termine.

In particolare, la disposizione prevede il diritto del lavoratore a richiedere al Giudice il riconoscimento di un indennità risarcitoria ricompresa tra 4 e 24 mensilità dell'ultima retribuzione, avuto riguardo alla gravità della violazione, fatta salva la facoltà per il lavoratore – anche in questo caso – di provare di aver sofferto un maggior danno.

La norma precisa il parametro in funzione del quale il giudice è chiamato a determinare l'indennizzo, individuandolo nella gravità della violazione da stabilirsi in funzione del numero e della durata dei contratti a termine che si sono succeduti nel tempo.

Rilievi finali

In linea generale, sia nel settore privato, sia in quello pubblico, la nuova normativa, nel perseguire l'intento di ridurre il ricorso illegittimo al contratto a tempo determinato, lascia ampio margine di discrezionalità al vaglio giudiziale in relazione alla determinazione dell'indennizzo da riconoscere al lavoratore laddove questi eccepisca di aver subito un danno superiore rispetto alla misura massima prevista dalla legge.

Tale impostazione rappresenta una chiara inversione di marcia rispetto alla ratio che aveva, a suo tempo, guidato il legislatore del 2010 quando, con l'art. 32 della legge n. 183/2010, aveva introdotto la sopra menzionata indennità omnicomprensiva per calmierare le conseguenze avverse incombenti sul datore di lavoro in caso di ripristino giudiziale del rapporto con il dipendente assunto con un contratto a termine illegittimo.

Se, infatti, il precedente regime sanzionatorio doveva rappresentare un contemperamento tra le – legittime – istanze risarcitorie del lavoratore ingiustamente estromesso dall'organizzazione aziendale e quelle – altrettanto legittime – del datore di lavoro di non vedere accrescere vertiginosamente la propria esposizione economica per ragioni in gran parte non connesse alla propria condotta processuale (non sono stati rari i casi di giudizi durati anche diversi anni), l'intervento adeguatorio varato oggi dal Governo con il Decreto rimette in toto al Giudice la possibilità di determinare detto “maggior danno”, pur allegato dal lavoratore, senza, tuttavia, sottoporre tale potere ad alcun limite massimo.

Ciò chiarito, va segnalato che, confrontando la nuova disciplina introdotta, rispettivamente, nel settore pubblico e in quello privato, emergono delle sensibili diversità tra i due sistemi sanzionatori. Il dipendente pubblico, infatti, può vedersi riconosciute fino a 24 mensilità, mentre, nel settore privato, il limite massimo dell'indennità risarcitoria fissato nella misura di 12 mensilità.

Le origini di tale differenziazione, a parere di chi scrive, vanno, primariamente ricercate nei principi costituzionali che regolano l'accesso al pubblico impiego e nell'esigenza di contenere la spesa pubblica in ragione del vincolo del c.d. pareggio di bilancio introdotto dal Governo Monti all'art. 81 della Costituzione. Ne deriva che, nell'ambito del lavoro pubblico non sia ammissibile la conversione del contratto a termine illegittimo in un contratto a tempo indeterminato, non essendo possibile incrementare i costi fissi derivanti dal personale della pubblica amministrazione se non tramite reclutamento per concorso pubblico.

Quanto precede ha, in concreto, contribuito a favorire un uso abusivo della successione dei contratti a termine nell'ambito del lavoro pubblico, con prassi di reiterazione illecita dei rapporti di lavoro significativamente più lunghe e diffuse che nel settore privato.

Alla luce di ciò, ossia della mancata possibilità per il lavoratore di ottenere la costituzione del rapporto di lavoro presso la P.A. che lo abbia assunto con un contratto a termine illegittimo e della maggiore gravità del fenomeno abusivo nel settore pubblico, si ritiene giustificabile il trattamento sanzionatorio differenziato previsto dal Decreto, pur in relazione alla medesima condotta illecita datoriale.

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