Due diligence di sostenibilità e business judgement rule
Gabriella Opromolla
27 Settembre 2024
Il contributo illustra alcune disposizioni di rilievo della direttiva 2024/1760 (CSDDD) relativa al dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità, delinea il framework del d.lgs. 6 settembre 2024 n. 125, che ha recepito la direttiva 2022/2464 del 14 dicembre 2022 (CSRD) in materia di rendicontazione societaria di sostenibilità, per poi soffermarsi a commentare il nuovo quadro normativo del dovere di due diligence e della conseguente responsabilità degli amministratori, tenendo conto del contemperamento offerto dalla business judgement rule in riferimento alla predisposizione di adeguati assetti organizzativi anche in tema di sostenibilità.
La Corporate Sustainability Due Diligence Directive: breve sintesi di talune disposizioni rilevanti
La direttiva 2024/1760, meglio nota come “Corporate Sustainability Due Diligence Directive” (nel prosieguo, “Direttiva” o “CSDDD”) - previa approvazione finale da parte del Consiglio europeo il 27 maggio 2024 - è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea il 5 luglio 2024 ed è entrata in vigore il 25 luglio 2024. Il termine per il recepimento delle relative disposizioni da parte degli Stati membri è fissato al 26 luglio 2026 e le relative disposizioni, una volta adottate dagli stati membri, saranno applicate alle società a partire dal 26 luglio 2027. Si noti che tale termine è esteso di uno o due anni, a seconda dei casi, per le società che raggiungono alcune soglie di fatturato e di dipendenti.
È opportuno premettere che l'art. 2 della CSDDD delimita l'ambito di applicazione a seconda che si tratti di (i) società che sono costituite in conformità della normativa di uno Stato membro oppure di (ii) società che sono costituite in conformità della normativa di un paese terzo.
(i) Società che sono costituite in conformità della normativa di uno Stato membro
Devono soddisfare almeno una delle condizioni di cui alle lettere (a), (b) e (c) sotto riportate, e precisamente:
“a) avere avuto, in media, più di 1.000 dipendenti e un fatturato netto a livello mondiale superiore a 450.000.000 euro nell'ultimo esercizio per il quale è stato o avrebbe dovuto essere adottato il bilancio d'esercizio;
b) pur senza raggiungere i limiti minimi di cui alla lettera a), essere la società capogruppo di un gruppo che ha raggiunto tali limiti minimi nell'ultimo esercizio per il quale è stato o avrebbe dovuto essere adottato il bilancio d'esercizio consolidato;
c) aver concluso o essere la società capogruppo di un gruppo che ha concluso accordi di franchising o di licenza nell'Unione in cambio di diritti di licenza con società terze indipendenti, qualora tali accordi garantiscano un'identità comune, un concetto aziendale comune e l'applicazione di metodi aziendali uniformi, e qualora tali diritti di licenza ammontassero a più di 22.500.000 Euro nell'ultimo esercizio in cui è stato adottato o avrebbe dovuto essere adottato il bilancio annuale, e a condizione di aver registrato o di essere la società capogruppo di un gruppo che ha registrato un fatturato netto a livello mondiale superiore a 80.000.000 Euro nell'ultimo esercizio in cui è stato adottato o avrebbe dovuto essere adottato il bilancio annuale.”
(ii) Società che sono costituite in conformità della normativa di un paese terzo
Devono soddisfare almeno una delle condizioni di cui alle lettere (a), (b) e (c) sotto riportate, e precisamente:
“a) avere generato un fatturato netto superiore a 450.000.000 EUR nell'Unione nell'esercizio precedente l'ultimo esercizio;
b) pur senza raggiungere il limite minimo di cui alla lettera a), essere la società capogruppo di un gruppo che, su base
consolidata, ha raggiunto tale limite minimo nell'esercizio precedente l'ultimo esercizio;
c) aver concluso o essere la società capogruppo di un gruppo che ha concluso accordi di franchising o di licenza nell'Unione in cambio di diritti di licenza con società terze indipendenti, qualora tali accordi garantiscano un'identità comune, un concetto aziendale comune e l'applicazione di metodi aziendali uniformi, e qualora tali diritti di licenza ammontassero a più di 22.500.000 EUR nell'Unione nell'esercizio precedente l'ultimo esercizio; e a condizione di avere generato o di essere la società capogruppo di un gruppo che ha generato un fatturato netto superiore a 80.000.000 EUR nell'Unione nell'esercizio precedente l'ultimo esercizio.”
Sono previste esenzioni in alcune ipotesi particolari. Inoltre, la Direttiva si applica alle società che soddisfano le condizioni di cui sopra soltanto se tali condizioni sono soddisfatte per due esercizi consecutivi e cessa di applicarsi qualora dette condizioni non siano più soddisfatte per ciascuno degli ultimi due esercizi finanziari pertinenti.
L'art. 37 della Direttiva stabilisce una diversa decorrenza delle proprie disposizioni in base a determinati requisiti e precisamente:
a) dal 26 luglio 2027 per quanto riguarda le società di cui all'articolo 2, paragrafo 1, lettere a) e b), costituite conformemente alla legislazione dello Stato membro e che hanno avuto più di 5.000 dipendenti in media e generato un fatturato netto a livello mondiale superiore a 1.500.000.000 EUR nell'ultimo esercizio precedente al 26 luglio 2027 per il quale è stato adottato o avrebbe dovuto essere adottato il bilancio d'esercizio, ad eccezione delle misure necessarie per conformarsi all'articolo 16, che gli Stati membri applicano a tali società per gli esercizi aventi inizio il 1° gennaio 2028 o successivamente a tale data;
b) dal 26 luglio 2028 per quanto riguarda le società di cui all'articolo 2, paragrafo 1, lettere a) e b), costituite conformemente alla legislazione dello Stato membro e che hanno avuto più di 3.000 dipendenti in media e generato un fatturato netto a livello mondiale superiore a 900.000.000 EUR nell'ultimo esercizio precedente al 26 luglio 2028 per il quale è stato adottato o avrebbe dovuto essere adottato il bilancio d'esercizio, ad eccezione delle misure necessarie per conformarsi all'articolo 11, che gli Stati membri applicano a tali società per gli esercizi aventi inizio il 1o gennaio 2029 o successivamente a tale data;
c) a decorrere dal 26 luglio 2027 per quanto riguarda le società di cui all'articolo 2, paragrafo 2, lettere a) e b), costituite conformemente alla legislazione di un paese terzo e che hanno generato un fatturato netto di oltre 1.500.000.000 EUR nell'Unione nell'esercizio antecedente all'ultimo esercizio precedente al 26 luglio 2027, ad eccezione delle misure necessarie per conformarsi all'articolo 16, che gli Stati membri applicano a tali società per gli esercizi aventi inizio il 1o gennaio 2028 o successivamente a tale data;
d) a decorrere dal 26 luglio 2028 per quanto riguarda le società di cui all'articolo 2, paragrafo 2, lettere a) e b), costituite conformemente alla legislazione di un paese terzo e che hanno generato un fatturato netto di oltre 900.000.000 EUR nell'Unione nell'esercizio antecedente all'ultimo esercizio precedente al 26 luglio 2028, ad eccezione delle misure necessarie per conformarsi all'articolo 16, che gli Stati membri applicano a tali società per gli esercizi aventi inizio il 1o gennaio 2029 o successivamente a tale data;
e) a decorrere dal 26 luglio 2029 per quanto riguarda tutte le altre società di cui all'articolo 2, paragrafo 1, lettere a) e b), e all'articolo 2, paragrafo 2, lettere a) e b), nonché le società di cui all'articolo 2, paragrafo 1, lettera c), e all'articolo 2, paragrafo 2, lettera c), ad eccezione delle misure necessarie per conformarsi all'articolo 16, che gli Stati membri applicano a tali società per gli esercizi finanziari aventi inizio il 1o gennaio 2029 o successivamente a tale data.
L'Articolo 6 della CSDDD impone il cd “sostegno a livello di gruppo per il dovere di diligenza”, prevedendo che le società madri che rientrino nell'ambito di applicazione della Direttiva sono autorizzate ad adempiere agli obblighi di cui agli articoli da 7 a 11 e all'articolo 22 per conto di società che siano “filiazioni “di tali società (intendendosi per tali una persona giuridica, quale definita all'articolo 2, punto 10, della direttiva 2013/34/UE, e la persona giuridica per il cui tramite è esercitata l'attività di impresa controllata, quale definita all'articolo 2, paragrafo 1, lettera f), della direttiva 2004/109/CE del Parlamento europeo e del Consiglio), peraltro non esimendo queste ultime dall'esercizio dei poteri della autorità di controllo ai sensi dell'articolo 5 e alla loro responsabilità civile in conformità all'articolo 29.
L'adempimento degli obblighi relativi al dovere di diligenza di cui agli articoli da 7 a 16 da parte di una società madre in conformità a quanto precede è soggetto, tuttavia, ad alcune condizioni che presuppongono in sostanza un completo coordinamento fra la società madre e le relative “filiazioni”. Ad esempio, con riferimento all'obbligo di cui all'articolo 22 la “filiazione” dovrà adempiere “conformemente al piano di transizione per la mitigazione dei cambiamenti climatici della società madre, opportunamente adattato al suo modello e alla sua strategia aziendali.”
Si riportano qui sotto sub (a), (b), (c) e (d) le condizioni poste dalla Direttiva:
“a) la filiazione e la società madre si scambiano tutte le informazioni necessarie e cooperano per adempiere gli obblighi derivanti dalla presente direttiva;
b) la filiazione si attiene alla politica relativa al dovere di diligenza della società madre, opportunamente adattata per garantire che gli obblighi di cui all'articolo 7, paragrafo 1, siano assolti in relazione alla filiazione;
c) la filiazione integra il dovere di diligenza in tutte le proprie politiche e i propri sistemi di gestione dei rischi in conformità dell'articolo 7, descrivendo chiaramente quali obblighi devono essere assolti dalla società madre e, ove necessario, informa i pertinenti portatori di interessi al riguardo;
d) se necessario, la filiazione continua ad adottare misure adeguate in conformità degli articoli 10 e 11 e continua ad adempiere gli obblighi di cui agli articoli 12 e 13;
e) se del caso, la filiazione chiede a un partner commerciale diretto garanzie contrattuali conformemente all'articolo 10, paragrafo 2, lettera b), o all'articolo 11, paragrafo 3, lettera c), chiede garanzie contrattuali a un partner commerciale indiretto conformemente all'articolo 10, paragrafo 4, o all'articolo 11, paragrafo 5, e sospende temporaneamente o cessa il rapporto d'affari conformemente all'articolo 10, paragrafo 6, o all'articolo 11, paragrafo 7.”
L'articolo 7 rubricato “Integrazione del dovere di diligenza nelle politiche e nei sistemi di gestione dei rischi della società” prescrive che il dovere di diligenza dovrà essere integrato in tutte le pertinenti politiche e nel sistema di gestione dei rischi e che la società “abbia predisposto una politica relativa al dovere di diligenza che garantisca un dovere di diligenza basato sul rischio.” Tali politiche devono essere aggiornate dalle società in caso di eventi significativi e, quando necessario, essere riviste ogni 24 mesi. Relativamente alla “politica relativa al dovere di diligenza che garantisca un dovere di diligenza basato sul rischio” si precisa che deve essere elaborata in consultazione con i dipendenti della società e deve prevedere tutti i seguenti elementi:
“a) una descrizione dell'approccio della società al dovere di diligenza, anche a lungo termine;
b) un codice di condotta che illustri le norme e i principi cui devono attenersi l'intera società e le sue filiazioni, nonché i partner commerciali diretti o indiretti della società, in conformità dell'articolo 10, paragrafo 2, lettera b), dell'articolo 10, paragrafo 4, dell'articolo 11, paragrafo 3, lettera c), o dell'articolo 11, paragrafo 5; e
c) una descrizione delle procedure predisposte per l'integrazione del dovere di diligenza nelle pertinenti politiche della società e per l'esercizio del dovere di diligenza, comprese le misure adottate per verificare il rispetto del codice di condotta di cui alla lettera b) e per estenderne l'applicazione ai partner commerciali.
Gli articoli 8, 9, 10 e 11 sono dedicati, nel complesso, agli impatti negativi effettivi e potenziali e precisamente: (i) l'articolo 8 alla individuazione e valutazione degli impatti negativi effettivi e potenziali, l'articolo 9 alla attribuzione di priorità a tali impatti, (ii) l'articolo 10 alla prevenzione degli impatti negativi potenziali, (iii) l'articolo 11 all'arresto degli impatti negativi effettivi e (iv) l'articolo 12 alla riparazione. La Commissione potrà adottare orientamenti su clausole contrattuali tipo d'uso volontario entro il 26 gennaio 2027 al fine di agevolare le società a conformarsi a tali obblighi (articolo 18), così come – in collaborazione con altri organismi di settore competenti - orientamenti al fine di assistere le società nella definizione delle modalità con le quali conformarsi agli obblighi relativi al dovere di diligenza (articolo 19).
Interessante è l'articolo 13 dedicato al dialogo significativo con i “portatori di interessi”, intendendosi per tali “i dipendenti della società, dipendenti delle sue filiazioni, sindacati e rappresentanti dei lavoratori, consumatori e altre persone fisiche, gruppi, comunità o soggetti i cui diritti o interessi sono o potrebbero essere lesi dai prodotti, dai servizi e dalle attività della società, delle sue filiazioni e dei suoi partner commerciali, compresi i dipendenti dei partner commerciali e i rispettivi sindacati e rappresentanti dei lavoratori, le istituzioni nazionali in materia di diritti umani e ambiente, le organizzazioni della società civile le cui finalità includono la protezione dell'ambiente e i legittimi rappresentanti di tali persone fisiche, gruppi, comunità o soggetti”). Si tratta, in estrema sintesi, del dovere imposto alle società cui si applica la Direttiva di dialogare in modo efficace con i “portatori di interessi” mediante la comunicazione di informazioni e l'organizzazione di consultazioni con i medesimi, se del caso supportati da esperti, in tutto il processo in cui si esplica il dovere di diligenza.
Viene, inoltre, introdotta con l'articolo 14 una procedura di notifica e reclamo a beneficio dei seguenti soggetti:
“a) le persone fisiche o giuridiche colpite da un impatto negativo o che hanno fondati motivi di ritenere di poterne essere colpite e i legittimi rappresentanti di tali persone per loro conto, quali le organizzazioni della società civile e i difensori dei diritti umani;
b) i sindacati e altri rappresentanti dei lavoratori che rappresentano le persone fisiche che lavorano nella catena di attività interessata; e
c) le organizzazioni della società civile che sono attive ed esperte nei settori collegati all'impatto ambientale negativo che è oggetto del reclamo.”
Con l'articolo 15 le società sono chiamate ad una attività di monitoraggio periodica sulle attività e misure proprie e delle “filiazioni”, e se collegate alla società da una catena anche di quelle dei suoi partner commerciali, per valutare, monitorare l'adeguatezza e l'efficacia dei propri interventi. L'articolo 16 prevede inoltre che le società pubblichino annualmente una apposita dichiarazione sul proprio sito web inerente agli obblighi e le attività prescritte dalla Direttiva, dichiarazione che dovrà essere trasmessa contemporaneamente all'organismo di raccolta affinché sia accessibile tramite il punto di accesso unico europeo istituito dal Regolamento 2023/2859 (il cosiddetto “ESAP”).
Con riferimento all'articolo 20 particolare attenzione va dedicata alle informazioni su siti web, piattaforme o portali dedicati al fine di mantenere aggiornate le società e i partner commerciali, ed in particolare, le PMI che intervengono nelle catene di attività della società. La Commissione potrà inoltre istituire un helpdesk unico attraverso il quale le società possono ottenere informazioni, orientamenti ed assistenza per l'adempimento degli obblighi derivanti dalla Direttiva.
L'articolo 22 è dedicato alla lotta per i cambiamenti climatici ed in sostanza detta i criteri per la formulazione da parte delle società cui si applica la Direttiva di un piano di transizione per la mitigazione dei cambiamenti climatici.
L'articolo 24 riguarda la designazione della autorità di controllo da parte di ciascun Stato membro e stabilisce che per le società che sono costituite in conformità della normativa di uno Stato membro l'autorità di controllo è quella dello Stato membro in cui la società ha la sua sede legale, mentre per le società che sono costituite in conformità della normativa di un paese terzo l'autorità di controllo competente è quella in cui la società ha una succursale e se non ha una succursale in uno Stato membro oppure ne ha diverse in Stati membri diversi si deve far riferimento al quale la società ha generato la maggior parte del fatturato netto nell' Unione nell'esercizio precedente l'ultimo esercizio precedente la data indicata dall'art. 37 o se posteriore la data in cui la società per la prima volta soddisfa i criteri di cui all'articolo 2 paragrafo 2. E' altresì previsto che la Commissione attui una rete delle diverse autorità di controllo a fini cooperativi (articolo 28)
Gli Stati membri dovranno prevedere sanzioni anche pecuniarie per l'ipotesi in cui vengano violate le disposizioni di attuazione della Direttiva (articolo 27) e la Direttiva prevede altresì la responsabilità civile e il diritto al pieno risarcimento nel caso di danni a persona giuridica o fisica causati dalle società che non abbiano ottemperato intenzionalmente o per negligenza a taluni degli obblighi di cui alla Direttiva.
L'attuazione della direttiva 2022/2464 del 14 dicembre 2022 in Italia: il d.lgs. 6 settembre 2024 n. 125
Lo scorso 30 agosto la direttiva 2022/2464 del 14 dicembre 2022, in materia di rendicontazione societaria di sostenibilità,anche nota come “Corporate Sustainability Reporting Directive”, CSRD, (“Direttiva 2022/2464”) è stata ufficialmente integrata nella normativa italiana con l'approvazione, da parte del Consiglio dei ministri, del decreto legislativo di recepimento. Il decreto legislativo 6 settembre 2024 n. 125 (“Decreto”) è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 10 settembre 2024 n. 212 ed è vigente a decorrere dal 25 settembre 2024.
Il testo del Decreto approvato definitivamente e pubblicato in Gazzetta prevede, in primo luogo, nuovi parametri per definire le PMI quotate e modifica il regime sanzionatorio sulle attività di revisione. Rispetto al documento che era stato posto in consultazione dal Dipartimento del Tesoro del Ministero dell'Economia e delle Finanze a febbraio, il Decreto amplia l'ambito di applicazione dei requisiti di rendicontazione alle PMI quotate. Infatti, ha modificato il numero medio di dipendenti che un'azienda inclusa dalla normativa deve avere durante l'esercizio considerato: non più da “superiore a 50 a inferiore a 250”, ma da “non inferiore a 11 e non superiore a 250”. Gli altri due requisiti per essere considerate PMI quotate sono avere un patrimonio superiore a 450.000 euro e inferiore a 25 milioni e ricavi netti delle vendite e delle prestazioni superiori a 900.000 euro e inferiori a 50 milioni.
L'altra parte del Decreto che è stata modificata rispetto al testo sottoposto a consultazione riguarda il regime sanzionatorio in relazione all'attività di revisione. Secondo le nuove disposizioni, infatti, nei due anni successivi all'entrata in vigore del Decreto, non possono essere inflitte sanzioni pecuniarie oltre 125.000 euro per le società di revisione e oltre 50.000 euro per i revisori della sostenibilità. La Consob, inoltre, dovrà osservare se le eventuali violazioni commesse dall'organo amministrativo delle aziende siano legate all'omissione o alla comunicazione di informazioni da parte delle società appartenenti alla catena del valore non controllate direttamente dall'azienda considerata.
In linea con la Direttiva 2022/2464, il Decreto stabilisce le seguenti date di applicazione:
(a) per gli esercizi aventi inizio il 1° gennaio 2024 o in data successiva:
(i) alle imprese di grandi dimensioni che costituiscono enti di interesse pubblico che, alla data di chiusura del bilancio, superano il numero medio di 500 dipendenti occupati durante l'esercizio;
(ii) agli enti di interesse pubblico ai sensi dell'art. 16, comma 1, del decreto legislativo 39/2010, che sono, altresì, società madri di un gruppo di grandi dimensioni e che, su base consolidata, alla data di chiusura del bilancio superano il criterio del numero medio di 500 dipendenti occupati durante l'esercizio;
(b) per gliesercizi aventi inizio il 1° gennaio 2025 o in data successiva:
(i) alle imprese di grandi dimensioni diverse da quelle di cui al comma 1, lettera a), numero 1) del Decreto;
(ii) alle società madri diverse da quelle di cui al comma 1, lettera a), numero 2) del Decreto;
(c) per gli esercizi aventi inizio il 1° gennaio 2026 o in data successiva:
(i) alle PMI quotate, fatta eccezione per le micro-imprese, fermo restando quanto previsto dall'articolo 3, comma 10 del Decreto;
(ii) agli enti piccoli e non complessi, di cui all'art. 4, paragrafo 1, punto 145), del Regolamento (UE) 575/2013 purché si tratti di imprese di grandi dimensioni o di PMI quotate e che non sono micro-imprese;
(iii) alle imprese di assicurazione e riassicurazione captive, definite all'art. 13, punto 2), della Direttiva 2009/138/CE, purché si tratti di imprese di grandi dimensioni o di piccole e medie imprese quotate e che non sono micro-imprese.
Le disposizioni di cui all'art. 5 (Relazione di sostenibilità delle imprese di paesi terzi) si applicano a partire dagli esercizi aventi inizio il 1° gennaio 2028, fermo restando quanto previsto all'art. 18, comma 3 del Decreto.
La rendicontazione di sostenibilità, la cui redazione sarà obbligatoria per le imprese, ai sensi della Direttiva 2022/2464, dovrà includere:
(i) le informazioni relative all'impresa societaria stessa ed alle società che appartengono al suo gruppo
(ii) una breve descrizione del modello e della strategia aziendale che indichi: (a) la resilienza del modello e della strategia aziendali dell'impresa in relazione ai rischi connessi alle questioni di sostenibilità (b) le opportunità per l'impresa connesse alle questioni di sostenibilità, (c) i piani dell'impresa, ove predisposti, inclusi le azioni di attuazione e i relativi piani finanziari e di investimento, che garantiscano che il modello e la strategia aziendali siano compatibili con la transizione verso un'economia sostenibile e con la limitazione del riscaldamento globale in linea con gli accordi internazionali (d) il modo in cui il modello e la strategia aziendali dell'impresa tengono conto delle istanze dei portatori di interesse e del loro impatto sulle questioni di sostenibilità (e) le modalità di attuazione della strategia dell'impresa per quanto riguarda le questioni di sostenibilità;
(iii) una descrizione degli obiettivi temporalmente definiti connessi alle questioni di sostenibilità individuati dall'impresa, inclusi: (a) obiettivi quantitativi di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra almeno per il 2030 e il 2050, (b) una descrizione dei progressi da essa realizzati nel conseguimento degli stessi, (c) una dichiarazione che attesti se gli obiettivi dell'impresa relativi ai fattori ambientali sono basati su prove scientifiche conclusive;
(iv) una descrizione del ruolo degli organi di amministrazione, gestione e controllo con specifico riferimento alle questioni di sostenibilità;
(v) una descrizione dell'esistenza di sistemi di incentivi connessi alle questioni di sostenibilità e che sono destinati ai membri degli organi di amministrazione e controllo;
(vi) una descrizione degli obiettivi e delle politiche imprenditoriali sulla sostenibilità;
(vii) le procedure di due diligence in relazione a tali problematiche;
(viii) le informazioni relative alla catena di valore dell'impresa, compresi i prodotti e servizi, i rapporti commerciali e la catena di fornitura;
(ix) una descrizione dei principali rischi per l'impresa connessi alle questioni di sostenibilità, compresa una descrizione delle principali dipendenze dell'impresa da tali questioni, e le modalità di gestione di tali rischi adottate dall'impresa
I soggetti obbligati dovranno indicare le procedure attuate per individuare le informazioni che sono state incluse nella relazione sulla gestione.
Sono previste deroghe e limitazioni alla rendicontazione di sostenibilità richiesta per le PMI quotate, gli enti piccoli e non complessi definiti all'art. 4, paragrafo 1, punto 145), del Regolamento (UE) n. 575/2013, le imprese di assicurazione e riassicurazione captive di cui all'art. 13, punto 2), della Direttiva 2009/138/CE.
Il Decreto prescrive che la rendicontazione di sostenibilità dovrà essere parte integrante della relazione sulla gestione, redatta dagli amministratori ai sensi dell'art. 2428 c.c., della quale costituisce una sezione appositamente contrassegnata. La relazione sulla gestione, compresa la rendicontazione di sostenibilità, dovrà essere redatta nel formato elettronico unico europeo (Extensible HyperText Markup Language – XHTML) sotto forma di pagina web navigabile con marcature xbrl (tag), al fine di potenziarne la fruibilità e connettere, in un prossimo futuro, le informazioni all'ESAP. Inoltre, per consentire l'accesso gratuito alle informazioni di sostenibilità la società dovrà procedere alla pubblicazione della rendicontazione sulla sostenibilità anche sul proprio sito internet o, in mancanza, renderne disponibile una copia cartacea a chi ne faccia richiesta.
Inoltre, la rendicontazione di sostenibilità dovrà essere oggetto di apposita attestazione di conformità, da parte di un revisore legale (o di una società di revisione), che può essere anche lo stesso già incaricato della revisione contabile della società (art. 8). Il revisore deve verificare, in particolare, che siano rispettati gli standard richiesti, fornendo un'attestazione formale della conformità del report alle normative vigenti, nella quale risulta inclusa un'analisi dettagliata delle dichiarazioni relative alla sostenibilità per garantirne la verificabilità dei dati e il concreto rispetto nelle pratiche aziendali. L'attestazione consiste in una relazione redatta con l'osservanza dei principi di attestazione che verranno adottati dalla Commissione Europea entro il 1° ottobre 2026 e, nelle more, sulla base delle norme di Assurance elaborate a livello nazionale con la collaborazione delle Autorità, delle associazioni di settore e degli ordini professionali ed adottate dal Ministero dell'Economia e delle Finanze, sentita CONSOB. È previsto, in via residuale, che fino all'adozione di tali principi nazionali, qualora si rendesse necessario e urgente, la Consob potrà comunque indicare con proprio regolamento i principi di attestazione da utilizzare e, allo stesso tempo, anche disciplinare le modalità di svolgimento dell'incarico.
Per garantire una maggiore comparabilità tra le disclosure, le imprese saranno tenute ad adottare un unico standard di rendicontazione ESRS (European Sustainability Reporting Standard), il cui sviluppo è demandato all'EFRAG (European Financial Reporting Advisory Group). Per le PMI saranno introdotti degli standard specifici, in modo da tener conto delle loro esigenze e caratteristiche.
Infine, l'art. 10 sancisce che “La responsabilità di garantire che le informazioni richieste dagli articoli 3, 4, 5 e 7 siano fornite in conformità a quanto previsto dal presente decreto, compete agli amministratori delle società tenute agli obblighi ivi previsti. Nell'adempimento dei loro obblighi costoro agiscono secondo criteri di professionalità e diligenza. L'organo di controllo, nell'ambito dello svolgimento delle funzioni a esso attribuite dall'ordinamento, vigila sull'osservanza delle disposizioni stabilite nel presente decreto e ne riferisce nella relazione annuale all'assemblea.” Sono previste sanzioni amministrative e sanzioni amministrative pecuniarie per la non ottemperanza a tale dettame.
L'applicabilità̀ della business judgement rule alle decisioni organizzative degli amministratori: l'orientamento in Italia
Prima di esaminare come si delinea la business judgement rule in Italia, per poi esaminare la sua correlazione con il due diligence duty posto dalla Direttiva e dagli obblighi derivanti dal Decreto, è necessario svolgere un breve excursus dei fondamenti e del razionale della business judgement rule, che rappresenta uno degli strumenti sviluppati ed utilizzati dalla giurisprudenza statunitense del Delaware. Senza dilungarsi troppo su una tematica che necessiterebbe di una lunga seppur estremamente interessante esposizione, si può affermare che la “regola” poggia sulla distinzione fra lo standard di diligenza al quale sono tenuti gli amministratori nella esecuzione del proprio incarico e l'onere di provare se tale standard sia stato raggiunto; i giudici sono chiamati a verificare se, ad esempio, il consiglio di amministrazione abbia deliberato in assenza di adeguate informazioni o in mala fede o se gli amministratori abbiano agito in conflitto di interessi o contro o in modo incoerente con l'interesse della società. Occorre rilevare che, nel sistema giuridico anglosassone il canone con riferimento al quale va valutata la responsabilità degli amministratori è quello tipicamente “fiduciario”. Attraverso tale regola si vuole evitare che gli amministratori si comportino in modo estremamente conservativo senza assumersi alcun rischio, ma anche evitare che i giudici possano ingerire troppo nelle decisioni gestionali degli amministratori.
In Italia, con la riforma delle società del 2003 è stato introdotto il principio di cui all'art. 2392 c.c. secondo il quale “gli amministratori devono adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico e dalle loro specifiche competenze”. Ciò significa che gli amministratori non devono necessariamente possedere skills in ogni settore di gestione (dalla contabilità alla materia finanziaria etc.) bensì essere in grado di gestire in modo informato ed in base ad un rischio calcolato e non invece, al contrario, in modo improvvisato e negligente. La base del rapporto che lega ogni amministratore alla società che gestisce è di natura contrattuale, così come di natura contrattuale è la responsabilità nella quale l'amministratore incorre nei confronti della società che amministra, dovendosi considerare che nei rapporti interni sono soggetti autonomi e distinti dei quali uno svolge la prestazione in favore dell'altro.
Il dovere di diligenza consiste nell'agire in base alla natura dell'incarico, in modo informato e secondo le proprie specifiche competenze, e di conseguenza la verifica del rispetto di tale dovere passa necessariamente dall'analisi del caso concreto e delle circostanze specifiche del medesimo, ma non si può estendere alla sindacabilità delle scelte di gestione che – come tali – sono prerogativa del potere discrezionale dell'amministratore. In sostanza, l'amministratore all'interno del rispetto dei propri doveri - comprensive dell'obbligo di effettuare verifiche e prendere informazioni richieste dalla ordinaria diligenza professionale - può agire con autonoma discrezionalità. Parte della dottrina ha puntualizzato che tale discrezionalità non sarebbe tuttavia assoluta. Dalla analisi della giurisprudenza emerge che sin dal 1965, con una nota sentenza della Corte di Cassazione, si è affermato il principio della insindacabilità delle scelte di gestione da parte dei giudici, tale per cui (come ribadito e sviluppato nelle sentenze successive sino alla Corte di Cassazione e del Tribunale di Milano) al giudice non spetta che esaminare in concreto il comportamento tenuto dall'amministratore confrontandolo però con un modello di condotta astratto, quindi esaminandone sì il percorso senza tuttavia che il proprio esame si spinga a valutare il fatto che in sé la gestione dell'impresa possa avere avuto un cattivo esito, con il solo limite tuttavia della condotta “palesemente irragionevole”. Dovranno essere quindi ritenuti comunque dal giudice privi della diligenza richiesta i comportamenti assolutamente irragionevoli e ingiustificabili.
Due diligence duty in materia di sostenibilità e suo contemperamento con la business judgement rule
Come si declina il dovere di diligenza degli amministratori in ambito sostenibilità?
Occorre premettere che la CSDDD, e a cascata il Decreto, accrescono senza alcun dubbio i doveri degli amministratori. Sono stabiliti, infatti, precisi obblighi di due diligencecui ne consegue la correlata responsabilità (i) rispetto agli impatti negativi sui diritti umani e agli impatti ambientali negativi, effettivi o potenziali, che incombono alle società nell'ambito delle proprie attività, delle attività delle cd. “filiazioni” e delle attività dei partner commerciali nelle catene di attività di tale società; e (ii) rispetto alla adozione ed attuazione di un piano di transizione per mitigar ei cambiamenti climatici, in linea con l'Accordo di Parigi.
Gli articoli 8 e 9 della Direttiva, in particolare, presuppongono un comportamento propositivo ed attivo da parte degli amministratori volto ad individuare, valutare, prevenire e attenuare gli impatti negativi effettivi o potenziali ed anche arrestare e riparare gli impatti negativi effettivi.
Già il preambolo alla CSDDD illustra i motivi per i quali è sorta l'esigenza di regole comuni in merito alla due diligence. Precisamente:
le imprese di grandi dimensioni che operano nell'Unione europea, si affidano a fornitori presenti in tutto il mondo e a catene di valore complesse. Vi è il rischio che si trovino in difficoltà nell'individuare e porre rimedio ai rischi legati al rispetto dei diritti umani e ai possibili ambientali. Si pensi agli ambiti del lavoro minorile, alla sicurezza sul luogo di lavoro, all'inquinamento; A tal riguardo la Commissione ritiene che se più società svolgessero una attività di due diligence maggiori sarebbero i dati a disposizione in merito a tali ambiti.
Le norme a carattere volontario cui hanno attinto di volta in volta alcuni Stati membri non sono sembrate risolutive
Le diverse legislazioni degli Stati membri in materia di due diligence societaria rischiano di creare una eccessiva frammentazione sui temi comuni di rispetto dei diritti umani e di tutela dell'impatto ambientale a discapito della certezza del diritto
La difficoltà per le imprese multinazionali di far fronte alle diverse normative che sarebbe chiamate a rispettare essendo spesso le operazioni multijuridiction.
Come già detto, la due diligence deve essere integrata nelle politiche aziendali predisposte dall'organo amministrativo al quale è richiesto, affinché la stessa diventi parte dell'intero funzionamento della società, di impostarne e supervisionarne l'attuazione e di integrarla nella strategia aziendale.
L'art. 5 della CSDDD peraltro prescrive che “gli Stati membri impongono alle società di conservare la documentazione riguardante le azioni svolte per adempiere gli obblighi relativi al dovere di diligenza al fine di attestare la conformità, compresi gli elementi di prova, per almeno cinque anni dal momento in cui tale documentazione è stata prodotta o ottenuta.”
Con riferimento in particolare alla responsabilità degli amministratori, va detto che la proposta originaria prevedeva ben due disposizioni (artt. 25 e 26) dedicate al due diligence duty che nell'iter di discussione sono stati eliminati perché avrebbero finito per creare una disparità di regolamentazione nei diversi ordinamenti degli Stati membri.
L'odierno articolo 27 della Direttiva dedicato alle sanzioni si applica alle società e demanda invece agli Stati membri l'onere di stabilire “le norme relative alle sanzioni, anche pecuniarie, applicabili in caso di violazione delle disposizioni di diritto nazionale adottate” in attuazione della Direttiva e di adottare “tutte le misure necessarie per assicurarne l'applicazione”. “Le sanzioni previste devono essere effettive, proporzionate e dissuasive” e si applicano alla società. L'art. 29 è poi dedicato alla responsabilità civile della società prevedendo in particolare al paragrafo 2 che “Ove una società sia ritenuta responsabile ai sensi del paragrafo 1, una persona fisica o giuridica ha diritto al pieno risarcimento del danno in conformità del diritto nazionale. Il pieno risarcimento ai sensi della presente direttiva non conduce a una sovracompensazione del danno subito, né sotto forma di danni punitivi né di danni multipli o di altra natura.”
Si dettano poi alcuni precisi criteri da tenere in considerazione quali ad esempio (se ne citano soltanto alcuni):
a) la natura, della gravità e della durata della violazione e della gravità degli impatti da essa causati;
b) gli investimenti effettuati e il sostegno mirato fornito a norma degli articoli 10 e 11;
c) l'eventuale collaborazione attuata con altri soggetti per affrontare gli impatti in questione;
d) i benefici finanziari conseguiti o delle perdite evitate dalla società in conseguenza della violazione.
Gli Stati membri devono prevedere sanzioni pecuniarie che si basano sul fatturato netto mondiale della società. Il limite massimo delle sanzioni pecuniarie non è inferiore al 5 % del fatturato netto mondiale della società nell'esercizio precedente la decisione che impone la sanzione pecuniaria.
Il Decreto, al riguardo, introduce – come riportato sopra - all'art. 10 un preciso obbligo degli amministratori di garantire che nell'adempimento degli obblighi posti dal Decreto agiscano secondo criteri di professionalità e diligenza oltre a precise sanzioni, sia amministrative che amministrative pecuniarie.
Ciò premesso, va considerato che nell'ambito della strategia per la realizzazione della transizione ecologica si è cercato di attuare uno schema normativo e regolamentare di livello volto ad una responsabilizzazione effettiva delle imprese transnazionali e al contenimento degli impatti climatici e ambientali associati alle catene del valore, dal momento che ci si è resi consapevoli delle difficoltà e dei limiti incontrati dagli ordinamenti giuridici nazionali nella definizione e regolamentazione di questo fenomeno. Basta pensare a come operano le imprese multinazionali dotate di una struttura societaria di elevata complessità formata da filiali che hanno sede in paesi e quindi in giurisdizioni diverse con propri ordinamenti e che si avvalgono di catene di approvvigionamento e del valore nei quali aziende diverse dislocate in sistemi giuridici diversi sono legate tra loro da contratti di vario tipo per la produzione, fornitura, commercializzazione e immissione sul mercato di prodotti e beni di consumo come pure al concetto di impresa che si è affermato in alcuni ordinamenti giuridici e che pone al centro la massimizzazione del profitto dell'impresa.
Per quanto riguarda la prevenzione e minimizzazione degli impatti negativi, la CSDDD offre indicazioni abbastanza dettagliate relativamente alle misure da porre in atto, pur tenendo conto della necessità di adottare un approccio flessibile che possa adattarsi alla diversità delle varie situazioni. Pertanto, rimette comunque all'impresa la determinazione delle misure, tra quelle elencate negli articoli 7 e 8, che possono considerarsi ‘adeguate' a seconda delle circostanze specifiche del caso, delle caratteristiche particolari del settore economico e, nel caso delle catene di valore, anche del tipo di rapporto d'affari e dell'influenza che la società possa esercitare al riguardo. Tale determinazione è tuttavia soggetta a revisione da parte delle autorità competenti, o del giudice, con la possibilità per l'impresa di incorrere in sanzione o in una condanna al risarcimento in caso di contenzioso sulla responsabilità civile, per l'ipotesi in cui dette misure vengano ritenute non adeguate. Tra le misure indicate vi è anche la richiesta di apposite garanzie contrattuali da parte dei partner commerciali con i quali la società intrattiene un rapporto di affari relativamente al rispetto del codice di condotta, eventualmente richiedendo anche, attraverso un sistema a cascata contrattuale, che il partner esiga a sua volta tali garanzie dagli altri partner nella misura in cui le attività rientrino nella catena del valore della società.
Nell'attuale contesto di quanto prescrive la CSDDD e, a cascata, gli obblighi derivanti dal Decreto, occorre poi sempre tenere in considerazione il perimetro della business judgement rule, come applicata in Italia, perimetro che va dalla “insindacabilità delle scelte di gestione” alla sindacabilità delle scelte palesemente irragionevoli. Ciò non toglie che i confini di tale “regola” risultano senz'altro più complessi con riferimento agli obblighi di due diligence in termini di sostenibilità, in quanto la Direttiva e gli obblighi derivanti dal Decreto prescrivono una serie di criteri che dovrebbero guidare gli amministratori ad effettuare le scelte organizzative più adeguate.
Considerazioni conclusive
Come noto, le previsioni del codice della crisi di impresa hanno dato rilevanza all'intera organizzazione aziendale. L'art. 2086, comma 2, c.c., come modificato, evidenzia come l'obbligo di creare adeguati assetti organizzativi - tenuto conto della natura e delle dimensioni dell'impresa, “anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell'impresa e della perdita della continuità aziendale” - sia un obbligo specifico di tutti gli amministratori, come espressione di un principio di corretta gestione imprenditoriale.
In questo contesto la business judgement rule, dando rilevanza al processo decisionale, tutela – con i limiti sopra ricordati - gli amministratori dal rischio di essere giudicati responsabili per aver assunto decisioni che si rivelino in seguito errate. È importante ricordare che gli amministratori, tuttavia, non godono di tale tutela in relazione al “se” predisporre gli assetti, seppure abbiano alto margine di discrezionalità sul “come” predisporli.
Ciò vale anche in relazione agli obblighi derivanti dalla normativa cui la Direttiva e il Decreto danno applicazione. Gli amministratori dovranno seguire il percorso delineato dalla Direttiva e dal Decreto predisponendo anche in termini di sostenibilità assetti organizzativi adeguati. Le imprese obbligate a redigere la rendicontazione di sostenibilità non potranno esimersi dal dotarsi di un sistema che risulti quindi adeguato sia con riferimento alla normativa italiana, che con riferimento alla normativa europea sulla sostenibilità, anche attraverso un processo di trasformazione interno che interverrà su tutti gli organi sociali. Gli assetti organizzativi, amministrativi e contabilità, per essere adeguati, dovranno richiedere, soprattutto in ottica ESG, una profonda trasformazione, perché la sostenibilità, intesa come cambiamento nel modo di fare impresa, sarà un elemento strategico per la sopravvivenza aziendale. Lo sforzo per le imprese sarà passare da una visione strettamente “amministrativo – contabile”, ad una visione strategica e di lungo periodo. Un fattore ESG non gestito bene può comportare il merito creditizio dell'impresa e, nel lungo periodo, l'equilibrio aziendale. Quanto sopra in attesa del recepimento della Direttiva in Italia.
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Sommario
L'attuazione della direttiva 2022/2464 del 14 dicembre 2022 in Italia: il d.lgs. 6 settembre 2024 n. 125
L'applicabilità̀ della business judgement rule alle decisioni organizzative degli amministratori: l'orientamento in Italia
Due diligence duty in materia di sostenibilità e suo contemperamento con la business judgement rule