Subentro del curatore nel contratto preliminare di vendita immobiliare e cancellazione dei gravami

30 Settembre 2024

Le Sezioni Unite dirimono un contrasto insorto nella precedente giurisprudenza di legittimità in tema di vendite nelle procedure concorsuali, escludendo che l’effetto purgativo previsto dall’art. 108, comma 2, l. fall. possa operare nel caso in cui la vendita sia stata effettuata in esecuzione di un contratto preliminare stipulato dal fallito e in cui il curatore sia subentrato ai sensi dell’art. 72, ultimo comma, l. fall.

Massime

Nel sistema della legge fallimentare, l'art. 108, secondo comma, prevede il potere purgativo del giudice delegato in stretta ed esclusiva consonanza con l'espletamento della liquidazione concorsuale dell'attivo disciplinata nella Sezione II del Capo VI, secondo le alternative indicate nell'art. 107, perché in essa il curatore esercita la funzione di legge secondo il parametro di legalità dettato nell' interesse esclusivo del ceto creditorio mediante gli appositi procedimenti destinati al fine; mentre è da escludere che la norma possa essere applicata – e il potere purgativo esercitato dal giudice delegato – nei diversi casi in cui il curatore agisca nell'ambito dell'art. 72, ultimo comma, l. fall. quale semplice sostituto del fallito, nell'adempimento di obblighi contrattuali da questo assunti con un preliminare di vendita.

La vendita effettuata dal curatore in adempimento del preliminare stipulato dal fallito non possiede natura coattiva, né funzione liquidatoria dell'attivo, neppure quando il preliminare abbia riguardato la casa di abitazione del promissario e sia stato trascritto prima del fallimento.

Ai fini dell'effetto purgativo è necessario che la vendita sia stata attivata nel senso indicato dall'art. 107, perché questo rende la vendita declinabile in senso procedimentale come atto di liquidazione dell'attivo, per effetto della messa in esecuzione di un programma di liquidazione all'esito delle conseguenti possibilità offerte dalla norma.

L'anteriorità della trascrizione del preliminare secondo il regime dell'art. 2645-bis c.c. scongiura il rischio correlato all'eventualità del fallimento del promittente, ma non può indurre a prospettare di per sé, in mancanza di una specifica previsione di legge, un'alterazione dei nessi di priorità delle iscrizioni ipotecarie già esistenti. Quindi la ratio di tutela, sottesa all'art. 72, ultimo comma, l. fall., non è idonea a sostenere l'estensione del potere purgativo in caso di attuazione degli obblighi discendenti dal subentro del curatore nel contratto preliminare.

Il caso

Il provvedimento in commento è stato emesso all'esito di un giudizio di reclamo avverso il decreto con cui il giudice delegato al fallimento di una società cooperativa edilizia, dopo aver autorizzato il curatore a subentrare in un contratto preliminare di assegnazione in proprietà della porzione di un immobile ad un socio, aveva disposto la cancellazione dei gravami insistenti sul bene, tra cui un'ipoteca iscritta a favore di un istituto bancario. Il suddetto reclamo venne proposto dalla società cessionaria del credito garantito, la quale, in quella sede, evidenziò che il contratto preliminare era stato trascritto in data anteriore al fallimento e che il prezzo era stato già interamente versato alla società fallita, sempre in epoca anteriore alla dichiarazione di fallimento. Ciò posto, la reclamante ha sostenuto che l'art. 108, comma 2, l. fall. in tema di cancellazione dei gravami non fosse applicabile alla fattispecie, essendosi trattato di un mero subentro ex lege del curatore nel contratto preliminare (trascritto) di vendita di un immobile destinato a costituire abitazione principale dell'acquirente, e quindi non di una vendita forzata bensì di un atto di natura totalmente privatistica. Tale impostazione è stata disattesa dal tribunale adito, il quale ha rigettato il reclamo, affermando che la vendita ex art. 72, ultimo comma, l. fall., sebbene attuata con forme privatistiche, rimane comunque una vendita fallimentare, e richiamando altresì, a supporto del provvedimento assunto, la disciplina introdotta, nella more del giudizio, dall'art. 173, comma 4, c.c.i.i., il quale attribuisce espressamente al giudice delegato la potestà di disporre la cancellazione delle ipoteche gravanti sull'immobile venduto al promissario acquirente dal curatore subentrato nel contratto preliminare, salva l'inopponibilità della metà degli acconti versati.

Il provvedimento del tribunale è stato quindi impugnato per cassazione dalla società cessionaria del credito, la quale ha contestato, in particolare, la qualificazione come vendita concorsuale, da parte del giudice di merito, del contratto definitivo concluso dal curatore in esecuzione del preliminare trascritto ex art. 72, ultimo comma, l. fall., ai fini dell'art. 108 della stessa legge; avendo la prima sezione della Suprema Corte ravvisato l'esistenza di un contrasto giurisprudenziale sulla questione sottoposta al suo esame, il procedimento è stato rimesso alle Sezioni Unite, le quali, con la pronuncia in esame, hanno accolto il ricorso e cassato con rinvio il decreto impugnato, sulla scorta dei principî enunciati nelle massime sopra riportate.             

Le questioni giuridiche e la soluzione     

Con il provvedimento in commento le Sezioni Unite, dirimendo un contrasto insorto nella precedente giurisprudenza di legittimità, hanno espressamente limitato la sfera di operatività dell'art. 108, comma 2, l. fall. (applicabile ratione temporis alla fattispecie portata all'esame della Suprema Corte) alle sole vendite attuate all'esito di una procedura competitiva svoltasi secondo le modalità di cui all'art. 107 l. fall., escludendo, dunque, che l'effetto purgativo previsto dal medesimo art. 108, comma 2, l. fall. possa operare nel diverso caso in cui la vendita sia stata effettuata in esecuzione di un contratto preliminare stipulato dal fallito e in cui il curatore sia subentrato ai sensi dell'art. 72, ultimo comma, l. fall.

Osservazioni

Con la pronuncia che si annota le Sezioni Unite hanno definito (invero “a futura memoria”, viste le radicali innovazioni ora introdotte nella materia in esame dall'art. 173 del codice della crisi di impresa e dell'insolvenza, sulle quali si tornerà in coda al presente commento, che hanno definitivamente relegato “in soffitta” la previgente disciplina) l'ambito di applicazione dell'art. 108, comma 2, l. fall. Quest'ultima norma, come noto, attribuisce al giudice delegato la potestà di ordinare, all'esito della vendita in sede concorsuale di beni immobili o di altri beni iscritti in pubblici registri, la cancellazione delle formalità pregiudizievoli su di essi gravanti. Ciò posto, la questione affrontata dalle Sezioni Unite, già ampiamente dibattuta in giurisprudenza, attiene all'applicabilità o meno di tale previsione normativa all'ipotesi in cui la vendita sia avvenuta in esecuzione di un contratto preliminare in cui il curatore sia subentrato in forza dell'art. 72, ultimo comma, l. fall. A quest'ultimo proposito, occorre rammentare che, ai sensi della norma da ultimo richiamata, i presupposti di tale subentro (operante ex lege, restando preclusa al curatore, in linea di principio, ogni valutazione circa la convenienza o meno del contratto per la massa dei creditori, in deroga alla previsione generale di cui al primo comma del medesimo art. 72 l. fall. in materia di contratti pendenti) sono: i) l'intervenuta trascrizione del contratto preliminare in data anteriore alla dichiarazione di fallimento; ii) la destinazione dell'immobile ad abitazione principale del promissario acquirente o di suoi parenti e affini fino al terzo grado ovvero, qualora l'acquirente sia un imprenditore, a sede principale dell'attività di impresa da questo svolta.   

Il tema è particolarmente delicato, implicando la necessità di dirimere il conflitto tra le contrapposte esigenze di tutela delle ragioni del promissario acquirente, da un lato, e, dall'altro, dei soggetti che abbiano acquisito sul bene promesso in vendita dal fallito titoli di prelazione anteriormente trascritti nei pubblici registri. Sennonché, sull'argomento si sono registrate divergenze in seno alla giurisprudenza di legittimità, che hanno portato alla rimessione della questione alle Sezioni Unite. L'orientamento favorevole all'estensione della disciplina di cui all'art. 108, comma 2, l. fall. alla vendita “negoziale”, espresso per vero dalla Suprema Corte in un'unica occasione (Cass., 8 febbraio 2017, n. 3310), e per di più sulla scorta di una motivazione particolarmente stringata, si fonda sulla ritenuta equivalenza della vendita attuata in forma contrattuale rispetto a quella coattiva, sotto il duplice profilo i) della tutela del creditore ipotecario, la cui ammissione al concorso con rango privilegiato sull'intero prezzo pagato, incluso l'acconto versato al venditore in bonis, lo porrebbe (secondo l'impostazione accolta dalla Corte nella pronuncia da ultimo citata) nella medesima posizione in cui si sarebbe trovato in presenza di una vendita nelle forme dell'esecuzione forzata; ii) dell'inesistenza di un indebito vantaggio per l'acquirente rispetto all'eventuale compravendita stipulata con il venditore in bonis, dal momento che, anche in quest'ultimo caso, il corrispettivo della vendita verrebbe pagato a condizione della cancellazione dell'ipoteca, «in ipotesi, mediante versamento diretto del prezzo, o di parte di esso, alla banca».

Una simile impostazione si presta però a obiezioni difficilmente superabili. Sotto il primo profilo, infatti, non sembra condivisibile la tesi secondo cui il privilegio del creditore ipotecario si estenderebbe alla quota parte del prezzo di vendita già percepita dal promittente venditore in bonis anteriormente alla dichiarazione di fallimento, tenuto conto della confusione delle somme corrisposte a titolo di prezzo in epoca antecedente al fallimento con il patrimonio del promittente venditore poi fallito. Né appare convincente – quanto meno dal punto di vista della tutela delle ragioni del creditore ipotecario – la tesi dell'equivalenza, ai fini che ci occupano, tra l'ipotesi in cui la vendita venga conclusa dal curatore in esecuzione di un contratto preliminare stipulato dal fallito e quella in cui il contratto definitivo venga stipulato direttamente dall'imprenditore in bonis; in quest'ultimo caso, infatti, la cancellazione dell'ipoteca, lungi dal costituire un effetto automatico della vendita, come avverrebbe (secondo la tesi qui in esame) nella prima ipotesi, è invece condizionata all'assenso del creditore ipotecario, a sua volta subordinato alla previa estinzione del credito garantito, in assenza della quale, dunque, il creditore conserverebbe intatte le prerogative connesse alla garanzia reale acquisita.    

Ciò premesso, parte della successiva giurisprudenza di merito ha addotto, a sostegno della tesi qui in esame, ulteriori argomenti, apparentemente di maggior pregio, che possono così riassumersi:

  • la vendita effettuata in esecuzione del preliminare a seguito del subentro del curatore ex art. 72, ult. comma, l. fall. avrebbe natura lato sensu “coattiva”, in quanto prescinde dalla volontà del titolare del diritto sul bene (l'impresa fallita) e si perfeziona, nell'ambito di una procedura concorsuale, mediante un atto del curatore, soggetto rappresentante la massa dei creditori e lo stesso fallito;
  • la suddetta vendita dovrebbe essere prevista nel programma di liquidazione e autorizzata dal comitato dei creditori;
  • il legislatore avrebbe inteso accordare al promissario acquirente, nelle ipotesi previste dall'art. 72, ultimo comma, l. fall., una tutela privilegiata, facendo prevalere il suo diritto alla stipula del contratto definitivo sul diritto alla migliore soddisfazione delle ragioni del creditore ipotecario; di conseguenza, secondo l'indirizzo in esame, l'esclusione dell'effetto purgativo della vendita vanificherebbe la ratio della suddetta norma, in quanto l'acquirente, pur avendo pagato interamente il prezzo (sia pure, in tutto o in parte, prima del fallimento) resterebbe ciò nondimeno esposto all'iniziativa esecutiva del creditore ipotecario.     

La Cassazione è giunta ad opposte conclusioni nella successiva Cass. 22 ottobre 2020, n. 23139, relativa a una fattispecie in cui l'assegnazione dell'immobile al socio di una cooperativa edilizia, in esecuzione di un contratto preliminare da questa stipulato, era avvenuta nell'ambito della procedura di concordato preventivo in continuità aziendale della società stessa. In quest'ultima pronuncia, la Suprema Corte ha affermato che l'effetto purgativo della vendita trova giustificazione nei principî che presiedono all'applicazione dell'art. 182, comma 5, l. fall. (che a sua volta richiama gli articoli da 105 a 108-ter della legge fallimentare in tema di liquidazione dell'attivo), e in particolare nella «necessaria competizione nell'ambito di una procedura pubblica di dismissione del bene, che muova dal suo prezzo di stima e favorisca la massima informazione e partecipazione di tutti i soggetti interessati al fine di assicurare il conseguimento del maggior risultato possibile e con esso la miglior soddisfazione dei creditori»; in mancanza di queste condizioni, laddove cioè la vendita sia frutto della continuazione dell'attività di impresa, non sarebbe dato al giudice delegato alla procedura di provvedere ad alcuna cancellazione, che dovrebbe invece avvenire secondo le regole del diritto comune.     

Ebbene, quest'ultima tesi è stata recepita dalle Sezioni Unite, con scelta senz'altro condivisibile, nel provvedimento in commento. A tal fine, le Sezioni Unite – dopo aver affermato, in linea con l'ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (ribadito anche nell'ordinanza interlocutoria), l'impugnabilità mediante ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. del provvedimento di rigetto del reclamo avverso il decreto con cui il giudice delegato dispone la cancellazione dei gravami ex art. 108, secondo comma, l. fall., trattandosi di provvedimento che incide in maniera irretrattabile sui diritti reali di garanzia e non soggetto ad altri mezzi di impugnazione (cfr., sul punto, Cass. 30454/2019 e Cass. 3310/2017, cit.) –  hanno affrontato l'obiezione, sollevata dal tribunale a quo nel provvedimento impugnato, circa l'asserita impossibilità di estendere alla procedura fallimentare il principio dettato dalla Suprema Corte, nella citata sentenza n. 23139/2020, con riferimento al concordato preventivo. L'obiezione è stata superata dalle Sezioni Unite sul rilievo che «anche nel procedimento liquidatorio dei beni del debitore, per quanto avente in ambito concordatario un fondamento originario di natura negoziale, la vendita deve dirsi sottesa da una finalità satisfattoria dei creditori del tutto analoga a quelle della procedura esecutiva fallimentare, tanto da muoversi in un ambito di controlli pubblici del pari destinati a garantire il raggiungimento di tale finalità»; il che comporta, secondo le Sezioni Unite, la sostanziale assimilabilità, anche all'esito della riforma del diritto concorsuale del 2006-2007, «tra la fase esecutiva del concordato per cessione dei beni del debitore (pur con la sua origine negoziale e con le sue ovvie peculiarità) e “il procedimento di vendita coatta di detti beni” sotteso dalla vendita fallimentare propriamente intesa» (principio, quest'ultimo, già affermato dalle Sezioni Unite in un precedente fondamentale arresto, più volte richiamato nella pronuncia qui in esame: Cass., Sezioni Unite, 24 giugno 2008, n. 19506). Una simile conclusione, del resto, appare corroborata dall'espresso richiamo, contenuto nell'art. 182, comma 5, l. fall., alla disciplina della liquidazione dell'attivo nel fallimento dettata dagli artt. 105 e seguenti l. fall..   

Ciò chiarito, le Sezioni Unite, nell'articolata motivazione del provvedimento in commento, hanno analizzato le differenze tra la vendita effettuata dal curatore (subentrato ex lege) in adempimento del preliminare stipulato dal fallito e quella attuata in esecuzione del programma di liquidazione ai sensi dell'art. 107 l. fall.; differenze che, secondo i Supremi Giudici, ostano alla possibilità di estendere alla prima tipologia di vendita l'effetto purgativo previsto per la seconda dall'art. 108, secondo comma, l. fall.

Più nel dettaglio, le Sezioni Unite hanno affermato che la vendita effettuata dal curatore in esecuzione del preliminare concluso dal fallito non ha natura coattiva né funzione liquidatoria dell'attivo, essendo finalizzata all'adempimento dell'obbligo a contrarre assunto dal fallito; in tale fattispecie, dunque, il curatore non esercita un potere espropriativo nell'interesse della massa dei creditori, trovandosi a operare, in sede di stipula del contratto definitivo, quale sostituto del fallito. La vendita esecutiva procedimentalizzata in funzione liquidatoria disciplinata dall'art. 107 l. fall. è invece finalizzata al miglior soddisfacimento dei creditori; in quest'ultimo caso, inoltre, il curatore sarebbe libero di scegliere quale modalità di vendita seguire, tra quelle indicate dalla norma, «essendo astretto all'osservanza delle (sole) modalità procedimentali dettate per il legittimo esercizio del potere di realizzazione coattiva». Un ulteriore decisivo elemento di distinzione tra le due fattispecie è dato dalla natura necessariamente competitiva delle procedure tramite le quali deve avvenire la vendita ex art. 107 l. fall., il che implica «la stima, la pubblicità, la possibilità di gara, quali presupposti inderogabili di trasparenza e correttezza anche a salvaguardia della parità tra gli offerenti»; presupposti, questi ultimi, che non sono invece ravvisabili nella vendita “negoziale”.

Muovendo da tali premesse, i Supremi Giudici sono giunti alla conclusione che solo la vendita “procedimentalizzata” ai sensi dell'art. 107 l. fall. possa considerarsi “vendita forzata”, con l'ulteriore conseguenza che solo a quest'ultima tipologia di vendita può ricollegarsi l'effetto purgativo previsto dall'art. 108, comma 2, l. fall.

Infine, a chiusura del proprio iter argomentativo, le Sezioni Unite hanno chiarito che la disciplina dettata dall'art. 72, ultimo comma, l. fall. deve intendersi diretta a tutelare il promissario acquirente, che abbia provveduto a trascrivere il preliminare ex art. 2645-bis c.c., unicamente dal rischio dell'eventuale successiva dichiarazione di fallimento del promittente venditore e «non in rapporto alla posizione dei terzi titolari di anteriori diritti di prelazione». E infatti, la futura sottoposizione dell'altro contraente a una procedura concorsuale costituisce una sopravvenienza generalmente non prevedibile e comunque sottratta alla sfera di influenza del promissario acquirente, il che, secondo l'indirizzo prescelto dalle Sezioni Unite, giustifica la tutela “rafforzata” che l'art. 72, ultimo comma, ha inteso accordare a quest'ultimo; rispetto alle preesistenti ragioni del creditore ipotecario, la tutela del promissario acquirente dovrebbe invece ritenersi affidata alla disciplina in materia di pubblicità immobiliare e alla possibilità di conoscere le iscrizioni pregiudizievoli gravanti sul bene che questi si è impegnato ad acquistare. Ma soprattutto, nella parte conclusiva della motivazione del provvedimento in commento, le Sezioni Unite sembrano fare espressamente salva la facoltà del promissario acquirente di avvalersi degli ordinari rimedi privatistici, ivi compresa la garanzia per il caso di evizione(artt. 1482, ultimo comma e 1483 c.c.) a fronte dell'inadempimento, da parte del promittente venditore, dell'obbligo di liberazione del bene dalle ipoteche assunto con il preliminare (obbligo nel quale il curatore subentra ex lege per effetto della regola dettata dall'art. 72, ultimo comma, l. fall.). 

Del resto, l'accoglimento della soluzione opposta a quella prescelta dai Supremi Giudici nella pronuncia in esame comporterebbe, come è stato evidenziato anche dalla dottrina, la sostanziale compromissione del diritto di sequela attribuito al creditore ipotecario dall'art. 2808, primo comma, c.c.. Non solo: quest'ultima soluzione comporterebbe, come è stato parimenti sottolineato in dottrina, un ingiustificato favor per il promissario acquirente che abbia stipulato il contratto definitivo a seguito del subentro del curatore ex art. 72, ultimo comma, l. fall., rispetto al promissario acquirente (più diligente) che abbia promosso l'azione ex art. 2932 c.c. ante declaratoria di fallimento; quest'ultimo, infatti, una volta ottenuto l'accoglimento della domanda, non potrà beneficiare della cancellazione delle formalità gravanti sull'immobile, posto che, in quel caso, l'effetto traslativo deriva non già da una vendita, ma da un provvedimento giudiziale passato in giudicato, «il cui contenuto e i cui effetti non potrebbero essere stravolti da un decreto del giudice delegato» (così A. Luminoso, Alienazioni non coattive in sede fallimentare (o concordataria) e cancellazione delle ipoteche: i giudici di legittimità ci ripensano, in Fall., 2021, 1, 30).

Sennonché, nello scenario sopra delineato ha letteralmente fatto “irruzione” il codice della crisi di impresa e dell'insolvenza, il quale ha introdotto, all'art. 173, una disciplina del tutto inedita, diretta – almeno nelle intenzioni del legislatore – a trovare un “punto di incontro” tra i contrapposti interessi in gioco. A tal fine, il legislatore ha innanzitutto eliminato il meccanismo di subentro ex lege del curatore nel preliminare previsto dal previgente art. 72, ultimo comma, l. fall; e infatti, l'art. 173, terzo comma, c.c.i.i. subordina ora detto subentro alla proposizione, da parte del promissario acquirente, di una domanda di esecuzione del preliminare «nel termine e secondo le modalità stabilite per la presentazione delle domande di accertamento dei diritti dei terzi sui beni compresi nella procedura», così demandando, di fatto, allo stesso promissario acquirente la valutazione circa la convenienza o meno dell'adempimento del contratto.

Ancor più dirompenti sono le innovazioni apportate dal successivo quarto comma dello stesso art. 173 c.c.i.i., il quale stabilisce che i) nei casi di subentro del curatore nel contratto preliminare di vendita, l'immobile è trasferito e consegnato al promissario acquirente «nello stato in cui si trova»; ii) gli acconti corrisposti prima dell'apertura della liquidazione giudiziale sono opponibili alla massa in misura pari alla metà dell'importo che il promissario acquirente dimostra di aver versato; iii) il giudice delegato, una volta eseguita la vendita e riscosso interamente il prezzo, ordina con decreto la cancellazione delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonché delle trascrizioni dei pignoramenti e dei sequestri conservativi e di ogni altro vincolo; previsione, quest'ultima, che muove con tutta evidenza in direzione opposta rispetto all'opzione ermeneutica esercitata dalle Sezioni Unite nella pronuncia in commento.

La nuova disciplina ha suscitato più di una perplessità in dottrina, parte della quale si era spinta, anteriormente alla sua entrata in vigore, ad auspicare un intervento correttivo del legislatore, diretto a sopprimere non solo la proposizione normativa concernente la cancellazione dei gravami, ma anche quella, strettamente connessa alla prima, relativa alla parziale inopponibilità degli acconti sul prezzo corrisposti dal promissario acquirente, in considerazione della loro contrarietà a «svariati principî del nostro ordinamento» (in questi termini, A. Luminoso, op. cit., 30), a cominciare da quello sancito dal già citato art. 2808, primo comma, c.c.. È stato poi sottolineato, più di recente, il rischio che una simile disciplina, andando a intaccare la certezza della garanzia ipotecaria, possa costituire un ostacolo alla possibilità di accesso ai finanziamenti, quanto meno da parte dei soggetti potenzialmente assoggettabili a una procedura concorsuale (si veda, a riguardo, F. Terrusi, Il contratto preliminare tra vendita obbligatoria, vendita concorsuale e purgazione delle ipoteche, in Esecuzione forzata, n. 1, 1° gennaio 2024, 1). Alcuni commentatori hanno peraltro suggerito un'interpretazione restrittiva dell'art. 173, quarto comma, c.c.i.i., che ne limiterebbe l'ambito di applicazione alle sole ipotesi di subingresso volontario del curatore nel preliminare, con esclusione, quindi, delle ipotesi di subingresso “vincolato” di cui ai commi primo e terzo del medesimo art. 173 (in tal senso, si veda A. Luminoso, I contratti preliminari: dalla legge fallimentare al codice della crisi d'impresa, in Contr. e impr., 2020, 1066; contra, Bozza, L'accertamento del passivo nel Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, in Fall., 2019, 1212).  

In ogni caso, proprio in ragione della netta discontinuità che caratterizza la nuova normativa rispetto a quella previgente, le Sezioni Unite, nella parte conclusiva della motivazione della pronuncia in commento, hanno ritenuto che la disciplina dell'art. 173, quarto comma, c.c.i.i. non possa essere assunta quale dato esegetico rilevante a supporto della tesi accolta dal giudice di merito nel provvedimento impugnato. I Supremi Giudici hanno dunque tenuto fermo il principio di diritto enunciato, pur nella consapevolezza che, in conseguenza del radicale mutamento intervenuto nella regolamentazione della materia, l'efficacia di detto principio è destinata a rimanere confinata alle residue ipotesi di applicabilità della legge fallimentare.

Guida all'approfondimento

Nella giurisprudenza di merito, si richiama, in senso conforme alla pronuncia in commento: App. Firenze, sent., 28 ottobre 2022, n. 2417; Trib. Lecce, 4 dicembre 2019; Trib. Milano, 13 novembre 2017.

In senso contrario, si segnala: Trib. Cagliari, decr., 2 gennaio 2020, in Fall., 2021, 1, 22; Trib. Messina, 11 aprile 2018, in Fall., 2018, 1456; Trib. Verona, decr., 16 aprile 2014, in Fall., 2014, 7, 825.

In dottrina, la questione è stata trattata, tra gli altri, da: F. LAMANNA, La problematica cancellazione delle ipoteche iscritte in caso di subentro del curatore nel preliminare, in Ilfallimentarista.it; A. CRIVELLI, Cancellazione delle formalità ex art. 108 e “atti negoziali” del curatore, in Fall., 2018, 1457; G. TARZIA, La sorte dell'ipoteca sull'immobile venduto dal curatore per subentro nel preliminare stipulato dal fallito, in Dir. Fall., 2017, 890; F. LO PRESTI, Il Fallimento conclude il contratto definitivo di compravendita immobiliare: quale la sorte dell'ipoteca gravante sull'immobile?, in Ilfallimentarista.it; P. FARINA, Subentro del curatore nel preliminare e operatività dell'art. 108 l.fall., in Ilfallimentarista.it

Sulla disciplina introdotta dall'art. 173 c.c.i.i., si segnala, in dottrina, in aggiunta ai contributi menzionati nel corpo del commento, MAFFEI ALBERTI, Commentario breve alle leggi su codice della crisi di impresa ed insolvenza, Milano 2023, 1313.

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