Il giudice ha il potere di disattendere le conclusioni del ctu
08 Ottobre 2024
Massima Il giudice ha il potere di disattendere le conclusioni del c.t.u., ma ciò richiede che nella motivazione della sentenza ci sia una confutazione specifica sul piano tecnico (di solito mediante argomenti offerti dai consulenti di parte, dal momento che l'avvenuta nomina del c.t.u. presuppone che vi fosse la necessità, per risolvere la lite, di competenze che esulano dalla preparazione professionale del giudice). In assenza di una confutazione specifica ovvero di una vera e propria omessa motivazione la sentenza di merito va cassata. Il caso In primo grado il ricorrente, medico dipendente di un istituto previdenziale, conveniva in giudizio il proprio datore di lavoro per chiederne la condanna al pagamento dell'equo indennizzo previsto dalla legge per avere contratto per causa di servizio una coronaropatia mono-vasale trattata con intervento di vascolarizzazione miocardica e un disturbo depressivo maggiore. Il Tribunale di Ravenna, in funzione di giudice del lavoro, accoglieva la domanda, previo esperimento di consulenza tecnica d'ufficio e previa assunzione di prove testimoniali, affermando che le patologie di cui era affetto il ricorrente erano riconducibili a causa di servizio e, per queste ragioni, il datore di lavoro veniva condannato al pagamento delle prestazioni di legge. Il datore di lavoro proponeva appello avverso la sentenza di primo grado, che veniva dichiarato inammissibile dalla Corte d'Appello di Bologna, per la ritenuta genericità dei motivi posti a sostegno dell'impugnazione. La sentenza d'appello venne però cassata con rinvio da questa Corte (Cass. civ., sez. VI, 4 aprile 2017, n. 8753), in accoglimento del ricorso del datore di lavoro, sulla base del rilievo che le critiche mosse alla decisione del Tribunale con l'atto d'appello erano sufficientemente specifiche, attribuendo alla Corte territoriale l'errore di avere confuso «il merito delle censure... con la loro ammissibilità». All'esito del giudizio di rinvio, la Corte di Appello di Bologna, in riforma della sentenza del Tribunale, respingeva la domanda del lavoratore. Quest'ultimo ricorreva per Cassazione ritenendo erronea la decisione collegio bolognese. La decisione in commento ha accolto il ricorso del lavoratore rilevando, in particolare, che la Corte territoriale ha obliterato «qualsiasi indicazione su eventuali fatti che, presi in considerazione dal c.t.u. per affermare la sussistenza del nesso causale, siano stati invece smentiti, o siano risultati non provati, all'esito dell'istruttoria. Del resto, nel passare in rassegna il materiale istruttorio, la Corte territoriale, più che mettere in dubbio i fatti posti a fondamento della domanda (a parte la sopra ricordata valutazione sulla "estrema genericità" delle allegazioni, che però, come si è visto, non ha portato a un giudizio di nullità della domanda), valuta negativamente la loro rilevanza patogena, mettendo invece in risalto una non meglio precisata "particolare condizione personale psico-fisica" del ricorrente”». La questione La questione in esame è la seguente: quando il giudice decide di discostarsi dalle conclusioni della c.t.u. deve farlo con una motivazione generica o analitica? Le soluzioni giuridiche La decisione che si annota è pervenuta alla conclusione di ritenere fondato il ricorso per Cassazione proposto da un lavoratore avverso la sentenza della Corte d'Appello. In particolare la Cassazione, con la decisione in commento, ha affermato che il giudice del merito è, certamente, peritus peritum e ha, quindi, il potere di disattendere le conclusioni del c.t.u. Ma ciò richiede che, nella motivazione della sentenza, ci sia una confutazione specifica sul piano tecnico (di solito mediante argomenti offerti dai consulenti di parte, dal momento che l'avvenuta nomina del c.t.u. presuppone che vi sia la necessità, per risolvere la lite, di competenze che esulano dalla preparazione professionale del giudice). Tale confutazione deve essere basata sugli argomenti tecnici del consulente d'ufficio che, nel caso esaminato dalla Suprema Corte, era assente, in quanto la Corte d'Appello, in particolare, non si era espressa sugli aspetti tecnici medico-legali, ovverosia sulla «plausibilità positiva del nesso di causalità fra le patologie sofferte dal lavoratore e la prestazione dallo stesso resa» senza assolvere sul punto ad alcun obbligo di motivazione. La decisione in commento ha richiamato, poi, il costante orientamento della Cassazione secondo cui l'assenza di motivazione può essere censurabile in sede di legittimità anche nei casi in cui il giudice aderisca acriticamente alle conclusioni del c.t.u., senza considerare le osservazioni critiche delle parti (v. Cass. civ., sez. III, 11 dicembre 2023, n. 34395/2023; Cass. civ., sez. VI, 3 dicembre 2012, n. 1652) e lo è senza dubbio laddove, essendo state disposte più c.t.u. con esiti contrastanti, il giudice faccia proprie le conclusioni di una, senza confrontarsi con gli argomenti spesi a sostegno dell'altra (Cass. civ., sez. III, 26 maggio 2021, n. 14599; Cass. civ., sez. VI, 7 settembre 2020, n. 18598; Cass. civ., sez. III, 31 maggio 2018, n. 13770). A maggior ragione, si afferma nella sentenza in commento, la medesima regola deve valere nel caso, come quello esaminato dai giudici della Cassazione nel caso di specie, di immotivato scostamento dalle conclusioni dell'unica c.t.u. svoltasi nel corso del processo. Osservazioni La decisione in commento appare particolarmente condivisibile sia per la sua chiarezza che per il suo ragionamento in diritto. Come noto la consulenza tecnica ha la funzione di fornire all'attività valutativa del giudice l'apporto di cognizioni tecniche che egli, normalmente, non possiede. La consulenza tecnica d'ufficio (C.T.U.) non costituisce, quindi, un mezzo di prova per l'organo giudicante, essendo finalizzata all'acquisizione, da parte di quest'ultimo, di un parere tecnico necessario per la valutazione e l'interpretazione di questioni tecniche particolarmente complesse ovvero che richiedono specifiche competenze (contabili, medico-legali, ingegneristiche, ecc). La nomina del consulente rientra nel potere discrezionale del giudice, il quale può provvedervi a prescindere da una specifica richiesta delle parti. La Cassazione ha poi affermato che il giudice del merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi e prendendo posizione (anche succintamente), dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l'obbligo della motivazione con l'indicazione delle fonti del suo convincimento; non è, quindi, necessario che egli si soffermi sulle contrarie deduzioni dei consulenti di fiducia che, anche se non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili con le argomentazioni accolte. Le critiche di parte, che tendano al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono in tal caso in mere allegazioni difensive, che non possono configurare il vizio di motivazione previsto dall'art. 360 n. 5 c.p.c. (vedasi : Cass. civ., sez. I, 9 gennaio 2009, n. 282; Cass. civ., sez. I, 3 aprile 2007, n. 8355). Diversamente, quando il giudice intende discostarsi dalle conclusioni del c.t.u., egli può legittimamente disattenderle soltanto attraverso una valutazione critica, che sia ancorata alle risultanze processuali e risulti congruamente e logicamente motivata, dovendo il giudice indicare gli elementi di cui si è avvalso per ritenere erronei gli argomenti sui quali il consulente si è basato, ovvero gli elementi probatori, i criteri di valutazione e gli argomenti logico-giuridici ovvero tecnici per addivenire alla decisione contrastante con il parere del c.t.u. Qualora, poi, nel corso del giudizio di merito vengano espletate più consulenze tecniche, in tempi diversi e con difformi soluzioni prospettate, il giudice, ove voglia uniformarsi alla seconda consulenza, è tenuto a valutare le eventuali doglienze di parte e giustificare la propria preferenza, senza limitarsi ad un'acritica adesione ad essa e motivando in maniera adeguata (vedasi, tra le tante, Cass. civ., sez. I, 3 marzo 2011, n. 5148). Nella decisione in commento si è fatto proprio riferimento alla giurisprudenza della Suprema Corte anzidetta e si è ribadito, in maniera condivisibile, che in motivazione deve esserci una confutazione specifica sul piano tecnico (di solito mediante argomenti offerti dai consulenti di parte, dal momento che l'avvenuta nomina del c.t.u. presuppone che vi fosse la necessità, per risolvere la lite, di competenze che esulano dalla preparazione professionale del giudice) delle conclusioni a cui è giunto il c.t.u. Il Giudice, in definitiva, deve prendere posizione in maniera critica sulla consulenza cui intende discostarsi rendendo edotto “all'esterno” ( e quindi in motivazione) le ragioni per le quali si ritiene erroneo il ragionamento tecnico del consulente (facendo rinvio, ad esempio, alle argomentazioni di uno dei consulenti di parte o a documentazione incompatibile con le valutazioni tecniche del c.t.u. nominato). |