La Corte di Giustizia UE in sede di rinvio pregiudiziale sulle garanzie procedurali dovute ai minori indagati o imputati
08 Ottobre 2024
Massima Gli artt. 2, 4, 6, 18 e 19 della direttiva 2016/800 devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale che non preveda che i minori indagati o imputati siano assistiti da un difensore al più tardi al primo interrogatorio da parte della polizia o della A.G., che non preveda che essi ricevano informazioni sui loro diritti procedurali in maniera semplice ed accessibile al più tardi prima del primo interrogatorio da parte della polizia o che preveda che tali diritti, pur goduti, vengano persi automaticamente al compimento dei 18 anni nel corso del procedimento. Non ostano, invece, ad una normativa nazionale che non imponga o consenta al giudice del caso di dichiarare inammissibili prove incriminanti tratte da dichiarazioni rese da un minore in violazione di questi diritti. Il caso Nell'ambito di un procedimento penale a carico di tre minorenni imputati di accesso abusivo con effrazione negli edifici di un ex centro vacanze abbandonato e relativo danneggiamento, veniva sollevata dal giudice polacco competente domanda di pronuncia pregiudiziale sull'interpretazione dell'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, dell'art. 2 e dell'art. 19 della direttiva UE 2016/800 del Parlamento europeo e del Consiglio sulle garanzie procedurali per i minori indagati o imputati in procedimenti penali, dell'art. 12 e dell'art. 13 della direttiva 2013/48/UE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al diritto di avvalersi di un difensore nel procedimento penale, dell'art. 3 della direttiva 2012/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al diritto all'informazione nei procedimenti penali, dell'art. 7 nonché dell'art. 10 della direttiva UE 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali nonché dei principi del primato, dell'effetto diretto e dell'effettività del diritto dell'Unione. I fatti oggetto del procedimento penale a carico dei tre imputati minorenni, diciassettenni all'epoca del reato, prevedono nell'ordinamento polacco la pena della reclusione fino ad un anno. Uno dei tre minori veniva convocato dalla polizia per essere interrogato in quanto indagato senza che fossero informati i suoi genitori e senza che venisse reso noto al ragazzo che poteva nominare un avvocato o prendere visione del fascicolo del procedimento prima che il giudice fosse investito dell'atto di rinvio a giudizio. In questo interrogatorio il minore ammetteva i fatti illeciti rilasciando così dichiarazioni autoincriminanti addirittura ammettendo anche più ingressi illeciti nel centro vacanze, mentre gliene era stato contestato inizialmente uno solo. Solo dopo l'interrogatorio gli veniva consegnato un modello informativo standard, utilizzato per gli adulti, in cui era contenuta l'indicazione dei suoi diritti procedurali senza una spiegazione appropriata e sempre senza che egli o i suoi genitori nominassero un avvocato o che gli venisse nominato un avvocato d'ufficio. Seguiva un secondo interrogatorio, come il primo non videoregistrato, in base al quale gli agenti di polizia individuavano i due minorenni che avevano agito insieme a lui nel compimento degli illeciti. Analoga vicenda procedurale, dunque, seguiva nei confronti degli altri due minorenni: essi venivano convocati al commissariato di polizia senza ricevere alcuna informazione sul loro di ritto di nominare un avvocato o di essere assistiti da un avvocato d'ufficio, e nessuna informazione veniva fornita ai loro genitori, ma veniva loro consegnata la stessa voluminosa e complessa informativa data al primo minore e utilizzata in casi standard nei confronti di indagati maggiorenni. Solo una volta rinviati a giudizio, il Tribunale competente nominava un avvocato d'ufficio. Gli avvocati dei tre ragazzi chiedevano di espungere dal processo le dichiarazioni autoincriminanti che gli stessi avevano reso nel corso delle indagini dinanzi alla polizia in quanto rese in violazione dei loro diritti e chiedevano di mantenere la propria designazione anche nel corso del processo nonostante il compimento della maggiore età degli imputati. In questo contesto, dunque, nasceva il rinvio pregiudiziale in merito a diversi profili del procedimento in oggetto. La questione La questione riguarda dunque da un lato i fondamentali diritti procedurali assicurati, nella normativa generale dell'Unione europea, ai minorenni coinvolti in fatti penalmente illeciti, in qualità di indagati o imputati e le conseguenze della violazione di garanzie procedurali previste anche dal diritto nazionale in conformità agli standard europei. Dall'altro lato riguarda la tutela interna di quei giudici che, facendo applicazione diretta del diritto dell'Unione nei casi in cui ciò sia consentito, incorrono in conseguenze non solo disciplinari all'interno dell'ordine giurisdizionale, ma anche in decisioni del potere esecutivo, vertice dell'autorità requirente in Polonia, che può disporre la sospensione temporanea del giudice dal servizio finché non venga emessa una decisione disciplinare, in caso di applicazione diretta del diritto dell'Unione europea. In altri termini: qualora nel corso del procedimento il minore indagato o imputato non sia stato informato adeguatamente dei suoi diritti e non gli sia stata data la possibilità di nominare un avvocato prima del suo interrogatorio in cui abbia reso dichiarazioni autoincriminanti, queste dichiarazioni possono poi essere utilizzate a discrezione del giudice nel processo o sono automaticamente da espungere dagli atti processuali? E il minore all'epoca dei fatti mantiene le sue garanzie processuali nel corso del procedimento anche una volta compiuti i diciotto anni? E, infine, il diritto dell'Unione osta ad un sistema normativo interno in cui il Ministro della giustizia che è allo stesso tempo Procuratore generale e la più alta autorità della Procura, può impartire ordini vincolanti ai procuratori di grado inferiore anche qualora questi ordini limitino o impediscano l'applicazione diretta del diritto dell'Unione? Le soluzioni giuridiche Le questioni poste, evidentemente, sono di rilevanza cruciale e riguardano un numero considerevole di decisioni giudiziarie pendenti nel paese di provenienza del rinvio. Questo ha spinto la Corte a trattare la causa in via prioritaria anche se non con procedura accelerata come pure era stato richiesto dal giudice di rinvio. Anzitutto, ad avviso del giudice del rinvio le circostanze in cui si era svolto il procedimento penale avevano privato i minori indagati della possibilità di fruire delle norme minime di protezione applicabili ai minori ai sensi dell'art. 3 della direttiva 2016/800 nonché dei diritti riconosciuti a tutti gli indagati ai sensi delle direttive 2013/48 e 2012/13. In secondo luogo, la perplessità riguardava le modalità di interpretazione e applicazione del diritto dell'Unione nei casi in cui, come quello in oggetto, le norme procedurali nazionali contengono disposizioni che non solo non sono sufficientemente precise da garantire i diritti dei minori enunciati nella direttiva 2016/800 ma rendono impossibile un'interpretazione di tali disposizioni conforme al diritto dell'Unione. Gli ulteriori interrogativi sono conseguenziali e riguardano i mezzi di ricorso effettivi al fine di garantire i diritti dei minori indagati o imputati e neutralizzare gli effetti della loro violazione nel caso concreto, nonché gli effetti dell'assenza, nell'ordinamento nazionale, di disposizioni chiare relative alla utilizzabilità o inutilizzabilità di dichiarazioni rese da un minore indagato o imputato in assenza di un avvocato. In particolare, la questione pregiudiziale riguardava la domanda se questi ultimi due aspetti siano vincolanti in qualche modo nell'ordinamento dell'Unione o se siano comunque lasciati alla discrezionalità della legge nazionale. Ultima questione, estranea alla vicenda della tutela dei diritti dei minorenni in sé, ma attinente in generale alla gestione del potere del Ministro della Giustizia di disporre, in applicazione di normativa nazionale sull'organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari, riguardava la sospensione immediata di un giudice dalle sue funzioni qualora adotti decisioni direttamente sulla base del diritto dell'Unione o decisioni destinate a garantire l'indipendenza e l'imparzialità di un organo giurisdizionale, meccanismo attivato dall'organo requirente che ha l'obbligo di riferire la circostanza al suo vertice gerarchico, incardinato nel potere esecutivo, ossia il Ministro della giustizia. Queste, in sostanza, le domande pregiudiziali rivolte dal Tribunale circondariale di Stupsk alla Corte europea. Le considerazioni che il Governo polacco faceva valere contro le questioni portate all'attenzione della Corte vertevano essenzialmente su eccezioni di irricevibilità delle stesse, sulla base del rilievo che, in concreto, non vi era stata alcuna violazione del diritti dei minori nel processo in questione in quanto il giudice aveva espunto dagli atti processuali le prove raccolte in violazione di quelle garanzie ed aveva mantenuto la nomina del difensore di fiducia per tutta la vicenda processuale anche per il minore che nel corso del giudizio aveva compiuto i diciotto anni. Pure in termini di irricevibilità veniva contestata la questione relativa alle ingerenze, previste dalla normativa nazionale, del potere esecutivo nella eventuale sospensione immediata di un giudice dalle sue funzioni considerato che anche questa vicenda atteneva ad una sospensione di cui era stato fatto oggetto il giudice incaricato del procedimento principale ma relativamente ad una causa distinta e comunque la sospensione era già cessata, conferendo così alla questione mero carattere ipotetico e generale ma privandola di collegamenti concreti con la decisione del caso di specie. Le motivazioni a sostegno delle questioni poste dal giudice di rinvio venivano analizzate nel dettaglio dalla Corte e venivano nel merito accolte tranne che per quanto riguardava le questioni poste con riferimento all'autonomia e indipendenza dell'organo giudiziario dalle ingerenze del potere esecutivo: sul punto, infatti, venivano accolte le eccezioni di irricevibilità avanzate dal governo polacco sulla base del rilievo neutrale che la fase delle indagini preliminari era terminata sicché la questione non poteva più avere rilevanza nel giudizio di rinvio. Quanto invece alle questioni di merito, evidenziava la Corte che la decisione di espungere le fonti probatorie acquisite in violazione delle garanzie processuali non era definitiva sicché non poteva escludersi una rilevanza della risoluzione di detta questione sul giudizio finale nel merito. Le questioni di merito poste dal giudice di rinvio venivano esaminate dalla Corte raggruppate in maniera organica per macroargomento. Al primo gruppo di questioni la Corte rispondeva sancendo che ai minori indagati o imputati deve essere offerta, in base al diritto nazionale, la possibilità concreta ed effettiva di essere assistiti da un difensore prima del primo interrogatorio da parte della polizia o di un'altra autorità di contrasto e, al più tardi, a partire da tale interrogatorio e, in assenza di nomina fiduciaria da parte del minore o dei suoi genitori, deve essere prevista la nomina di un difensore d'ufficio che assista il minore durante l'interrogatorio. Dal carattere imperativo di tale disposto, discende che la polizia o altra autorità di contrasto non possono procedere a tale interrogatorio qualora il minore interessato non fruisca effettivamente di questa assistenza. L'art. 6 della direttiva 2016/800 prevede infatti che qualora nessun difensore risulti presente, le autorità competenti rinviano l'interrogatorio per un periodo di tempo ragionevole e provvedono esse stesse alla nomina. Le deroghe, che pure in astratto l'art. 6 prevede, devono attenere a casi specifici trattati di volta in volta e non ad una carenza generale prevista dall'una o dall'altra delle normative nazionali come accade nel diritto nazionale polacco che prevede la presenza di un difensore in caso di minori non detenuti solo a richiesta espressa da parte dell'indagato o dei suoi genitori. Ne consegue l'incompatibilità di una siffatta normativa nazionale con la direttiva europea ed in ragione del principio del primato, il giudice nazionale, ove non possa procedere ad un'interpretazione della normativa nazionale conforme alle prescrizioni del diritto dell'Unione, dovrà disapplicare di propria iniziativa qualsiasi normativa o prassi nazionale, anche posteriore, contraria ad una disposizione del diritto dell'Unione dotata di effetto diretto, come è quella in questione, dotata di formulazione chiara, precisa e incondizionata. Ulteriore aspetto inerente sempre a questo gruppo di dubbi sollevati dal giudice del rinvio, è quello della necessità che il diritto di essere assistito da un difensore nominato d'ufficio continui ad applicarsi anche ai minorenni che, nel corso del procedimento penale, abbiano compiuto i diciotto anni: specificava la Corte che dalla direttiva non è lecito inferire alcuna decadenza automatica di tali garanzie e del ruolo del difensore nominato d'ufficio al compimento della maggiore età applicandosi la direttiva anche a costoro qualora la sua applicazione risulti appropriata alla luce di tutte le circostanze del caso, incluse la maturità e la vulnerabilità della persona interessata. Ne deriva che una esclusione automatica, generale ed astratta della fruizione di tali garanzie da parte della normativa nazionale in relazione al compimento dei diciotto anni di età nel corso del procedimento penale è da considerare in contrasto con le disposizioni della direttiva dovendo, dunque, essere disapplicata dal giudice del rinvio ove non fosse possibile una interpretazione conforme al diritto dell'Unione. Analoghe considerazioni la Corte svolgeva sull'aspetto della informazione sulle esposte garanzie da rendere al minore e ai suoi genitori che deve essere completa e resa in un linguaggio semplice ed accessibile che tenga conto delle esigenze specifiche e delle vulnerabilità di detti minori secondo uno standard minimo di garanzia che non può essere sottostimato e deve pertanto comprendere non solo il diritto al silenzio, ma anche il diritto di non autoincriminarsi, il diritto all'assistenza di un difensore, il diritto di essere informato dell'accusa, il diritto all'interpretazione e alla traduzione e il diritto di essere accompagnato dal titolare della responsabilità genitoriale durante tutte le fasi del procedimento diverse dalle udienze. Infine, detta informazione deve essere tempestiva, cioè nella fase iniziale del procedimento: fornire informazioni sulle garanzie dovute ai minori o ai loro genitori oltre il primo interrogatorio tenuto dalla polizia o da altre autorità di contrasto equivale ad una violazione dei diritti stessi perché non ne consente l'esercizio effettivo (considerando 19 della direttiva 2012/13). Differente soluzione veniva data invece alla questione se le disposizioni degli artt. 18 e 19 della più volte citata direttiva 2016/800 obblighino un giudice investito di un procedimento penale a non tener conto delle dichiarazioni incriminanti rese da minori indagati o imputati in occasione di un interrogatorio condotto dalla polizia in violazione dei diritti che a tali minori sono garantiti dalla suddetta direttiva. Sotto questo profilo, evidenziava la Corte che il disposto vincolante dell'art. 19 della direttiva 2016/800 sancisce che gli Stati membri provvedono affinché il minore indagato o imputato in un procedimento penale disponga di mezzi di ricorso effettivi ai sensi del diritto nazionale in caso di violazione dei propri diritti ai sensi della medesima direttiva. Non viene tuttavia disciplinato, nel dettaglio, il novero delle eventuali conseguenze che il giudice di merito deve trarre, in assenza di contestazione alla violazione in merito all'ammissibilità delle prove ottenute in violazione dei diritti. Analoghe considerazioni vanno fatte per la direttiva 2012/13 a cui rinvia l'articolo 4 della direttiva 2016/800 e per la direttiva 2013/48 a cui rinvia l'articolo 6 della direttiva 2016/800. In sostanza l'art. 12 della direttiva 2013/48, l'art. 10 della direttiva 2016/343 prevedono che gli Stati membri garantiscano che, nella valutazione delle dichiarazioni rese da indagati o imputati o delle prove raccolte in violazione del loro diritto di accesso a un difensore o per le dichiarazioni e prove ottenute in violazione del diritto al silenzio o del diritto di non autoincriminarsi siano rispettati i diritti della difesa e l'equità del procedimento, tuttavia ciò non implica affatto una automatica ingerenza sul sistema normativo nazionale in materia di ammissibilità delle prove che sono, per l'appunto, “fatti salvi” dalla normativa europea su tale punto. In definitiva, allo stato attuale, spetta al diritto nazionale determinare le norme relative all'ammissibilità nei procedimenti penali degli elementi di prova ottenuti in violazione dei diritti conferiti dalla direttiva 2016/800 a patto che le regole nazionali non siano meno favorevoli di quelle disciplinanti situazioni analoghe assoggettate al diritto interno e che non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell'Unione (principio di equivalenza e di effettività) (sentenza del 30 aprile 2024, M.N. (EncroChat), C-670/22, EU:C:2024:372, punto 128 e punto 129 e giurisprudenza ivi citata). Osservazioni La decisione della Corte qui commentata, letta nel suo complesso, lascia emergere appieno la difficile operazione di creazione ed armonizzazione del diritto dell'Unione, che si accompagna necessariamente ai due principi sopra citati di effettività ed equivalenza, con la necessità di conservare ai vari ordinamenti nazionali un inevitabile spazio di autonomia quanto meno nella scelta degli strumenti operativi e processuali attraverso i quali garantire gli obiettivi fondamentali (nel caso di specie, il diritto ad un equo processo e il rispetto del principio del contraddittorio). È evidente, tuttavia, che se in astratto il quadro è molto semplice e lineare, in concreto, ed andando di pari passo con differenze istituzionali e politiche anche assai sensibili, le questioni diventano infinitamente più complesse e delicate, come dimostrato dal caso in questione alla luce anche dei dubbi sollevati circa la garanzia di autonomia e indipendenza degli organi giudiziari. Di conseguenza, spetta al giudice investito dello specifico caso, come anche al giudice del rinvio nel caso di specie, valutare di volta in volta se le disposizioni nazionali pertinenti siano conformi ai requisiti sopra indicati e interpretare, per quanto possibile, tali disposizioni in modo conforme al diritto dell'Unione ovvero, ove ciò non sia possibile, provvedere a disapplicare di propria iniziativa le disposizioni nazionali incompatibili. |