Sicurezza sul lavoro: obblighi del committente privato e modello collaborativo della responsabilità in caso di infortunio dell’operaio dell’impresa appaltatrice
10 Ottobre 2024
Massima Attorno alle figure di committente professionale e committente privato, la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha ormai da anni precisato che: «il committente privato - in quanto tale non professionale - che affidi in appalto lavori di manutenzione domestica, non sia tenuto a conoscere, alla pari di quello professionale, le singole disposizioni tecniche previste dalla normativa prevenzionale. Gli si chiede tuttavia, se non vuole assumere su di sé tutti gli obblighi in materia di sicurezza e rispondere penalmente degli eventuali infortuni dei lavoratori, di scegliere adeguatamente l'impresa, verificando che essa sia regolarmente iscritta alla C.C.I.A., che sia dotata del documento di valutazione dei rischi e che non sia destinataria di provvedimenti di sospensione o interdittivi ai sensi dell'art. 14, D. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81. Si profilerà, inoltre, una sua responsabilità penale quando vi sia prova che si sia ingerito nell’organizzazione o nell'esecuzione del lavoro o in presenza di un'agevole ed immediata percepibilità delle situazioni di pericolo. Diversa e più pregnante è la posizione di garanzia del committente-imprenditore a carico del quale il decreto legislativo 81/2008 pone la valutazione del c.d. rischio da interferenze e, in particolare all'art. 26, prevede che egli elabori un unico documento di valutazione dei rischi che indichi le misure adottate per eliminare o, comunque, ridurre al minimo i rischi da interferenze. Il committente professionale, inoltre, ha l’obbligo di fornire dettagliate informazioni sui rischi esistenti nell'ambiente in cui i lavoratori dell'appaltatore sono destinati ad operare». Il caso La responsabilità penale del committente dei lavori per l’infortunio mortale dell’operaio della ditta appaltatrice delle opere La Corte di Appello di Catania ha ritenuto di confermare la sentenza di condanna emessa dal Giudice dell’Udienza Preliminare presso il Tribunale Ordinario di Siracusa a carico del committente dei lavori, per non aver richiesto il distacco della corrente elettrica in transito sui cavi dell’alta tensione nell’arco temporale interessato all’esecuzione di un lavoro con un’autobetonpompa, il cui braccio, toccando quei cavi, provocava la folgorazione dell’operaio addetto alla manovra del mezzo, socio della ditta appaltatrice dei lavori. La questione È necessario un bilanciamento fra gli obblighi di cautela assunti dal garante con quelli dei soggetti incaricati dell’esecuzione al ciclo lavorativo, competenti e istruiti sulle norme cautelari in materia antinfortunistica Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha confermato il filone ermeneutico già avviato attorno alla figura dell’imprenditore committente privato, il quale non è tenuto a conoscere, a differenza del committente professionale, le singole previsioni tecniche disposte dalla normativa prevenzionistica e, pertanto, non può rispondere del fatto dovuto alla negligenza di chi, competente e istruito, non ha rispettato gli obblighi di cautela assunti. La soluzione giuridica Quando l’imprenditore committente privato ha scelto l’impresa incaricata dei lavori dopo averne verificato la regolare iscrizione alla C.C.I.A., la relativa adozione del Documento di Valutazione dei Rischi e l’assenza di provvedimenti di sospensione o interdittivi previsti dal Testo Unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro, non assume su di sé tutti gli obblighi antinfortunistici e non è penalmente responsabile in caso di infortunio del lavoratore, salvi i casi in cui si sia ingerito nell’organizzazione o nell’esecuzione del lavoro o abbia avuto un’agevole e immediata percepibilità della situazione di pericolo. La pronuncia emessa dalla Quarta Sezione penale della Suprema Corte ha annullato la sentenza impugnata e rinviato per un nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Appello di Catania, ritenendo fondati i motivi di doglianza rappresentati nel ricorso dell’imprenditore committente privato. La Corte di Cassazione ha quindi avallato l’orientamento ermeneutico che sostiene il superamento, in materia di responsabilità colposa per infortuni sul lavoro, del modello ‘iperprotettivo’, implicante un’articolazione delle procedure con appesantimento dei cicli produttivi, e guarda invece con favore al modello ‘collaborativo’, in cui i lavoratori adeguatamente formati sono titolari di stringenti obblighi che, se rispettati, impediscono la verificazione dell’evento lesivo derivante dal sinistro. Infatti, nei precedenti gradi di giudizio il ricorrente, nella qualità di committente e responsabile dei lavori del cantiere – consistenti nella realizzazione di un prefabbricato destinato ad uffici –, era stato condannato unitamente all’addetto ai comandi dell’autobetonpompa per non aver richiesto il distacco della corrente elettrica in transito sui cavi dell’alta tensione nell’arco temporale interessato dalla posa in opera del calcestruzzo tramite il braccio snodabile del macchinario. La responsabilità per il delitto di cui agli artt. 113 e 589, commi 1° e 2° c.p. veniva così ascritta ad entrambi gli imputati per non aver impedito la morte dell’addetto alla posa del calcestruzzo, nonché socio della ditta appaltatrice dei lavori, rimasto folgorato dalla scarica elettrica dei sovrastanti cavi dell’alta tensione. Invero, l’addetto ai comandi dell’autobetonpompa aveva fatto passare il terminale oscillante del macchinario a una distanza inferiore a cinque metri dai cavi dell’alta tensione in violazione dell’art. 83 d.lgs. n. 81/2008, determinando il contatto fra la vittima e i cavi dell’alta tensione in ragione del naturale movimento oscillante del terminale. Il ricorrente ha però eccepito che dall’esame del Documento di Valutazione dei Rischi e del Piano Operativo di Sicurezza il rischio da elettrocuzione era stato debitamente evidenziato mediante la prescrizione secondo cui non dovessero eseguirsi lavori non elettrici in vicinanza di linee elettriche o di impianti elettrici con parti attive non protette, e comunque mai a distanze inferiori ai limiti stabiliti. Ebbene, nel riconoscere la fondatezza dei motivi di ricorso, la Suprema Corte ha precisato che l’osservanza delle prescrizioni di sicurezza così come adottate dalla committenza costituiva tutela adeguata alla copertura del rischio dell’evento lesivo verificatosi, specie se la vittima, nel caso di specie, in quanto socio della ditta appaltatrice dei lavori, aveva anche specifiche competenze in materia antinfortunistica. In buona sostanza, per un ragionevole inquadramento della teoria dell’imputazione, nei cicli produttivi è necessario bilanciare gli obblighi assunti dai soggetti titolari di posizione di garanzia, con quelli di coloro che diano esecuzione al ciclo lavorativo: quanto più questi ultimi sono competenti e istruiti sulle cautele da rispettare, tanto meno potrà muoversi il giudizio di rimproverabilità nei confronti del garante, non potendo questi supplire alle negligenze altrui per non aver rispettato gli obblighi assunti. Osservazioni La sentenza in esame aderisce pienamente all’indirizzo della giurisprudenza di legittimità consolidatosi sul punto, sulla scorta del quale, in materia di responsabilità colposa, il committente di lavori dati in appalto deve adeguare la sua condotta a fondamentali regole di diligenza e prudenza nello scegliere l’appaltatore e più in genere il soggetto cui affida l’incarico, accertando che questi non sia munito solo dei titoli di idoneità normativamente prescritti, ma anche della capacità tecnica e professionale, proporzionata al tipo astratto di attività commissionata e alle concrete modalità di espletamento della stessa. In altri termini, l’imprenditore committente è onerato di verificare l’idoneità tecnico-professionale dell’impresa e dei lavoratori autonomi prescelti anche in relazione alla pericolosità dei lavori affidati (ex multis, Cass. Pen., Sez. III, 26 aprile 2016, n. 35185). Nel sottolineare la distinzione fra l’imprenditore committente privato e quello professionale, insomma, la Suprema Corte evidenzia la necessità di fornire dettagliate informazioni sui rischi esistenti nell’ambiente in cui i lavoratori dell’appaltatore sono destinati ad operare, poiché l’art. 26 d.lgs. n. 81/2008 impone la valutazione del c.d. ‘rischio da interferenze’, attraverso l’elaborazione di un Documento di Valutazione dei Rischi che indichi le misure adottate per eliminare o comunque ridurre al minimo i rischi da interferenze. Invero, nel caso di specie, viene riconosciuto che il committente avesse assolto a tutti gli obblighi in grado di governare il rischio da cui è poi scaturito l’exitus fatale, avendo egli dapprima accertato l’idoneità tecnico-professionale dell’impresa appaltatrice e fornito alla stessa dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell’ambiente di lavoro, oltreché avendo poi promosso la cooperazione e il coordinamento per l’attuazione delle misure precauzionali, attraverso l’elaborazione di un unico Documento di Valutazione dei Rischi così come prescritto dalla normativa vigente. In tema di responsabilità per violazione colposa delle norme in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, se il garante ha considerato uno specifico rischio e, al fine di gestirlo, ha introdotto e reso conoscibili delle adeguate prescrizioni, quando si rivolge a soggetti qualificati ed essi stessi garanti rispetto a siffatto rischio deve poter fare legittimo affidamento, fino a prova contraria, che tali prescrizioni vengano debitamente osservate (Cass. Pen., 15 febbraio 2007; Cass. Pen., Sez. IV, 4 aprile 2007, n. 39567). A tal riguardo, allora, la Corte di Cassazione ripercorre l’orientamento ermeneutico che sospinge l’evoluzione della normativa antinfortunistica secondo il modello collaborativo, in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori, nell’ottica del superamento del modello iperprotettivo, esclusivamente fondato sulla figura del datore di lavoro, quale soggetto titolare della posizione di garanzia e quindi onerato dell’obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori (Cass. Pen., Sez. IV, 10 febbraio 2016, n. 8883). Diversamente ragionando, in conclusione, si finirebbe per sconfessare i cardini del consolidato orientamento di legittimità (ex multis, Cass. Pen., Sez. IV, 2 dicembre 2016, n. 27296; Cass. Pen., Sez. IV, 15 luglio 2015, n. 44131), a mente del quale l’obbligo di vigilanza del committente dei lavori non può tradursi in un onere di controllo pressante, continuo e capillare sull’organizzazione e sull’andamento dei lavori. Riferimenti bibliografici minimi R. 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Tra posizioni di garanzie “primarie” e “secondarie, colpa grave e organizzativa del committente, in La dimensione dinamica della salute e della sicurezza sul lavoro nel contesto locale: sistemi produttivi, modelli di prevenzione e responsabilità penale, L. Foffani, G. Pellacani, R. Orlandi, L. Lodi (a cura di), Torino, 2024. D. Piva, La responsabilità del “vertice” per organizzazione difettosa nel diritto penale del lavoro, Napoli, 2011. V. Valentini, Lavori in appalto, in Sicurezza sul lavoro. Profili penali, D. Castronuovo, F. Curi, S. Tordini Cagli, V. Torre, V. Valentini (a cura di), Torino, 2021. |