Fallimento in estensione e diritto di difesa dei soci: la parola alla Consulta
11 Ottobre 2024
Il tribunale ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 147 r.d. n. 267/1942 in riferimento agli artt. 24 e 111 cost., nella parte in cui non prevede la possibilità dei soci di interloquire anche sui requisiti di fallibilità della società, quantomeno al fine di sottrarsi all'estensione dello stesso nei loro confronti. L'art. 147 l. fall. disciplina il c.d. “fallimento in estensione”. In particolare, il comma 4 recita: «Se dopo la dichiarazione di fallimento della società risulta l'esistenza di altri soci illimitatamente responsabili, il tribunale, su istanza del curatore, di un creditore, di un socio fallito, dichiara il fallimento dei medesimi». Proprio sulla base di tale disposizione, il curatore di un fallimento aveva presentato ricorso per la dichiarazione di fallimento dei soci illimitatamente responsabili di una società. Tralasciando i profili, pur sollevati dai soci, relativi alla qualificazione della società come “agricola” e dunque a loro giudizio non soggetta a fallimento, la pronuncia del tribunale di Matera è d'interesse in quanto, in adesione alle doglianze degli opponenti (Par. II, punto c, dell'ordinanza) vengono rimessi gli atti alla Corte costituzionale per la violazione del diritto di difesa concretizzata nelle disposizione dell'art. 147 l. fall. Tale norma, a parere degli opponenti, «consentendo ai soci solo di contestare la loro qualità di soci o di soci illimitatamente responsabili o il superamento del termine annuale dallo scioglimento del loro rapporto sociale, pregiudicava di fatto il loro diritto di difesa e, data la residualità di quelle ipotesi, sostanzialmente determinava un'estensione automatica del fallimento della società ai soci, che non aveva eguali negli ordinamenti internazionali». Il tribunale, prima di risolversi per la rimessione della questione al Giudice delle leggi, espone come consolidata giurisprudenza formatasi sull'art. 147 l. fall. sia giunta in effetti alle seguenti conclusioni:
Dato atto di tale giurisprudenza, che preclude di fornire una diversa interpretazione costituzionalmente orientata delle norme in esame, il tribunale afferma di sospettare come, così interpretato, «l'art. 147 l. fall. violi, in maniera del tutto irragionevole, il diritto di difesa dei soci, sancito dagli artt. 24 e 111 cost., perché il socio illimitatamente responsabile: a) non sarebbe mai legittimato ad interloquire sui requisiti di fallibilità della società né per impedire che la stessa sia dichiarata fallita né solo per andare egli esente dalla dichiarazione di fallimento in estensione e ciò indipendentemente dal fatto che l'istanza di fallimento nei suoi confronti sia stata proposta contestualmente a quella della società, assicurando il simultaneus processus, oppure sia stata presentata successivamente in via autonoma […] b) subirebbe una sostanziale capitis deminutio, date le gravissime conseguenze giuridiche e personali che discendono dalla dichiarazione di fallimento, a fronte della quale la possibilità di dimostrare di non essere stato socio o socio illimitatamente responsabile, oltre all'ipotesi di decadenza dall'azione per il superamento dell'anno dall'interruzione del rapporto sociale, appare sostanzialmente poco significativa e statisticamente irrilevante, dato il numero esiguo di casi, quasi di scuola». In questo senso, viene ritenuta non utile la lettura delle pronunce della Corte costituzionale richiamate dai soci opponenti (n. 142/1970 e 110/1972), in quanto entrambe emanate prima delle riforme del 2006 e ss. Alla luce di quanto sopra, come anticipato, il tribunale ha sospeso il giudizio e ordinato la trasmissione dell'ordinanza alla Corte costituzionale, affinché si pronunci sulla questione sollevata dai soci. |