Il pericolo concreto della bancarotta patrimoniale non implica la necessità di un danno per i creditori
11 Ottobre 2024
Massime Ai fini della configurabilità del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, è irrilevante, sotto il profilo dell'elemento oggettivo e soggettivo del reato, l'assenza di un danno per i creditori. Perché i sindaci concorrano nel delitto di bancarotta fraudolenta è necessario che emergano puntuali elementi sintomatici, dimostrativi del fatto che l'omissione dei poteri di controllo e l'inadempimento dei poteri di vigilanza possano ricondursi ad una consapevole volontà di agire anche a costo - e dunque con dolo eventuale - di far derivare dall'omesso controllo la commissione di illiceità dolose da parte degli amministratori. Il caso In sede di giudizio di merito, i componenti del consiglio di amministrazione di una società fallita ed i componenti del collegio sindacale venivano condannati per il reato di bancarotta impropria per dissipazione, consistita nella concessione di plurimi finanziamenti ad alcuni soci della medesima persona giuridica - che aveva ad oggetto della propria attività la concessione in maniera esclusiva di finanziamenti, erogati, in assenza di una regolamentazione a livello statutario, all'esito di pratiche fondate su prassi operative consolidate, che prevedevano una prima fase, istruttoria, rimessa ai dipendenti della società; successivamente, aveva luogo una seconda fase, deliberativa, di competenza del consiglio di amministrazione, che si svolgeva alla presenza del collegio sindacale -, senza adeguata istruttoria e dopo indagini incomplete sulla situazione patrimoniale dei beneficiari e sulla solvibilità dei fideiussori, oltre che senza assumere adeguate garanzie, nonché omettendo di attivare tempestivamente le procedure per il recupero del credito. Nei confronti dei sindaci il fatto era stato qualificato come omessa attivazione dei poteri di controllo e verifica loro demandati dalla legge, circostanza che aveva reso possibile la dissipazione di una parte del patrimonio societario, mediante le operazioni di concessione di finanziamenti illecite ascritte ai componenti del consiglio di amministrazione. In sede di ricorso per cassazione, gli imputati ed i loro difensori hanno in primo luogo contestato la configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta per dissipazione: essendo la bancarotta un reato di pericolo concreto, nel caso di specie tale pericolo non potrebbe riscontrarsi, in quanto la maggior parte dei crediti vantati dalla società insolvente per i finanziamenti concessi ai soci erano stati recuperati dal liquidatore ed i beneficiari dei finanziamenti ed i garanti erano risultati titolari di redditi o proprietari di beni immobili. In secondo luogo, hanno ritenuto che la mancanza di adeguata istruttoria o la mancata acquisizione di garanzie non potevano reputarsi sufficienti ad integrare il delitto di bancarotta fraudolenta per dissipazione, essendosi in presenza di condotte manifestamente imprudenti e colpose, non sorrette dal dolo della dissipazione fraudolenta e configurabili come bancarotta semplice, tanto più che la vicenda si inseriva in un contesto sociale di limitate dimensioni in cui era nota la condizione lavorativa e patrimoniale degli abitanti. Questa considerazione era svolta con particolare riferimento alla posizione dei componenti del collegio sindacale, ai quali non era stato nemmeno addebitato il mancato intervento a fronte di elementi di significativo sospetto nella concessione dei finanziamenti – elementi non presenti nella vicenda. In terzo luogo, si contestava la mancata valutazione circa la rilevanza dei diversi finanziamenti sulla determinazione del dissesto, essendosi la sentenza impugnata limitata a riportare un'elencazione di pratiche di finanziamento, senza entrare nel merito del nesso di causalità tra i finanziamenti per i quali si è ritenuta la responsabilità degli imputati e il dissesto della società. Anche in questo caso, particolarmente mancante veniva ritenuta la motivazione con riferimento ai sindaci, per i quali le decisioni di merito non avevano esaminato il nesso di causalità tra la condotta ritenuta negligente ed attribuita a costoro e l'insorgere o l'aggravarsi del dissesto della società, mancando, altresì, qualsiasi giudizio controfattuale collegato al reato omissivo e riferito a cosa sarebbe accaduto ipotizzando una diversa e attiva condotta di controllo da parte dei sindaci. La questione Due sono i profili esaminati dalla decisione in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale ovvero: i) il tema della natura del delitto in discorso quale reato di pericolo concreto e ii) le problematiche connesse all'(accertamento della) responsabilità dei componenti del collegio sindacale e, più in generale, di soggetti titolari di poteri di controllo non coinvolti nella gestione dell'impresa – si pensi, ad esempio, ai cd. amministratori senza deleghe. La responsabilità di sindaci e amministratori senza deleghe Iniziando da questo secondo profilo, la eventuale responsabilità penale degli amministratori senza delega e dei sindaci si fonda sulla loro posizione di garanzia ex art. 40 c.p., con conseguente obbligo di intervento in presenza di condotte delittuose poste in essere dagli amministratori esecutivi (Torre, La responsabilità penale dell'organo di controllo sulla amministrazione e dell'organo di controllo contabile, in Giur. Comm., 2012, 1, 564; Lei, I soggetti attivi dei reati societari, in Dir. Pen. Proc., 2010, 627; Mandelli, I "sindaci" di s.p.a. tra doveri di sorveglianza e posizioni di garanzia, in Banca Borsa Tit. Cred., 2009, 1, 444; Giunta, Responsabilità penale dei sindaci per i reati degli amministratori, in Dir. Prat. Soc., 2007, 2, 6. Cass., sez. V, 22 settembre 2009, Bossio, in Mass. Uff., n. 245138; Cass., sez. V, 27 aprile 1992, Bertolotti, in Mass. Uff., n. 191563). All'interno di questa concezione, rilievo centrale riveste la corretta definizione dell'atteggiamento soggettivo o meglio l'individuazione delle condizioni in presenza delle quali l'inerzia di tali soggetti può considerarsi una modalità colpevole ed intenzionale di partecipazione all'altrui condotta delittuosa. Al problema, la Cassazione ha da sempre ritenuto di poter trovare una soluzione nella teorica dei cd. “segnali d'allarme”. Secondo questa impostazione, stante l'impossibilità di accertare in termini oggettivi ed indiscussi la circostanza che il singolo fosse o meno a conoscenza delle altrui condotte o intenzioni criminose, per decidere della responsabilità del sindaco o dell'amministratore senza delega andrebbe attribuito significativo valore probatorio alla presenza, nell'ambito della gestione sociale, di elementi sintomatici di gravi irregolarità, la cui presenza possa consentire al titolare della funzione di controllo – se non di essere certo, quantomeno – di sospettare che gli amministratori o comunque altri soggetti presenti all'interno dell'impresa stiano mettendo in atto comportamenti delittuosi. Spesso, però, l'obbligo di intervento – ovvero l'obbligo di impedire l'evento – viene nei fatti e surrettiziamente a tramutarsi nel diverso obbligo di informarsi su quanto si sta verificando in azienda onde essere in grado di intervenire e porre termine alle altrui condotte criminose; da qui la conclusione secondo cui «il componente del consiglio di amministrazione risponde del concorso nel reato societario per mancato impedimento del reato anche quando egli sia consapevolmente venuto meno al dovere di acquisire tutte le informazioni necessarie all'espletamento del suo mandato» (Cass., sez. V, 29 marzo 2012, Baraldi, in Mass. Uff., n. 252803) e «l'inerzia antidoverosa nello svolgimento dei compiti di vigilanza e di controllo, in presenza di determinati “segnali di pericolo” [viene ritenuta equivalente] a consapevole accettazione del rischio della verificazione degli eventi delittuosi poi di fatto occorsi» (Napoleoni, I reati societari. III. Falsità nelle comunicazioni sociali ed aggiotaggio societario, Milano 1996, 400). Recentemente, tuttavia, è dato riscontrare un atteggiamento più rigoroso da parte della giurisprudenza, giacché in alcune decisioni si afferma che per riconoscere la responsabilità penale dell'amministratore privo di delega o dei sindaci per fatti di bancarotta fraudolenta non sia sufficiente la oggettiva presenza di dati (i cosiddetti "segnali d'allarme", appunto) da cui desumere un evento pregiudizievole per la società o almeno il rischio della verifica di detto evento, ma è necessario che essi ne siano concretamente venuti a conoscenza ed abbiano volontariamente omesso di attivarsi per scongiurarlo (Cass., sez. V, 4 aprile 2016, n. 13399; Cass., sez. V, 14 aprile 2016, n. 15639) e di tale impostazione la sentenza in commento rappresenta una conferma. La qualificazione del delitto di bancarotta fraudolenta Quanto al primo profilo, attinente alle conseguenze da ricollegare alla qualificazione del delitto di bancarotta fraudolenta come reato di pericolo concreto, il tema si ricollega ad una recente innovativa impostazione della giurisprudenza, la quale per lungo tempo si è limitata a sostenere che la distrazione fallimentare era integrata in presenza di qualsiasi atto di distacco del bene dal patrimonio sociale senza un corrispettivo per la società e quindi con conseguente pregiudizio (quanto meno eventuale) per la soddisfazione dei creditori. Solo di recente è intervenuto un ripensamento di tale atteggiamento, essendosi raggiunta la consapevolezza circa il fatto che non possono essere ritenute illecite quelle condotte dell'amministratore della società che, pur conformi alla tipologia di comportamento richiamata dalla previsione incriminatrice, non hanno rilevanza lesiva per gli interessi giuridici tutelati; si pensi alle ipotesi, non a caso frequentemente richiamate in dottrina, della distrazione di un bene posta in essere molto prima della dichiarazione di fallimento e quando nulla faceva pensare che l'attività di impresa avrebbe avuto un esito disastroso, o ai casi in cui il valore economico sottratto dal patrimonio aziendale dall'imprenditore è stato poi da quest'ultimo reintegrato prima della pronuncia della sentenza d'insolvenza, o all'ipotesi in cui il fallimento si chiuda senza alcun creditore insoddisfatto. Per evitare tale conclusione, si sostiene – per l'appunto, sulla scorta della qualificazione del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale come reato di pericolo concreto che, in quanto tale, sussiste se le condotte incriminate hanno posto effettivamente a rischio, al momento della loro adozione, gli interessi dei creditori (Cass., sez. V, 2 settembre 2019, n. 14366; Cass., sez. V, 2 gennaio 2019, n. 70) - che sia necessario che il fatto di bancarotta abbia determinato un effettivo depauperamento dell'impresa e quindi sia idoneo ad incidere sulla garanzia dei creditori alla luce delle specifiche condizioni dell'azienda al momento dell'adozione del comportamento censurato (Poggi D'Angelo, Il dolo di pericolo nella bancarotta fraudolenta, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2019, 2130). Ne consegue che fra le molteplici vicende imprenditoriali astrattamente riconducibili alla previsione normativa di cui all'art. 322 c.c.i.i. va riconosciuto rilievo penale solo a quelle effettivamente dotate di un contenuto di offensività e meritevoli di sanzione in sede penale; il che impone che, nel valutare la portata lesiva di un fatto di bancarotta, non ci si deve limitare a considerare gli effetti che derivano al patrimonio del fallito dalla singola scelta che questi opera in ordine alla destinazione da dare ad una parte del suo patrimonio, dovendosi invece procedere ad un esame più complessivo, formulando un giudizio – circa la ragionevolezza economica della gestione dell'impresa – che abbia come termine di riferimento le conseguenze che dalla singola condotta sono derivate sulla consistenza dell'intero patrimonio aziendale. La decisione della Corte Tutti i ricorsi sono stati rigettati. Quanto alla ritenuta assenza di danno, dovuta al recupero delle somme concesse dalla cooperativa insolvente in finanziamento ai soci – circostanza questa che, secondo le difese, avrebbe escluso la sussistenza del reato, essendo venuto meno il pericolo concreto di deprivazione della massa attiva a svantaggio dei creditori -, si richiama la consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo cui, pur essendo la bancarotta fraudolenta distrattiva o dissipativa prefallimentare un reato di pericolo concreto, il pericolo deve valutarsi ex ante, al momento della declaratoria dello stato di insolvenza ed in riferimento agli atti depauperativi compiuti nella c.d. zona di rischio penale ovvero in "prossimità dello stato di insolvenza", quando l'apprezzamento di uno stato di crisi, normalmente conosciuto dall'agente imprenditore o figura equiparata, è destinato a orientare la "lettura" di ogni sua iniziativa di distacco dei beni nel senso della idoneità a creare un pericolo per l'interesse dei creditori sociali. In sostanza, se la qualificazione della bancarotta fraudolenta patrimoniale come reato di pericolo concreto impone di valutare la rilevanza penale delle condotte e la loro offensività in base all'idoneità ex ante degli atti depauperativi a mettere realmente a rischio la garanzia dei creditori della massa fallimentare, non occorre invece il danno alla massa dei creditori, requisito non richiesto dalla norma come essenziale e che costituisce un post-factum, anche perché l'assenza di danno non è essa stessa prova di mancata esposizione a pericolo, poiché tale assenza, invece, può derivare dalla complessiva attività di recupero posta in essere, dopo il fallimento, dal curatore, con individuazione di assi patrimoniali capaci di neutralizzare le esposizioni passive. Come si legge nella decisione, «il pericolo previsto dalla bancarotta pre-fallimentare va abbinato alla idoneità dell'atto di depauperamento a creare un vulnus alla integrità della garanzia della "categoria" dei creditori, in caso di apertura di procedura concorsuale, con un'analisi che deve riguardare in primo luogo l'elemento oggettivo, per investire poi in modo omogeneo l'elemento soggettivo, e che deve poggiare su criteri ex ante, in relazione alle caratteristiche complessive dell'atto stesso e della situazione finanziaria della società, laddove l'"anteriorità" di regola è tale relativamente al momento della azione tipica, senza però che sia esclusa dalla valutazione la permanenza o meno della stessa situazione, fino all'epoca che precede l'atto di apertura della procedura». Viene, dunque, ribadito che per la sussistenza dell'elemento materiale della bancarotta distrattiva è sufficiente il distacco del bene dal patrimonio dell'imprenditore - sebbene il reato venga a giuridica esistenza con la dichiarazione di fallimento - avendo il legislatore inteso colpire la manovra diretta alla sottrazione, con possibilità, concreta e da valutarsi ex ante, di danno per i creditori. Una tale conclusione non è in contrasto con le posizioni assunte dalla giurisprudenza in tema di bancarotta riparata, espressione con cui si richiama la tesi secondo cui non sussiste l'illecito fallimentare nel caso in cui la distrazione o qualsiasi sottrazione di attività sia incontrovertibilmente riversata nella sua integralità nel patrimonio della società prima della dichiarazione di fallimento, intesa quest'ultima come momento consumativo del pericolo. Infatti, anche quanti aderiscono a tale posizione riconoscono che l'offensività della condotta di reato, cristallizzata nel momento consumativo coincidente con la dichiarazione di fallimento, è limitata ai fatti che creano un pericolo concreto, ma non richiedono certo che una tale situazione di pericolo si traduca in un danno effettivo ai creditori al momento della dichiarazione di fallimento. Con riferimento alla possibilità di rinvenire, nel caso di specie, una fattispecie di bancarotta semplice patrimoniale essendosi consumato il patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti, le censure difensive vengono rigettate in quanto occorre che tali operazioni si inquadrino nell'ambito di condotte tenute comunque nell'interesse dell'impresa, configurandosi, invece, il delitto di bancarotta fraudolenta nel caso in cui l'agente abbia dolosamente perseguito un interesse proprio o di terzi estranei all'impresa. Quanto alla sussistenza dell'elemento soggettivo, viene evidenziato il consistente numero di pratiche di finanziamento deliberate dal consiglio di amministrazione, in totale o parziale assenza di adeguata documentazione, in favore di soci già esposti con debiti, senza assumere garanzie personali o assumendole da altri soci titolari di pregressi rapporti di finanziamento "incagliati", il tutto, spesso, in palese conflitto di interesse tra singolo amministratore e socio richiedente il finanziamento: elementi, questi, funzionali alla ricostruzione della prova della sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di bancarotta fraudolenta dissipativa e che coincidono con gli indici di fraudolenza richiesti dalla giurisprudenza di legittimità per l'accertamento dell'elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo e del dolo generico del reato in esame. Quanto, infine, alla mancata valutazione circa le concrete ricadute che avrebbero avuto sul cagionamento del dissesto le diverse concessioni di prestiti, la sentenza ricorda come, ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, non è necessaria l'esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fallimento, essendo sufficiente che l'agente abbia cagionato il depauperamento dell'impresa, destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività (Cass., sez. un., 31 marzo 2016, n. 22474, secondo cui, peraltro, i fatti di distrazione, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, assumono rilievo in qualsiasi momento siano stati commessi e, quindi, anche se la condotta si è realizzata quando ancora l'impresa non versava in condizioni di insolvenza). Con riferimento alla posizione dei componenti del collegio sindacale – per i quali i giudici di merito avevano rinvenuto una responsabilità a titolo di bancarotta semplice patrimoniale per non aver attivato i loro poteri di controllo diretti ad impedire la condotta dissipativa dei componenti del consiglio di amministrazione -, la Cassazione condivide la decisione dei giudici di merito, i quali, a fronte di una contestazione di concorso nel delitto di bancarotta fraudolenta commesso dai consiglieri di amministrazione, avevano evidenziato come una tale responsabilità dei componenti del collegio sindacale non può essere desunta solo dalla posizione di garanzia rivestita e dal mancato esercizio dei relativi doveri di controllo, ma postula la verifica dell'esistenza di elementi, dotati di adeguato e necessario spessore indiziario, sintomatici della partecipazione causalmente libera dei sindaci stessi all'attività degli amministratori ovvero dell'effettiva incidenza causale dell'omesso esercizio dei doveri di controllo sulla commissione del reato. Ebbene, quanto a quest'ultimo profilo, in sede di merito si era evidenziata, da un lato, l'insufficienza degli indicatori di dolo necessari a configurare una responsabilità concorsuale nel reato commesso dai componenti del consiglio di amministrazione; dall'altro, che la continuata, totale assenza del controllo dei sindaci sulla dissennata politica degli amministratori - controllo che, se attivato, ne avrebbe potuto attenuare gli effetti deleteri per la vita della cooperativa – aveva contribuito alla dissipazione del patrimonio della cooperativa, dissipazione che corrisponde, dal punto di vista contenutistico, al netto dell'elemento oggettivo, alla messa in atto di operazioni imprudenti. Quanto alla doglianza relativa al mancato accertamento del nesso di causalità, essa è stata ritenuta infondata: secondo la Cassazione la sentenza impugnata aveva adeguatamente dimostrato come i poteri di controllo, se attivati, avrebbero potuto quanto meno limitare e contenere la dissennata politica degli amministratori. Conclusioni La pronuncia in commento, come accennato in precedenza, ribadisce con riferimento ad entrambi i profili sopra menzionati posizioni che si stanno ormai consolidando in giurisprudenza. Quanto alla responsabilità dei sindaci e dei titolari di funzioni di controllo, ferma la rilevanza della sussistenza dei cd. segnali di allarme nel singolo caso di specie, risulta dunque confermato che il giudice di merito deve saper individuare quale significato i singoli abbiamo attribuito ad eventuali indici di criticità riscontrabili nella singola vicenda. Come affermato in una precedente decisione, «il rilievo dell'esistenza di segnali noti non può non essere accompagnato dall'accertamento dell'elaborazione che degli stessi è stata fatta: quei segnali possono essere stati sottovalutati, malamente interpretati [e] ciò indirizza verso un comportamento colposo, non certo doloso, [essendo necessaria] la prova di una corretta elaborazione dei segnali … [in considerazione] delle capacità intellettive del soggetto, dell'evidenza e significatività dei segnali medesimi» (Cass., sez. IV, 5 settembre 2012, n. 36399). Quale che ne sia la rilevanza e la macroscopicità, i “segnali di allarme” «devono essere stati percepiti ed assunti nel loro reale significato dal soggetto di cui trattasi: una condizione di dubbio circa la loro significatività non è di per sé incompatibile con l'accettazione dell'evento [poiché] il dubbio descrive una situazione irrisolta, perché accanto alla previsione della verificabilità dell'evento vi è la previsione della non verificabilità ed il dubbio corrisponde ad una condizione d'incertezza, che appare difficilmente compatibile con una presa di posizione volontaristica in favore dell'illecito, ad una decisione per l'illecito, ma che ove concretamente superato, avendo l'agente optato per la condotta anche a costo di cagionare l'evento, volitivamente accettandolo quindi nella sua prospettata verificazione, lascia sussistere il dolo eventuale» (Cass., sez. IV, 5 settembre 2012, n. 36399). Quanto invece al tema delle conseguenze da trarre dalla qualificazione della bancarotta fraudolenta patrimoniale come reato di pericolo concreto, si ribadisce che occorre valutare la rilevanza penale delle condotte e la loro offensività in base all'idoneità ex ante degli atti depauperativi a mettere realmente a rischio la garanzia dei creditori della massa fallimentare. Al contempo, però, viene precisato che, per la contestazione di tale delitto, non occorre riscontrare un effettivo danno alla massa dei creditori, requisito non richiesto dalla norma come essenziale e che costituisce un post-factum, anche perché l'assenza di danno non è essa stessa prova di mancata esposizione a pericolo. |